Al contrario di civiltà come quella sumera, quella egiziana è stata da sempre la preferita del pubblico occidentale e degli studiosi: era una civiltà megalitica che aveva conservato opere imponenti, con una scrittura misteriosa, ed era anche di facile accesso per gli europei, in primo luogo per i pensatori per eccellenza, i Greci.
Noi vi racconteremo in breve la lunga storia di un enorme successo: l’egittomania del pensiero occultistico, esoterico ed ermetico, dalle sue origini fino ai primi dell’Ottocento, quando l’interpretazione scientifica dei geroglifici avrebbe dovuto porre fine a molte speculazioni. Invece non andò così. Ma perché l’Egitto è stato da sempre considerato sinonimo di mistero? Perché così tanto entusiasmo per il regno dei faraoni?
Il papà della storiografia, Erodoto, sta all’egittomania come Platone sta ad Atlantide. Con le sue storie fantastiche sull’Egitto ha contribuito al suo innesco. Nel secondo libro delle Storie, Erodoto - che scriveva di un presunto viaggio che aveva fatto da giovane, e siamo nella seconda metà del V secolo a.C. - fece un’operazione fondamentale per il futuro del nostro mito: raccontò che alcuni sacerdoti egiziani gli avevano mostrato un gran numero di statue in legno, ognuna delle quali rappresentava una delle 341 generazioni dalle quali esisteva il regno d’Egitto. Facendo i calcoli, quel regno di sapienza risultava essere sorto… circa nel 12.000 a.C. Non solo: raccontò che nelle profondità della Grande Piramide c’era una camera mortuaria nascosta, con un lago artificiale alimentato da un ramo sotterraneo del Nilo. Nel mezzo del lago c’era un’isola raggiungibile solo dagli iniziati, ed era lì che giacevano i sarcofagi dei faraoni, maghi e depositari di una sapienza perfetta, perché risalente nella sua interezza più o meno a 11.340 anni prima del viaggio di Erodoto.
In sostanza, sono questi i temi che si trasmetteranno prima alla letteratura esoterica e poi a quella fantastica, fino ad arrivare nel XXI secolo.
Molto più tardi rispetto al viaggio di Erodoto, nel I secolo a.C., Diodoro Siculo, nella sua Bibliotheca Historica, diede spazio all’idea che la costruzione delle piramidi potesse esser dovuta a forze soprannaturali. Cercando di far luce sulla mitologia egiziana, mescolava dèi locali e greci, ne rintracciava a suo modo le origini, e pensava che alcune divinità egizie potessero essere uomini coltissimi scambiati dagli antichi per divinità. Non poteva sospettarlo, ma anche lui stava gettando le basi per un’altra potente mitologia moderna: quella secondo cui ad assistere gli Egiziani nell’edificazione delle piramidi non sarebbero stati né gli dèi né tecnici locali, ma altre umanità, provenienti non più da luoghi esotici rispetto al Nilo, ma, nella mitologia recente degli Antichi Astronauti, da altri pianeti.
E poi, c’era il problema dei geroglifici: scrittura, simboli o formule magiche? Per Diodoro - ecco un altro abisso di fantasie giunto fino a noi - sulle pareti delle piramidi erano rappresentati i giganti della mitologia greca. Intanto, ad Alessandria gli ebrei ellenizzati di quella grande comunità speculavano sul fatto che i giganti greci fossero i giganti del libro biblico della Genesi, i Nephilim. Con il sorgere dell’ufologia, i Nephilim assumeranno grande rilevanza nelle mitologie aliene di parecchi autori: fra tutti, il produttore di un gran numero di testi pseudoarcheologici, Zecharia Sitchin (1920-2010).
Infine, sulle origini dell’egittomania, c’è da accennare alla lunghissima storia degli scritti sapienziali ai quali dare la caccia. Anche qui, un esempio antico.
Toth è il dio egizio della scrittura e della conoscenza, per cui gli è stata attribuita una pletora di trattati e di scritti. Nel IV secolo a.C. comparve un breve racconto nel quale il principe egizio Setne Khaemweset raccontava a modo suo storia e magia del proprio paese. Si tratta di uno dei tanti testi che si diffusero in epoca ellenistica, e che racchiudevano alcuni motivi relativi all’Egitto magico, poi riemersi nella letteratura di massa del XX secolo. In quel racconto, Setne ottiene per un certo periodo il misterioso Libro di Toth, in cui il dio svela segreti di ogni genere - per esempio, come vedere gli dei. Soprattutto, il racconto crea un modello che sarà ripreso ai nostri giorni: mummie che resuscitano, vendette di antichi maghi in grado di operare per millenni, trattati di occultismo sepolti in luoghi inaccessibili.
Con il tramonto del Medioevo, questo genere letterario, trascurato per secoli, riprenderà ad affascinare gli europei; la sua nuova vita però arriverà assai più tardi, con i romanzi da edicola di inizio Novecento. Nel 1932 la scrittrice inglese Marie Corelli, pseudonimo di Mary Mackay, una delle protagoniste del successo dell’occulto nella Gran Bretagna fra Otto e Novecento, riprese questo plot in The Mummy. Vendette milioni di copie e consacrò fra i moderni l’Egitto come luogo principe delle conoscenze nascoste.
È solo un esempio tra i tanti: l’Egitto come fonte di saperi antichissimi è al centro di molti racconti e romanzi del periodo. Un caso particolarmente interessante è Prigioniero dei faraoni (1924), frutto della collaborazione tra lo scrittore Howard Phillips Lovecraft e Harry Houdini: nel racconto, il mago viene rapito da una guida durante un viaggio in Egitto e fatto cadere in un buco della Grande Piramide di Giza. Qui assisterà a una strana cerimonia e vedrà le creature in carne e ossa che hanno ispirato la Sfinge e le altre divinità egiziane.
In questa lunga storia, non va mai trascurato il successo senza pari della figura mitica di Ermete Trismegisto - il mago, il sapiente, il “tre-volte-grande” - un personaggio al quale sin dall’epoca ellenistica furono attribuiti scritti occultistici e sapienziali. Molti di questi scritti furono redatti nell’Europa cristiana e nel mondo arabo-islamico almeno fino all’XI secolo della nostra era, ma oggi (specie grazie all’orientalista Jean-Pierre Mahé) è chiaro che i primi documenti - quelli davvero antichi - furono opera di sacerdoti grecizzati del tardo Egitto. È per questo che il corpo di letteratura attribuita al Trismegisto in molte sue parti “sa” di Egitto.
