Ingannare il nostro cervello non sempre, e non necessariamente, rappresenta qualcosa di negativo. Anzi, l'arte dell'illusione e dell'inganno sono alla base di molteplici forme di piacere e intrattenimento della nostra vita: cinema, fotografia, stampa, televisione, videogiochi, internet. E prima di essi teatro, letteratura, musica, illusionismo, narrazione, arte, rappresentano altrettanti surrogati della realtà graditi, ricercati e prodotti continuamente dal nostro cervello in ogni epoca e luogo della cultura umana. Da un certo punto di vista, la necessità di ingannare se stessi è scritta nelle nostre cellule. Il cervello lo fa regolarmente, ogni giorno e, soprattutto, ogni notte. Lo facciamo quando vogliamo convincerci che quella persona, e soltanto lei, è la più adatta per starci accanto e costruire la più bella e intensa storia della nostra vita. Per poi scoprire, magari dopo non molto tempo, che non era esattamente così. Lo fa costantemente, in modo naturale, il nostro cervello ogni volta che sogniamo. Anche durante il giorno. Dai tracciati cerebrali "dinamici" (l'equivalente della registrazione holter dell'attività cardiovascolare) risultano dei periodi "onirosimili": l'assunto "sognare ad occhi aperti" ha dunque una sua oggettività e un riscontro di tipo strumentale.
Su queste basi neuropsicologiche si sono costituite, prima e dopo Freud, una serie di indirizzi psicoterapici che hanno sviluppato tecniche volte a modificare lo stato di coscienza: suggestione, ipnosi, induzione e sollecitazione di immagini mentali e oggi, l'impiego di tecnologie informatiche per la realizzazione e l'utilizzo di quella che genericamente è stata definita "realtà virtuale" (in sigla Rv). Programmi per computer, sensori, caschi, occhiali, joystick, periferiche sempre più sofisticate, costituiscono l'armamentario per consentire al nostro corpo e, soprattutto, al nostro cervello di sperimentare una realtà creata artificialmente, come se fosse reale. Nei secoli passati ciò era già ricercato in varie culture, con tecniche sia corporali che indotte da sostanze: meditazione, trance, uso di sostanze allucinogene, rappresentavano l'ingresso - consentito dai mezzi dell'epoca – in realtà alternative. Lo sviluppo culturale della mitologia, della passione per l'occulto ed il mistero, rappresentano altrettante facce di questa innata tendenza della nostra psiche a voler sperimentare l'ingresso in mondi alternativi. Se non altro, creati dalla nostra o altrui mente.
C'è quindi da chiedersi: perché il cervello ricerca momenti di evasione dalla realtà? Il sogno è l'Rv di cui ci ha dotato la natura. Il cervello è strutturato per vivere ogni notte il 25 per cento di sonno REM (e nel neonato addirittura il 50 per cento): dal punto di vista evolutivo il cervello vive e ha necessità di generare le proprie forme di Rv. Ma anche la didattica vive di immagini mentali e di Rv. Tutti i grandi mnemonosti del passato, e pure quelli attuali, per potenziare la memoria indicano la via del teatro della memoria. Sottolineano l'importanza di creare luoghi immaginari nella nostra mente per fissare ricordi, informazioni, nozioni. E così la psicoterapia. Molti approcci psicoterapeutici, se non tutti, utilizzano il ricordo, l'"immagini che". Oggi, e sempre più in futuro, l'"immagini che" potrà essere efficacemente sostituito dalla Rv. Il terapeuta del futuro disporrà di programmi e tecnologie che gli consentiranno di creare ad hoc situazioni e ambienti Rv personalizzati sulle esigenze e problematiche del paziente che si troverà davanti. Il "si immagini che" sarà sostituito dall'annotazione delle problematiche, (fobiche, da dipendenze o altre) del proprio paziente, e dalla conseguente traduzione delle stesse in programma da sviluppare in ambiente Rv.
La realtà virtuale è un ambiente tridimensionale generato dal computer in cui il soggetto o i soggetti interagiscono tra loro e con l'ambiente come se fossero realmente al suo interno. Dal punto di vista tecnologico è possibile distinguere tra due tipi di realtà virtuale: quella immersiva e quella non immersiva. La realtà virtuale è immersiva quando è in grado di creare un senso di assorbimento e «immersione» sensoriale utilizzando:
1) un dispositivo di visualizzazione, normalmente un casco (head mounted display), capace sia di visualizzare in due o tre dimensioni gli ambienti generati dal computer, sia di isolare l'utente dall'ambiente esterno;
2) uno o più sensori di posizione (tracker) che rilevano i movimenti dell'utente e li trasmettono al computer, in modo che questo possa modificare l'immagine tridimensionale in base al punto di vista dell'utente.
