Alessandro Amadori, psicologo sperimentale, dal 1988 dirige il Dipartimento Ricerche Motivazionali dell’Istituto CIRM. Con lui cerchiamo di capire quanto un'accorta elaborazione semantica possa influenzare le opinioni di chi recepisce i messaggi. Inoltre sentiamo la sua opinione su quanto i cambiamenti che sono all'orizzonte nel modo di far politica nella nostra societa' mediatica possano influire su importanti decisioni relative a scienza e ricerca.
Un'accorta elaborazione semantica quanto e come può influenzare le opinioni?
Tutti gli studi scientifici sull'effetto della persuasione concordano nell'indicare che, costruendo opportunamente i messaggi e soprattutto erogandoli in modo continuativo, sino a superare una certa soglia di "massa critica", il comportamento collettivo può essere influenzato anche in misura significativa. Una buona rassegna degli studi sull'argomento è quella di Gary Cronkhite ("La persuasione", Angeli, Milano, 1989).
In questo testo si definisce con chiarezza che cos'è la persuasione (in termini di mezzi, effetti e dimensioni), si passano in rassegna sia le teorie retoriche che quelle psicologiche della persuasione, si espone il paradigma classico della persuasione proponendo il così detto "modello algebrico" per la valutazione dell'impatto dei messaggi, si parla della verifica della significatività degli effetti della persuasione e della loro misurazione, si rimarca l'importanza delle caratteristiche dell'audiance e per finire si indicano una serie di fattori ai quali ogni buon persuasore dovrebbe prestare attenzione per massimizzare le possibilità di successo del suo messaggio.
Nel modello algebrico, l'atteggiamento di un individuo verso un oggetto di atteggiamento può essere predetto in base ad una formula in cui vengono sommati i prodotti della valutazione dell'individuo verso ciascun attributo dell'oggetto di atteggiamento per la relativa forza del suo convincimento che l'attributo sia connesso con l'oggetto di atteggiamento. In altre parole, il modello suggerisce che l'intensità con cui un individuo crede in un'asserzione è determinata dall'intensità con cui egli crede nei dati e nelle garanzie che sostengono tale asserzione.
Di conseguenza, più si riesce attraverso alla manipolazione semantica a dare garanzie a sostegno delle proprie asserzioni e ad usare termini in cui l'individuo-destinatario si possa riconoscere, maggiore è l'effetto persuasivo (tale effetto cresce in modo lineare con il crescere della riconoscibilità come proprie delle idee esposte e del livello di "garanzia" manifestato). Perciò, per fare un esempio, più un'affermazione proviene da una fonte autorevole che usi però il linguaggio dei destinatari stessi, più è intenso l'effetto persuasivo del messaggio. Questa legge della persuasione è nota, implicitamente od esplicitamente, da ormai più di mezzo secolo ed è utilizzata da tutti i grandi persuasori, in tutti i paesi del mondo, Italia compresa.
Perciò un'accorta elaborazione semantica dei messaggi può influenzare in misura significativa le opinioni tanto più quanto più adopera materiale semantico "vicino ai destinatari" ammantandolo però di una veste di autorevolezza.
Rischiamo di avviarci verso una democrazia diretta basata sui sondaggi e dunque verso una netta svolta demagogica?
E' nella natura stessa della "formula della persuasione" di tendere alla demagogia. Infatti la persuasione funziona se il destinatario del messaggio si riconosce linguisticamente e culturalmente nel messaggio stesso, vedendolo però ammantato di una dimensione di molto maggiore autorevolezza. La persuasione è per così dire la causa della demagogia, e la demagogia è il "motore" della persuasione. Per questo è pericoloso che la politica si "appiattisca" troppo sul concetto di persuasione, perché questo meccanismo per funzionare ha bisogno di un'elevata sintonia con le opinioni già esistenti.
