Così si leggono le espressioni non verbali

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«Lei vede ma non osserva. Qui sta la differenza tra me e lei». Così diceva Sherlock Holmes, l’infallibile detective creato da Sir Arthur Conan Doyle, ogni volta che sbalordiva il povero Dr. Watson grazie alle sue notevoli capacità osservative.

Oppure prendiamo il dottor Cal Lightman, interpretato da Tim Roth, l’esperto capace di smascherare i bugiardi scrutandone il viso, protagonista della serie “Lie to me” ispirata all’attività dello psicologo Paul Ekman.

Si tratta di abilità romanzesche, tecniche riservate agli specialisti oppure è possibile sfruttare certe conoscenze anche nella vita di tutti i giorni?

L’abilità di osservare e vedere qualcosa cui solitamente non si presta attenzione, in effetti, è una qualità che molti trascurano, ma che con la pratica è possibile recuperare.

Prendiamo il linguaggio del corpo. Già negli anni ‘50 del secolo scorso, le ricerche dimostravano che l’impatto complessivo di un messaggio è per il 7% verbale (soltanto le parole), per il 38% vocale (compresi tono di voce, inflessione e altri suoni) e per il 55% non verbale.

“Come” si dicono le cose, rispetto a “che cosa” si dice, è dunque un elemento fondamentale della comunicazione tra due persone. Eppure, pochissimi sono consapevoli delle posture, dei movimenti o dei gesti propri o di chi ci sta di fronte quando parliamo. E poiché il linguaggio del corpo è il riflesso dello stato emozionale di una persona, ogni gesto o movimento può essere importante per capire che cosa prova davvero una persona in un dato momento. Anche se a parole sta dicendo l’esatto contrario.

Paul Ekman, professore emerito di Psicologia all’Università della California a San Francisco, è divenuto un’autorità nello studio della psicologia delle emozioni e della comunicazione non verbale. Dopo avere raccolto migliaia di immagini si è reso conto che le espressioni del nostro volto rispondono a un doppio controllo. Il primo è involontario e automatico, risponde ai sentimenti più autentici, mentre il secondo è dato dalla nostra capacità di nascondere le espressioni autentiche sostituendole con manifestazioni artefatte. Tuttavia, secondo Ekman, i tentativi di dissimulazione sono riconoscibili, prevedibili e disseminati di indizi che il cacciatore di menzogne attento può cogliere.

Allan e Barbara Pease, marito e moglie, sono due psicoterapeuti australiani esperti di comunicazione e linguaggio del corpo, autori di un testo dal titolo quanto mai esplicito: “Perché mentiamo con gli occhi e ci vergogniamo con i piedi” (Sonzogno). «Un uomo consapevole di avere messo su peso giocherella spesso con il suo doppio mento» spiegano i Pease. «Una donna che sa di avere qualche chilo di troppo sulle cosce tende a lisciarsi il vestito. Chi ha paura o si sente sulle difensive incrocia sovente le gambe o le braccia, o entrambe; un uomo che discorra con una donna dal seno prosperoso evita consciamente di guardarglielo ma, nello stesso tempo, compie gesti inconsulti con le mani, come se volesse toccarglielo. Per potere interpretare il linguaggio del corpo, è fondamentale cogliere lo stato emozionale di chi ci sta di fronte mentre si ascolta quanto ha da dire e osservare le circostanze in cui lo dice. In tal modo si riescono a distinguere i fatti da eventuali menzogne, la realtà dalla fantasia».

Le tre regole


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Ci sono tre regole da seguire per capire se quello che vediamo e sentiamo rispecchia i veri sentimenti di qualcuno:

1) Innanzitutto, occorre valutare i gesti nell’insieme: una persona che si gratta la testa può denotare diffidenza... oppure ha un problema di forfora. Solo quando il singolo gesto è accompagnato da altri, è possibile trarre conclusioni corrette. Per esempio, il tipico gesto di “valutazione critica”, utilizzato quando non siamo convinti di quello che sentiamo, è la mano sul viso, con l’indice sulla guancia, il medio sulla bocca e il pollice a sostegno del mento. Altri segnali che dovrebbero comparire insieme a questo per corroborare tale atteggiamento sono rappresentati dalle gambe strettamente incrociate, dal braccio al petto (segno difensivo) e dalla testa e dal mento abbassati (ostilità).

2) Bisogna prestare attenzione alla coerenza: se dopo avere parlato chiedessimo all’interlocutore del punto 1 un parere e questi rispondesse di non convenire con noi, la sua gestualità sarebbe coerente con il messaggio verbale. Se invece affermasse di essere d’accordo, con molta probabilità mentirebbe. È interessante notare che, quando c’è discordanza tra segnali verbali e non verbali, le donne ignorano il messaggio verbale.

