Che l’omeopatia non sia altro che un costoso placebo, non è più da mettere in discussione. Ma cosa sappiamo di quei medici che l’omeopatia la prescrivono?
In un recente studio pubblicato sul Journal of the Royal Society of Medicine, il ricercatore dell’Università di Oxford e divulgatore scientifico Ben Goldacre ha analizzato la professionalità dei medici della Gran Bretagna che prescrivono prodotti omeopatici, valutando sicurezza, efficacia e costo dei farmaci non omeopatici prescritti.
I dati utilizzati sono stati raccolti grazie alla piattaforma “OpenPrescribing.net”, che contiene tutte le prescrizioni di farmaci rilasciate all’interno del sistema sanitario nazionale britannico. In un’analisi multi-variata, Goldacre e il suo team di ricerca hanno confrontato i dati relativi ai medici che avevano prescritto prodotti omeopatici tra Dicembre 2016 e Maggio 2017, con i dati di coloro che non ne avevano prescritto alcuno. I risultati? I medici che ricorrono alla prescrizione di prodotti omeopatici, anche se raramente, mostrano una prestazione clinica generale di livello inferiore.
Come vi è venuta l’idea di indagare una possibile correlazione tra la prescrizione di farmaci omeopatici e una prestazione clinica di livello inferiore?
Con il mio team di ricerca a Oxford studiamo molto i processi decisionali che portano alle varie prescrizioni dei medici. Siamo interessati a capire come mai alcuni rispondano in maniera rapida e adeguata a nuovi dati circa efficacia e rischio dei farmaci, mentre altri no. Ho pensato allora che quei medici che son pronti a compiere lo straordinario passo di prescrivere pastiglie omeopatiche fatte di zucchero potessero essere diversi dai loro pari, che potessero avere nei confronti della medicina basata sulle prove scientifiche un livello di rispetto inferiore in maniera più generale.
La Food and Drug Administration (FDA) americana ha recentemente proposto un nuovo approccio nei confronti dei prodotti etichettati come “omeopatici” basato sulla valutazione del rischio, in quanto «l’industria farmacologica è cresciuta e abbiamo bisogno di gestire meglio quelle situazioni in cui farmaci omeopatici vengono prodotti e venduti per malattie e condizioni cliniche gravi, laddove però non hanno mostrato di offrire nessun reale beneficio». E come scrive nel suo studio, anche il servizio sanitario nazionale inglese ha di recente affermato che non ci dovrebbe essere nessuna nuova prescrizione di prodotti omeopatici e dovrebbero essere annullate quelle già rilasciate. Quale pensa che sia il ruolo di una regolamentazione ufficiale dell’omeopatia nell’influenzare l’opinione pubblica?
Non penso che l’omeopatia dovrebbe essere vietata in assoluto. Ma i servizi sanitari e le agenzie di regolamentazione dovrebbero pensare attentamente al messaggio che mandano a medici e pazienti nel momento in cui accettano l’uso di pillole magiche fatte di zucchero. Dobbiamo rispettare la necessità di prove scientifiche. Ovviamente, io non mi occupo solo di bufale: sono anche molto critico nei confronti di tutte quelle scorciatoie cognitive che usiamo quando ci confrontiamo con le prove dei prodotti farmaceutici, degli interventi della sanità pubblica, dei talking treatments, e così via. Ora, con le bufale, si vedono spesso le agenzie di regolamentazione che piegano le regole o per ragioni politiche perché qualche politico approva qualche tipo specifico di bufala, o perché sanno che quella bufala è particolarmente diffusa tra i pazienti. Questo è pericoloso ma anche interessante, in quanto osserviamo una simile pressione politica anche sulla regolamentazione e sul rimborso dei farmaci non omeopatici. Per esempio, il governo inglese ha creato un curioso “fondo per farmaci antitumorali” così da poter superare le consuete regole circa la necessità di prove scientifiche d’efficacia del prodotto e la valutazione del rapporto costi-benefici quando si paga per trattamenti anti-tumorali. Quindi la distorsione delle pratiche basate sulle prove che si vede nelle bufale è solo uno degli esempi più evidenti di un fenomeno che è in realtà più ampio.
