Nel 1986 Nadean Cool, un'infermiera del Wisconsin, si rivolse a uno psichiatra perché la aiutasse a superare un evento traumatico occorso alla figlia. Nel corso della terapia, lo psichiatra utilizzò l'ipnosi e altre tecniche di suggestione per riportare alla luce ricordi sepolti di presunti abusi subiti dalla stessa Cool. L'infermiera fu indotta a convincersi di aver represso il ricordo di aver partecipato a un culto satanico, di aver mangiato neonati, di essere stata violentata, di aver avuto rapporti sessuali con animali e di essere stata costretta ad assistere all'assassinio di un amico di otto anni. Arrivò a credere di avere più di 120 personalità: bambini, adulti, angeli e perfino un'anatra - e tutto questo perché, le venne detto, aveva subìto durante l'infanzia gravi abusi sessuali e fisici. Lo "psichiatra" la sottopose anche a esorcismi, uno dei quali, della durata di cinque ore, prevedeva spruzzi di acqua santa e ingiunzioni a Satana perché abbandonasse il corpo della Cool.
Quando, infine, si rese conto che le erano stati inculcati ricordi falsi, Nadean Cool citò in giudizio lo psichiatra per pratiche illecite. Nel marzo 1997, dopo cinque settimane di processo, ottenne dalla Corte un risarcimento pari a circa quattro miliardi di lire.
Nadean Cool non è l'unica paziente che abbia sviluppato falsi ricordi in seguito a discutibili terapie. Nel 1992, nel Missouri, un consigliere spirituale aiutò Beth Rutherford a ricordare, nel corso di una "terapia", che suo padre, un ecclesiastico, l'aveva violentata con regolarità tra i 7 e i 14 anni e che sua madre a volte lo aiutava tenendola ferma. La Rutherford "ricordò" che suo padre l'aveva messa incinta due volte, obbligandola poi ad abortire da sola con il gancio di un appendiabiti. Quando le accuse furono rese pubbliche, il padre fu costretto a dimettersi. Ma un successivo esame medico rivelò che Beth era ancora vergine a 22 anni, quindi non poteva mai essere rimasta incinta. Il terapeuta venne denunciato e nel 1996 dovette pagare un milione di dollari di risarcimento.
Circa un anno prima, due giurie avevano condannato uno psichiatra del Minnesota accusato di aver impiantato falsi ricordi in due ex pazienti, Vynnette Hamanne ed Elizabeth Carlson, che, sotto ipnosi e con la somministrazione di barbiturici, erano arrivate a ricordare orribili abusi da parte di membri della famiglia. Le giurie riconobbero un risarcimento di oltre quattro miliardi di lire a ciascuna paziente.
In tutti i casi citati, nel corso della terapia le donne avevano sviluppato il ricordo di abusi subìti nell'infanzia, dei quali avevano successivamente negato l'autenticità. Come si può stabilire se un simile ricordo è vero o falso? Senza elementi corroboranti, è molto difficile distinguere tra ricordi veri e falsi. In questi casi, alcuni ricordi erano in contrasto con dati di fatto, come la memoria esplicita e dettagliata di stupri e aborti quando l'esame medico confermava la verginità. Come è possibile che le persone elaborino e prestino fede a falsi ricordi? Un numero sempre maggiore di ricerche dimostra che, in determinate condizioni, non è difficile instillare falsi ricordi in certe persone. Le mie ricerche sulle distorsioni della memoria risalgono ai primi anni Settanta, quando iniziai a studiare l'"effetto disinformazione". Questi studi dimostrano che, quando le persone che sono testimoni di un evento vengono esposte successivamente a nuove e ingannevoli informazioni, i loro ricordi risultano spesso distorti. In un esempio, i partecipanti osservavano la simulazione di un incidente automobilistico a un incrocio con segnale di stop. Dopo l'osservazione, a metà dei partecipanti veniva suggerito che il segnale di stop fosse un segnale di precedenza. Alla successiva richiesta di indicare di quale segnale stradale si trattasse, quelli a cui era stato dato il suggerimento tendevano ad affermare di aver visto un segnale di precedenza.
Più di 200 esperimenti che ho condotto con i miei studenti, coinvolgendo oltre 20.000 individui, documentano le distorsioni della memoria indotte dalla disinformazione. In questi studi, le persone "ricordavano" un granaio in bella vista in un paesaggio bucolico che in realtà non conteneva alcuna costruzione, o inesistenti vetri rotti e registratori in altre scene, un veicolo bianco invece che azzurro sulla scena di un crimine, Minnie invece di Topolino. Nel loro complesso, questi studi dimostrano che la disinformazione può cambiare i ricordi di un individuo in modi prevedibili e a volte molto efficaci. La disinformazione può invadere i nostri ricordi quando parliamo ad altri, quando veniamo interrogati in modo suggestivo, quando leggiamo giornali o vediamo fotografie relative a qualche evento a cui abbiamo noi stessi assistito. Dopo più di due decenni di studi sul potere della disinformazione, sono stati ormai raccolti molti elementi su ciò che spinge le persone a modificare i propri ricordi; questo avviene facilmente, per esempio, quando il passar del tempo rende vaga la memoria originale.
