È in corso un acceso dibattito sul ruolo delle biotecnologie nel miglioramento della qualità della vita umana. Una parte importante in questo confronto è svolta da Assobiotec, l'Associazione Nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, che fa parte di Federchimica e che rappresenta le imprese operanti in Italia attive in questo settore. Assobiotec è impegnata nel dibattito sulla sicurezza per l'uomo e per l'ambiente dei prodotti geneticamente migliorati e in un'opera di divulgazione dei risultati della ricerca biotecnologica in Italia e nel mondo. Sergio Dompé è presidente dal 1998 di Assobiotec.
Perché molte prospettive entusiasmanti per la comunità scientifica, come le biotecnologie, sono spesso vissute con sospetto dal vasto pubblico?
Negli ultimi vent'anni il progresso tecnologico ha prodotto trasformazioni importanti nella vita collettiva, e ciò vale anche per le moderne biotecnologie, che hanno potuto mostrare alcune delle loro grandi potenzialità in diversi campi applicativi, dalla cura della salute, all'ambiente, ai processi industriali, all'area agroalimentare. Ritengo sia naturale che, data la vastità delle applicazioni di queste tecnologie, non tutte siano percepite allo stesso modo. Oggi, di fatto, l'opinione pubblica europea e italiana vede favorevolmente le applicazioni delle biotech nell'area salute, mentre nell'agroalimentare sono vissute con sospetto e diffidenza. D'altra parte i fatti parlano chiaro: un'indagine del Censis ha mostrato come gli italiani non siano pregiudizialmente contrari alle biotecnologie. La realtà è che solo il 64 per cento degli italiani ha sentito parlare di biotecnologie, e ben il 70 per cento dichiara di non saperne quasi nulla. E la mancanza di conoscenza è terreno fertile per la formazione del pregiudizio e per un'informazione superficiale e talvolta fuorviante, spesso proposta da fonti schierate.
Si potrebbe definire il momento storico attuale come un periodo di rigetto della scienza?
Parlerei piuttosto di una carenza di informazioni su argomenti che pure ci toccano da vicino, come gli sviluppi della ricerca scientifica in settori cruciali per tutti noi come la salute e l'alimentazione. Certamente la scarsa diffusione della cultura scientifica di base ha la sua parte di responsabilità. Il cittadino-consumatore è di fatto disorientato, a volte non in grado di comprendere le innovazioni tecnologiche propostegli.
L'ostilità verso le biotecnologie trova due motivazioni: non volere alterare la natura e presunti rischi per la salute. Quali sono i rischi reali? È lecito intervenire sulla natura, e quando fermarsi?
È bene sgombrare il campo da un'ideologia di "natura": il sistema agricolo moderno non é un sistema naturale, ma il frutto di modifiche e miglioramenti effettuati dall'uomo nel corso di migliaia di anni. Siamo sempre intervenuti sulla natura per migliorare le specie vegetali, con lo scopo di renderle migliori per capacità produttiva e qualità. Le biotecnologie rappresentano l'evoluzione di questi processi e hanno il vantaggio di permettere un impiego mirato, grazie agli sviluppi dell'ingegneria genetica. Oggi le biotecnologie rappresentano la nuova frontiera della scienza. Sta poi a noi decidere come utilizzare le potenzialità che la ricerca ci mette a disposizione, e come orientarne le applicazioni.
La valutazione dei rischi è un altro punto cruciale: quando parliamo di prodotti biotecnologici è bene ricordare che sono autorizzati dall'Unione Europea prima di entrare in commercio. La verifica è svolta da 15 autorità nazionali e da numerosi comitati scientifici indipendenti della Commissione Europea, e avviene sulla base delle metodologie predittive più sofisticate di cui disponiamo e che vengono importate, caso unico nell'alimentazione, dai processi di autorizzazione alla commercializzazione dei farmaci. Questo significa in concreto la coniugazione di quel principio di precauzione evocato da più parti, principio assolutamente indispensabile quando ci troviamo di fronte a tecnologie complesse.
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