I profeti pensano di essere ispirati da Dio; i veggenti ritengono di possedere qualche dote particolare in grado di far loro avere la visione di cosa accadrà; gli astrologi interpretano i segni del cielo per ricavare indicazioni sul destino dell’uomo; secondo alcuni esegeti gli eventi della storia del mondo possono invece essere letti all’interno delle profezie bibliche, o di altri testi sacri. Si tratta, naturalmente, di convinzioni soggettive, che non hanno mai ottenuto alcun riscontro scientifico serio. Al contrario, proprio la scienza è in grado di fare previsioni accurate, il che la rende la migliore forma di conoscenza della realtà che l’umanità abbia saputo ideare. Non una forma perfetta, ma la migliore certamente.
Il sogno di quantificare tutti i fenomeni naturali ha animato la scienza moderna sin dal tempo di Galileo Galilei, ma l’obiettivo si è rivelato più difficile del previsto. Tale difficoltà era già chiara a uno degli allievi della scuola galileiana, Lorenzo Magalotti, il segretario dell’Accademia del Cimento. Gli studiosi della natura, infatti, pur avendo come imprescindibile punto di riferimento l’opera di Galileo, dovevano confrontarsi con un’incredibile e straordinaria ricchezza di fatti e di dati, non sempre e immediatamente riconducibili all’esattezza del metodo geometrico e della matematica. Anche in questa luce va letto il più volte citato passo dal Proemio dei Saggi di naturali esperienze (1666): «Or questo è appunto quello che l’anima va tentando nell’investigazione delle naturali cose, e a ciò bisogna confessare che non v’ha miglior mano di quella della geometria, la quale dando alla bella prima nel vero, ne libera in un subito da ogn’altro più incerto e faticoso rintracciamento. Il fatto è ch’ella ci conduce un pezzo innanzi nel cammino delle filosfiche speculazioni, ma poi ella ci abbandona in sul bello» (Magalotti 1976, pp. 58-59). Certamente, dai tempi di Magalotti molto passi in avanti sono stati fatti, ma non tutti gli ambiti di indagine hanno raggiunto la capacità di esprimere previsioni efficaci. I terremoti, ad esempio, a tutt’oggi non sono prevedibili. Ovviamente, anche se non sappiamo prevederli, possiamo comunque prevenirli, grazie alle sempre più accurate mappe del territorio che vengono costantemente elaborate e perfezionate. La scienza geologica è così in grado di farci sapere esattamente quali sono le zone dove si verificheranno degli eventi sismici e la magnitudo (da non confondere con l’intensità) che potranno raggiungere. La prima cosa che certamente va fatta, dunque, è quella di costruire edifici con strutture antisismiche (evitando l’abusivismo edilizio) e di preparare la cittadinanza a gestire i fenomeni tellurici sia dal punto di vista emotivo che scientifico e culturale. Ma, detto tutto questo, non siamo in grado di dire che un terremoto si verificherà il giorno x, all’ora y, nel posto z.
Quando dai fenomeni naturali si passa a quelli economici e sociali, le cose vanno ancora peggio. Formalismi matematici e teorie astratte dalla realtà non sembrano particolarmente efficaci, ad esempio, nel prevedere l’andamento dei mercati e delle crisi finanziarie. A maggior ragione, predire scientificamente l’esito della storia, o comunque ciò che potrà accadere in tutti i campi del sapere umano, sembrerebbe ragionevolmente impossibile. Un conto è ipotizzare tendenze o possibili scenari, attività che va assolutamente perseguita e che è di estrema utilità; altro è indicare esattamente cosa potrà accadere e, soprattutto, in quale momento. Come in tutti gli aspetti della vita umana, si tratta sempre di una questione di equilibrio.
Che il futuro non sia prevedibile è stato ribadito più volte da personaggi che del futuro hanno fatto la loro professione, cioè gli scrittori di fantascienza.
Arthur C. Clarke, che di futuri possibili se ne intendeva, ha scritto (nel 1962): «È impossibile prevedere il futuro: ogni tentativo di farlo in maniera particolareggiata diventa ridicolo nel giro di pochi anni» (Clarke 1965, p. 7). Sulla lunghezza d’onda di Clarke si è sempre mosso un altro dei grandi autori della fantascienza novecentesca, Isaac Asimov: «Non è mai possibile, dopo tutto, prevedere il futuro; si può solo fare una stima, e tale stima coprirà una gamma di possibilità. Questa gamma sarà sempre più ampia quanto più il futuro è lontano, e a un certo punto essa diviene così estesa che le nostre previsioni potranno avere come limite solo leggi della natura». Tuttavia, se «ci limitiamo a un futuro moderatamente vicino e a fenomeni relativamente ben compresi», proseguiva Asimov, «ci troveremo davanti a una gamma di possibilità non eccessivamente estesa» (Asimov 1979, p. 352). Ma, anche in questo caso, le cose non sono così semplici e l’autore del Ciclo delle Fondazioni lo sapeva bene.