Un conto, però, è cambiare un dettaglio o due in un ricordo altrimenti integro; tutt'altra cosa è indurre il falso ricordo di un evento mai accaduto. Per studiare i falsi ricordi, io e i miei allievi dovevamo innanzitutto trovare il modo per impiantare uno pseudoricordo che non provocasse un inopportuno stress emotivo nei soggetti, sia nella fase della sua creazione sia nel momento in cui rivelavamo di averli intenzionalmente ingannati. D'altra parte, eravamo interessati a cercare di instillare un ricordo che avesse una valenza almeno parzialmente traumatica nel caso l'evento fosse realmente accaduto.
Insieme alla mia collega Jacqueline E. Pickrell, decisi di provare a impiantare il ricordo di uno smarrimento in un centro commerciale o in un grande magazzino all'età di cinque anni. Ecco come procedemmo. Chiedemmo ai nostri 24 soggetti, di età compresa tra i 18 e i 53 anni, di cercare di ricordare eventi della loro infanzia raccontati loro dai genitori, da un fratello o una sorella maggiore o da un altro stretto parente. Per ogni partecipante preparammo un libretto che conteneva brevissimi resoconti di tre eventi realmente accaduti e di uno che non era avvenuto. Costruimmo il falso evento usando informazioni fornite da un parente relative a una plausibile uscita per spese; ovviamente i parenti garantivano che il soggetto non fosse stato effettivamente smarrito all'età di cinque anni. Lo scenario includeva i seguenti elementi: smarrimento per un tempo prolungato, pianto, aiuto e conforto da parte di un'anziana signora e, infine, ricongiungimento con la famiglia.
Dopo aver letto ciascuna storia sul libretto, i partecipanti scrivevano che cosa ricordavano su quell'evento.
Se non avevano alcun ricordo, avevano l'istruzione di scrivere "Non ricordo questo fatto". In due successive interviste, dicevamo ai partecipanti che eravamo interessate alla quantità di dettagli che riuscivano a ricordare e a un confronto tra i loro ricordi e quelli dei loro parenti. I paragrafi relativi all'evento non venivano letti parola per parola, ma ne venivano fornite parti come fossero suggerimenti. I partecipanti ricordavano circa 49 dei 72 eventi reali (il 68 per cento) immediatamente dopo la prima lettura del libretto e anche in ciascuna delle due successive interviste. Dopo aver letto il libretto, 7 dei 24 partecipanti (il 29 per cento) ricordavano parzialmente o totalmente l'evento falso costruito per loro, e nelle due interviste successive sei partecipanti (il 25 per cento) continuarono a sostenere di ricordarlo. Statisticamente si potevano rilevare differenze tra i ricordi veri e quelli falsi: i partecipanti utilizzavano un numero maggiore di parole per descrivere i ricordi veri, che venivano anche indicati come più chiari. Ma, se un osservatore esterno avesse sentito molti dei nostri partecipanti descrivere un evento, gli sarebbe risultato difficile stabilire se il racconto fosse relativo a un ricordo vero o falso.
L'esperienza di perdersi ha, naturalmente, un impatto emotivo, ma certo non paragonabile a quello di subire abusi. D'altra parte, il nostro non era uno studio sulla reale esperienza dello smarrimento, ma sulla creazione del falso ricordo di uno smarrimento. Esso indica un modo per instillare falsi ricordi e ci consente di capire un po' meglio come ciò possa avvenire in situazioni reali. Inoltre, lo studio dimostra che molte persone possono essere portate a ricordare in modi diversi il proprio passato e perfino indotte a "ricordare" interi eventi che non sono mai accaduti.
Studi condotti in altri laboratori con procedure sperimentali analoghe hanno dato risultati simili. Per esempio, Ira Hyman, Troy H. Husband e F. James Billing della Westem Washington University hanno chiesto a studenti universitari di richiamare alla mente esperienze infantili raccontate dai genitori. Agli studenti veniva detto che lo studio riguardava il differente modo di ricordare le stesse esperienze da parte di persone diverse. Oltre agli eventi reali raccontati dai genitori, a ciascun partecipante veniva fornito un evento falso - un ricovero notturno in ospedale per una forte febbre e una possibile infezione all'orecchio o una festa di compleanno con pizza e un clown - che si sarebbe verificato a cinque anni. Anche in questo caso i parenti assicuravano che nessuno dei due eventi aveva avuto realmente luogo.
Hyman constatò che gli studenti ricordavano totalmente o parzialmente l'84 per cento degli eventi reali nella prima intervista e l'88 per cento nella seconda. Nessuno dei partecipanti rammentò l'evento falso nella prima intervista, ma nella seconda il 20 per cento affermò di ricordare qualcosa in merito. Un partecipante a cui era stato raccontato l'episodio del ricovero in ospedale ricordò in seguito un dottore, un'infermiera e un amico che era venuto a trovarlo in ospedale.
