Lo scorso 4 maggio, all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM) si è tenuto il convegno “L’atomo inesplorato”, nel corso del quale il presidente dell’INRIM, Alberto Carpinteri, con Fabio Cardone, un tecnico dell’Istituto per lo Studio dei Materiali del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha presentato una nuova forma di “fissione fredda”.
In una serie di articoli apparsi fra il 2009 e il 2011, Carpinteri e collaboratori affermano di aver scoperto che, durante la frattura sotto una pressa di blocchi di granito di Lucerna, possono essere rivelati sciami di circa una ventina di neutroni. Oltre a due serie di misure d’emissioni, relative a due e sette blocchi di granito[1], sono state pubblicate misure di composizione chimica, fatte utilizzando uno strumento a fluorescenza a raggi X, sulla superficie fratturata e all’interno del blocco, che mostrano un calo nel contenuto degli ioni del ferro e un aumento di quelli dell’alluminio. Ne hanno quindi dedotto che, durante la frattura, sia avvenuta una reazione nucleare con la scissione di un atomo di ferro in due di alluminio con conseguenti speculazioni su tutta una serie di processi che secondo gli autori avverrebbero nella crosta terrestre, e che ne “spiegherebbero” la relativa abbondanza di alluminio[2].
L’approccio teorico e sperimentale è stato, sia in via formale sia informale, ripetutamente criticato, essenzialmente perché la reazione indicata non produce, ma richiede, una gran quantità di energia, che non può essere fornita solo dalla compressione. Sono quindi necessarie misure estremamente affidabili con l’esclusione di ogni altra possibile causa di quanto si ritiene di aver osservato. Spallone et al. hanno ad esempio suggerito che i neutroni osservati potrebbero essere causati da vibrazioni, o emissioni elettromagnetiche (dovute alla piezoelettricità del granito[3]). Non esistono comunque misurazioni indipendenti di questo effetto, nonostante affermazioni in senso contrario di Cardone[4].
Altre critiche arrivano all’articolo sulla trasmutazione del ferro in alluminio. Considerando le quantità misurate di questi metalli, se l’effetto fosse stato causato da una trasmutazione, dovrebbero essere coinvolti almeno cento milioni di milioni di atomi, con corrispondente emissione di altrettanti neutroni. Ci si chiede quindi come sia possibile aver rivelato, con un rivelatore posto a dieci centimetri, solamente qualche decina di neutroni. E soprattutto come sia possibile che gli sperimentatori siano ancora vivi, nonostante la radiazione ricevuta. A questo gli autori rispondono che l’emissione sarebbe fortemente direzionale, e che hanno avuto fortuna. Fortuna nuovamente tentata ripetendo l’esperimento davanti alle telecamere nella sala affollata del convegno di maggio.
Alcuni ricercatori dell’INRIM hanno poi pubblicato un articolo evidenziando evidenti anomalie nelle misure di composizione chimica del granito. Diversi punti, infatti, mostrano la stessa composizione chimica, di tutti gli elementi, fino alla quarta cifra. Siccome l’errore intrinseco dello strumento è intorno all’uno per cento, e il granito presenta spesso forti disomogeneità, la cosa ha dell’incredibile: quei dati non possono essere il risultato di misure fatte con quello strumento[5]. La spiegazione fornita, che le misure identiche sarebbero state fatte negli stessi punti, non risolve la questione.
Nei mesi scorsi, insieme con Marco Prevedelli, abbiamo invece esaminato l’articolo sull’emissione di neutroni, trovandovi appariscenti incongruenze. La prima serie di misure indica un numero frazionario di neutroni rivelati: il secondo blocco, in particolare, avrebbe emesso 17,3 neutroni. Anche le misure di fondo sono “assurde”: il contatore per buona parte delle misure rileva un flusso, sorprendentemente costante, di circa 2,7 conteggi per ogni intervallo di misura. Non solo un numero frazionario di particelle, quindi, ma anche una regolarità che non è possibile per un fenomeno casuale come un’emissione radioattiva. La seconda serie di misure presenta invece sempre un numero intero di neutroni. I problemi riguardano la durata delle misure: i neutroni sono contati in un intervallo di un minuto, ma per due blocchi sono riportate venticinque misure per un’osservazione durata circa sei minuti[6].
