La prima serata del Convegno è stata quasi una puntata di SuperQuark dal vivo. L'argomento era la vita di Galileo Galilei, padre del metodo scientifico e, con il suo approccio rigoroso e refrattario alla superstizione, vero precursore di organizzazioni come il CICAP.
Nel corso della serata si sono ripercorsi diversi momenti della sua vita e si è concluso con la terribile "abiura" cui le autorità ecclesiastiche lo hanno costretto. Per capire cosa poteva pensare di una simile condanna, Mariapiera Marenzana, biografa di Galileo, ha elaborato un testo quantomai verosimile, basato quasi interamente su frasi realmente pronunciate da Galileo nei suoi libri o in corrispondenze private (in particoalre per quanto riguarda le idee di rilievo e le espressioni forti o colorite). Ve lo riproponiamo di seguito.
Piero Angela: Ancora oggi ci umilia e ci addolora la sorte che le è toccata. Come è potuto accadere tutto questo?
Galileo Galilei: Sempre volli, sopra ogni cosa, dar resonanza grande alle mirabili mie scoperte celesti. Volevo fosse a tutti chiaro che la natura, come ci ha dato gli occhi per vedere le opere sue, così ci ha dato la mente per intenderle e capirle.
PA: Per questo Lei scelse di scrivere in italiano piuttosto che in latino, al tempo lingua della scienza e della cultura.
GG: E fu per questo che lasciai il mondo ristretto della Repubblica di Venezia per tornare a Firenze e affrontar gli infiniti accidenti di un mondo - la Corte e la Curia - popolato da uomini ambiziosi e infidi.
PA: Eppure era ben consapevole dei rischi: i Suoi amici veneti l'avevano messa in guardia. Le Sue idee copernicane e le sue scoperte erano una minaccia per la cultura accademica e in contrasto con le parole della Bibbia.
GG: La Chiesa era la depositaria del sapere e giudice vigile di tutto quel che si scriveva allora in Italia
PA: Quindi Lei non poteva non far la Chiesa partecipe delle nuove verità, benché il rogo di Giordano Bruno lasciasse poche illusioni.
GG: Io m'illudevo che la forza del fondato ragionamento sarebbe riuscita a prevalere sulle antiche e infondate abitudini di pensiero.
PA: Fu questo forse il suo errore più grande.
GG: Volevo che la Chiesa evitasse di mettere a rischio la sua autorità sostenendo princìpi che in seguito sarebbero stati apertissimamente mostrati falsi e che avrebbe dovuto ritrattare.
PA: Ma di recente la Chiesa ha disposto la Sua riabilitazione.
GG: Io ho molto patito. Le mie idee con tanta chiarezza sono dimostrate corrette. Io devo essere riabilitato?
PA: La ragione - sono parole Sue che non posso scordare - la ragione è la sola adeguata scorta a sortir d'oscurità l'uomo, e a quietar la sua mente".
GG: La ragione... Perché mai così spesso è negletta? Non è facile rispondere, potrei dire... per pigrizia, perché comodo è seguire le inveterate abitudini di pensiero.
PA: Oppure per sottrarsi a responsabilità individuali, affidandosi all'autorità di altri?
GG: ...l'ipse dixit, certo, ai miei tempi Aristotele e la Chiesa. Ma l'ordine del mondo è uno solo, e nelle cose naturali l'autorità d'uomini non val nulla. La natura, Signor mio, si burla delle costituzioni e dei decreti dei prìncipi, degli imperatori e dei monarchi, a richiesta de' quali non muterebbe un iota delle leggi sue!
PA: Ricordo anche, a proposito del principio d'autorità, di aver letto, in una pagina del suo Dialogo, un gustoso episodio che mi piacerebbe fosse Lei a raccontare.
GG: Ricordo la storia esemplare di quel filosofo aristotelico il quale, proprio qui vicino, a Padova, dopo aver constatato con i suoi occhi in sala anatomica che il fascio dei nervi si diparte dal cervello e non dal cuore, dopo avere alquanto meditato, disse che avrebbe dovuto per forza ammettere la cosa per vera, se il testo di Aristotele non avesse sostenuto il contrario.
PA: Ne ridiamo, ora, ma con amarezza, se appena ci volgiamo intorno. Basta pensare a ciò che sta accadendo nelle nostre scuole: antiche leggende religiose in luogo di ipotesi scientifiche! Povero Darwin.
GG: Dopo tante sensate esperienze e necessarie dimostrazioni raccolte a sostegno del suo affascinante discorso!
PA: Autonomia di giudizio significa oggi, troppo spesso, esprimersi senza competenza alcuna su qualsiasi soggetto, oppure avanzare ipotesi infondate su argomenti indimostrabili.
GG: ...andar cioè a guisa della gallina cieca, dando or qua or là del becco in terra, fin che s'incontri in qualche grano di miglio: il guadagno non sarà maggiore di quello di colui che s'andava informando per qual porta della città s'usciva per andar per la via più breve in India. Era il modo di procedere di alcuni scienziati miei contemporanei, cui non potei risparmiare il lancio di "meluzze e torsi"...
PA: Lei ha dedicato alla scrittura la stessa vigile attenzione che alla scienza.
GG: Fare scienza e scriverne erano per me una sola cosa. Un linguaggio generico o oscuro è spia di povertà di concetti parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi.
PA: Cosa risponderebbe a chi ancor oggi, come Bertolt Brecht, le rimprovera l'abiura per aver con essa sottomesso la scienza alla forza dei poteri costituiti? E di aver rinunciato, per vigliaccheria, a stabilire un principio di libertà per il pensiero scientifico?
GG: L'obbligo mio era condurre a termine la fondazione della scienza. L'indomani stesso dell'abiura, tra rischi e difficoltà d'ogni sorta mi posi a scrivere l'ultima opera mia, i Discorsi, a rinnovato sostegno delle idee di Copernico.
PA: Sembra essere inevitabile, a questo punto, chiederle se ha perdonato i suoi persecutori. Mi risponda, se crede.
GG: I torti e le ingiustizie che l'invidia, la diabolica malignità e iniqua volontà mi avevano macchinato contro non mi hanno travagliato, anzi la grandezza delle ingiustizie mi è stata piuttosto di sollievo, è stata un'ispecie di vendetta, perché l'infamia è ricaduta sopra i miei persecutori.