In un altro studio, Hyman presentò, insieme a eventi realmente accaduti, altri avvenimenti falsi come aver rovesciato una zuppiera di punch addosso ai genitori della sposa a un ricevimento nuziale o aver dovuto fuggire da un negozio per l'erronea attivazione del sistema antincendio. Anche questa volta, nessuno dei partecipanti ricordava l'evento falso nel corso della prima intervista, ma il 18 per cento ricordava qualcosa nella seconda e il 25 per cento nella terza. Durante la prima intervista, per esempio, uno dei partecipanti dichiarò, a proposito dell'episodio:
La scoperta che un suggerimento esterno può portare alla costruzione di falsi ricordi infantili ci aiuta a capire il processo generale attraverso cui nascono i falsi ricordi. Viene spontaneo chiedersi se la ricerca sia applicabile a situazioni reali quali un interrogatorio da parte di rappresentanti della legge o una psicoterapia. Anche se, forse, non è prassi abituale sottoporre i soggetti a forti pressioni suggestive nel corso di interrogatori di polizia o di una terapia, lo stimolo suggestivo può a volte presentarsi sotto forma di esercizio d'immaginazione. Per esempio, al fine di ottenere una confessione i poliziotti possono chiedere a un sospetto di immaginare la partecipazione a un crimine. Alcuni psicoterapeuti incoraggiano i pazienti a immaginare eventi dell'infanzia per riportare alla luce possibili ricordi nascosti.
Indagini su psicologi clinici rivelano che l'11 per cento invita i propri clienti a "dar sfogo all'immaginazione" e il 22 per cento a "lasciar libero corso all'immaginazione". La terapeuta Wendy Maltz, autrice di un popolare libro sugli abusi sessuali nell'infanzia, sostiene di rivolgersi al paziente dicendo:
L'uso crescente di questi esercizi di immaginazione ha portato me e diversi colleghi a chiederci quali possano esserne le conseguenze. Che cosa avviene quando una persona immagina esperienze infantili che non si sono verificate? Immaginare un evento infantile aumenta la convinzione che esso sia realmente accaduto? Per rispondere a queste domande, abbiamo ideato un procedimento diviso in tre fasi. Innanzitutto chiedevamo agli individui di indicare la probabilità che certi eventi fossero accaduti nella loro infanzia. L'elenco era costituito da 40 eventi, ciascuno da collocare su una scala che andava da "sicuramente non avvenuto" a "sicuramente avvenuto". Due settimane dopo chiedevamo ai partecipanti di immaginare che alcuni di quegli eventi si fossero verificati. A soggetti differenti veniva chiesto di immaginare eventi diversi. Qualche tempo dopo, i partecipanti dovevano rispondere nuovamente alla lista originale di 40 eventi infantili, indicando la probabilità che fossero realmente accaduti.
Prendiamo in esame uno degli esercizi. Ai partecipanti veniva detto di immaginare di stare giocando in casa dopo la scuola, di sentire all'esterno uno strano rumore, di precipitarsi a una finestra, di inciampare, cadere, allungare una mano e rompere il vetro. Inoltre ponevamo ai partecipanti domande come: «Su che cosa siete inciampati? Come vi siete sentiti?». In uno studio, il 24 per cento dei partecipanti che avevano immaginato la scena della finestra rotta manifestava in seguito una maggiore convinzione che quell'evento si fosse realmente verificato, contro il 12 per cento di quelli a cui non era stato chiesto di immaginare l'incidente. Osservammo questo effetto di "dilatazione dell'immaginazione" in ciascuno degli otto eventi che chiedemmo di immaginare. Viene alla mente un gran numero di possibili spiegazioni: una ovvia è che un atto di immaginazione renda un evento più familiare e che tale familiarità venga erroneamente associata ai ricordi infantili anziché all'atto di immaginazione. Questa confusione di origine - ossia, il non ricordare la fonte di un'informazione - può risultare particolarmente acuta per le esperienze infantili lontane.
Alcuni studi di Lyn Goff e Henry L. Roediger III dell'università di Washington che vertevano su esperienze recenti anziché infantili permettono di collegare più direttamente le azioni immaginate alla costruzione del falso ricordo. Nel corso della seduta iniziale, i ricercatori invitavano i partecipanti a compiere un'azione stabilita, a immaginare di compierla o solo ad ascoltarne l'enunciazione senza fare nulla. Le azioni erano semplici: picchiare sul tavolo, sollevare una cucitrice, rompere uno stuzzicadenti, incrociare le dita, ruotare gli occhi. Nella seconda seduta, ai soggetti veniva chiesto di immaginare alcune delle azioni che non avevano eseguito in precedenza. Durante la seduta finale, rispondevano a domande su quali azioni avessero effettivamente compiuto nella seduta iniziale. I ricercatori trovarono che quante più volte i partecipanti avevano immaginato un'azione non compiuta, tanto più probabile era che ricordassero di averla compiuta.