Alternativamente l'utente può essere immerso in un "cave" (caverna), una camera di proiezione costituita da tre, quattro o sei schermi posti in posizione reciproca su cui vengono retroproiettati gli ambienti generati dal computer. In questo caso l'impiego di sensori di posizione ottici consente di rilevare e di trasmettere al computer la posizione e il movimento dell'utente.
La realtà virtuale non immersiva sostituisce il casco con un normale monitor. In questo caso l'impressione dell'utente è quella di vedere il mondo tridimensionale creato dal computer attraverso una sorta di «finestra». Inoltre, nei sistemi di realtà virtuale non immersiva, il soggetto interagisce con l'ambiente tridimensionale attraverso un joystick. La realtà virtuale può essere utilizzata anche in maniera «condivisa» come strumento avanzato di comunicazione, come avviene all'interno del mondo simulato di Second Life (www.secondlife.com). Da un punto di vista comunicativo questa forma di realtà virtuale può essere considerata come una estensione tridimensionale e interattiva delle tradizionali chat grafiche. La realtà virtuale condivide con queste l'uso di avatar personalizzati e di ambienti navigabili. Si differenzia però per le possibilità di interazione all'interno dell'ambiente. Da una parte sono utilizzabili dall'utente interfacce avanzate come sensori di posizione e caschi immersivi. Dall'altra l'esperienza dell'utente è di solito inserita all'interno di un contesto narrativo che conferisce un senso alle interazioni.
I principali centri di ricerca nel settore sono americani, grazie all'interesse del ministero della difesa USA per questo tipo di applicazioni. L'US Army finanzia con circa 100 milioni di dollari l'anno l'Institute for Creative Technologies (ICT - http://ict.usc.edu/), una spin-off dell'Università della Southern California creata nel 1999 per realizzare applicazioni cliniche basate sulla realtà virtuale per l'utilizzo in ambito militare. Per esempio, DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) gli ha commissionato lo sviluppo di un sistema di Rv per addestrare i propri operatori sanitari utilizzati per il primo intervento sul campo di battaglia.
Rispetto ad una tradizionale lezione in aula i vantaggi offerti da queste tecnologie sono due. In primo luogo si permette all'operatore di interagire con i pazienti e con i diversi strumenti richiesti come se questi fossero davvero insieme all'utente. Ciò consente di imparare attraverso l'esperienza diretta e in tempo reale dai risultati delle proprie azioni: se l'intervento è sbagliato il paziente virtuale simula il dolore o il pianto. In secondo luogo è possibile riprodurre le caratteristiche ambientali della situazione che producono nell'operatore una risposta emotiva simile a quella che proverebbe in battaglia. Questo permette non solo di imparare una tecnica ma anche di sperimentare emozioni (panico e tensione) e di imparare a controllarle grazie alla supervisione di uno psicologo.
Questa componente esperienziale viene utilizzata anche nel trattamento di diversi disturbi psicologici. In particolare è stata utilizzata all'interno del progetto americano "Virtual Iraq" per aiutare i veterani a superare i traumi della guerra. I costi possono variare molto e dipendono dal tipo di tecnologia utilizzata. La tecnologia più costosa, attualmente utilizzata dal governo americano e da alcune università, è il CAVE – Cave Audio Visual Environment. Il CAVE, è una stanza in cui le pareti, il soffitto e il pavimento vengono sostituiti da schermi retroproiettati in grado di visualizzare immagini 3D. Nella stanza i movimenti dell'utente vengono rilevati da appositi sensori consentendo di aggiornare l'ambiente tridimensionale visualizzato sulle pareti. Un sistema di questo tipo ha un costo a partire dai 200 mila euro per arrivare a superare il milione per le installazioni più grandi.
Un sistema virtuale basato su un PC tradizionale potenziato da una scheda grafica di ultima generazione (Nvidia GeForce GTX 295 o ATI Radeon HD 4870) e su un casco immersivo tridimensionale pensato per il mondo dei videogiochi (Vuzix Iwear VR920 o Emagin Z800 3D) può costare invece tra i 4.000 e i 5.000 euro. Un sistema di questo tipo può diventare un efficace strumento per la ciberterapia se utilizzato insieme a NeuroVR (www.neurovr.org), un software gratuito creato dall'Istituto Auxologico Italiano in collaborazione con il Virtual Reality & Multi Media Park di Torino.