A metà Seicento, l’orientalista francese Pierre Vattier (1623-1677), per alcuni errori di comprensione di testi arabi sul grande mago, attribuì quei racconti esoterici sui templi egiziani alle piramidi, dando una mano a consolidare il mito delle piramidi come “luoghi di potenza”. Infine, col dilagare dell’egittomania settecentesca, la tradizione su Ermete Trismegisto fece da dinamite, anche perché alcune idee che circolavano al riguardo nella Francia prerivoluzionaria erano tanto bizzarre quanto potenti.
Nel 1783, l’esoterista Jean-Baptiste Alliette (1738-1791), dietro lo pseudonimo di Etteilla, nel volume Manière de se récréer avec le Jeu de Cartes nommées Tarots fu il divulgatore dell’idea che i tarocchi fossero stati inventati da Ermete Trismegisto insieme ad altri 16 sapienti. Li aveva realizzati incidendo 77 lamine d’oro nel Tempio di fuoco, luogo di potenza situato a tre leghe a est di Memphis, capitale dell’Alto Egitto, 171 anni dopo il Diluvio universale. Del resto, per Alliette la comprensione dei geroglifici era strettamente connessa al significato dei simboli dei tarocchi.
Con la rivoluzione culturale dell’Umanesimo quattrocentesco, l’Egitto mitico riapparve con una forza senza precedenti. Il rinnovato interesse per il pensiero gnostico e per quello simbolico e la nascente filologia spingevano gli intellettuali ai primi passi sistematici verso l’analisi dei geroglifici, da troppo tempo incomprensibili a tutti.
Nel 1422, in Grecia fu scoperta una copia di un’opera per noi importantissima, gli Hieroglyphiká, scritti verso la fine del IV secolo d.C. da Orapollo, egiziano grecizzato. Orapollo presentava 190 geroglifici interpretandoli in senso ermetico. I geroglifici per lui erano rebus, che, sciolti, avrebbero fornito conoscenze recondite, da cogliere attraverso lunghe riflessioni di menti eccelse.
Il lavoro di Orapollo influenzò fortemente il pensiero simbolico rinascimentale. Ne è esempio sommo la Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, comparsa a Venezia nel 1499. Narra un viaggio iniziatico in cui la lettura di Orapollo dei geroglifici ha un ruolo importante. L’opera di Colonna è una delle fonti di rilievo per capire la mania rinascimentale per il simbolismo, infilato ovunque nell’arte. Una mania che toccherà il vertice con l’emblematica di moda nel Seicento: volumi e volumi di illustrazioni magnifiche, dal significato occulto, recondito, gonfio all’inverosimile, popolari in area tedesca - un tentativo di creare un linguaggio europeo simile a quello “sacro” dei geroglifici del regno del Nilo.
Infine, una parola va detta su un’altra figura folle ed eccezionale del tempo, il gesuita tedesco Athanasius Kircher. Il suo interesse per l’Egitto produsse un esito contraddittorio: aveva intuito i legami della lingua egiziana con il copto, ma le interpretazioni generali azzardate nell’Oedipus Aegyptiacus (1655) lo esposero a ironie di ogni sorta già da parte dei contemporanei. Per lui la religione egiziana era l’annuncio ignorato del Cristianesimo, rivolto solo a un popolo di iniziati, e ogni geroglifico andava reso in lunghe, ampollose frasi.
Sarà poi Champollion, nel 1822, a fornire la corretta interpretazione dei geroglifici grazie alla stele di Rosetta, un monumento che presentava lo stesso testo in geroglifico, greco e demotico, fornendo l'interpretazione fonetica dei segni. In altri termini, dimostrò che si trattava di una lingua scritta, concreta come le altre, e non di una serie di simboli misteriosi o formule magiche.
Come altri movimenti, anche una realtà complessa come la massoneria ha i suoi miti di fondazione. Oggi, con lo storico David Stevenson, è possibile dire con fiducia che la massoneria ebbe origine in alcune cittadine di provincia della Scozia, alla fine del Cinquecento. Non è dunque un fenomeno antico, anzi, è qualcosa di caratteristico della modernità europea.
La tradizione massonica, invece, assegna la sua nascita a un tempo arcaico, di volta in volta identificato con caratteri diversi. Il mito di maggior successo fra i massoni è quello che attribuisce le origini della fratellanza iniziatica alla costruzione del tempio di Gerusalemme a opera di re Salomone, e sostiene che il “papà” della massoneria sarebbe stato l’architetto di quel tempio, Hiram. Da qui, l’adozione del simbolismo architettonico-costruttivo che un po’ tutti conoscono: squadra, compasso, archipendolo, cazzuola… Una seconda linea di pensiero (e di miti di fondazione) fa invece risalire la massoneria a Noè e alla costruzione dell’arca del diluvio. In questo caso, il simbolismo e gli strumenti utilizzati nelle logge - quelle della cosiddetta linea “noachita” - fanno riferimento al legno, all’ascia e al lavoro del falegname: tutte cose che prendono forma tra il XVII e il XVIII secolo.
A noi però interessa il terzo “tempo arcaico” dei miti sulle origini della massoneria, che arrivò più tardi degli altri ed ebbe successo in ritardo perché fu frutto dell’egittomania dei salotti borghesi dell’Europa illuminista. Molto è stato scritto sul fatto che l’inventore, mecenate ed esoterista napoletano Raimondo di Sangro, principe di Sansevero (1710-1771), sarebbe stato l’iniziatore di questa massoneria di stile “egiziano”, con le piramidi trasformate in luoghi destinati alle riunioni degli iniziati: i primi massoni. Certo è che di Sangro, nel 1747, fu tra i primi a proporre l’Egitto come patria della massoneria, ma va anche detto che il successo dell’Egitto in quegli ambienti ha origini assai più ampie. Un fatto interessante, perché testimonia che un po’ dappertutto, nei circoli alla moda, il revival dei faraoni era richiesto a gran voce.
La cosa curiosa è che questa espansione multipolare delle logge “egiziane” fu caratterizzata da una circostanza non ovvia, e cioè dalla presenza femminile: all’Aia, in Olanda, ne nacque una di questo tipo nel 1778, seguita da un’altra a Mitau (oggi Jelgava, in Lettonia), nel 1780. Lo stesso anno i massoni-egizi fecero la loro comparsa a Varsavia e a Strasburgo. Il 24 dicembre del 1784, infine, a Lione nacque il rito massonico-egiziano, ora codificato, con la creazione della loggia La Sagesse triomphante. Anche i paramenti utilizzati in quelle logge s’ispiravano alle rappresentazioni dei faraoni scoperti nelle piramidi.