La questione rimane quindi aperta. Al di là di come saranno spiegate le incongruenze nei dati, è interessante capire come sia possibile che articoli che mostrano dati ripetuti, numeri frazionari di conteggi di particelle, o grafici con quattro volte i punti sperimentali che si dichiara aver misurato, possano passare il vaglio dei referee di una rivista scientifica.
Nel frattempo in una petizione firmata da oltre mille scienziati, inclusi alcuni Nobel, si afferma che il piezonucleare «si colloca al di fuori della tradizione del metodo scientifico e rischia di gettare discredito sull’intero sistema della ricerca italiana», mentre i ricercatori dell’INRIM, con una mozione di sfiducia firmata quasi all’unanimità, hanno preso le distanze dal loro direttore.
In una serie di articoli apparsi fra il 2009 e il 2011, Carpinteri e collaboratori affermano di aver scoperto che, durante la frattura sotto una pressa di blocchi di granito di Lucerna, possono essere rivelati sciami di circa una ventina di neutroni. Oltre a due serie di misure d’emissioni, relative a due e sette blocchi di granito[1], sono state pubblicate misure di composizione chimica, fatte utilizzando uno strumento a fluorescenza a raggi X, sulla superficie fratturata e all’interno del blocco, che mostrano un calo nel contenuto degli ioni del ferro e un aumento di quelli dell’alluminio. Ne hanno quindi dedotto che, durante la frattura, sia avvenuta una reazione nucleare con la scissione di un atomo di ferro in due di alluminio con conseguenti speculazioni su tutta una serie di processi che secondo gli autori avverrebbero nella crosta terrestre, e che ne “spiegherebbero” la relativa abbondanza di alluminio[2].
L’approccio teorico e sperimentale è stato, sia in via formale sia informale, ripetutamente criticato, essenzialmente perché la reazione indicata non produce, ma richiede, una gran quantità di energia, che non può essere fornita solo dalla compressione. Sono quindi necessarie misure estremamente affidabili con l’esclusione di ogni altra possibile causa di quanto si ritiene di aver osservato. Spallone et al. hanno ad esempio suggerito che i neutroni osservati potrebbero essere causati da vibrazioni, o emissioni elettromagnetiche (dovute alla piezoelettricità del granito[3]). Non esistono comunque misurazioni indipendenti di questo effetto, nonostante affermazioni in senso contrario di Cardone[4].
Altre critiche arrivano all’articolo sulla trasmutazione del ferro in alluminio. Considerando le quantità misurate di questi metalli, se l’effetto fosse stato causato da una trasmutazione, dovrebbero essere coinvolti almeno cento milioni di milioni di atomi, con corrispondente emissione di altrettanti neutroni. Ci si chiede quindi come sia possibile aver rivelato, con un rivelatore posto a dieci centimetri, solamente qualche decina di neutroni. E soprattutto come sia possibile che gli sperimentatori siano ancora vivi, nonostante la radiazione ricevuta. A questo gli autori rispondono che l’emissione sarebbe fortemente direzionale, e che hanno avuto fortuna. Fortuna nuovamente tentata ripetendo l’esperimento davanti alle telecamere nella sala affollata del convegno di maggio.
Alcuni ricercatori dell’INRIM hanno poi pubblicato un articolo evidenziando evidenti anomalie nelle misure di composizione chimica del granito. Diversi punti, infatti, mostrano la stessa composizione chimica, di tutti gli elementi, fino alla quarta cifra. Siccome l’errore intrinseco dello strumento è intorno all’uno per cento, e il granito presenta spesso forti disomogeneità, la cosa ha dell’incredibile: quei dati non possono essere il risultato di misure fatte con quello strumento[5]. La spiegazione fornita, che le misure identiche sarebbero state fatte negli stessi punti, non risolve la questione.