Le acquisizioni in neuroscienze e neuroimaging ci mostrano come si sviluppa il cervello-mente dai primi anni di vita, fino all'età adulta. Come conoscenze, credenze, esperienze possano poi influire sul sistema mente-cervello, sulla plasticità neurale. Il cervello, più che una sorta di computer biologico che immagazzina e rilascia dati, è piuttosto una struttura che ingloba-processa-rilascia informazioni, ma soprattutto "traduce" la realtà esterna in una interna, e viceversa. L'Rv è perciò, in un certo senso, "connaturata" con il nostro cervello, nel senso che ognuno di noi produce da sé la propria realtà virtuale interna (fatta di immagini, ricordi, dialoghi interiori). E ciò su base evolutiva.
Il cervello dei nostri progenitori, secondo le ricerche etno-antropologiche, "ragionava" per immagini. Le pitture rupestri del Paleolitico (Altamira, Lescaux e altre) sono state interpretate come "arte", ma cos'erano all'origine, se non la necessità di fissare in linee astratte delle realtà emotivamente cariche per l'uomo delle cavarne (caccia, sopravvivenza, morte, credenze)? Un romanzo del premio Nobel William Golding (The Inheritors) è costruito utilizzando tali conoscenze: i protagonisti, uomini di Neanderthal, intessono tutti i loro dialoghi per immagini.
Il cervello "costruisce" il proprio mondo: ciò è evidente da molteplici punti di vista, compresi quelli esplorati e discussi da questa rivista, a più riprese. Come si diceva all'inizio, ciò non è di per sé negativo o deleterio. Sta sempre all'utilizzo che ne facciamo. La Rv è una ulteriore dimostrazione e applicazione di quanto il nostro cervello e la nostra inventiva, se ben impiegate, possano ampliare le nostre conoscenze ed esperienze.
Nel film Matrix si immagina che tutta la realtà sia un programma di computer creato per dominare gli umani del XXI secolo. Non c'è bisogno di aderire alle mille teorie del complotto, come abbiamo visto, per sostenere che la realtà esterna ha una diversa risonanza nel nostro sistema mente-cervello: ci uniformiamo e alla fine comportiamo in funzione di come tale realtà è strutturata e stratificata dentro ognuno di noi.
Pierangelo Garzia
Responsabile dell'ufficio stampa dell'IRCCS, Istituto Auxologico Italiano, centro di cura e ricerca biomedica
Su queste basi neuropsicologiche si sono costituite, prima e dopo Freud, una serie di indirizzi psicoterapici che hanno sviluppato tecniche volte a modificare lo stato di coscienza: suggestione, ipnosi, induzione e sollecitazione di immagini mentali e oggi, l'impiego di tecnologie informatiche per la realizzazione e l'utilizzo di quella che genericamente è stata definita "realtà virtuale" (in sigla Rv). Programmi per computer, sensori, caschi, occhiali, joystick, periferiche sempre più sofisticate, costituiscono l'armamentario per consentire al nostro corpo e, soprattutto, al nostro cervello di sperimentare una realtà creata artificialmente, come se fosse reale. Nei secoli passati ciò era già ricercato in varie culture, con tecniche sia corporali che indotte da sostanze: meditazione, trance, uso di sostanze allucinogene, rappresentavano l'ingresso - consentito dai mezzi dell'epoca – in realtà alternative. Lo sviluppo culturale della mitologia, della passione per l'occulto ed il mistero, rappresentano altrettante facce di questa innata tendenza della nostra psiche a voler sperimentare l'ingresso in mondi alternativi. Se non altro, creati dalla nostra o altrui mente.