Quando il minestrone sembrava completo, ecco quello che avrebbe dovuto essere il rimedio: la spedizione napoleonica in Egitto condotta contro i Mamelucchi fra il 1798 e il 1801, che portò alla scoperta della stele di Rosetta. Eppure, il clamore in Europa per la guerra del futuro imperatore contro gli Ottomani non fece che accrescere l’egittomania massonica. Nel 1807, uno dei principali esponenti della massoneria francese, Alexandre Lenoir, nel suo La Franche-Maçonnerie rendue à sa véritable origine, spiegò che i sette gradi del rito francese - il più praticato oltralpe - dovevano essere interpretati alla luce della religione egiziana antica, presentata come la “vera” religione di un’umanità primordiale, e dunque come un’alternativa al cristianesimo accettabile da chiunque condividesse la natura umana.
Prendiamo uno dei documenti più venerati dai massoni, gli Antichi doveri. È un manoscritto datato intorno al 1440 e descrive in termini fantasiosi l’arrivo dell’arte segreta della misurazione della realtà, la geometria di Euclide, che lo stesso Euclide avrebbe travestito da architettura per insegnarla ai figli dei nobili egiziani «sotto 'l velame de li versi strani», per dirla con Dante. Dall’Egitto l’architettura si sarebbe diffusa nel mondo sino ad arrivare in Inghilterra, ed essere appresa - e compresa nel suo significato recondito - dai masons, muratori e scalpellini medievali (che, nella realtà storica, non sono i veri predecessori della massoneria) e riletta come norma filosofica. In realtà, gli Antichi doveri giunsero assai tardi all’attenzione dei massoni. Solo dopo che il manoscritto entrò nel nucleo originale della British Library, a metà Settecento, qualcuno cominciò a studiarlo seriamente. Dal 1840, con la pubblicazione di uno studio da parte di un non massone, furono incorporati nel mito di fondazione massonico versione “sponde del Nilo”.
Ecco dunque un’altra testimonianza del revival dell’Egitto che si stava affermando nel design, nella grafica, nell’arredamento, e, appunto, nei discorsi dei massoni. Anche a causa di questa estetica, persino in un paese come l’Italia, così distante rispetto a quelle idee, oggi troviamo una monumentalistica “egizia”, specialmente nell’arte funeraria. Due esempi: la tomba a piramide di Quintino Sella (1827-1884), uno dei principali politici dell’Italia post-risorgimentale, nel cimitero monumentale di Oropa (Biella), e il Tempietto Egizio, costruito tra il 1880 ed il 1906 nel cimitero del Verano a Roma per la celebrazione dei funerali laici.
Il risultato di questa sarabanda fu che, nel 1881, nacque una nuova e importante branca della massoneria, il “Rito di Memphis-Misraim”, dal nome dell’antica capitale dell’Alto Egitto, ritenuta luogo di iniziati, e dal nome aramaico dell’Egitto (Misraim), nella quale si fusero due branche della massoneria francese, anch’esse frutto dell’influenza dell’impresa napoleonica in Egitto del 1798-1801. Per chi sospettasse che stiamo discutendo di angolini polverosi della storia, basti ricordare che il primo a presiedere il rito di Memphis-Misraim (il “Gran Hyerophante”) fu Giuseppe Garibaldi, convintissimo che la “vera” tradizione iniziatica fosse nell’Egitto arcaico, e che un occultista celebre come Aleister Crowley si innestò con le sue idee particolarissime nelle vicende della massoneria egiziana. Proprio da quel ramo creò la sua organizzazione iniziatica, tanto originale quanto controversa: l’Ordo Templi Orientis. La cosmologia di Crowley si ispira a quella egiziana.
Wolfgang Amadeus Mozart fu iniziato alla massoneria il 14 dicembre del 1784, presso la loggia viennese Zur Wohltätigkeit. Pochi mesi dopo aveva già raggiunto il grado di maestro. Come per altri committenti, anche per i nuovi fratelli Mozart compose partiture sublimi, come la ben nota musica funebre massonica K477 (1785). Il vertice del suo coinvolgimento musicale in Massoneria, però, è costituito dal Flauto magico, l’opera rappresentata per la prima volta a soli due mesi dalla sua morte. Il Flauto magico è esempio senza pari dell’egittomania massonica allo zenit dell’Illuminismo. Nell’opera, alla fine di lunghe peregrinazioni e traversie in un Egitto fantastico, le due coppie di fidanzati, Tamino e Pamina, rappresentanti della borghesia, e Papageno e Papagena, provenienti dal popolo, sconfitte le potenze oscurantiste della Regina della Notte, sono accolte nel Tempio del Sole dal maestro e sacerdote Sarastro, che annuncia l’arrivo dei nuovi fratelli e sorelle a coloro che già hanno avuto accesso ai segreti. Fra il coro di ringraziamento a Iside e Osiride si compie l’iniziazione delle due coppie e l’accesso alla loggia, aralda di una nuova era di fratellanza universale, quella della ragione e della sapienza antica recuperata.
La campagna di Napoleone in Egitto fu un’occasione di ulteriore rilancio dell’egittomania. Il futuro imperatore aggregò alla spedizione diversi archeologi, che si appropriarono di numerose opere egizie, spedendole in Francia; altri monumenti furono disegnati e copiati. Ne nacque uno stile che ebbe ripercussioni di rilievo nell’arte, nella gioielleria, nella cultura popolare europea. I musei e la classe benestante facevano a gara per ottenere mummie o statue egizie, e si organizzavano party in cui le mummie venivano sbendate per la prima volta. Tra i botanici partì un lungo dibattito sul “grano dei faraoni”, trovato nelle piramidi, che si riteneva in grado di germogliare a distanza di millenni grazie a un’energia dei luoghi di sepoltura.