Il pericolo è di amplificare, consolidare e semplicemente guidare parzialmente in determinate direzioni le correnti di opinione già esistenti, perdendo la capacità di mutare gli schemi, rinunciando alla dimensione in qualche modo educativa che la politica dovrebbe avere. Purtroppo questo pericolo non riguarda solo l'Italia, e neppure solo il mondo ricco. Lo si può vedere in azione negli Stati Uniti come in Russia, nei paesi arabi come in Israele.
Più i cittadini possono accedere alla formazione delle opinioni (e questo avviene sempre di più anche per via della diffusione dei mezzi di comunicazione), più la classe dirigente è tentata di incanalare questi flussi di opinione, per mezzo delle tecniche di persuasione, verso gli obiettivi che stanno loro più a cuore. Venendo così a configurare il paradosso di una sorta di doppia, reciproca "dittatura": la "dittatura" delle classi dirigenti, per mezzo della persuasione, sui cittadini, e la "dittatura" dei cittadini sulle classi dirigenti, per mezzo di quei flussi di opinione che sono indispensabili affinché la persuasione abbia successo.
Questo circolo vizioso paradossale lo si vede perfettamente in azione nella produzione televisiva: i programmi che vanno in onda condizionano le opinioni, ma l'Auditel condiziona a sua volta in modo inesorabile i programmi da produrre.
Già oggi su questioni molto delicate, con pesanti risvolti etici e scientifici, si rischia di legiferare sull'onda di emotività e pregiudizi infondati. Questa tendenza potrebbe intensificarsi?
Indubbiamente potrebbe intensificarsi. In un pianeta sempre più "disorientato", le decisioni sono sempre meno "strategiche" e sempre più "tattiche". Un po' come quando si naviga nel mare in tempesta: è difficile tenere una rotta di ampio respiro, la barra del timone si sposta in un senso o nell'altro a seconda della forza delle onde che arrivano.
In politica accade qualcosa di simile: più il mare dell'opinione pubblica è soggetto al rischio di tempeste, più forte è la tentazione nel timoniere di assecondare o evitare le singole onde momentanee.
In un tale contesto di azione politica, che spazio può esserci per la scienza e la ricerca che sono intrinsecamente degli investimenti a lungo termine?
Il rischio è di uno spazio piuttosto limitato. In effetti da sempre in Italia si investe poco nella ricerca scientifica, che è appunto un'attività con investimenti e ritorni a medio-lungo termine.
La situazione statunitense è diversa, ma perché c'è una tradizione molto differente in materia di integrazione fra scienza e produzione (ed è probabile che in quel paese la capacità di stimolare l'investimento tecnico-scientifico a medio-lungo termine rimanga relativamente inalterata nonostante la maggiore dipendenza anche della politica americana dalle onde emotive rilevate dai sondaggi).
Pregiudizi, credenze infondate e modi di pensare irrazionali, rischiano di trovare ulteriore spazio e addirittura di rafforzarsi attraverso una forma di consenso dal basso basata sui sondaggi?
L'irrazionale fa intrinsecamente parte dell'essere umano. E' dentro di noi, è scritto nel nostro patrimonio genetico. Anche se crediamo illusoriamente che a governare il mondo sia la razionalità, in realtà i quattro quinti del pianeta sono in mano all'irrazionalità.
L'irrazionalità domina oggi nel conflitto israelo-palestinese, nella crisi finanziaria argentina, nei crack borsistici dovuti alla falsificazione dei bilanci, nei seimilacinquecento morti nell'ultimo anno in Italia in incidenti stradali, e così via. La vera forza che muove il mondo è l'irrazionale.
Certo, più si basa il consenso sui meccanismi della persuasione più c'è il rischio che l'irrazionale da sempre presente nelle opinioni collettive umane faccia sentire la sua forza. Ma sotto questo profilo, tutto sommato, non credo che stiamo peggio che in passato. Purtroppo, come dice l'etologi Konrad Lorenz, la specie homo sapiens sapiens è una specie ancora ampiamente imperfetta, una specie neurologicamente immatura, cerebralmente non armonica.
