Nel 1994 appare su un numero de Il Nuovo Cimento un articolo a firma S. Focardi, R. Habel, F. Piantelli (delle Università di Firenze e di Siena) dal titolo Anomalous heat production in Ni-H systems. Nonostante la prudenza del titolo, si tratta di una fenomenologia connessa, più o meno direttamente, con la Fusione Fredda, che tanti entusiasmi e tante controversie aveva suscitato qualche anno prima. Il dispositivo sperimentale è in sostanza una cella d'acciaio contenente una sbarretta di nichel, riscaldabile da un avvolgimento percorso da corrente, in atmosfera di idrogeno a pressione variabile e controllata. Diverse termocoppie consentono misure di temperatura in vari punti della sbarretta e della cella. In sintesi si tratta di verificare se la potenza introdotta nella cella dal riscaldatore uguaglia quella ivi dissipata e dedotta dalla lettura delle temperature. Il controllo della pressione consente anche di determinare l'entità dell'assorbimento dell'idrogeno nel nichel.
Ebbene, gli autori conclamano di aver rilevato un eccesso di potenza dissipata pari a 39 Watt per 278 giorni, con un totale di 600 Megajoule di energia, evidentemente prodotta in qualche modo nell'interno della cella. Quale l'origine di questo surplus?
Non convenzionale, sostengono gli autori, e probabilmente nucleare, anche se non da fusione, vista l'assenza di deuterio nella cella. E a confortare questa ipotesi ci sarebbero tre elementi: 1) l'emissione di raggi gamma rivelata da contatori a Ioduro di Sodio e al Germanio, 2) l'emissione di neutroni rivelata dall'attivazione di una lamina d'oro, 3) l'esame della sbarretta estratta dalla cella che rivela modifiche morfologiche e la comparsa di elementi radioattivi.
Come si vede, non si tratterebbe né di fusione né di fissione, ma di reazioni nucleari chimicamente assistite: comunque clamorose, visto che le energie atomiche sono nell'ordine di elettronvolt, mentre quelle nucleari dell'ordine di… megaelettronvolt!
Negli ultimi anni Novanta un gruppo di ricercatori e tecnici dei Dipartimenti Fisici dell'Università di Pavia, grazie a un modesto ma sufficiente finanziamento FAR, ha voluto ripetere acriticamente le misure dei colleghi di Firenze e Siena accogliendone tutti i suggerimenti (anche quelli dettati solamente dallo scrupolo di voler mantenere invariate tutte le condizioni) e con una strumentazione quasi identica e comunque con loro concordata.
Le misure, quasi completamente automatizzate, sono durate mesi e hanno prodotto anche un'apprezzata tesi di laurea. Purtroppo non siamo stati in grado di riprodurre alcun risultato dei citati colleghi ma, si sa, nello studio di fenomeni sconosciuti, ancorché esistenti, le conferme e le smentite non hanno lo stesso valore veritativo.
La nostra stima nei colleghi di Firenze e di Siena è rimasta naturalmente immutata.
Adalberto Piazzoli
Fisico, Università degli Studi di Pavia,
Vicepresidente del CICAP
Ebbene, gli autori conclamano di aver rilevato un eccesso di potenza dissipata pari a 39 Watt per 278 giorni, con un totale di 600 Megajoule di energia, evidentemente prodotta in qualche modo nell'interno della cella. Quale l'origine di questo surplus?
Non convenzionale, sostengono gli autori, e probabilmente nucleare, anche se non da fusione, vista l'assenza di deuterio nella cella. E a confortare questa ipotesi ci sarebbero tre elementi: 1) l'emissione di raggi gamma rivelata da contatori a Ioduro di Sodio e al Germanio, 2) l'emissione di neutroni rivelata dall'attivazione di una lamina d'oro, 3) l'esame della sbarretta estratta dalla cella che rivela modifiche morfologiche e la comparsa di elementi radioattivi.
Come si vede, non si tratterebbe né di fusione né di fissione, ma di reazioni nucleari chimicamente assistite: comunque clamorose, visto che le energie atomiche sono nell'ordine di elettronvolt, mentre quelle nucleari dell'ordine di… megaelettronvolt!
Negli ultimi anni Novanta un gruppo di ricercatori e tecnici dei Dipartimenti Fisici dell'Università di Pavia, grazie a un modesto ma sufficiente finanziamento FAR, ha voluto ripetere acriticamente le misure dei colleghi di Firenze e Siena accogliendone tutti i suggerimenti (anche quelli dettati solamente dallo scrupolo di voler mantenere invariate tutte le condizioni) e con una strumentazione quasi identica e comunque con loro concordata.
Le misure, quasi completamente automatizzate, sono durate mesi e hanno prodotto anche un'apprezzata tesi di laurea. Purtroppo non siamo stati in grado di riprodurre alcun risultato dei citati colleghi ma, si sa, nello studio di fenomeni sconosciuti, ancorché esistenti, le conferme e le smentite non hanno lo stesso valore veritativo.
La nostra stima nei colleghi di Firenze e di Siena è rimasta naturalmente immutata.
Adalberto Piazzoli
Fisico, Università degli Studi di Pavia,
Vicepresidente del CICAP