Questa nuova egittomania ebbe una ricaduta immediata anche nella cultura esoterica. Prendiamo un grimorio, un manuale di magia, che fu popolarissimo per tutto l’Ottocento. Si chiama La Poule noire (La gallina nera) e sosteneva di contenere una serie di rituali di magia operativa provenienti dall’Egitto, che avrebbero permesso di affrontare ogni guaio. In realtà, la sua prima edizione risale al 1820 (l’autore, o gli autori, rimangono ignoti) e il testo usa l’egittomania per “vendersi meglio”. Il plot narrativo è da romanzaccio d’appendice: il protagonista è un ufficiale francese della spedizione napoleonica la cui unità subisce un’imboscata da parte dei beduini. L’uomo è salvato dall’intervento di un turco misterioso ma - ecco il punto - per essere curato viene portato in una camera segreta di una piramide, dove il turco gli mostra degli antichi manoscritti contenenti i segreti della magia. Questi manoscritti erano di origine egizia, e si erano salvati niente di meno che dall’incendio della biblioteca di Alessandria (la cui dispersione, in realtà, avvenne probabilmente in fasi successive, fra il I secolo a.C. e il VII secolo d.C.) A ogni modo, ora, in Europa, tutti potevano usare la magia egizia riemersa dalle piramidi: bastava procurarsi sulle bancarelle una copia di La Poule noire.
Un altro elemento che testimonia che questo grimorio è un prodotto dell’egittomania moderna e non un antico testo di magia è il fatto che alle fantasie sul regno dei faraoni unisce quelle sul folklore dei paesi islamici relativo ai jinn, le creature invisibili che, a seconda che accettino o meno di sottomettersi ad Allah, possono operare per il bene o per il male. Ebbene, uno dei talismani proposti da La Poule noire comporta l’intervento di un jinn: recitando delle formule “egizie” otterrete di conoscere il vero amore; e, peraltro, quando ne sarete stufi, la sua sparizione.
Nel suo volume Grimoires. A History of Magic Books (Oxford University Press, 2009), lo storico della cultura Owen Davies ha fatto notare un’altra cosa di rilievo: il successo di La Poule noire si estese agli Stati Uniti, contribuendo anche lì alla diffusione dell’idea dell’Egitto esoterico non più solo fra piccoli nuclei di persone colte, ma fra il nascente pubblico di massa. Anche attraverso queste vie, alla lunga, si è arrivati alla produzione hollywoodiana della serie di Indiana Jones.
Non è l’unico caso di cultura esoterica “di massa”: un altro libro che fu popolarissimo, ristampato ancora oggi, è l’Oracolo di Napoleone, che prometteva di far conoscere il proprio avvenire a chiunque lo consultasse. Anche questa volta, la storia fittizia rimandava a un’antica sapienza egiziana: durante la campagna di Napoleone uno studioso aggregato alla spedizione, Charles-Nicolas-Sigisbert Sonnini de Manoncourt (1751-1812), avrebbe scoperto il testo in un sarcofago dell’area funeraria di Tebe; riconosciute le sue capacità di prevedere l’avvenire, Napoleone se ne sarebbe appropriato, usandolo per decidere le sue imprese militari…
Nell’estate del 1947, negli Stati Uniti e non solo, migliaia di persone cominciarono a dire di vedere strani velivoli solcare i cieli. Era iniziata l’era dei “dischi volanti”, poi UFO, che scatenarono subito una serie di interpretazioni concorrenti circa la natura dei fenomeni. Il versante “esoterico” agli inizi era minoritario, ma per la sua forza mitogenetica si rivelò quello in grado di portare più frutti. Gli “egiziani dello spazio” fecero così il loro ingresso in scena.
Nel numero di novembre 1947, la rivista di fantascienza Fantastic Adventures pubblicò la storia-madre di questo nuovo filone. Sotto lo pseudonimo Alexander Blade (incerto chi fosse, forse l’esoterista Wilma Vermilyea), qualcuno firmò il racconto Son of the Sun. In prima persona, e con l’aiuto di un disegno, si spiegava che “loro” operavano nell’Egitto antico, che lì avevano edificato “punti salienti” costruiti con mezzi miracolosi, oggi appannaggio simbolico di alcune società iniziatiche. Il disegno delle loro “macchine da viaggio” era uno schema che aveva al centro l’occhio onniveggente di Horus, il dio solare - in realtà un antico disco volante. Dopo esser stati invisibili per secoli, avevano deciso di ripresentarsi ai terrestri, per aiutarli in un salto di conoscenza e di civiltà. Gli antichi dèi dell’Egitto e di altre civiltà scomparse torneranno in tempo a salvarci da una guerra atomica?
Chiunque abbia scritto quel testo diede il via alla parte “egiziana” della nascente archeologia spaziale, quella che oggi è detta teoria degli Antichi Astronauti.
Nel 1953 l’occultista irlandese Desmond Leslie userà in maniera importante l’occhio del dio egiziano Horus in funzione archeologico-spaziale in Flying Saucers Have Landed, uno dei primi best seller mondiali sui dischi volanti. Il regno dei faraoni era così anche formalmente preda dei nuovi occultisti del XX secolo: gli ufologi. In seguito, nell’era degli UFO, degli alieni e della totale rilettura in chiave fantarcheologica (e complottistica) della storia antica, l’Egitto assumerà un posto d’onore. Un posto che, visti i lunghi presupposti culturali che qui abbiamo potuto solo tratteggiare, in fondo gli spetta di diritto.
In questo modo si capisce anche il successo del film-polpettone di Roland Emmerich, Stargate: un insieme di cliché sull’Egitto esoterico, sulle piramidi come centrali energetiche, tentativi folli di decifrare simboli e ideogrammi misteriosi e una trama a metà fra Guerre Stellari e Ben-Hur. I milioni di spettatori accorsi a vedere Stargate forse non sanno che si tratta dell’ultimo erede di una storia antichissima, iniziata con Erodoto e le sue fantasie sulla civiltà “di dodicimila anni”. Ma senza di lui e i suoi epigoni, forse non avremmo avuto l’egittomania, i suoi risvolti esoterici e il fascino esercitato da questa civiltà, da cui, in effetti, siamo catturati ancora oggi.
Noi vi racconteremo in breve la lunga storia di un enorme successo: l’egittomania del pensiero occultistico, esoterico ed ermetico, dalle sue origini fino ai primi dell’Ottocento, quando l’interpretazione scientifica dei geroglifici avrebbe dovuto porre fine a molte speculazioni. Invece non andò così. Ma perché l’Egitto è stato da sempre considerato sinonimo di mistero? Perché così tanto entusiasmo per il regno dei faraoni?