È quanto mai improbabile che un adulto sia in grado di rievocare ricordi reali di episodi avvenuti nei primi anni di vita, in quanto l'ippocampo, che svolge un ruolo chiave nella creazione dei ricordi, non ha ancora raggiunto una maturazione sufficiente a formare e immagazzinare ricordi a lungo termine che si possano poi ritrovare in età adulta. Il defunto Nicholas Spanos e collaboratori della Carleton University hanno sviluppato un metodo per impiantare ricordi "impossibili" di esperienze avvenute poco dopo la nascita. I soggetti sono portati a convincersi di avere una buona coordinazione dei movimenti oculari ed elevate capacità di esplorazione visiva perché sarebbero nati in ospedali in cui venivano appesi oggetti colorati oscillanti sopra i lettini dei neonati. Per confermare l'esperienza, metà dei partecipanti veniva ipnotizzata, facendola regredire nel tempo fino al giorno successivo alla nascita, e veniva chiesto loro che cosa ricordassero. L'altra metà del gruppo partecipava a una sessione di "ristrutturazione mnemonica guidata", una tecnica che prevede il regresso nel tempo e l'incoraggiamento attivo per "ricreare" le esperienze infantili immaginandole.
Spanos e collaboratori trovarono che la grande maggioranza dei loro soggetti era sensibile a queste procedure di creazione di ricordi. Sia i partecipanti ipnotizzati sia quelli guidati raccontavano ricordi neonatali. Sorprendentemente, la suscettibilità era maggiore nel gruppo guidato che in quello ipnotizzato (95 contro 70 per cento). Entrambi i gruppi, in percentuale relativamente alta (il 56 per cento dei soggetti del gruppo guidato e il 46 per cento degli ipnotizzati), ricordavano gli oggetti colorati in movimento. Molti di quanti non avevano quel ricordo ricordavano altre cose, come dottori, infermiere, luci intense, lettini e maschere. In entrambi i gruppi, il 49 per cento di coloro che riportavano ricordi infantili riteneva che si trattasse di ricordi reali, mentre il 16 per cento affermava che si trattava di semplici fantasie. Questi risultati confermano precedenti studi secondo cui molti individui possono essere portati, con una procedura piuttosto semplice, a costruire falsi ricordi complessi, vividi e dettagliati. Chiaramente, l'ipnosi non è necessaria.
Nello studio con la storia dello smarrimento, l'impianto del falso ricordo si aveva quando un'altra persona, di solito un membro della famiglia, sosteneva che l'incidente era effettivamente avvenuto. La conferma di un evento da parte di un'altra persona può essere una tecnica potente per instillare un falso ricordo. In effetti, la semplice affermazione di aver visto una persona fare qualcosa di sospetto può portarla a una falsa confessione.
Questo effetto è stato dimostrato da una ricerca di Saul M. Kassin e colleghi dello Williams College, i quali studiarono le reazioni di individui falsamente accusati di aver danneggiato un calcolatore premendo il tasto sbagliato. Gli innocenti partecipanti all'inizio negavano l'accusa, ma quando un complice affermava di averli visti compiere quell'azione, molti partecipanti confessavano, interiorizzavano la colpa e proseguivano elencando dettagli compatibili con quella convinzione. Questi risultati dimostrano che una falsa prova incriminante può indurre certe persone ad accettare la responsabilità di un crimine non commesso, e perfino a sviluppare ricordi per confermare quella convinzione di colpevolezza.
Le ricerche iniziano a farci capire il modo in cui negli adulti si crea il falso ricordo di esperienze complete, cariche di coinvolgimento emotivo. La causa principale è la pressione sociale perché il soggetto ricordi; ciò accade quando i partecipanti a uno studio vengono stimolati perché arrivino a ricordare. In secondo luogo, si può esplicitamente incoraggiare la costruzione di ricordi attraverso l'immaginazione, quando i soggetti hanno problemi a ricordare. Infine, gli individui possono essere incoraggiati a non farsi domande sulla realtà o meno delle loro costruzioni. La creazione di falsi ricordi è più probabile quando siano presenti questi fattori esterni, in una situazione sperimentale, in una seduta terapeutica o durante le attività quotidiane. I falsi ricordi sono costruiti combinando ricordi reali con il contenuto di suggestioni ricevute da altri. In questo processo, i soggetti possono dimenticare la fonte dell'informazione: è un classico esempio di confusione in cui contenuto e sorgente possono dissociarsi.
Naturalmente, il fatto che si possano impiantare falsi ricordi infantili in alcuni individui non implica in alcun modo che tutti i ricordi che affiorano con la suggestione siano necessariamente falsi. Detto in altri termini, sebbene il lavoro sperimentale sulla creazione di falsi ricordi possa sollevare dubbi sulla validità di ricordi sepolti da tempo, come quello di un trauma ripetuto, tuttavia non la nega. Senza elementi di conferma, anche la persona di maggiore esperienza può fare poco per distinguere i ricordi veri da quelli impiantati attraverso la suggestione.
I meccanismi esatti attraverso cui si costruiscono i falsi ricordi aspettano ulteriori ricerche. Avremo ancora molto da imparare sul grado di affidabilità e sulle caratteristiche dei falsi ricordi creati in questo modo, e dobbiamo scoprire quali tipi di persone siano particolarmente esposte a queste forme di suggestione e chi invece sia resistente.
Mentre il nostro lavoro prosegue, è importante che si tenga conto dell'avvertimento contenuto nei dati che abbiamo già ottenuto: gli psicoterapeuti devono essere chiaramente consapevoli di quanto possano influenzare il ricordo di eventi e della necessità di andare cauti in situazioni in cui l'immaginazione venga usata per far riaffiorare possibili ricordi perduti.
Pubblicato su Le Scienze, n. 351, novembre 1997. Riprodotto per gentile concessione de Le Scienze.