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Perché ricerchiamo realtà alternative
Reale o virtuale, per il cervello sono la stessa cosa. Evidentemente, la sperimentazione della sola realtà quotidiana, al nostro cervello non risulta sufficiente e sempre gratificante. Fare esperienza di un ambiente materiale, oggettivo, reale appunto, oppure di un ambiente creato attraverso il programma di un computer, in cui ci troviamo immersi grazie a tecnologie informatiche, è a livello percettivo una esperienza carica di sensazioni, emozioni, attivazione di aree cerebrali specifiche. Del resto, la ricerca con le tecniche di visualizzazione dell'attività cerebrale, ha dimostrato già da tempo che spesso è sufficiente solo immaginare di compiere una determinata azione per attivare l'area cerebrale preposta. Chi ha fatto esperienza con il cinema 3D, magari in una sala Imax, sa quanto possa essere coinvolgente questo tipo di intrattenimento. L'uso dei videogiochi, dei mondi alternativi su internet, sono altrettante premesse di quanto la tecnologia ci sta preparando per il futuro: esperienze totalizzanti in mondi alternativi, artificiali, oppure viaggi in luoghi esistenti, ma senza spostarsi di un millimetro da casa propria. Le nuove tecnologie produttrici di realtà virtuale saranno l'equivalente legale ed autorizzato delle sostanze psicotrope, degli allucinogeni? Da una certa prospettiva, sì. Già oggi, ci confrontiamo con la dipendenza dall'immaginario su internet.Il cervello raffigura il mondo
Ciò che è nella nostra mente, nei nostri neuroni, non è il mondo, ma bensì una sua raffigurazione. Se alla percezione e trasformazione in segnali neuronali del mondo reale, sostituiamo un mondo immaginario o, meglio, virtuale, esso entra in modo altrettanto efficace a far parte dei contenuti del nostro cervello. La tecnologia virtuale si sta sempre più sviluppando in tal senso: sia per ingannare il cervello (distogliendolo o desensibilizzandolo rispetto ad ansie e paure alla base di fobie o stati di stress post-traumatico), sia per ampliare le conoscenze limitate dalle dimensioni del reale (con opportune tecnologie immersive della Rv è ad esempio possibile "entrare" in una molecola virtuale e "manipolarla", nel vero senso della parola). I mondi virtuali possono quindi essere utilizzati a scopo di piacere, ludico, come altrettante fughe dalla realtà. Oppure per ampliare e arricchire le nostre conoscenze del mondo reale, attraverso simulazioni che ci consentano di prendere contatto con livelli dimensionali altrimenti inaccessibili. Per fare un altro esempio, gli archeologi e gli storici hanno oggi modo di ricostruire virtualmente un ambiente del passato, potendocisi poi muovere ed esplorarlo dall'interno. Altrettanto efficace risulta oggi l'Rv a scopo didattico: pensiamo soltanto alla possibilità offerta al chirurgo principiante di potersi esercitare su un corpo virtuale, anziché reale.L'Rv prima dell'Rv
La RV, concettualmente, non nasce con la realizzazione tecnologica delle strumentazioni informatiche, ma esisteva prima che prendesse questo nome. Fantasticare, produrre immagini mentali, sognare, sono forme "spontanee" di Rv del nostro cervello. In quanto necessità naturale del nostro cervello, è imprescindibile dal suo buon funzionamento. Inoltre, come specie, abbiamo creato fin dalle origini tutta una serie di "realtà virtuali" (in sintonia con conoscenze e possibilità contingenti) che ci dessero piacere, ma anche sollievo e terapia: pantheon religiosi, mitologie, giochi di simulazione, fiabe, arte, musica, letteratura, cinema, media, videogiochi. Persino l'uso millenario delle droghe psicoattive può essere considerato una tendenza del nostro cervello a creare e sperimentare realtà alternative a quella consensuale.C'è quindi da chiedersi: perché il cervello ricerca momenti di evasione dalla realtà? Il sogno è l'Rv di cui ci ha dotato la natura. Il cervello è strutturato per vivere ogni notte il 25 per cento di sonno REM (e nel neonato addirittura il 50 per cento): dal punto di vista evolutivo il cervello vive e ha necessità di generare le proprie forme di Rv. Ma anche la didattica vive di immagini mentali e di Rv. Tutti i grandi mnemonosti del passato, e pure quelli attuali, per potenziare la memoria indicano la via del teatro della memoria. Sottolineano l'importanza di creare luoghi immaginari nella nostra mente per fissare ricordi, informazioni, nozioni. E così la psicoterapia. Molti approcci psicoterapeutici, se non tutti, utilizzano il ricordo, l'"immagini che". Oggi, e sempre più in futuro, l'"immagini che" potrà essere efficacemente sostituito dalla Rv. Il terapeuta del futuro disporrà di programmi e tecnologie che gli consentiranno di creare ad hoc situazioni e ambienti Rv personalizzati sulle esigenze e problematiche del paziente che si troverà davanti. Il "si immagini che" sarà sostituito dall'annotazione delle problematiche, (fobiche, da dipendenze o altre) del proprio paziente, e dalla conseguente traduzione delle stesse in programma da sviluppare in ambiente Rv.