Le origini lontane dell’egittomania: da Erodoto in poi
Il papà della storiografia, Erodoto, sta all’egittomania come Platone sta ad Atlantide. Con le sue storie fantastiche sull’Egitto ha contribuito al suo innesco. Nel secondo libro delle Storie, Erodoto - che scriveva di un presunto viaggio che aveva fatto da giovane, e siamo nella seconda metà del V secolo a.C. - fece un’operazione fondamentale per il futuro del nostro mito: raccontò che alcuni sacerdoti egiziani gli avevano mostrato un gran numero di statue in legno, ognuna delle quali rappresentava una delle 341 generazioni dalle quali esisteva il regno d’Egitto. Facendo i calcoli, quel regno di sapienza risultava essere sorto… circa nel 12.000 a.C. Non solo: raccontò che nelle profondità della Grande Piramide c’era una camera mortuaria nascosta, con un lago artificiale alimentato da un ramo sotterraneo del Nilo. Nel mezzo del lago c’era un’isola raggiungibile solo dagli iniziati, ed era lì che giacevano i sarcofagi dei faraoni, maghi e depositari di una sapienza perfetta, perché risalente nella sua interezza più o meno a 11.340 anni prima del viaggio di Erodoto.
In sostanza, sono questi i temi che si trasmetteranno prima alla letteratura esoterica e poi a quella fantastica, fino ad arrivare nel XXI secolo.
Molto più tardi rispetto al viaggio di Erodoto, nel I secolo a.C., Diodoro Siculo, nella sua Bibliotheca Historica, diede spazio all’idea che la costruzione delle piramidi potesse esser dovuta a forze soprannaturali. Cercando di far luce sulla mitologia egiziana, mescolava dèi locali e greci, ne rintracciava a suo modo le origini, e pensava che alcune divinità egizie potessero essere uomini coltissimi scambiati dagli antichi per divinità. Non poteva sospettarlo, ma anche lui stava gettando le basi per un’altra potente mitologia moderna: quella secondo cui ad assistere gli Egiziani nell’edificazione delle piramidi non sarebbero stati né gli dèi né tecnici locali, ma altre umanità, provenienti non più da luoghi esotici rispetto al Nilo, ma, nella mitologia recente degli Antichi Astronauti, da altri pianeti.
E poi, c’era il problema dei geroglifici: scrittura, simboli o formule magiche? Per Diodoro - ecco un altro abisso di fantasie giunto fino a noi - sulle pareti delle piramidi erano rappresentati i giganti della mitologia greca. Intanto, ad Alessandria gli ebrei ellenizzati di quella grande comunità speculavano sul fatto che i giganti greci fossero i giganti del libro biblico della Genesi, i Nephilim. Con il sorgere dell’ufologia, i Nephilim assumeranno grande rilevanza nelle mitologie aliene di parecchi autori: fra tutti, il produttore di un gran numero di testi pseudoarcheologici, Zecharia Sitchin (1920-2010).
Infine, sulle origini dell’egittomania, c’è da accennare alla lunghissima storia degli scritti sapienziali ai quali dare la caccia. Anche qui, un esempio antico.
Toth è il dio egizio della scrittura e della conoscenza, per cui gli è stata attribuita una pletora di trattati e di scritti. Nel IV secolo a.C. comparve un breve racconto nel quale il principe egizio Setne Khaemweset raccontava a modo suo storia e magia del proprio paese. Si tratta di uno dei tanti testi che si diffusero in epoca ellenistica, e che racchiudevano alcuni motivi relativi all’Egitto magico, poi riemersi nella letteratura di massa del XX secolo. In quel racconto, Setne ottiene per un certo periodo il misterioso Libro di Toth, in cui il dio svela segreti di ogni genere - per esempio, come vedere gli dei. Soprattutto, il racconto crea un modello che sarà ripreso ai nostri giorni: mummie che resuscitano, vendette di antichi maghi in grado di operare per millenni, trattati di occultismo sepolti in luoghi inaccessibili.
Con il tramonto del Medioevo, questo genere letterario, trascurato per secoli, riprenderà ad affascinare gli europei; la sua nuova vita però arriverà assai più tardi, con i romanzi da edicola di inizio Novecento. Nel 1932 la scrittrice inglese Marie Corelli, pseudonimo di Mary Mackay, una delle protagoniste del successo dell’occulto nella Gran Bretagna fra Otto e Novecento, riprese questo plot in The Mummy. Vendette milioni di copie e consacrò fra i moderni l’Egitto come luogo principe delle conoscenze nascoste.
È solo un esempio tra i tanti: l’Egitto come fonte di saperi antichissimi è al centro di molti racconti e romanzi del periodo. Un caso particolarmente interessante è Prigioniero dei faraoni (1924), frutto della collaborazione tra lo scrittore Howard Phillips Lovecraft e Harry Houdini: nel racconto, il mago viene rapito da una guida durante un viaggio in Egitto e fatto cadere in un buco della Grande Piramide di Giza. Qui assisterà a una strana cerimonia e vedrà le creature in carne e ossa che hanno ispirato la Sfinge e le altre divinità egiziane.
Ermete Trismegisto; tarsia marmorea nel pavimento del Duomo di Siena; Giovanni di Stefano, 1488 ca. © Wikimedia Commons/Pubblico Dominio
Ermete Trismegisto, storia di un successo
In questa lunga storia, non va mai trascurato il successo senza pari della figura mitica di Ermete Trismegisto - il mago, il sapiente, il “tre-volte-grande” - un personaggio al quale sin dall’epoca ellenistica furono attribuiti scritti occultistici e sapienziali. Molti di questi scritti furono redatti nell’Europa cristiana e nel mondo arabo-islamico almeno fino all’XI secolo della nostra era, ma oggi (specie grazie all’orientalista Jean-Pierre Mahé) è chiaro che i primi documenti - quelli davvero antichi - furono opera di sacerdoti grecizzati del tardo Egitto. È per questo che il corpo di letteratura attribuita al Trismegisto in molte sue parti “sa” di Egitto.
A metà Seicento, l’orientalista francese Pierre Vattier (1623-1677), per alcuni errori di comprensione di testi arabi sul grande mago, attribuì quei racconti esoterici sui templi egiziani alle piramidi, dando una mano a consolidare il mito delle piramidi come “luoghi di potenza”. Infine, col dilagare dell’egittomania settecentesca, la tradizione su Ermete Trismegisto fece da dinamite, anche perché alcune idee che circolavano al riguardo nella Francia prerivoluzionaria erano tanto bizzarre quanto potenti.
