L’astrologia è una pratica con sorprendenti capacità di trasformazione ed adattamento: come argomento scientifico riuscì a sopravvivere per un poco anche al terremoto portato dalla teoria eliocentrica di Copernico e dalle scoperte al telescopio di Galileo. Il suo declino fu lento perché, anche se il modello teorico entrò in crisi, quello operativo non ne risentì. Keplero pensò che l’astrologia potesse essere riformata, e nella seconda metà del Seicento un certo numero di astrologi cercano di adeguare la loro arte alla nuova scienza sperimentale. Ancora nel Settecento – in pieno Illuminismo – l’astrologia ebbe una debole sopravvivenza residuale nel campo della medicina e della meteorologia. In seguito, come scienza, l’astrologia fu completamente screditata e sopravvisse prevalentemente negli almanacchi popolari. Ma già a fine Ottocento fu recuperata dall’occultismo e, nel secolo successivo, prima dagli studi sulla simbologia e il mito nella storia dell’arte e poi dal pensiero junghiano. Il tutto confluì nel pensiero della New Age, in cui l’astrologia ha un suo ruolo accanto ad altre discipline alternative e una valenza millenaristica. Come scienza legittima, però, non riuscì più a risollevarsi. Per secoli fu considerata irrilevante e lasciata da parte da astronomi e scienziati, oppure combattuta con armi retoriche. Sorprendentemente, solo nell’ultimo secolo sono stati messi a punto una serie di studi che hanno dimostrato «scientificamente» che l’astrologia non è una scienza. Ma forse è stata fatica sprecata: le ragioni del successo di questa pratica non sono unicamente logico-razionali e non si misurano in termini di efficacia. Ne consegue che possiamo classificare tra i «facili indovini» coloro che hanno pronosticato che questa pseudoscienza resterà tra noi ancora a lungo.
|