Quando, infine, si rese conto che le erano stati inculcati ricordi falsi, Nadean Cool citò in giudizio lo psichiatra per pratiche illecite. Nel marzo 1997, dopo cinque settimane di processo, ottenne dalla Corte un risarcimento pari a circa quattro miliardi di lire.
Nadean Cool non è l'unica paziente che abbia sviluppato falsi ricordi in seguito a discutibili terapie. Nel 1992, nel Missouri, un consigliere spirituale aiutò Beth Rutherford a ricordare, nel corso di una "terapia", che suo padre, un ecclesiastico, l'aveva violentata con regolarità tra i 7 e i 14 anni e che sua madre a volte lo aiutava tenendola ferma. La Rutherford "ricordò" che suo padre l'aveva messa incinta due volte, obbligandola poi ad abortire da sola con il gancio di un appendiabiti. Quando le accuse furono rese pubbliche, il padre fu costretto a dimettersi. Ma un successivo esame medico rivelò che Beth era ancora vergine a 22 anni, quindi non poteva mai essere rimasta incinta. Il terapeuta venne denunciato e nel 1996 dovette pagare un milione di dollari di risarcimento.
Circa un anno prima, due giurie avevano condannato uno psichiatra del Minnesota accusato di aver impiantato falsi ricordi in due ex pazienti, Vynnette Hamanne ed Elizabeth Carlson, che, sotto ipnosi e con la somministrazione di barbiturici, erano arrivate a ricordare orribili abusi da parte di membri della famiglia. Le giurie riconobbero un risarcimento di oltre quattro miliardi di lire a ciascuna paziente.
In tutti i casi citati, nel corso della terapia le donne avevano sviluppato il ricordo di abusi subìti nell'infanzia, dei quali avevano successivamente negato l'autenticità. Come si può stabilire se un simile ricordo è vero o falso? Senza elementi corroboranti, è molto difficile distinguere tra ricordi veri e falsi. In questi casi, alcuni ricordi erano in contrasto con dati di fatto, come la memoria esplicita e dettagliata di stupri e aborti quando l'esame medico confermava la verginità. Come è possibile che le persone elaborino e prestino fede a falsi ricordi? Un numero sempre maggiore di ricerche dimostra che, in determinate condizioni, non è difficile instillare falsi ricordi in certe persone. Le mie ricerche sulle distorsioni della memoria risalgono ai primi anni Settanta, quando iniziai a studiare l'"effetto disinformazione". Questi studi dimostrano che, quando le persone che sono testimoni di un evento vengono esposte successivamente a nuove e ingannevoli informazioni, i loro ricordi risultano spesso distorti. In un esempio, i partecipanti osservavano la simulazione di un incidente automobilistico a un incrocio con segnale di stop. Dopo l'osservazione, a metà dei partecipanti veniva suggerito che il segnale di stop fosse un segnale di precedenza. Alla successiva richiesta di indicare di quale segnale stradale si trattasse, quelli a cui era stato dato il suggerimento tendevano ad affermare di aver visto un segnale di precedenza.
Più di 200 esperimenti che ho condotto con i miei studenti, coinvolgendo oltre 20.000 individui, documentano le distorsioni della memoria indotte dalla disinformazione. In questi studi, le persone "ricordavano" un granaio in bella vista in un paesaggio bucolico che in realtà non conteneva alcuna costruzione, o inesistenti vetri rotti e registratori in altre scene, un veicolo bianco invece che azzurro sulla scena di un crimine, Minnie invece di Topolino. Nel loro complesso, questi studi dimostrano che la disinformazione può cambiare i ricordi di un individuo in modi prevedibili e a volte molto efficaci. La disinformazione può invadere i nostri ricordi quando parliamo ad altri, quando veniamo interrogati in modo suggestivo, quando leggiamo giornali o vediamo fotografie relative a qualche evento a cui abbiamo noi stessi assistito. Dopo più di due decenni di studi sul potere della disinformazione, sono stati ormai raccolti molti elementi su ciò che spinge le persone a modificare i propri ricordi; questo avviene facilmente, per esempio, quando il passar del tempo rende vaga la memoria originale.
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Falsi ricordi infantili
Un conto, però, è cambiare un dettaglio o due in un ricordo altrimenti integro; tutt'altra cosa è indurre il falso ricordo di un evento mai accaduto. Per studiare i falsi ricordi, io e i miei allievi dovevamo innanzitutto trovare il modo per impiantare uno pseudoricordo che non provocasse un inopportuno stress emotivo nei soggetti, sia nella fase della sua creazione sia nel momento in cui rivelavamo di averli intenzionalmente ingannati. D'altra parte, eravamo interessati a cercare di instillare un ricordo che avesse una valenza almeno parzialmente traumatica nel caso l'evento fosse realmente accaduto.