3) Occorre leggere i gesti nel contesto: una persona che in una fredda giornata invernale se ne sta seduta con le braccia e le gambe strettamente incrociate e il mento chino, avrà freddo più che dimostrare un atteggiamento difensivo. Se però fosse seduto a un tavolo davanti a noi mentre cerchiamo di proporgli un’idea, significa quasi certamente che non apprezza o rifiuta l’idea.

Vediamo qualche altro esempio pratico che è possibile osservare nella vita di tutti i giorni.

Come valutare la schiettezza


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Quando un individuo vuole essere franco e onesto, tiene spesso uno o entrambi i palmi rivolti verso l’interlocutore ed esclama frasi quali: «Non sono stato io!», «Scusami se ti ho spaventato» oppure «Ti sto dicendo la verità». Come gran parte dei gesti corporei, si tratta di un gesto inconscio, che dà la sensazione che l’interlocutore dica il vero.

Quando un bambino mente o nasconde qualcosa, spesso tiene i palmi dietro la schiena. Allo stesso modo, un uomo che non vuole rivelare alla moglie dove abbia trascorso la serata con gli amici, se li caccia in tasca o tiene le braccia incrociate mentre le dà spiegazioni. Proprio da un atteggiamento di questo tipo lei può però dedurre che stia mentendo.

Una donna che tenta di nascondere qualcosa, invece, evita se possibile di parlarne o chiacchiera di tutta una serie di questioni diverse, svolgendo nel contempo varie attività.

Otto gesti indicativi di falsità


Ecco ora un piccolo prontuario che il cacciatore di menzogne può utilmente tenere a portata di mano. Se incontra qualcuno dei gesti sotto elencati, infatti, è bene che inizi a sospettare della sincerità del suo interlocutore.

1. La mano sulla bocca: la mano copre la bocca dato che il cervello le ordina inconsciamente di cercare di bloccare le parole menzognere che pronuncia.

2. Toccarsi il naso: si è scoperto che quando si mente si liberano catecolamine, sostanze che determinano gonfiore dei tessuti nasali interni, ciò crea una sorta di formicolio che induce la persona a grattarsi per placare il prurito.

3. E se prude davvero il naso? In un vero prurito il gesto è di solito isolato e ripetitivo, nonché incongruo o estraneo al tono generale della conversazione tenuta dal soggetto.

4. Stropicciarsi un occhio: quando un bambino non vuole vedere si copre gli occhi con una o entrambe le mani, quando un adulto non vuole guardare qualcosa di spiacevole si sfrega l’occhio. È il tentativo del cervello di non vedere l’inganno, il dubbio o la persona a cui mente.

5. Sfregarsi l’orecchio: un altro tentativo simbolico di “non sentire”, come il bambino che si tappa le orecchie per non ascoltare un rimprovero. Il gesto può indicare che la persona ha sentito abbastanza e forse desidera esprimere un’opinione.

6. Grattarsi il collo: grattarsi con l’indice sul collo, sotto l’orecchio, denota dubbio o incertezza; risulta palese quando il linguaggio verbale lo contraddice, come quando qualcuno dice: «Sono d’accordo con te» e intanto si gratta il collo.

7. Scostarsi il colletto: quando chi dichiara il falso ha il sospetto di non essere creduto, inizia a sudare sul collo in seguito all’aumento della pressione sanguigna.

8. Le dita in bocca: un tentativo inconscio di tornare alla sicurezza dell’infanzia, quando succhiavamo il latte materno, al quale ricorriamo quando ci sentiamo sotto pressione.

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La magia del sorriso


Un tempo le nonne dicevano ai nipotini di “fare un bel sorriso” quando incontravano qualcuno, intuendo che in questo modo i bambini avrebbero indotto una reazione positiva nell’interlocutore. È però possibile capire quando un sorriso è autentico e quando è falso.

«Dato che è un gesto disarmante» spiegano i Pease «molti presumono, per errore, che sia tipico dei bugiardi. Gli studi hanno dimostrato che, quando qualcuno dice deliberatamente il falso, sorride meno del solito, soprattutto se è un uomo. I bugiardi infatti sanno che la gente associa di solito la menzogna al sorriso, ragion per cui si controllano in tal senso. Il sorriso di un bugiardo compare più in fretta di uno autentico, però, e resta stampato sul volto più a lungo, come una specie di maschera».

Segnali di corteggiamento


Scuotere la testa e gettarsi indietro i capelli sono di solito i primi gesti che una donna fa in presenza di un uomo che trova attraente. Intrecciare le gambe, dondolare una scarpa sulla punta del piede o tenere una gamba flessa sotto l’altra indicano rilassamento e attirano l’attenzione dell’uomo sulle gambe.

Anche camminare o stare sedute con il polso rilassato è un segnale di sottomissione che piace molto agli uomini che, così, si credono in una posizione di dominio.

