Come facevano gli Egizi a spostare blocchi di pietra pesanti decine di tonnellate? Questo problema fa discutere gli studiosi e accende la fantasia dei fantarcheologi. Recentemente una nuova ipotesi è stata proposta da Giorgio Faraggiana, del dipartimento di Ingegneria Strutturale del Politecnico di Torino, e da Osvaldo Falesiedi, appassionato di archeologia che da anni si interessa di questo tema. Abbiamo intervistato sull'argomento Giorgio Faraggiana.
Ci può raccontare come è nata la vostra ipotesi?
Siamo partiti dalle navi, perché sono mezzi di trasporto che affrontano condizioni molto impegnative e quindi i costruttori devono trovare in ogni epoca le soluzioni più all'avanguardia e i materiali migliori. Da alcune raffigurazioni vediamo che gli Egizi usavano l'argano spagnolo per scaricare i blocchi di pietra dalle navi, e in questo modo il lavoro poteva essere svolto da poche persone, forse dallo stesso equipaggio delle imbarcazioni.
L'"argano spagnolo" è un dispositivo costituito da funi che vengono avvolte intorno a un oggetto e poi attorcigliate in modo da imbracarlo e comprimerlo. Se le corde vengono ancorate a un punto fisso, attorcigliarle permette di accorciare la lunghezza complessiva della corda e quindi di spostare il carico. Abbiamo ipotizzato che la stessa cosa avvenisse all'interno delle piramidi. Se questa ipotesi è corretta, la Grande Galleria della Piramide di Cheope non era un corridoio cerimoniale, ma un tunnel di trasporto.
Quali indizi ci sono a favore di questa ipotesi?
Le coppie di nicchie ai lati della Grande Galleria, che si era pensato ospitassero delle statue, potevano invece servire a montare delle traverse di supporto per trainare il carico. Inoltre la Galleria è piuttosto stretta e non poteva contenere molte persone, per cui è logico pensare a meccanismi che permettessero di ridurre il numero di operatori.
Quali esperimenti avete condotto?
Abbiamo costruito diversi modelli di varie dimensioni: il più grande di questi è lungo dieci metri e sposta un peso di cinque tonnellate in direzione verticale, che equivale a un peso di circa undici tonnellate e mezza su un piano inclinato come la Grande Galleria. Nel nostro modello la fune principale viene fissata su una traversa da cui partono le funi secondarie, sulle quali riusciamo a ridurre il carico sfruttando il principio della leva. Attorcigliando le funi intorno alla traversa di legno riusciamo con la forza di una sola persona a spostare il blocco di 4 centimetri a ogni ciclo: l'avanzamento è ridotto ma il ciclo si può ripetere abbastanza rapidamente.
La prova sperimentale è indispensabile perché solo vedendo in pratica come funzionano le mille varianti possibili si può capire quali soluzioni vanno preferite: è impossibile rendersene conto altrimenti.
La complessità di questi problemi fa pensare anche che la manodopera egizia doveva essere piuttosto qualificata: la mia impressione è che i costruttori egizi dovessero disporre di un numero abbastanza ampio di esperti in grado di risolvere i problemi pratici prendendosi una propria responsabilità.
Ci può raccontare come è nata la vostra ipotesi?
Siamo partiti dalle navi, perché sono mezzi di trasporto che affrontano condizioni molto impegnative e quindi i costruttori devono trovare in ogni epoca le soluzioni più all'avanguardia e i materiali migliori. Da alcune raffigurazioni vediamo che gli Egizi usavano l'argano spagnolo per scaricare i blocchi di pietra dalle navi, e in questo modo il lavoro poteva essere svolto da poche persone, forse dallo stesso equipaggio delle imbarcazioni.
L'"argano spagnolo" è un dispositivo costituito da funi che vengono avvolte intorno a un oggetto e poi attorcigliate in modo da imbracarlo e comprimerlo. Se le corde vengono ancorate a un punto fisso, attorcigliarle permette di accorciare la lunghezza complessiva della corda e quindi di spostare il carico. Abbiamo ipotizzato che la stessa cosa avvenisse all'interno delle piramidi. Se questa ipotesi è corretta, la Grande Galleria della Piramide di Cheope non era un corridoio cerimoniale, ma un tunnel di trasporto.
Quali indizi ci sono a favore di questa ipotesi?
Le coppie di nicchie ai lati della Grande Galleria, che si era pensato ospitassero delle statue, potevano invece servire a montare delle traverse di supporto per trainare il carico. Inoltre la Galleria è piuttosto stretta e non poteva contenere molte persone, per cui è logico pensare a meccanismi che permettessero di ridurre il numero di operatori.
Quali esperimenti avete condotto?
Abbiamo costruito diversi modelli di varie dimensioni: il più grande di questi è lungo dieci metri e sposta un peso di cinque tonnellate in direzione verticale, che equivale a un peso di circa undici tonnellate e mezza su un piano inclinato come la Grande Galleria. Nel nostro modello la fune principale viene fissata su una traversa da cui partono le funi secondarie, sulle quali riusciamo a ridurre il carico sfruttando il principio della leva. Attorcigliando le funi intorno alla traversa di legno riusciamo con la forza di una sola persona a spostare il blocco di 4 centimetri a ogni ciclo: l'avanzamento è ridotto ma il ciclo si può ripetere abbastanza rapidamente.
La prova sperimentale è indispensabile perché solo vedendo in pratica come funzionano le mille varianti possibili si può capire quali soluzioni vanno preferite: è impossibile rendersene conto altrimenti.
La complessità di questi problemi fa pensare anche che la manodopera egizia doveva essere piuttosto qualificata: la mia impressione è che i costruttori egizi dovessero disporre di un numero abbastanza ampio di esperti in grado di risolvere i problemi pratici prendendosi una propria responsabilità.