L'autore è un ingegnere che ha operato per oltre un trentennio all'Institut de Physique Nucléaire di Orsay ed è cultore di storia della scienza e in particolare di studi galileiani sui quali ha pubblicato diversi saggi. Il libro si aggiunge a vari trattati recentemente pubblicati sull'argomento e il suo interesse, oltre a recare accurate informazioni biografiche e bibliografiche, sta soprattutto nell'interpretare la vicenda processuale come il tragico epilogo di una lotta per la libertà del pensiero scientifico. Interpretazione che, sostenuta da una amplissima documentazione, emerge al di là delle complesse vicende collaterali. Secondo Festa, la chiave della vicenda è lo scontro tra il valore autonomo della ricerca scientifica e l'"argomento" di Urbano VIII. L'autore riferisce, con precisa documentazione (pp. 261-262), che già nel 1616 Maffeo Barberini (futuro Urbano VIII) nel raccomandare a Galileo «di considerare con attenzione se si accordasse con le Sacre Scritture quanto aveva escogitato sul movimento della Terra», gli aveva esposto «un argomento al quale accordava grande importanza. Il futuro pontefice affermava che nessun sistema astronomico può essere considerato vero, perché Dio può averne fatto uno diverso da quelli che gli astronomi hanno immaginato, immaginano o immagineranno per salvare le apparenze. L'argomento mirava a precisare il posto della scienza in un contesto in cui l'onnipotenza divina può far tutto ciò che non implica contraddizione». È chiaro quale sia il corollario di questo atteggiamento: ogni affermazione derivante dalla ricerca scientifica non può pretendere valore di verità del quale è depositaria solo la Sacra Scrittura. In particolare, «per poter affermare che l'ipotesi copernicana era vera, si sarebbe dovuto dimostrare che tutti gli altri sistemi astronomici immaginati per produrre le stesse apparenze implicavano contraddizioni, il che non ha senso visto che tutti i sistemi a cui si riferiva il cardinale non sono definiti in numero». L'autore nota che questa posizione ebbe un rilevante peso nel portare alla condanna del copernicanesimo il 24 febbraio 1616, riferita due giorni dopo a Galileo dal cardinale Bellarmino contestualmente all'ingiunzione di «abbandonare completamente la detta opinione». Questi fatti costituiscono la premessa della condanna avvenuta nel 1633. Infatti nelle ultime pagine della giornata quarta del Dialogo dei massimi sistemi Galileo ironizza sull'argomento di Urbano VIII. È questa l'ovvia interpretazione di queste pagine, malgrado i maldestri tentativi in contrario dello stesso Galileo sotto l'incubo della condanna. Non ha alcuna rilevanza il fatto che tali pagine seguano immediatamente la cosiddetta prova delle maree, che Galileo portava erroneamente a sostegno del copernicanesimo. Non era questo punto, strettamente fisico, l'oggetto dello scontro. Lo scontro verteva sull'ultimo intervento di Simplicio, che sostiene l'argomento di Urbano VIII e la risposta, ferma e velata da ironia, di Salviati che chiama «mirabile e veramente angelica dottrina» l'argomento di Urbano VIII, ma le contrappone «quell'altra, pur divina, la quale, mentre ci concede di disputare attorno alla costruzione del mondo, ci suggiugne (forse acciò che l'esercizio delle menti umane non si tronchi o anneghittisca) che non siamo per ritrovare l'opera fabbricata dalle Sue mani. Vaglia dunque l'esercizio permessoci ed ordinatoci da Dio per riconoscere e tanto maggiormente ammirare la grandezza Sua, quanto meno ci troviamo idonei a penetrare i profondi abissi della Sua infinita sapienza». L'autore, sulla base di un'analisi storico-filologica (p. 282), interpreta questo passo secondo il testo scritturale (Ecclesiaste, 3, 11) «Ha dato il mondo alla loro discussione senza che l'uomo possa scoprire l'opera realizzata da Dio», da interpretarsi a sua volta come «nonostante l'impossibilità di saper tutto, la libertà di discutere veniva qui ampiamente concessa». L'autore conclude questo punto così: «la rivendicazione di poter disputare intorno alla costituzione del mondo avanzata cautamente da Salviati-Galileo metteva in evidenza l'opposizione fra scienza e religione provocata dalle recenti scoperte astronomiche». La mia opinione personale è che questo passo, piuttosto che di opposizione, parli di completa indipendenza e autonomia conformemente all'atteggiamento costantemente espresso da Galileo nel rifiutare con forza ogni imposizione e condizionamento sulla scienza da parte dell'autorità ecclesiastica (stupisce alquanto, in questo contesto, la qualifica di "fervente cattolico" che l'autore attribuisce a Galileo nel commentare, a pag. 144, la lettera a Castelli, a meno che tale espressione non vada intesa in senso ben lontano da quello di obbedienza all'istituzione ecclesiale).