L'irrazionale è dentro di noi, nello sviluppo caotico ed eccessivo che il cervello ha avuto dentro i limiti della scatola cranica. Non è il sondaggio che amplifica la forza dell'irrazionale, semmai è vero il viceversa: è il dominio ineluttabile dell'irrazionale sulle nostre menti che ci spinge ad affidarci magicamente al sondaggio come "utopia di governo".
Un'accorta elaborazione semantica quanto e come può influenzare le opinioni?
Tutti gli studi scientifici sull'effetto della persuasione concordano nell'indicare che, costruendo opportunamente i messaggi e soprattutto erogandoli in modo continuativo, sino a superare una certa soglia di "massa critica", il comportamento collettivo può essere influenzato anche in misura significativa. Una buona rassegna degli studi sull'argomento è quella di Gary Cronkhite ("La persuasione", Angeli, Milano, 1989).
In questo testo si definisce con chiarezza che cos'è la persuasione (in termini di mezzi, effetti e dimensioni), si passano in rassegna sia le teorie retoriche che quelle psicologiche della persuasione, si espone il paradigma classico della persuasione proponendo il così detto "modello algebrico" per la valutazione dell'impatto dei messaggi, si parla della verifica della significatività degli effetti della persuasione e della loro misurazione, si rimarca l'importanza delle caratteristiche dell'audiance e per finire si indicano una serie di fattori ai quali ogni buon persuasore dovrebbe prestare attenzione per massimizzare le possibilità di successo del suo messaggio.
Nel modello algebrico, l'atteggiamento di un individuo verso un oggetto di atteggiamento può essere predetto in base ad una formula in cui vengono sommati i prodotti della valutazione dell'individuo verso ciascun attributo dell'oggetto di atteggiamento per la relativa forza del suo convincimento che l'attributo sia connesso con l'oggetto di atteggiamento. In altre parole, il modello suggerisce che l'intensità con cui un individuo crede in un'asserzione è determinata dall'intensità con cui egli crede nei dati e nelle garanzie che sostengono tale asserzione.
Di conseguenza, più si riesce attraverso alla manipolazione semantica a dare garanzie a sostegno delle proprie asserzioni e ad usare termini in cui l'individuo-destinatario si possa riconoscere, maggiore è l'effetto persuasivo (tale effetto cresce in modo lineare con il crescere della riconoscibilità come proprie delle idee esposte e del livello di "garanzia" manifestato). Perciò, per fare un esempio, più un'affermazione proviene da una fonte autorevole che usi però il linguaggio dei destinatari stessi, più è intenso l'effetto persuasivo del messaggio. Questa legge della persuasione è nota, implicitamente od esplicitamente, da ormai più di mezzo secolo ed è utilizzata da tutti i grandi persuasori, in tutti i paesi del mondo, Italia compresa.
Perciò un'accorta elaborazione semantica dei messaggi può influenzare in misura significativa le opinioni tanto più quanto più adopera materiale semantico "vicino ai destinatari" ammantandolo però di una veste di autorevolezza.
Rischiamo di avviarci verso una democrazia diretta basata sui sondaggi e dunque verso una netta svolta demagogica?
E' nella natura stessa della "formula della persuasione" di tendere alla demagogia. Infatti la persuasione funziona se il destinatario del messaggio si riconosce linguisticamente e culturalmente nel messaggio stesso, vedendolo però ammantato di una dimensione di molto maggiore autorevolezza. La persuasione è per così dire la causa della demagogia, e la demagogia è il "motore" della persuasione. Per questo è pericoloso che la politica si "appiattisca" troppo sul concetto di persuasione, perché questo meccanismo per funzionare ha bisogno di un'elevata sintonia con le opinioni già esistenti.
Il pericolo è di amplificare, consolidare e semplicemente guidare parzialmente in determinate direzioni le correnti di opinione già esistenti, perdendo la capacità di mutare gli schemi, rinunciando alla dimensione in qualche modo educativa che la politica dovrebbe avere. Purtroppo questo pericolo non riguarda solo l'Italia, e neppure solo il mondo ricco. Lo si può vedere in azione negli Stati Uniti come in Russia, nei paesi arabi come in Israele.