Nei mesi scorsi, insieme con Marco Prevedelli, abbiamo invece esaminato l’articolo sull’emissione di neutroni, trovandovi appariscenti incongruenze. La prima serie di misure indica un numero frazionario di neutroni rivelati: il secondo blocco, in particolare, avrebbe emesso 17,3 neutroni. Anche le misure di fondo sono “assurde”: il contatore per buona parte delle misure rileva un flusso, sorprendentemente costante, di circa 2,7 conteggi per ogni intervallo di misura. Non solo un numero frazionario di particelle, quindi, ma anche una regolarità che non è possibile per un fenomeno casuale come un’emissione radioattiva. La seconda serie di misure presenta invece sempre un numero intero di neutroni. I problemi riguardano la durata delle misure: i neutroni sono contati in un intervallo di un minuto, ma per due blocchi sono riportate venticinque misure per un’osservazione durata circa sei minuti[6].
La questione rimane quindi aperta. Al di là di come saranno spiegate le incongruenze nei dati, è interessante capire come sia possibile che articoli che mostrano dati ripetuti, numeri frazionari di conteggi di particelle, o grafici con quattro volte i punti sperimentali che si dichiara aver misurato, possano passare il vaglio dei referee di una rivista scientifica.
Nel frattempo in una petizione firmata da oltre mille scienziati, inclusi alcuni Nobel, si afferma che il piezonucleare «si colloca al di fuori della tradizione del metodo scientifico e rischia di gettare discredito sull’intero sistema della ricerca italiana», mentre i ricercatori dell’INRIM, con una mozione di sfiducia firmata quasi all’unanimità, hanno preso le distanze dal loro direttore.
Note
1) Cardone, F., Carpinteri, A., Lacidogna, G. 2009. “Piezonuclear neutrons from fracturing of inert solids”. Physics Letters A (373) 45: pp. 4158–4163. DOI: 10.1016/j.physleta.2009.09.026; Carpinteri, A. et al. 2010. “Neutron emissions in brittle rocks during compression tests: Monotonic vs. cyclic loading”. Physical Mesomechanics (13) 5-6: pp. 268-274. DOI: 10.1016/j.physme.2010.11.007
2) Carpinteri, A et al. 2011. “Compositional and Microchemical Evidence of Piezonuclear Fission Reactions in Rock Specimens Subjected to Compression Tests”. Strain (47) suppl. 2: pp. 282-292. DOI: 10.1111/j.1475-1305.2010.00767.x; Carpinteri, A., Manuello, A. 2011. “Geomechanical and Geochemical Evidence of Piezonuclear Fission Reactions in the Earth’s Crust”. Strain (47) suppl. 2: pp. 267-281. DOI: 10.1111/j.1475-1305.2010.00766.x
3) Spallone, A., Calamai, O., Tripodi, P. 2010. «Remarks on “Piezonuclear neutrons from fracturing of inert solids”». Physics Letters A (374) 38: pp. 3957–3959. DOI: 10.1016/j.physleta.2010.07.064
5) Amato, G. et al. 2012. «Comment on “Compositional and Microchemical Evidence of Piezonuclear Fission Reactions in Rock Specimens Subjected to Compression Tests” [Strain 47 (Suppl. 2), 282 (2011)]» disponibile all’url http://arxiv.org/abs/1205.6418 (replica di Carpinteri disponibile all’url http://arxiv.org/abs/1207.0112 )
6) Comoretto, G., Prevedelli, M. 2012. «Remarks on “Piezonuclear neutrons from fracturing of inert solids”» disponibile all’url http://arxiv.org/abs/1206.1863