Al contrario, i gesti maschili di corteggiamento si basano su dimostrazioni di potere, ricchezza e status. «In realtà» dicono i Pease «al confronto con quelli femminili che sono tanti, i segnali maschili di corteggiamento sono pochissimi. Se una donna si veste in modo sensuale, si trucca e usa una serie di gesti appositi, l’uomo manda su di giri il motore dell’auto, si vanta di quanto guadagna e sfida gli eventuali concorrenti. La donna, insomma, conosce molte più tecniche e strategie di conquista di quelle che un uomo possa mai sperare di imparare».

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Come sostenere un colloquio


Ci sono alcune regole da tenere presenti quando ci si trova a dovere sostenere un colloquio di lavoro. Stando agli esperti, una persona si forma buona parte dell’opinione sull’interlocutore nei primi quattro minuti dell’incontro. Dunque, ecco che cosa fare per non sbagliare.

«L’entrata è fondamentale» dicono i Pease. «Non restate sulla soglia e procedete spediti. Fate in modo che l’incaricato capisca che siete abituati a comportarvi con sicurezza». Stringete la mano con la stessa forza dell’interlocutore: non troppo forte o potreste sembrare arroganti. Durante il colloquio usate il nome dell’interlocutore un paio di volte e non parlate per più di 30 secondi alla volta.

«Rispettate lo spazio personale dell’altro» continuano i Pease. «Questo sarà maggiore nei primi minuti dell’incontro. Se vi avvicinate troppo, l’interlocutore arretrerà o userà gesti ripetitivi come tamburellare le dita».

Quando arriva il momento di andarvene raccogliete con calma le vostre cose, se potete stringete la mano, voltatevi e uscite. Se dopo il vostro ingresso la porta è stata chiusa, richiudetela.

«Non trascurate l’uscita» dicono i Pease. «Quando ve ne andate da una stanza siete sempre osservati, perciò se siete un uomo assicuratevi di avere la parte posteriore delle scarpe ben pulita: è una zona che molti trascurano e che le donne osservano con aria critica. Quando una donna intende andarsene, punta il piede verso la porta e inizia a sistemarsi la parte posteriore del vestito e i capelli, in modo da fare una buona impressione. Attenzione, un uomo squadrerà sempre il sedere di una donna che esce da una stanza. Quando arrivate alla porta, voltatevi lentamente e sorridete: è molto meglio che ricordino il vostro sorriso piuttosto che il vostro sedere».

Tecniche a prova di bugiardo


In un’inchiesta di qualche tempo fa pubblicata sul New Scientist, in cui si cercava di fare il punto sui più recenti studi di psicologia sull’argomento menzogna, si concludeva che: «È impossibile rendere più nervoso chi mente, ma è semplice porre quelle domande a cui è più difficile rispondere se si sta mentendo». È l’idea che sta alla base della tecnica ideata da Aldert Vrij, psicologo dell’Università di Portsmouth, secondo cui un trucco per smascherare un bugiardo è chiedergli di raccontare la medesima storia sospetta al contrario.

È un compito decisamente più difficile se l’avvenimento che si racconta è inventato, mentre chi lo ha vissuto realmente avrà meno difficoltà. Un altro sistema è quello di chiedere al sospetto bugiardo di disegnare la scena: chi mente di solito non bada ai dettagli spaziali. Infine, un’altra strategia, è quella di indagare sui dettagli temporali, chiedendo più volte una cronologia esatta dei fatti, magari inserendo qualche tranello apposta.

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Occhio a non illudersi


Detto questo, è importante non farsi illusioni. Non basta acquistare e studiare “I volti della menzogna”, il libro in cui Paul Ekman illustra gli indizi dell’inganno e le tecniche per smascherarli, per diventare degli emuli di Cal Lightman.

«Non c’è un modo garantito per stabilire se un soggetto mente, come spiega anche Ekman», dice lo psichiatra e criminologo Massimo Picozzi, «non ci sono comportamenti tipici associati alla menzogna, e non tutti i bugiardi mostrano lo stesso comportamento nella stessa situazione».

Dunque, se nella vita di tutti i giorni è possibile intuire se il nostro interlocutore è sincero o nasconde qualcosa, un discorso diverso meritano le indagini di polizia, che richiedono l’impiego di esperti specializzati.

«Se confidare nel Dna non sempre permette di risolvere un caso», conclude Picozzi, «un errore ancor più grossolano sarebbe illudersi d’avere capito tutto ascoltando e guardando. La verità, se mai la si raggiunge, è un mosaico di tanti elementi raccolti in molti modi diversi. E se nessuno si sognerebbe di vantarsi esperto di laboratorio senza una preparazione specifica, troppi credono di poter dire qualcosa di sensato sui volti della menzogna solo perché hanno praticato un po’ di psicologia. Riconoscere le menzogne è un lavoro da professionisti».
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