Insieme alla mia collega Jacqueline E. Pickrell, decisi di provare a impiantare il ricordo di uno smarrimento in un centro commerciale o in un grande magazzino all'età di cinque anni. Ecco come procedemmo. Chiedemmo ai nostri 24 soggetti, di età compresa tra i 18 e i 53 anni, di cercare di ricordare eventi della loro infanzia raccontati loro dai genitori, da un fratello o una sorella maggiore o da un altro stretto parente. Per ogni partecipante preparammo un libretto che conteneva brevissimi resoconti di tre eventi realmente accaduti e di uno che non era avvenuto. Costruimmo il falso evento usando informazioni fornite da un parente relative a una plausibile uscita per spese; ovviamente i parenti garantivano che il soggetto non fosse stato effettivamente smarrito all'età di cinque anni. Lo scenario includeva i seguenti elementi: smarrimento per un tempo prolungato, pianto, aiuto e conforto da parte di un'anziana signora e, infine, ricongiungimento con la famiglia.
Dopo aver letto ciascuna storia sul libretto, i partecipanti scrivevano che cosa ricordavano su quell'evento.
Se non avevano alcun ricordo, avevano l'istruzione di scrivere "Non ricordo questo fatto". In due successive interviste, dicevamo ai partecipanti che eravamo interessate alla quantità di dettagli che riuscivano a ricordare e a un confronto tra i loro ricordi e quelli dei loro parenti. I paragrafi relativi all'evento non venivano letti parola per parola, ma ne venivano fornite parti come fossero suggerimenti. I partecipanti ricordavano circa 49 dei 72 eventi reali (il 68 per cento) immediatamente dopo la prima lettura del libretto e anche in ciascuna delle due successive interviste. Dopo aver letto il libretto, 7 dei 24 partecipanti (il 29 per cento) ricordavano parzialmente o totalmente l'evento falso costruito per loro, e nelle due interviste successive sei partecipanti (il 25 per cento) continuarono a sostenere di ricordarlo. Statisticamente si potevano rilevare differenze tra i ricordi veri e quelli falsi: i partecipanti utilizzavano un numero maggiore di parole per descrivere i ricordi veri, che venivano anche indicati come più chiari. Ma, se un osservatore esterno avesse sentito molti dei nostri partecipanti descrivere un evento, gli sarebbe risultato difficile stabilire se il racconto fosse relativo a un ricordo vero o falso.
L'esperienza di perdersi ha, naturalmente, un impatto emotivo, ma certo non paragonabile a quello di subire abusi. D'altra parte, il nostro non era uno studio sulla reale esperienza dello smarrimento, ma sulla creazione del falso ricordo di uno smarrimento. Esso indica un modo per instillare falsi ricordi e ci consente di capire un po' meglio come ciò possa avvenire in situazioni reali. Inoltre, lo studio dimostra che molte persone possono essere portate a ricordare in modi diversi il proprio passato e perfino indotte a "ricordare" interi eventi che non sono mai accaduti.
Studi condotti in altri laboratori con procedure sperimentali analoghe hanno dato risultati simili. Per esempio, Ira Hyman, Troy H. Husband e F. James Billing della Westem Washington University hanno chiesto a studenti universitari di richiamare alla mente esperienze infantili raccontate dai genitori. Agli studenti veniva detto che lo studio riguardava il differente modo di ricordare le stesse esperienze da parte di persone diverse. Oltre agli eventi reali raccontati dai genitori, a ciascun partecipante veniva fornito un evento falso - un ricovero notturno in ospedale per una forte febbre e una possibile infezione all'orecchio o una festa di compleanno con pizza e un clown - che si sarebbe verificato a cinque anni. Anche in questo caso i parenti assicuravano che nessuno dei due eventi aveva avuto realmente luogo.
Hyman constatò che gli studenti ricordavano totalmente o parzialmente l'84 per cento degli eventi reali nella prima intervista e l'88 per cento nella seconda. Nessuno dei partecipanti rammentò l'evento falso nella prima intervista, ma nella seconda il 20 per cento affermò di ricordare qualcosa in merito. Un partecipante a cui era stato raccontato l'episodio del ricovero in ospedale ricordò in seguito un dottore, un'infermiera e un amico che era venuto a trovarlo in ospedale.
In un altro studio, Hyman presentò, insieme a eventi realmente accaduti, altri avvenimenti falsi come aver rovesciato una zuppiera di punch addosso ai genitori della sposa a un ricevimento nuziale o aver dovuto fuggire da un negozio per l'erronea attivazione del sistema antincendio. Anche questa volta, nessuno dei partecipanti ricordava l'evento falso nel corso della prima intervista, ma il 18 per cento ricordava qualcosa nella seconda e il 25 per cento nella terza. Durante la prima intervista, per esempio, uno dei partecipanti dichiarò, a proposito dell'episodio:
Non so che cosa dire. È la prima volta che ne sento parlare.
Nella seconda intervista disse: Era un matrimonio all'aperto. Credo che stessimo correndo in giro, colpimmo la zuppiera del punch o qualcosa del genere, ci fu una grande confusione e ci prendemmo una sgridata.