Nel 1783, l’esoterista Jean-Baptiste Alliette (1738-1791), dietro lo pseudonimo di Etteilla, nel volume Manière de se récréer avec le Jeu de Cartes nommées Tarots fu il divulgatore dell’idea che i tarocchi fossero stati inventati da Ermete Trismegisto insieme ad altri 16 sapienti. Li aveva realizzati incidendo 77 lamine d’oro nel Tempio di fuoco, luogo di potenza situato a tre leghe a est di Memphis, capitale dell’Alto Egitto, 171 anni dopo il Diluvio universale. Del resto, per Alliette la comprensione dei geroglifici era strettamente connessa al significato dei simboli dei tarocchi.
Veduta dei geroglifici che decorano le pareti della tomba di Ramesse VI nella Valle dei Re © kritsada phruetthiphunphisut/iStock
La rinascita del pensiero magico e gli equivoci sui geroglifici
Con la rivoluzione culturale dell’Umanesimo quattrocentesco, l’Egitto mitico riapparve con una forza senza precedenti. Il rinnovato interesse per il pensiero gnostico e per quello simbolico e la nascente filologia spingevano gli intellettuali ai primi passi sistematici verso l’analisi dei geroglifici, da troppo tempo incomprensibili a tutti.
Nel 1422, in Grecia fu scoperta una copia di un’opera per noi importantissima, gli Hieroglyphiká, scritti verso la fine del IV secolo d.C. da Orapollo, egiziano grecizzato. Orapollo presentava 190 geroglifici interpretandoli in senso ermetico. I geroglifici per lui erano rebus, che, sciolti, avrebbero fornito conoscenze recondite, da cogliere attraverso lunghe riflessioni di menti eccelse.
Il lavoro di Orapollo influenzò fortemente il pensiero simbolico rinascimentale. Ne è esempio sommo la Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, comparsa a Venezia nel 1499. Narra un viaggio iniziatico in cui la lettura di Orapollo dei geroglifici ha un ruolo importante. L’opera di Colonna è una delle fonti di rilievo per capire la mania rinascimentale per il simbolismo, infilato ovunque nell’arte. Una mania che toccherà il vertice con l’emblematica di moda nel Seicento: volumi e volumi di illustrazioni magnifiche, dal significato occulto, recondito, gonfio all’inverosimile, popolari in area tedesca - un tentativo di creare un linguaggio europeo simile a quello “sacro” dei geroglifici del regno del Nilo.
Infine, una parola va detta su un’altra figura folle ed eccezionale del tempo, il gesuita tedesco Athanasius Kircher. Il suo interesse per l’Egitto produsse un esito contraddittorio: aveva intuito i legami della lingua egiziana con il copto, ma le interpretazioni generali azzardate nell’Oedipus Aegyptiacus (1655) lo esposero a ironie di ogni sorta già da parte dei contemporanei. Per lui la religione egiziana era l’annuncio ignorato del Cristianesimo, rivolto solo a un popolo di iniziati, e ogni geroglifico andava reso in lunghe, ampollose frasi.
Sarà poi Champollion, nel 1822, a fornire la corretta interpretazione dei geroglifici grazie alla stele di Rosetta, un monumento che presentava lo stesso testo in geroglifico, greco e demotico, fornendo l'interpretazione fonetica dei segni. In altri termini, dimostrò che si trattava di una lingua scritta, concreta come le altre, e non di una serie di simboli misteriosi o formule magiche.
Raimondo di Sangro, principe di Sansevero; ritratto di Francesco de Mura, XVIII secolo © Wikimedia Commons/Pubblico Dominio
La corrente egiziana della massoneria
Come altri movimenti, anche una realtà complessa come la massoneria ha i suoi miti di fondazione. Oggi, con lo storico David Stevenson, è possibile dire con fiducia che la massoneria ebbe origine in alcune cittadine di provincia della Scozia, alla fine del Cinquecento. Non è dunque un fenomeno antico, anzi, è qualcosa di caratteristico della modernità europea.
La tradizione massonica, invece, assegna la sua nascita a un tempo arcaico, di volta in volta identificato con caratteri diversi. Il mito di maggior successo fra i massoni è quello che attribuisce le origini della fratellanza iniziatica alla costruzione del tempio di Gerusalemme a opera di re Salomone, e sostiene che il “papà” della massoneria sarebbe stato l’architetto di quel tempio, Hiram. Da qui, l’adozione del simbolismo architettonico-costruttivo che un po’ tutti conoscono: squadra, compasso, archipendolo, cazzuola… Una seconda linea di pensiero (e di miti di fondazione) fa invece risalire la massoneria a Noè e alla costruzione dell’arca del diluvio. In questo caso, il simbolismo e gli strumenti utilizzati nelle logge - quelle della cosiddetta linea “noachita” - fanno riferimento al legno, all’ascia e al lavoro del falegname: tutte cose che prendono forma tra il XVII e il XVIII secolo.
A noi però interessa il terzo “tempo arcaico” dei miti sulle origini della massoneria, che arrivò più tardi degli altri ed ebbe successo in ritardo perché fu frutto dell’egittomania dei salotti borghesi dell’Europa illuminista. Molto è stato scritto sul fatto che l’inventore, mecenate ed esoterista napoletano Raimondo di Sangro, principe di Sansevero (1710-1771), sarebbe stato l’iniziatore di questa massoneria di stile “egiziano”, con le piramidi trasformate in luoghi destinati alle riunioni degli iniziati: i primi massoni. Certo è che di Sangro, nel 1747, fu tra i primi a proporre l’Egitto come patria della massoneria, ma va anche detto che il successo dell’Egitto in quegli ambienti ha origini assai più ampie. Un fatto interessante, perché testimonia che un po’ dappertutto, nei circoli alla moda, il revival dei faraoni era richiesto a gran voce.
La cosa curiosa è che questa espansione multipolare delle logge “egiziane” fu caratterizzata da una circostanza non ovvia, e cioè dalla presenza femminile: all’Aia, in Olanda, ne nacque una di questo tipo nel 1778, seguita da un’altra a Mitau (oggi Jelgava, in Lettonia), nel 1780. Lo stesso anno i massoni-egizi fecero la loro comparsa a Varsavia e a Strasburgo. Il 24 dicembre del 1784, infine, a Lione nacque il rito massonico-egiziano, ora codificato, con la creazione della loggia La Sagesse triomphante. Anche i paramenti utilizzati in quelle logge s’ispiravano alle rappresentazioni dei faraoni scoperti nelle piramidi.