Nel testo a cui facciamo riferimento (che è dell’aprile 1974) Asimov provava a immaginare uno tra gli scenari peggiori di un avvenire non troppo lontano: «È, per esempio, particolarmente facile essere pessimisti circa il nostro futuro. Dobbiamo semplicemente ipotizzare che la popolazione umana continuerà a crescere; che le rivalità fra gli stati persisteranno a porre il benessere di un gruppo X davanti a quello del mondo intero; che i pregiudizi razziali e sessuali non cesseranno di produrre odio e alienazione; che le cupidigie personali ed economiche continueranno a rovinare la Terra per un profitto privato a breve scadenza; in breve dobbiamo semplicemente assumere che le cose persistano ad andare come sono andate finora per altri trent’anni, e potremo con una certa sicurezza prevedere la distruzione della nostra civiltà tecnologica. Ho il sospetto che le probabilità che ciò possa accadere siano maggiori del 50 per cento; di quanto maggiori, non lo so» (Asimov 1979, pp. 352-3).
Di fatto, nonostante i fattori negativi indicati da Asimov abbiano continuato a sussistere, e condizionino pesantemente anche il nostro presente, nel 2004 non c’è stata alcuna distruzione della civiltà tecnologica. Forse, però, siamo solo in ritardo di qualche decennio, come gli avvenimenti recenti ci possono facilmente indurre a pensare. Ma chi può stabilirlo esattamente? Le riflessioni sul futuro vanno perciò portate avanti con prudenza e accortezza. E con una precisa conoscenza della storia, che resta comunque uno degli strumenti migliori per progettare l’avvenire. Senza farsi tentare dall’abbozzare astratte filosofie della storia, sempre destinate al fallimento.
Il sogno di quantificare tutti i fenomeni naturali ha animato la scienza moderna sin dal tempo di Galileo Galilei, ma l’obiettivo si è rivelato più difficile del previsto. Tale difficoltà era già chiara a uno degli allievi della scuola galileiana, Lorenzo Magalotti, il segretario dell’Accademia del Cimento. Gli studiosi della natura, infatti, pur avendo come imprescindibile punto di riferimento l’opera di Galileo, dovevano confrontarsi con un’incredibile e straordinaria ricchezza di fatti e di dati, non sempre e immediatamente riconducibili all’esattezza del metodo geometrico e della matematica. Anche in questa luce va letto il più volte citato passo dal Proemio dei Saggi di naturali esperienze (1666): «Or questo è appunto quello che l’anima va tentando nell’investigazione delle naturali cose, e a ciò bisogna confessare che non v’ha miglior mano di quella della geometria, la quale dando alla bella prima nel vero, ne libera in un subito da ogn’altro più incerto e faticoso rintracciamento. Il fatto è ch’ella ci conduce un pezzo innanzi nel cammino delle filosfiche speculazioni, ma poi ella ci abbandona in sul bello» (Magalotti 1976, pp. 58-59). Certamente, dai tempi di Magalotti molto passi in avanti sono stati fatti, ma non tutti gli ambiti di indagine hanno raggiunto la capacità di esprimere previsioni efficaci. I terremoti, ad esempio, a tutt’oggi non sono prevedibili. Ovviamente, anche se non sappiamo prevederli, possiamo comunque prevenirli, grazie alle sempre più accurate mappe del territorio che vengono costantemente elaborate e perfezionate. La scienza geologica è così in grado di farci sapere esattamente quali sono le zone dove si verificheranno degli eventi sismici e la magnitudo (da non confondere con l’intensità) che potranno raggiungere. La prima cosa che certamente va fatta, dunque, è quella di costruire edifici con strutture antisismiche (evitando l’abusivismo edilizio) e di preparare la cittadinanza a gestire i fenomeni tellurici sia dal punto di vista emotivo che scientifico e culturale. Ma, detto tutto questo, non siamo in grado di dire che un terremoto si verificherà il giorno x, all’ora y, nel posto z.