Più i cittadini possono accedere alla formazione delle opinioni (e questo avviene sempre di più anche per via della diffusione dei mezzi di comunicazione), più la classe dirigente è tentata di incanalare questi flussi di opinione, per mezzo delle tecniche di persuasione, verso gli obiettivi che stanno loro più a cuore. Venendo così a configurare il paradosso di una sorta di doppia, reciproca "dittatura": la "dittatura" delle classi dirigenti, per mezzo della persuasione, sui cittadini, e la "dittatura" dei cittadini sulle classi dirigenti, per mezzo di quei flussi di opinione che sono indispensabili affinché la persuasione abbia successo.
Questo circolo vizioso paradossale lo si vede perfettamente in azione nella produzione televisiva: i programmi che vanno in onda condizionano le opinioni, ma l'Auditel condiziona a sua volta in modo inesorabile i programmi da produrre.
Già oggi su questioni molto delicate, con pesanti risvolti etici e scientifici, si rischia di legiferare sull'onda di emotività e pregiudizi infondati. Questa tendenza potrebbe intensificarsi?
Indubbiamente potrebbe intensificarsi. In un pianeta sempre più "disorientato", le decisioni sono sempre meno "strategiche" e sempre più "tattiche". Un po' come quando si naviga nel mare in tempesta: è difficile tenere una rotta di ampio respiro, la barra del timone si sposta in un senso o nell'altro a seconda della forza delle onde che arrivano.
In politica accade qualcosa di simile: più il mare dell'opinione pubblica è soggetto al rischio di tempeste, più forte è la tentazione nel timoniere di assecondare o evitare le singole onde momentanee.
In un tale contesto di azione politica, che spazio può esserci per la scienza e la ricerca che sono intrinsecamente degli investimenti a lungo termine?
Il rischio è di uno spazio piuttosto limitato. In effetti da sempre in Italia si investe poco nella ricerca scientifica, che è appunto un'attività con investimenti e ritorni a medio-lungo termine.
La situazione statunitense è diversa, ma perché c'è una tradizione molto differente in materia di integrazione fra scienza e produzione (ed è probabile che in quel paese la capacità di stimolare l'investimento tecnico-scientifico a medio-lungo termine rimanga relativamente inalterata nonostante la maggiore dipendenza anche della politica americana dalle onde emotive rilevate dai sondaggi).
Pregiudizi, credenze infondate e modi di pensare irrazionali, rischiano di trovare ulteriore spazio e addirittura di rafforzarsi attraverso una forma di consenso dal basso basata sui sondaggi?
L'irrazionale fa intrinsecamente parte dell'essere umano. E' dentro di noi, è scritto nel nostro patrimonio genetico. Anche se crediamo illusoriamente che a governare il mondo sia la razionalità, in realtà i quattro quinti del pianeta sono in mano all'irrazionalità.
L'irrazionalità domina oggi nel conflitto israelo-palestinese, nella crisi finanziaria argentina, nei crack borsistici dovuti alla falsificazione dei bilanci, nei seimilacinquecento morti nell'ultimo anno in Italia in incidenti stradali, e così via. La vera forza che muove il mondo è l'irrazionale.
Certo, più si basa il consenso sui meccanismi della persuasione più c'è il rischio che l'irrazionale da sempre presente nelle opinioni collettive umane faccia sentire la sua forza. Ma sotto questo profilo, tutto sommato, non credo che stiamo peggio che in passato. Purtroppo, come dice l'etologi Konrad Lorenz, la specie homo sapiens sapiens è una specie ancora ampiamente imperfetta, una specie neurologicamente immatura, cerebralmente non armonica.
L'irrazionale è dentro di noi, nello sviluppo caotico ed eccessivo che il cervello ha avuto dentro i limiti della scatola cranica. Non è il sondaggio che amplifica la forza dell'irrazionale, semmai è vero il viceversa: è il dominio ineluttabile dell'irrazionale sulle nostre menti che ci spinge ad affidarci magicamente al sondaggio come "utopia di governo".