Le tecnologie e i costi dell'Rv
Ma vediamo, a livello pratico, quali sono le tecnologie impiegate e i costi per utilizzare al meglio la Rv nelle applicazioni fino ad oggi sviluppate. Per farlo, abbiamo chiesto aiuto a Giuseppe Riva, psicologo-ricercatore e docente di nuovi media all'Università Cattolica di Milano, tra i maggiori esperti mondiali di Rv (non a caso è stato co-chairman e organizzatore del Convegno internazionale sulla ciberpsicologia e ciberterapia svoltosi di recente, per la prima volta, nel nostro paese).La realtà virtuale è un ambiente tridimensionale generato dal computer in cui il soggetto o i soggetti interagiscono tra loro e con l'ambiente come se fossero realmente al suo interno. Dal punto di vista tecnologico è possibile distinguere tra due tipi di realtà virtuale: quella immersiva e quella non immersiva. La realtà virtuale è immersiva quando è in grado di creare un senso di assorbimento e «immersione» sensoriale utilizzando:
1) un dispositivo di visualizzazione, normalmente un casco (head mounted display), capace sia di visualizzare in due o tre dimensioni gli ambienti generati dal computer, sia di isolare l'utente dall'ambiente esterno;
2) uno o più sensori di posizione (tracker) che rilevano i movimenti dell'utente e li trasmettono al computer, in modo che questo possa modificare l'immagine tridimensionale in base al punto di vista dell'utente.
Alternativamente l'utente può essere immerso in un "cave" (caverna), una camera di proiezione costituita da tre, quattro o sei schermi posti in posizione reciproca su cui vengono retroproiettati gli ambienti generati dal computer. In questo caso l'impiego di sensori di posizione ottici consente di rilevare e di trasmettere al computer la posizione e il movimento dell'utente.
La realtà virtuale non immersiva sostituisce il casco con un normale monitor. In questo caso l'impressione dell'utente è quella di vedere il mondo tridimensionale creato dal computer attraverso una sorta di «finestra». Inoltre, nei sistemi di realtà virtuale non immersiva, il soggetto interagisce con l'ambiente tridimensionale attraverso un joystick. La realtà virtuale può essere utilizzata anche in maniera «condivisa» come strumento avanzato di comunicazione, come avviene all'interno del mondo simulato di Second Life (www.secondlife.com). Da un punto di vista comunicativo questa forma di realtà virtuale può essere considerata come una estensione tridimensionale e interattiva delle tradizionali chat grafiche. La realtà virtuale condivide con queste l'uso di avatar personalizzati e di ambienti navigabili. Si differenzia però per le possibilità di interazione all'interno dell'ambiente. Da una parte sono utilizzabili dall'utente interfacce avanzate come sensori di posizione e caschi immersivi. Dall'altra l'esperienza dell'utente è di solito inserita all'interno di un contesto narrativo che conferisce un senso alle interazioni.
I principali centri di ricerca nel settore sono americani, grazie all'interesse del ministero della difesa USA per questo tipo di applicazioni. L'US Army finanzia con circa 100 milioni di dollari l'anno l'Institute for Creative Technologies (ICT - http://ict.usc.edu/), una spin-off dell'Università della Southern California creata nel 1999 per realizzare applicazioni cliniche basate sulla realtà virtuale per l'utilizzo in ambito militare. Per esempio, DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) gli ha commissionato lo sviluppo di un sistema di Rv per addestrare i propri operatori sanitari utilizzati per il primo intervento sul campo di battaglia.
Rispetto ad una tradizionale lezione in aula i vantaggi offerti da queste tecnologie sono due. In primo luogo si permette all'operatore di interagire con i pazienti e con i diversi strumenti richiesti come se questi fossero davvero insieme all'utente. Ciò consente di imparare attraverso l'esperienza diretta e in tempo reale dai risultati delle proprie azioni: se l'intervento è sbagliato il paziente virtuale simula il dolore o il pianto. In secondo luogo è possibile riprodurre le caratteristiche ambientali della situazione che producono nell'operatore una risposta emotiva simile a quella che proverebbe in battaglia. Questo permette non solo di imparare una tecnica ma anche di sperimentare emozioni (panico e tensione) e di imparare a controllarle grazie alla supervisione di uno psicologo.