Quando dai fenomeni naturali si passa a quelli economici e sociali, le cose vanno ancora peggio. Formalismi matematici e teorie astratte dalla realtà non sembrano particolarmente efficaci, ad esempio, nel prevedere l’andamento dei mercati e delle crisi finanziarie. A maggior ragione, predire scientificamente l’esito della storia, o comunque ciò che potrà accadere in tutti i campi del sapere umano, sembrerebbe ragionevolmente impossibile. Un conto è ipotizzare tendenze o possibili scenari, attività che va assolutamente perseguita e che è di estrema utilità; altro è indicare esattamente cosa potrà accadere e, soprattutto, in quale momento. Come in tutti gli aspetti della vita umana, si tratta sempre di una questione di equilibrio.
Che il futuro non sia prevedibile è stato ribadito più volte da personaggi che del futuro hanno fatto la loro professione, cioè gli scrittori di fantascienza.
Arthur C. Clarke, che di futuri possibili se ne intendeva, ha scritto (nel 1962): «È impossibile prevedere il futuro: ogni tentativo di farlo in maniera particolareggiata diventa ridicolo nel giro di pochi anni» (Clarke 1965, p. 7). Sulla lunghezza d’onda di Clarke si è sempre mosso un altro dei grandi autori della fantascienza novecentesca, Isaac Asimov: «Non è mai possibile, dopo tutto, prevedere il futuro; si può solo fare una stima, e tale stima coprirà una gamma di possibilità. Questa gamma sarà sempre più ampia quanto più il futuro è lontano, e a un certo punto essa diviene così estesa che le nostre previsioni potranno avere come limite solo leggi della natura». Tuttavia, se «ci limitiamo a un futuro moderatamente vicino e a fenomeni relativamente ben compresi», proseguiva Asimov, «ci troveremo davanti a una gamma di possibilità non eccessivamente estesa» (Asimov 1979, p. 352). Ma, anche in questo caso, le cose non sono così semplici e l’autore del Ciclo delle Fondazioni lo sapeva bene.
Nel testo a cui facciamo riferimento (che è dell’aprile 1974) Asimov provava a immaginare uno tra gli scenari peggiori di un avvenire non troppo lontano: «È, per esempio, particolarmente facile essere pessimisti circa il nostro futuro. Dobbiamo semplicemente ipotizzare che la popolazione umana continuerà a crescere; che le rivalità fra gli stati persisteranno a porre il benessere di un gruppo X davanti a quello del mondo intero; che i pregiudizi razziali e sessuali non cesseranno di produrre odio e alienazione; che le cupidigie personali ed economiche continueranno a rovinare la Terra per un profitto privato a breve scadenza; in breve dobbiamo semplicemente assumere che le cose persistano ad andare come sono andate finora per altri trent’anni, e potremo con una certa sicurezza prevedere la distruzione della nostra civiltà tecnologica. Ho il sospetto che le probabilità che ciò possa accadere siano maggiori del 50 per cento; di quanto maggiori, non lo so» (Asimov 1979, pp. 352-3).
Di fatto, nonostante i fattori negativi indicati da Asimov abbiano continuato a sussistere, e condizionino pesantemente anche il nostro presente, nel 2004 non c’è stata alcuna distruzione della civiltà tecnologica. Forse, però, siamo solo in ritardo di qualche decennio, come gli avvenimenti recenti ci possono facilmente indurre a pensare. Ma chi può stabilirlo esattamente? Le riflessioni sul futuro vanno perciò portate avanti con prudenza e accortezza. E con una precisa conoscenza della storia, che resta comunque uno degli strumenti migliori per progettare l’avvenire. Senza farsi tentare dall’abbozzare astratte filosofie della storia, sempre destinate al fallimento.
Riferimenti bibliografici
- I. Asimov. 1979. Passato e futuro (1975), Milano: Siad Edizioni.
- M. Ciardi. 2021. Saremo ancora gli stessi nelle colonie spaziali?, in «Limes. Rivista Italiana di Geopolitica», n. 12, (“Lo spazio serve a farci la guerra”), pp. 151-156.
- M. Ciardi. 2022. Benvenuti ad Atlantide. Passato e futuro di una città senza luogo, Roma: Carocci.
- A. Clarke. 1965. Le nuove frontiere del possibile (1962), Milano: Rizzoli.
- F. Hahn. 1994. Le previsioni dell’economia, in L. Howe, A. Wain, Predire il futuro. Dall’oracolo al computer (1993), Dedalo: Bari, pp. 71-87.
- T. Kuhn. 1985. Tradizioni matematiche e tradizioni sperimentali nello sviluppo delle scienze fisiche, in La tensione essenziale (1977), Torino: Einaudi, pp. 37-74.
- L. Magalotti. 1976. Saggi di naturali esperienze (1666), a cura di T. Poggi Salani, Milano: Longanesi.
- P. Rossi. 1997. La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari-Laterza.