Quando il minestrone sembrava completo, ecco quello che avrebbe dovuto essere il rimedio: la spedizione napoleonica in Egitto condotta contro i Mamelucchi fra il 1798 e il 1801, che portò alla scoperta della stele di Rosetta. Eppure, il clamore in Europa per la guerra del futuro imperatore contro gli Ottomani non fece che accrescere l’egittomania massonica. Nel 1807, uno dei principali esponenti della massoneria francese, Alexandre Lenoir, nel suo La Franche-Maçonnerie rendue à sa véritable origine, spiegò che i sette gradi del rito francese - il più praticato oltralpe - dovevano essere interpretati alla luce della religione egiziana antica, presentata come la “vera” religione di un’umanità primordiale, e dunque come un’alternativa al cristianesimo accettabile da chiunque condividesse la natura umana.
Prendiamo uno dei documenti più venerati dai massoni, gli Antichi doveri. È un manoscritto datato intorno al 1440 e descrive in termini fantasiosi l’arrivo dell’arte segreta della misurazione della realtà, la geometria di Euclide, che lo stesso Euclide avrebbe travestito da architettura per insegnarla ai figli dei nobili egiziani «sotto 'l velame de li versi strani», per dirla con Dante. Dall’Egitto l’architettura si sarebbe diffusa nel mondo sino ad arrivare in Inghilterra, ed essere appresa - e compresa nel suo significato recondito - dai masons, muratori e scalpellini medievali (che, nella realtà storica, non sono i veri predecessori della massoneria) e riletta come norma filosofica. In realtà, gli Antichi doveri giunsero assai tardi all’attenzione dei massoni. Solo dopo che il manoscritto entrò nel nucleo originale della British Library, a metà Settecento, qualcuno cominciò a studiarlo seriamente. Dal 1840, con la pubblicazione di uno studio da parte di un non massone, furono incorporati nel mito di fondazione massonico versione “sponde del Nilo”.
Ecco dunque un’altra testimonianza del revival dell’Egitto che si stava affermando nel design, nella grafica, nell’arredamento, e, appunto, nei discorsi dei massoni. Anche a causa di questa estetica, persino in un paese come l’Italia, così distante rispetto a quelle idee, oggi troviamo una monumentalistica “egizia”, specialmente nell’arte funeraria. Due esempi: la tomba a piramide di Quintino Sella (1827-1884), uno dei principali politici dell’Italia post-risorgimentale, nel cimitero monumentale di Oropa (Biella), e il Tempietto Egizio, costruito tra il 1880 ed il 1906 nel cimitero del Verano a Roma per la celebrazione dei funerali laici.
Il risultato di questa sarabanda fu che, nel 1881, nacque una nuova e importante branca della massoneria, il “Rito di Memphis-Misraim”, dal nome dell’antica capitale dell’Alto Egitto, ritenuta luogo di iniziati, e dal nome aramaico dell’Egitto (Misraim), nella quale si fusero due branche della massoneria francese, anch’esse frutto dell’influenza dell’impresa napoleonica in Egitto del 1798-1801. Per chi sospettasse che stiamo discutendo di angolini polverosi della storia, basti ricordare che il primo a presiedere il rito di Memphis-Misraim (il “Gran Hyerophante”) fu Giuseppe Garibaldi, convintissimo che la “vera” tradizione iniziatica fosse nell’Egitto arcaico, e che un occultista celebre come Aleister Crowley si innestò con le sue idee particolarissime nelle vicende della massoneria egiziana. Proprio da quel ramo creò la sua organizzazione iniziatica, tanto originale quanto controversa: l’Ordo Templi Orientis. La cosmologia di Crowley si ispira a quella egiziana.
Il Flauto magico di Mozart e l’egittomania
Wolfgang Amadeus Mozart fu iniziato alla massoneria il 14 dicembre del 1784, presso la loggia viennese Zur Wohltätigkeit. Pochi mesi dopo aveva già raggiunto il grado di maestro. Come per altri committenti, anche per i nuovi fratelli Mozart compose partiture sublimi, come la ben nota musica funebre massonica K477 (1785). Il vertice del suo coinvolgimento musicale in Massoneria, però, è costituito dal Flauto magico, l’opera rappresentata per la prima volta a soli due mesi dalla sua morte. Il Flauto magico è esempio senza pari dell’egittomania massonica allo zenit dell’Illuminismo. Nell’opera, alla fine di lunghe peregrinazioni e traversie in un Egitto fantastico, le due coppie di fidanzati, Tamino e Pamina, rappresentanti della borghesia, e Papageno e Papagena, provenienti dal popolo, sconfitte le potenze oscurantiste della Regina della Notte, sono accolte nel Tempio del Sole dal maestro e sacerdote Sarastro, che annuncia l’arrivo dei nuovi fratelli e sorelle a coloro che già hanno avuto accesso ai segreti. Fra il coro di ringraziamento a Iside e Osiride si compie l’iniziazione delle due coppie e l’accesso alla loggia, aralda di una nuova era di fratellanza universale, quella della ragione e della sapienza antica recuperata.
Scenografia del Flauto magico per la scena delle prove nei sotterranei del Tempio © Wikimedia Commons/Pubblico Dominio
Un uso moderno dell’egittomania: grimori magici e oracoli
La campagna di Napoleone in Egitto fu un’occasione di ulteriore rilancio dell’egittomania. Il futuro imperatore aggregò alla spedizione diversi archeologi, che si appropriarono di numerose opere egizie, spedendole in Francia; altri monumenti furono disegnati e copiati. Ne nacque uno stile che ebbe ripercussioni di rilievo nell’arte, nella gioielleria, nella cultura popolare europea. I musei e la classe benestante facevano a gara per ottenere mummie o statue egizie, e si organizzavano party in cui le mummie venivano sbendate per la prima volta. Tra i botanici partì un lungo dibattito sul “grano dei faraoni”, trovato nelle piramidi, che si riteneva in grado di germogliare a distanza di millenni grazie a un’energia dei luoghi di sepoltura.
Questa nuova egittomania ebbe una ricaduta immediata anche nella cultura esoterica. Prendiamo un grimorio, un manuale di magia, che fu popolarissimo per tutto l’Ottocento. Si chiama La Poule noire (La gallina nera) e sosteneva di contenere una serie di rituali di magia operativa provenienti dall’Egitto, che avrebbero permesso di affrontare ogni guaio. In realtà, la sua prima edizione risale al 1820 (l’autore, o gli autori, rimangono ignoti) e il testo usa l’egittomania per “vendersi meglio”. Il plot narrativo è da romanzaccio d’appendice: il protagonista è un ufficiale francese della spedizione napoleonica la cui unità subisce un’imboscata da parte dei beduini. L’uomo è salvato dall’intervento di un turco misterioso ma - ecco il punto - per essere curato viene portato in una camera segreta di una piramide, dove il turco gli mostra degli antichi manoscritti contenenti i segreti della magia. Questi manoscritti erano di origine egizia, e si erano salvati niente di meno che dall’incendio della biblioteca di Alessandria (la cui dispersione, in realtà, avvenne probabilmente in fasi successive, fra il I secolo a.C. e il VII secolo d.C.) A ogni modo, ora, in Europa, tutti potevano usare la magia egizia riemersa dalle piramidi: bastava procurarsi sulle bancarelle una copia di La Poule noire.