L'immaginazione si dilata
La scoperta che un suggerimento esterno può portare alla costruzione di falsi ricordi infantili ci aiuta a capire il processo generale attraverso cui nascono i falsi ricordi. Viene spontaneo chiedersi se la ricerca sia applicabile a situazioni reali quali un interrogatorio da parte di rappresentanti della legge o una psicoterapia. Anche se, forse, non è prassi abituale sottoporre i soggetti a forti pressioni suggestive nel corso di interrogatori di polizia o di una terapia, lo stimolo suggestivo può a volte presentarsi sotto forma di esercizio d'immaginazione. Per esempio, al fine di ottenere una confessione i poliziotti possono chiedere a un sospetto di immaginare la partecipazione a un crimine. Alcuni psicoterapeuti incoraggiano i pazienti a immaginare eventi dell'infanzia per riportare alla luce possibili ricordi nascosti.
Indagini su psicologi clinici rivelano che l'11 per cento invita i propri clienti a "dar sfogo all'immaginazione" e il 22 per cento a "lasciar libero corso all'immaginazione". La terapeuta Wendy Maltz, autrice di un popolare libro sugli abusi sessuali nell'infanzia, sostiene di rivolgersi al paziente dicendo:
Dedichi del tempo a immaginare di aver subito un abuso sessuale, senza preoccuparsi della precisione, di dimostrare qualcosa o di dare un senso alle sue idee... Si ponga... queste domande: Che ora è? Dove si trova? All'interno o all'esterno? Che cosa sta accadendo? Ci sono una o più persone con lei?
Maltz raccomanda inoltre ai terapeuti di continuare a porre domande come: Chi avrebbero potuto essere i responsabili? In che periodo della sua vita è stato più vulnerabile all'abuso sessuale?
L'uso crescente di questi esercizi di immaginazione ha portato me e diversi colleghi a chiederci quali possano esserne le conseguenze. Che cosa avviene quando una persona immagina esperienze infantili che non si sono verificate? Immaginare un evento infantile aumenta la convinzione che esso sia realmente accaduto? Per rispondere a queste domande, abbiamo ideato un procedimento diviso in tre fasi. Innanzitutto chiedevamo agli individui di indicare la probabilità che certi eventi fossero accaduti nella loro infanzia. L'elenco era costituito da 40 eventi, ciascuno da collocare su una scala che andava da "sicuramente non avvenuto" a "sicuramente avvenuto". Due settimane dopo chiedevamo ai partecipanti di immaginare che alcuni di quegli eventi si fossero verificati. A soggetti differenti veniva chiesto di immaginare eventi diversi. Qualche tempo dopo, i partecipanti dovevano rispondere nuovamente alla lista originale di 40 eventi infantili, indicando la probabilità che fossero realmente accaduti.
Prendiamo in esame uno degli esercizi. Ai partecipanti veniva detto di immaginare di stare giocando in casa dopo la scuola, di sentire all'esterno uno strano rumore, di precipitarsi a una finestra, di inciampare, cadere, allungare una mano e rompere il vetro. Inoltre ponevamo ai partecipanti domande come: «Su che cosa siete inciampati? Come vi siete sentiti?». In uno studio, il 24 per cento dei partecipanti che avevano immaginato la scena della finestra rotta manifestava in seguito una maggiore convinzione che quell'evento si fosse realmente verificato, contro il 12 per cento di quelli a cui non era stato chiesto di immaginare l'incidente. Osservammo questo effetto di "dilatazione dell'immaginazione" in ciascuno degli otto eventi che chiedemmo di immaginare. Viene alla mente un gran numero di possibili spiegazioni: una ovvia è che un atto di immaginazione renda un evento più familiare e che tale familiarità venga erroneamente associata ai ricordi infantili anziché all'atto di immaginazione. Questa confusione di origine - ossia, il non ricordare la fonte di un'informazione - può risultare particolarmente acuta per le esperienze infantili lontane.
Alcuni studi di Lyn Goff e Henry L. Roediger III dell'università di Washington che vertevano su esperienze recenti anziché infantili permettono di collegare più direttamente le azioni immaginate alla costruzione del falso ricordo. Nel corso della seduta iniziale, i ricercatori invitavano i partecipanti a compiere un'azione stabilita, a immaginare di compierla o solo ad ascoltarne l'enunciazione senza fare nulla. Le azioni erano semplici: picchiare sul tavolo, sollevare una cucitrice, rompere uno stuzzicadenti, incrociare le dita, ruotare gli occhi. Nella seconda seduta, ai soggetti veniva chiesto di immaginare alcune delle azioni che non avevano eseguito in precedenza. Durante la seduta finale, rispondevano a domande su quali azioni avessero effettivamente compiuto nella seduta iniziale. I ricercatori trovarono che quante più volte i partecipanti avevano immaginato un'azione non compiuta, tanto più probabile era che ricordassero di averla compiuta.
Ricordi impossibili
È quanto mai improbabile che un adulto sia in grado di rievocare ricordi reali di episodi avvenuti nei primi anni di vita, in quanto l'ippocampo, che svolge un ruolo chiave nella creazione dei ricordi, non ha ancora raggiunto una maturazione sufficiente a formare e immagazzinare ricordi a lungo termine che si possano poi ritrovare in età adulta. Il defunto Nicholas Spanos e collaboratori della Carleton University hanno sviluppato un metodo per impiantare ricordi "impossibili" di esperienze avvenute poco dopo la nascita. I soggetti sono portati a convincersi di avere una buona coordinazione dei movimenti oculari ed elevate capacità di esplorazione visiva perché sarebbero nati in ospedali in cui venivano appesi oggetti colorati oscillanti sopra i lettini dei neonati. Per confermare l'esperienza, metà dei partecipanti veniva ipnotizzata, facendola regredire nel tempo fino al giorno successivo alla nascita, e veniva chiesto loro che cosa ricordassero. L'altra metà del gruppo partecipava a una sessione di "ristrutturazione mnemonica guidata", una tecnica che prevede il regresso nel tempo e l'incoraggiamento attivo per "ricreare" le esperienze infantili immaginandole.