Nella discussione dello studio, scrivi che anche un basso numero di prescrizioni di farmaci omeopatici è associato con una prestazione medica peggiore. Tuttavia, è improbabile che ci sia una relazione causale diretta; è più probabile che sia un riflesso di caratteristiche sottostanti più profonde e più difficili da individuare e misurare, come il livello di rispetto nei confronti della medicina basata su prove scientifiche. Inoltre, l’uso personale dell’omeopatia tra i medici ha una forte associazione con la pratica omeopatica. A tuo parere, perché i medici fanno ricorso a farmaci omeopatici? Verrebbe spontaneo pensare che una formazione in medicina possa fungere da fattore di protezione da questo tipo di bufale.
È assurdo, ma questa è un'area di ricerca poco studiata. Mentre gli omeopati buttano via i loro soldi cercando di dimostrare che l'omeopatia “funziona”, noi non stiamo facendo abbastanza sul perché i medici a volte sentano il bisogno di prescrivere un placebo come una pillola di zucchero. Sospetto che l’omeopatia sia spesso l'ultima risorsa, con pazienti che i medici considerano “difficili”. Ma dare una pillola può essere molto deprimente e “medicalizzante” quando lo si fa per provare a gestire una serie complessa di problemi sociali e personali con cui un paziente si presenta.
Anche se il consumo globale è in effetti leggermente diminuito negli ultimi anni, i prodotti omeopatici vengono ancora prescritti e venduti. Come comunicatori e debunker, ci chiediamo cosa possiamo fare e cosa possiamo fare meglio. Qual è la tua opinione sull’argomento? Cosa pensi che dovrebbe essere fatto e da chi?
Personalmente, non sono sicuro di voler impedire l’uso dell’omeopatia. Penso che sia più interessante che terribile. Il fatto che così tanti pazienti e medici siano disposti a usare queste pillole di zucchero-placebo è affascinante: ci dice molto sul modo in cui le prove vengono utilizzate nella società e nella cultura popolare, e sul lavoro che dobbiamo fare per ottenere una vera prova scientifica in molti campi diversi, che si tratti di medicina, politica sociale, istruzione o altro ancora.
In un recente studio pubblicato sul Journal of the Royal Society of Medicine, il ricercatore dell’Università di Oxford e divulgatore scientifico Ben Goldacre ha analizzato la professionalità dei medici della Gran Bretagna che prescrivono prodotti omeopatici, valutando sicurezza, efficacia e costo dei farmaci non omeopatici prescritti.
I dati utilizzati sono stati raccolti grazie alla piattaforma “OpenPrescribing.net”, che contiene tutte le prescrizioni di farmaci rilasciate all’interno del sistema sanitario nazionale britannico. In un’analisi multi-variata, Goldacre e il suo team di ricerca hanno confrontato i dati relativi ai medici che avevano prescritto prodotti omeopatici tra Dicembre 2016 e Maggio 2017, con i dati di coloro che non ne avevano prescritto alcuno. I risultati? I medici che ricorrono alla prescrizione di prodotti omeopatici, anche se raramente, mostrano una prestazione clinica generale di livello inferiore.
Come vi è venuta l’idea di indagare una possibile correlazione tra la prescrizione di farmaci omeopatici e una prestazione clinica di livello inferiore?
Con il mio team di ricerca a Oxford studiamo molto i processi decisionali che portano alle varie prescrizioni dei medici. Siamo interessati a capire come mai alcuni rispondano in maniera rapida e adeguata a nuovi dati circa efficacia e rischio dei farmaci, mentre altri no. Ho pensato allora che quei medici che son pronti a compiere lo straordinario passo di prescrivere pastiglie omeopatiche fatte di zucchero potessero essere diversi dai loro pari, che potessero avere nei confronti della medicina basata sulle prove scientifiche un livello di rispetto inferiore in maniera più generale.
