Contrastare bufale e falsi miti al Museo egizio

Il racconto costante e puntuale delle attività di ricerca è l’arma del museo torinese contro i malintesi e le false notizie sull’antico Egitto

  • In Articoli
  • 04-10-2023
  • di Divina Centore
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Il Libro dei Morti ritrovato in perfetto stato di conservazione nella tomba dell’architetto Kha a Deir el-Medina è uno dei papiri più importanti del Museo Egizio © Collezione Museo Egizio/CC BY 2.0
Nell’immaginario collettivo l’archeologo è spesso accostato a Indiana Jones e non c’è studioso di antichità che non abbia ricevuto, almeno una volta nella vita, tale appellativo. Quasi come se il mestiere dell’archeologo consistesse nel sottrarre idoli d’oro massiccio e fuggire da enormi rocce rotolanti. Questa è solo una delle bufale e dei falsi miti che circondano l’archeologia - e l’Egittologia - in generale, e al Museo Egizio ci troviamo spesso a dover rispondere a domande come «ma quando andate in Egitto a scavare, trovate davvero tombe con trappole e ostacoli da superare?», «è vero che gli antichi Egizi erano fissati con l’idea della morte?», «i geroglifici sono una scrittura misterica?»
Come si contrastano bufale e falsi miti all’Egizio? Con la ricerca e la sua divulgazione. A occuparsi di comunicazione è un apposito Dipartimento – Interpretazione, Accessibilità e Condivisione – che ha il compito di divulgare al pubblico l’attività di studio e analisi quotidianamente svolta dal Dipartimento Collezione e Ricerca. Non esistono linguaggi alti e linguaggi bassi, ogni strumento online e offline è utile all’obiettivo; fondamentale è mantenere la veridicità scientifica.

Ma proviamo a scendere nel pratico e a capire come il Museo risponde a domande del tipo: ma quando andate in Egitto a scavare, trovate davvero tombe con trappole e ostacoli da superare?

Per i non addetti ai lavori, spesso uno scavo archeologico è un semplice sterro: armati di pala e piccone, si scava fino a raggiungere una tomba o un luogo inesplorato – pieno di trappole mortali, entrate segrete e maledizioni. Indubbiamente uno scavo archeologico è, per sua stessa natura, un processo distruttivo: si rimuovono strati dopo strati di terra che non sarà più possibile ricostruire. Ma lo si fa con metodo (quello stratigrafico), e più che altro con molta pazienza, perseveranza… e un po' di fortuna! Uno scavo non porta necessariamente a grandi scoperte e, soprattutto, non si scava più per recuperare oggetti e portarli nei musei e nelle collezioni estere.

Dal 2015 il Museo Egizio collabora con il Rijksmuseum di Leiden allo scavo di un’area della necropoli di Saqqara. Ogni anno, durante la primavera, archeologi e specialisti partono per l’Egitto con l’obiettivo di ottenere una chiara panoramica della lunga storia di utilizzo della necropoli. Per trasportare il pubblico a Saqqara, e mostrare loro da vicino la quotidianità di uno scavo, condividiamo sui nostri canali social e sito Web i Digging Diaries, i diari di scavo della missione in uscita una volta a settimana[1]. Il team ci racconta il progredire dei lavori, le difficoltà incontrate e i compiti di tutte le figure professionali coinvolte nella missione - non si tratta solo di archeologi, ma anche di ceramologi, disegnatori, fotografi, restauratori e tanti altri.
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Rilievo dell’area di scavo a Saqqara © Nicola dell’Aquila/Museo Egizio


Un aspetto fondamentale che emerge dai diari è l’importanza della documentazione dello scavo, un procedimento lungo e complesso che avviene attraverso l’uso della fotografia e dei disegni. Uno strato, infatti, prima di essere rimosso, deve essere fotografato con una scala metrica e con dei riferimenti che indicano il punto di presa della fotografia, e deve essere disegnato. Le tecniche si sono molto evolute e oggi si usano nuove tecnologie, per esempio tecniche come la fotogrammetria che ci permette di documentare con precisione ogni singolo strato. Non solo, ci consente anche di ricostruire dei modelli tridimensionali di tutte le superfici, riprodurre dei modelli tridimensionali degli oggetti ritrovati durante lo scavo e molto altro. Con l’utilizzo della fotogrammetria è possibile preservare tutte le informazioni relative alla stratigrafia di uno scavo e in questo modo quasi “ricostruirlo” virtualmente. Ovviamente, non mancano momenti conviviali e nei diari è possibile trovare deliziose ricette preparate da cuochi locali per il gruppo.

«È vero che gli antichi Egizi erano fissati con l'idea della morte?»


Nelle collezioni egittologiche di tutto il mondo abbondano sarcofagi, oggetti di carattere funerario e mummie: questo ha creato l’impressione che gli Egizi avessero una vera e propria fissazione per la morte. Si tratta invece di un popolo che amava talmente tanto la vita da fare tutto il possibile per prolungarla in eterno.

Dalle gigantesche piramidi alle tombe scavate nella roccia della Valle dei Re, sembra che gli Egizi non pensassero che alla morte, ai beni da portare con sé nella tomba e alla mummificazione. Anche la religione sembra alimentare questa visione “funerea”: delle oltre 2000 divinità conosciute, la maggior parte era legata all’aldilà.