Questa componente esperienziale viene utilizzata anche nel trattamento di diversi disturbi psicologici. In particolare è stata utilizzata all'interno del progetto americano "Virtual Iraq" per aiutare i veterani a superare i traumi della guerra. I costi possono variare molto e dipendono dal tipo di tecnologia utilizzata. La tecnologia più costosa, attualmente utilizzata dal governo americano e da alcune università, è il CAVE – Cave Audio Visual Environment. Il CAVE, è una stanza in cui le pareti, il soffitto e il pavimento vengono sostituiti da schermi retroproiettati in grado di visualizzare immagini 3D. Nella stanza i movimenti dell'utente vengono rilevati da appositi sensori consentendo di aggiornare l'ambiente tridimensionale visualizzato sulle pareti. Un sistema di questo tipo ha un costo a partire dai 200 mila euro per arrivare a superare il milione per le installazioni più grandi.
Un sistema virtuale basato su un PC tradizionale potenziato da una scheda grafica di ultima generazione (Nvidia GeForce GTX 295 o ATI Radeon HD 4870) e su un casco immersivo tridimensionale pensato per il mondo dei videogiochi (Vuzix Iwear VR920 o Emagin Z800 3D) può costare invece tra i 4.000 e i 5.000 euro. Un sistema di questo tipo può diventare un efficace strumento per la ciberterapia se utilizzato insieme a NeuroVR (www.neurovr.org), un software gratuito creato dall'Istituto Auxologico Italiano in collaborazione con il Virtual Reality & Multi Media Park di Torino.
Per concludere
Il mondo della ricerca per le applicazioni della Rv è in costante fermento. L'unico limite è oggi dato dagli alti costi delle tecnologie da impiegare e da sviluppare. L'Rv funziona perché è la riproduzione-estensione di ciò che fa sempre il cervello: costruirsi la "propria" realtà. C'è una realtà consensuale, condivisa da tutti (quella materiale, oggettiva), ma le sensazioni, emozioni, vissuti rispetto alla realtà esterna, sono strettamente personali. L' Rv funziona tanto più e tanto meglio quanto riesca a "sintonizzarsi" con la RV interna, di ognuno di noi. I programmi per il trattamento di disturbi, fobie (o riabilitativi) funzionano tanto più sono personalizzati sul vissuto del soggetto. Quanto più riescano a "innestarsi" sulla produzione naturale di Rv del nostro cervello (in termini percettivo-emozionali).Le acquisizioni in neuroscienze e neuroimaging ci mostrano come si sviluppa il cervello-mente dai primi anni di vita, fino all'età adulta. Come conoscenze, credenze, esperienze possano poi influire sul sistema mente-cervello, sulla plasticità neurale. Il cervello, più che una sorta di computer biologico che immagazzina e rilascia dati, è piuttosto una struttura che ingloba-processa-rilascia informazioni, ma soprattutto "traduce" la realtà esterna in una interna, e viceversa. L'Rv è perciò, in un certo senso, "connaturata" con il nostro cervello, nel senso che ognuno di noi produce da sé la propria realtà virtuale interna (fatta di immagini, ricordi, dialoghi interiori). E ciò su base evolutiva.
Il cervello dei nostri progenitori, secondo le ricerche etno-antropologiche, "ragionava" per immagini. Le pitture rupestri del Paleolitico (Altamira, Lescaux e altre) sono state interpretate come "arte", ma cos'erano all'origine, se non la necessità di fissare in linee astratte delle realtà emotivamente cariche per l'uomo delle cavarne (caccia, sopravvivenza, morte, credenze)? Un romanzo del premio Nobel William Golding (The Inheritors) è costruito utilizzando tali conoscenze: i protagonisti, uomini di Neanderthal, intessono tutti i loro dialoghi per immagini.
Il cervello "costruisce" il proprio mondo: ciò è evidente da molteplici punti di vista, compresi quelli esplorati e discussi da questa rivista, a più riprese. Come si diceva all'inizio, ciò non è di per sé negativo o deleterio. Sta sempre all'utilizzo che ne facciamo. La Rv è una ulteriore dimostrazione e applicazione di quanto il nostro cervello e la nostra inventiva, se ben impiegate, possano ampliare le nostre conoscenze ed esperienze.
Nel film Matrix si immagina che tutta la realtà sia un programma di computer creato per dominare gli umani del XXI secolo. Non c'è bisogno di aderire alle mille teorie del complotto, come abbiamo visto, per sostenere che la realtà esterna ha una diversa risonanza nel nostro sistema mente-cervello: ci uniformiamo e alla fine comportiamo in funzione di come tale realtà è strutturata e stratificata dentro ognuno di noi.
Pierangelo Garzia
Responsabile dell'ufficio stampa dell'IRCCS, Istituto Auxologico Italiano, centro di cura e ricerca biomedica