Un altro elemento che testimonia che questo grimorio è un prodotto dell’egittomania moderna e non un antico testo di magia è il fatto che alle fantasie sul regno dei faraoni unisce quelle sul folklore dei paesi islamici relativo ai jinn, le creature invisibili che, a seconda che accettino o meno di sottomettersi ad Allah, possono operare per il bene o per il male. Ebbene, uno dei talismani proposti da La Poule noire comporta l’intervento di un jinn: recitando delle formule “egizie” otterrete di conoscere il vero amore; e, peraltro, quando ne sarete stufi, la sua sparizione.
Nel suo volume Grimoires. A History of Magic Books (Oxford University Press, 2009), lo storico della cultura Owen Davies ha fatto notare un’altra cosa di rilievo: il successo di La Poule noire si estese agli Stati Uniti, contribuendo anche lì alla diffusione dell’idea dell’Egitto esoterico non più solo fra piccoli nuclei di persone colte, ma fra il nascente pubblico di massa. Anche attraverso queste vie, alla lunga, si è arrivati alla produzione hollywoodiana della serie di Indiana Jones.
Non è l’unico caso di cultura esoterica “di massa”: un altro libro che fu popolarissimo, ristampato ancora oggi, è l’Oracolo di Napoleone, che prometteva di far conoscere il proprio avvenire a chiunque lo consultasse. Anche questa volta, la storia fittizia rimandava a un’antica sapienza egiziana: durante la campagna di Napoleone uno studioso aggregato alla spedizione, Charles-Nicolas-Sigisbert Sonnini de Manoncourt (1751-1812), avrebbe scoperto il testo in un sarcofago dell’area funeraria di Tebe; riconosciute le sue capacità di prevedere l’avvenire, Napoleone se ne sarebbe appropriato, usandolo per decidere le sue imprese militari…
I dischi volanti, gli extraterrestri e l’Egitto
Nell’estate del 1947, negli Stati Uniti e non solo, migliaia di persone cominciarono a dire di vedere strani velivoli solcare i cieli. Era iniziata l’era dei “dischi volanti”, poi UFO, che scatenarono subito una serie di interpretazioni concorrenti circa la natura dei fenomeni. Il versante “esoterico” agli inizi era minoritario, ma per la sua forza mitogenetica si rivelò quello in grado di portare più frutti. Gli “egiziani dello spazio” fecero così il loro ingresso in scena.
Nel numero di novembre 1947, la rivista di fantascienza Fantastic Adventures pubblicò la storia-madre di questo nuovo filone. Sotto lo pseudonimo Alexander Blade (incerto chi fosse, forse l’esoterista Wilma Vermilyea), qualcuno firmò il racconto Son of the Sun. In prima persona, e con l’aiuto di un disegno, si spiegava che “loro” operavano nell’Egitto antico, che lì avevano edificato “punti salienti” costruiti con mezzi miracolosi, oggi appannaggio simbolico di alcune società iniziatiche. Il disegno delle loro “macchine da viaggio” era uno schema che aveva al centro l’occhio onniveggente di Horus, il dio solare - in realtà un antico disco volante. Dopo esser stati invisibili per secoli, avevano deciso di ripresentarsi ai terrestri, per aiutarli in un salto di conoscenza e di civiltà. Gli antichi dèi dell’Egitto e di altre civiltà scomparse torneranno in tempo a salvarci da una guerra atomica?
Chiunque abbia scritto quel testo diede il via alla parte “egiziana” della nascente archeologia spaziale, quella che oggi è detta teoria degli Antichi Astronauti.
Nel 1953 l’occultista irlandese Desmond Leslie userà in maniera importante l’occhio del dio egiziano Horus in funzione archeologico-spaziale in Flying Saucers Have Landed, uno dei primi best seller mondiali sui dischi volanti. Il regno dei faraoni era così anche formalmente preda dei nuovi occultisti del XX secolo: gli ufologi. In seguito, nell’era degli UFO, degli alieni e della totale rilettura in chiave fantarcheologica (e complottistica) della storia antica, l’Egitto assumerà un posto d’onore. Un posto che, visti i lunghi presupposti culturali che qui abbiamo potuto solo tratteggiare, in fondo gli spetta di diritto.
In questo modo si capisce anche il successo del film-polpettone di Roland Emmerich, Stargate: un insieme di cliché sull’Egitto esoterico, sulle piramidi come centrali energetiche, tentativi folli di decifrare simboli e ideogrammi misteriosi e una trama a metà fra Guerre Stellari e Ben-Hur. I milioni di spettatori accorsi a vedere Stargate forse non sanno che si tratta dell’ultimo erede di una storia antichissima, iniziata con Erodoto e le sue fantasie sulla civiltà “di dodicimila anni”. Ma senza di lui e i suoi epigoni, forse non avremmo avuto l’egittomania, i suoi risvolti esoterici e il fascino esercitato da questa civiltà, da cui, in effetti, siamo catturati ancora oggi.
Bibliografia
- Curl, J. C. 2005 (3° ed.). The Egyptian Revival: Ancient Egypt as the Inspiration for Design Motifs in the West, Routledge
- Ciardi, M. 2017. Il mistero degli antichi astronauti, Carocci
- Lincos, S., Stilo, G. 2020. “Quando i treni andavano a mummia ”, Query Online
- Colavito, J. 2021. The Legends of the Pyramids. Myths and Misconceptions about the Ancient Egypt, Red Lightning Books
- Lincos, S., Stilo, G. 2023. “Tre dischi volanti in un papiro conservato a Torino”, https://tinyurl.com/3rpd75vy
- Aegyptiaca è una rivista internazionale, in lingua inglese, edita dall’Università di Heidelberg: dal 2016 si occupa della storia della percezione dell’Egitto antico. Contiene molti lavori rilevanti per il nostro argomento. È ad accesso libero qui: https://journals.ub.uni-heidelberg.de/index.php/aegyp/index