In realtà, le piramidi e le tombe erano considerate “dimore per l’eternità” dagli antichi e offrono informazioni su come gli Egizi immaginassero l’aldilà. Trovare case e città che raccontino la vita quotidiana è invece molto più raro: erano fatte con mattoni di fango secco – un materiale decisamente meno resistente di pietra e granito – e difficilmente si sono conservate. Inoltre, i villaggi di un tempo sono diventati le città di oggi e quindi le case si sono stratificate le une sulle altre, mentre le tombe no - erano costruite in zone desertiche o rocciose, poco adatte alla vita.

Al Museo Egizio è possibile riscoprire la vita quotidiana nell’antico Egitto grazie a una sala che espone oggetti ritrovati nel villaggio di Deir el-Medina. Si tratta di un insediamento in una piccola valle ai margini del deserto, non lontano dalla Valle dei Re e delle Regine. Il sito fu indagato estensivamente dalla Missione Archeologica Italiana (M.A.I.), la missione di scavo del Museo, a partire dall’inverno del 1905, quando iniziarono le ricerche tra le poche rovine visibili del villaggio abbandonato circa 3000 anni prima.

Le persone che lo avevano abitato erano principalmente artigiani specializzati – tagliapietre, disegnatori, pittori, scultori, falegnami. Il loro compito principale era costruire le tombe regali nelle vicine Valli dei Re e delle Regine.

Gli scavi a Deir el-Medina hanno restituito non solo una grande quantità di oggetti, ma anche di testi scritti in grafia ieratica (geroglifico corsivo) su papiri e ostraka (frammenti di calcare, osso, o ceramica). I testi studiati finora si sono rivelati ricchi di informazioni sulla vita quotidiana degli abitanti – non solo sul loro lavoro e sulle sue condizioni, ma anche sulle loro vite private. Persone come lo scriba Ramose, che desiderava disperatamente un figlio, lo scriba Qenherkhopeshef dall’orrenda grafia ma con un grande interesse per la storia e per la letteratura, la risoluta vedova Naunakht e molti altri sono diventati personaggi famosi nella letteratura egittologica.

Tra i documenti, il più eccezionale è sicuramente il papiro dello sciopero, che attesta il primo sit-in della storia. L’evento si svolge nel corso della XX dinastia (1190-1076 a.C.), durante il regno del faraone Ramesse III. Nel suo XXIX anno di regno ci furono battute di arresto nella distribuzione regolare delle razioni mensili – lo stato stava affrontando profondi problemi economici e il villaggio dipendeva dallo stesso per gli approvvigionamenti – che portarono gli operai a deporre gli attrezzi da lavoro e a chiedere un’udienza con il visir. E attraverso questo papiro si sfata un’altra fake news: le piramidi e le tombe costruite da schiavi.
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Il "papiro dello sciopero" di Torino, Cat.1880 © Museo Egizio


«I geroglifici sono una scrittura misterica?»


Una delle bufale più diffuse considera i geroglifici segni misteriosi, inventati dal dio ibis Thot, già utilizzati nei tempi antichi per tramandare le conoscenze più esclusive e segrete.

In realtà non è proprio così. Sappiamo che il geroglifico è una scrittura usata per scrivere uno specifico idioma, l’egiziano. Per molto tempo si era persa cognizione di questo sistema di scrittura: attestati per la prima volta intorno al 3200 a.C. circa, i geroglifici cominciarono a scomparire quando, nel 391 d.C. l’imperatore romano Teodosio, che combatteva i pagani, decise di chiudere i templi degli dèi locali. Fu così che i geroglifici non vennero più insegnati e nel giro di una generazione nessuno sapeva più come leggerli: l’ultima iscrizione geroglifica datata risale al 394 d.C. Non è quindi strano che sia gli stessi Egizi, sia i Greci e i Romani, posti di fronte a iscrizioni di cui non capivano più il senso, siano stati colpiti dal carattere simbolico ed enigmatico dei segni, tramandandone l’idea di una scrittura misteriosa.

Per avvicinare il pubblico al mondo delle lingue e delle scritture dell’antico Egitto – sì, al plurale! - al Museo Egizio era stata inaugurata nel 2022, in occasione del bicentenario della decifrazione dei geroglifici, una mostra temporanea dal titolo: “Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto”. La mostra ripercorreva l’evoluzione della lingua egizia e dei diversi tipi di scrittura, dalle primissime iscrizioni del 3200 a.C. ai testi letterari intorno al 2700 a.C., in una panoramica che raccontava molto della società e del pensiero dell’antico Egitto.

In contemporanea all’apertura dell'esposizione, sul canale YouTube del museo sono andate in onda le "Pillole di geroglifico"[2], otto mini-lezioni tenute da uno dei curatori della mostra, Federico Poole, per imparare a leggere i geroglifici partendo dalle basi, con tanto di esercizi da svolgere per la lezione successiva.

Considerando l’importanza che lingue e scritture rivestivano nell’antico Egitto, si è deciso di trasformare la mostra in una sala permanente. Come e perché si è sviluppata la scrittura, che ruolo ha avuto nella formazione dello stato in tutte le sue articolazioni, come ha favorito il discorso religioso e la complessa cosmografia funeraria? Sono alcuni degli interrogativi a cui cercheremo di dare risposta, con rigore scientifico, cercando di interessare e appassionare visitatori di tutte le età.

Note


DIVINA CENTORE lavora come egittologa presso il Museo Egizio, Torino, nel Dipartimento Interpretazione, Accessibilità e Condivisione, dove si occupa di divulgazione scientifica e del coordinamento editoriale delle pubblicazioni del Museo. Tra i suoi interessi di studio: l’egittomania, la flora dell’antico Egitto e la ceramica.
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