Dall'analisi qui accennata segue il giudizio che Festa dà della cosiddetta riabilitazione di Galileo da parte della Chiesa, resa pubblica da Giovanni Paolo II nel 1992 a seguito dei lavori della Commissione presieduta dal cardinale Paul Poupard. Le critiche dell'autore al documento finale della Commissione vertono essenzialmente sul fatto che viene taciuto il punto essenziale della vicenda, che è lo scontro tra l' "argomento" di Urbano VIII e l'affermazione della libertà della ricerca scientifica. Secondo l'autore, l'artefice della vicenda processuale, caratterizzata da un accanimento che si protrasse anche dopo la sentenza e oltre la morte di Galileo, è proprio Urbano VIII, che nel documento di "riabilitazione" non viene neppure menzionato. Il significato profondo della vicenda sfuma: a parte l'ovvio riconoscimento della personalità scientifica di Galileo, si dà spazio alla teoria delle maree come prova ingannevole del moto terrestre, mentre nei documenti processuali non è neppure menzionata, dato che al tempo non ne esisteva la confutazione sul piano fisico, ma solo su quello teologico, conformemente all'argomento di Urbano VIII (secondo una testimonianza di Agostino Oreggi, sembra che lo stesso Maffeo Barberini non ne avesse esclusa la possibilità sul piano fisico). In conclusione ritengo che il libro, grazie all'acutezza e rigore delle analisi e alla documentazione storica, costituisca un importante contributo a capire gli aspetti essenziali di una tragedia contestuale alla nascita della scienza moderna.
Dall'analisi qui accennata segue il giudizio che Festa dà della cosiddetta riabilitazione di Galileo da parte della Chiesa, resa pubblica da Giovanni Paolo II nel 1992 a seguito dei lavori della Commissione presieduta dal cardinale Paul Poupard. Le critiche dell'autore al documento finale della Commissione vertono essenzialmente sul fatto che viene taciuto il punto essenziale della vicenda, che è lo scontro tra l' "argomento" di Urbano VIII e l'affermazione della libertà della ricerca scientifica. Secondo l'autore, l'artefice della vicenda processuale, caratterizzata da un accanimento che si protrasse anche dopo la sentenza e oltre la morte di Galileo, è proprio Urbano VIII, che nel documento di "riabilitazione" non viene neppure menzionato. Il significato profondo della vicenda sfuma: a parte l'ovvio riconoscimento della personalità scientifica di Galileo, si dà spazio alla teoria delle maree come prova ingannevole del moto terrestre, mentre nei documenti processuali non è neppure menzionata, dato che al tempo non ne esisteva la confutazione sul piano fisico, ma solo su quello teologico, conformemente all'argomento di Urbano VIII (secondo una testimonianza di Agostino Oreggi, sembra che lo stesso Maffeo Barberini non ne avesse esclusa la possibilità sul piano fisico). In conclusione ritengo che il libro, grazie all'acutezza e rigore delle analisi e alla documentazione storica, costituisca un importante contributo a capire gli aspetti essenziali di una tragedia contestuale alla nascita della scienza moderna.