Cosi' si toglie... il malocchio

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  • 28-03-2001
  • di Lodovico Marchetti

Negli anni 50 ero un ragazzino e come la maggior parte dei miei coetanei ero un po' "patito e smunto", che in parole povere significa che stavo passando quella fase dell'infanzia in cui molti bambini sono disappetenti, il corpo non ha ancora sviluppato i muscoli e il poco grasso viene consumato dal continuo movimento fatto per giocare, il tutto dà l'impressione di scarsa nutrizione e soprattutto che ci sia qualcosa che non va. È una fase abbastanza comune nell'infanzia, ma certamente non lo è per la madre del bambino, per lei il figlio non è comune ma sempre unico.

Comprensibile, dunque, che a mia madre non bastassero le rassicurazioni del medico che diceva che era tutto normale: lei mi vedeva dimagrire di giorno in giorno.

Fu così che assieme ai suggerimenti della nonna e delle zie premurose, mia madre formulò una diagnosi certa: io avevo il... malocchio!

Il "malocchio", mi fu spiegato, era una forma di malattia che poteva essere contratta da persone e animali di tutte le età e di ogni ceto sociale, ma in quegli anni le statistiche suggerivano che il male era molto più frequente nei ceti poveri... Generalmente il contagio avveniva tramite le persone gelose e invidiose. (Mi resta tuttora difficile trovare la causa che poteva scatenare invidia e gelosia nei miei confronti).

Per diagnosticare con certezza inconfutabile che la malattia era in atto, bisognava rivolgersi a una persona particolarmente dotata e che conoscesse alla perfezione i dovuti riti magici. In ogni paese, c'è sempre una persona capace di conoscere questi riti e che possiede le facoltà richieste.

Per avere conferma della diagnosi, anch'io fui portato da una sensitiva; era una vecchietta molto tranquilla, naturalmente nata come settima figlia, (chissà perché il settimo figlio o figlia possiedono capacità particolari rispetto agli altri?). Appena entrati in casa la vecchietta parlò un po' di nascosto con mia madre poi cominciò subito "l'analisi".

Tutto si svolgeva in cucina, la finestra e la porta erano chiuse e l'unica luce nella stanza era una candela che io tenevo sulla testa.

La Luvà, così si chiamava la vecchietta, era padrona della scena, io e le altre persone che mi accompagnavano eravamo attentissimi, con il fiato sospeso, a osservare cosa combinava.

Ella prese un piatto da minestra, vi mise dentro un po' d'acqua e dopo avere pronunciato parole strane (ma convincenti) tuffò la punta del dito indice in una ciotolina di olio e ne fece cadere una goccia nel piatto: dopo qualche attimo di assoluto silenzio, alzò gli occhi verso di noi esclamando: "Accidenti se ce l'ha, ha persino la coda!"

A questo punto la diagnosi era confermata dall'analisi perciò si doveva procedere alla cura che iniziò all'istante, senza perdere un attimo di tempo. Questa consisteva nel pronunciare parole magiche, mentre la sensitiva faceva movimenti strani con la candela che precedentemente io tenevo sulla testa.

A magia fatta si passò a una successiva analisi, del tutto simile alla precedente per verificare con certezza che la guarigione fosse avvenuta, tutto questo perché a volte occorre più di un trattamento per debellare la malattia. Io fui fortunato e al primo tentativo ero già guarito; rimanemmo d'accordo che sarei tornato dalla Luvà in caso di recidiva.

Nel frattempo mia madre fu tranquillizzata e anche il mio medico fu informato che ero guarito.

Gli anni passarono e quando arrivai alla ventina ripensai alla vecchietta che toglieva il malocchio, allora dovevo essere in grado di capire il meccanismo del piatto, perché nel frattempo ero diventato illusionista professionista; di trucchi e meccanismi di questo genere ne conoscevo tantissimi e inoltre studiavo fisica.

Scartai subito che ci fosse una frode volontaria perché la vecchietta non prendeva denaro e faceva quelle cose con convinzione sconcertante. Il problema da risolvere era: la goccia d'olio che cade nel piatto con l'acqua a volte si spande in tutta la superficie scomparendo, a volte invece cade e resta goccia senza espandersi (l'interpretazione cambia a seconda del sensitivo e l'usanza del paese in cui si trova). Come si spiega tutto ciò?

Ebbene, non fu una cosa facile risolvere l'enigma.

Dopo aver provato con vari tipi di olio da cucina con contagocce metallici caricati elettricamente e non; dopo essermi collegato con armature equipotenziali, fuori e dentro la gabbia di Faraday, ecc. insomma, dopo averle provate tutte non ero arrivato a nessuna conclusione.

Il problema si risolse per caso, quando cambiai l'acqua del piatto sciacquandolo con acqua calda invece che con acqua fredda, riscontrai che quando il piatto era ben pulito e sgrassato la goccia d'olio si espandeva, mentre se pulito superficialmente, anche se sciacquato, la goccia non si spandeva più.

Riuscii così a tirare le mie conclusioni e a capire che il "malocchio" esisteva in funzione di come la sensitiva aveva lavato i piatti e di quello che aveva mangiato il giorno prima.

Naturalmente, le prove che ho fatto si possono ripetere, constatando che il segreto sta proprio nel mantenimento della tensione superficiale del velo d'acqua; con tutto questo niente rimproveri per la Signora Luvà, vittima anch'ella del suo stesso rito: con il suo carisma e la sua fede riusciva a tranquillizzare molte persone e soprattutto riuscì a togliermi il malocchio!

Lodovico Marchettj

 

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