Spanos e collaboratori trovarono che la grande maggioranza dei loro soggetti era sensibile a queste procedure di creazione di ricordi. Sia i partecipanti ipnotizzati sia quelli guidati raccontavano ricordi neonatali. Sorprendentemente, la suscettibilità era maggiore nel gruppo guidato che in quello ipnotizzato (95 contro 70 per cento). Entrambi i gruppi, in percentuale relativamente alta (il 56 per cento dei soggetti del gruppo guidato e il 46 per cento degli ipnotizzati), ricordavano gli oggetti colorati in movimento. Molti di quanti non avevano quel ricordo ricordavano altre cose, come dottori, infermiere, luci intense, lettini e maschere. In entrambi i gruppi, il 49 per cento di coloro che riportavano ricordi infantili riteneva che si trattasse di ricordi reali, mentre il 16 per cento affermava che si trattava di semplici fantasie. Questi risultati confermano precedenti studi secondo cui molti individui possono essere portati, con una procedura piuttosto semplice, a costruire falsi ricordi complessi, vividi e dettagliati. Chiaramente, l'ipnosi non è necessaria.
Come si formano i falsi ricordi
Nello studio con la storia dello smarrimento, l'impianto del falso ricordo si aveva quando un'altra persona, di solito un membro della famiglia, sosteneva che l'incidente era effettivamente avvenuto. La conferma di un evento da parte di un'altra persona può essere una tecnica potente per instillare un falso ricordo. In effetti, la semplice affermazione di aver visto una persona fare qualcosa di sospetto può portarla a una falsa confessione.
Questo effetto è stato dimostrato da una ricerca di Saul M. Kassin e colleghi dello Williams College, i quali studiarono le reazioni di individui falsamente accusati di aver danneggiato un calcolatore premendo il tasto sbagliato. Gli innocenti partecipanti all'inizio negavano l'accusa, ma quando un complice affermava di averli visti compiere quell'azione, molti partecipanti confessavano, interiorizzavano la colpa e proseguivano elencando dettagli compatibili con quella convinzione. Questi risultati dimostrano che una falsa prova incriminante può indurre certe persone ad accettare la responsabilità di un crimine non commesso, e perfino a sviluppare ricordi per confermare quella convinzione di colpevolezza.
Le ricerche iniziano a farci capire il modo in cui negli adulti si crea il falso ricordo di esperienze complete, cariche di coinvolgimento emotivo. La causa principale è la pressione sociale perché il soggetto ricordi; ciò accade quando i partecipanti a uno studio vengono stimolati perché arrivino a ricordare. In secondo luogo, si può esplicitamente incoraggiare la costruzione di ricordi attraverso l'immaginazione, quando i soggetti hanno problemi a ricordare. Infine, gli individui possono essere incoraggiati a non farsi domande sulla realtà o meno delle loro costruzioni. La creazione di falsi ricordi è più probabile quando siano presenti questi fattori esterni, in una situazione sperimentale, in una seduta terapeutica o durante le attività quotidiane. I falsi ricordi sono costruiti combinando ricordi reali con il contenuto di suggestioni ricevute da altri. In questo processo, i soggetti possono dimenticare la fonte dell'informazione: è un classico esempio di confusione in cui contenuto e sorgente possono dissociarsi.
Naturalmente, il fatto che si possano impiantare falsi ricordi infantili in alcuni individui non implica in alcun modo che tutti i ricordi che affiorano con la suggestione siano necessariamente falsi. Detto in altri termini, sebbene il lavoro sperimentale sulla creazione di falsi ricordi possa sollevare dubbi sulla validità di ricordi sepolti da tempo, come quello di un trauma ripetuto, tuttavia non la nega. Senza elementi di conferma, anche la persona di maggiore esperienza può fare poco per distinguere i ricordi veri da quelli impiantati attraverso la suggestione.
I meccanismi esatti attraverso cui si costruiscono i falsi ricordi aspettano ulteriori ricerche. Avremo ancora molto da imparare sul grado di affidabilità e sulle caratteristiche dei falsi ricordi creati in questo modo, e dobbiamo scoprire quali tipi di persone siano particolarmente esposte a queste forme di suggestione e chi invece sia resistente.
Mentre il nostro lavoro prosegue, è importante che si tenga conto dell'avvertimento contenuto nei dati che abbiamo già ottenuto: gli psicoterapeuti devono essere chiaramente consapevoli di quanto possano influenzare il ricordo di eventi e della necessità di andare cauti in situazioni in cui l'immaginazione venga usata per far riaffiorare possibili ricordi perduti.
Pubblicato su Le Scienze, n. 351, novembre 1997. Riprodotto per gentile concessione de Le Scienze.
Bibliografia
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