La Food and Drug Administration (FDA) americana ha recentemente proposto un nuovo approccio nei confronti dei prodotti etichettati come “omeopatici” basato sulla valutazione del rischio, in quanto «l’industria farmacologica è cresciuta e abbiamo bisogno di gestire meglio quelle situazioni in cui farmaci omeopatici vengono prodotti e venduti per malattie e condizioni cliniche gravi, laddove però non hanno mostrato di offrire nessun reale beneficio». E come scrive nel suo studio, anche il servizio sanitario nazionale inglese ha di recente affermato che non ci dovrebbe essere nessuna nuova prescrizione di prodotti omeopatici e dovrebbero essere annullate quelle già rilasciate. Quale pensa che sia il ruolo di una regolamentazione ufficiale dell’omeopatia nell’influenzare l’opinione pubblica?
Non penso che l’omeopatia dovrebbe essere vietata in assoluto. Ma i servizi sanitari e le agenzie di regolamentazione dovrebbero pensare attentamente al messaggio che mandano a medici e pazienti nel momento in cui accettano l’uso di pillole magiche fatte di zucchero. Dobbiamo rispettare la necessità di prove scientifiche. Ovviamente, io non mi occupo solo di bufale: sono anche molto critico nei confronti di tutte quelle scorciatoie cognitive che usiamo quando ci confrontiamo con le prove dei prodotti farmaceutici, degli interventi della sanità pubblica, dei talking treatments, e così via. Ora, con le bufale, si vedono spesso le agenzie di regolamentazione che piegano le regole o per ragioni politiche perché qualche politico approva qualche tipo specifico di bufala, o perché sanno che quella bufala è particolarmente diffusa tra i pazienti. Questo è pericoloso ma anche interessante, in quanto osserviamo una simile pressione politica anche sulla regolamentazione e sul rimborso dei farmaci non omeopatici. Per esempio, il governo inglese ha creato un curioso “fondo per farmaci antitumorali” così da poter superare le consuete regole circa la necessità di prove scientifiche d’efficacia del prodotto e la valutazione del rapporto costi-benefici quando si paga per trattamenti anti-tumorali. Quindi la distorsione delle pratiche basate sulle prove che si vede nelle bufale è solo uno degli esempi più evidenti di un fenomeno che è in realtà più ampio.
Nella discussione dello studio, scrivi che anche un basso numero di prescrizioni di farmaci omeopatici è associato con una prestazione medica peggiore. Tuttavia, è improbabile che ci sia una relazione causale diretta; è più probabile che sia un riflesso di caratteristiche sottostanti più profonde e più difficili da individuare e misurare, come il livello di rispetto nei confronti della medicina basata su prove scientifiche. Inoltre, l’uso personale dell’omeopatia tra i medici ha una forte associazione con la pratica omeopatica. A tuo parere, perché i medici fanno ricorso a farmaci omeopatici? Verrebbe spontaneo pensare che una formazione in medicina possa fungere da fattore di protezione da questo tipo di bufale.
È assurdo, ma questa è un'area di ricerca poco studiata. Mentre gli omeopati buttano via i loro soldi cercando di dimostrare che l'omeopatia “funziona”, noi non stiamo facendo abbastanza sul perché i medici a volte sentano il bisogno di prescrivere un placebo come una pillola di zucchero. Sospetto che l’omeopatia sia spesso l'ultima risorsa, con pazienti che i medici considerano “difficili”. Ma dare una pillola può essere molto deprimente e “medicalizzante” quando lo si fa per provare a gestire una serie complessa di problemi sociali e personali con cui un paziente si presenta.
Anche se il consumo globale è in effetti leggermente diminuito negli ultimi anni, i prodotti omeopatici vengono ancora prescritti e venduti. Come comunicatori e debunker, ci chiediamo cosa possiamo fare e cosa possiamo fare meglio. Qual è la tua opinione sull’argomento? Cosa pensi che dovrebbe essere fatto e da chi?
Personalmente, non sono sicuro di voler impedire l’uso dell’omeopatia. Penso che sia più interessante che terribile. Il fatto che così tanti pazienti e medici siano disposti a usare queste pillole di zucchero-placebo è affascinante: ci dice molto sul modo in cui le prove vengono utilizzate nella società e nella cultura popolare, e sul lavoro che dobbiamo fare per ottenere una vera prova scientifica in molti campi diversi, che si tratti di medicina, politica sociale, istruzione o altro ancora.