Ancor prima d'esaminare, attraverso i più raffinati strumenti concettuali e tecnologici, la reale validità dell'Omeopatia, appare opportuna - a mio modesto avviso - una serena riflessione intorno al modo in cui tale "medicina alternativa" nacque.[1]
Due princìpi presiedettero alla nascita di tale scientificissima disciplina: "il simile si cura con il simile" e "mai ammettere d'aver sbagliato"...
Circa il primo principio, assai notevole appare la somiglianza con la tecnica del "mettere il sale sulla coda".[2] Infatti, per poterlo concretamente applicare sarebbe indispensabile conoscere le specifiche sostanze in grado di provocare ciascuna delle innumerevoli sintomatologie che purtroppo affliggono l'umanità, presupponendo, evidentemente,[3] che tutti i più diversi quadri patologici possano esser cagionati da questa o quella sostanza (possibilmente, tinture dai suggestivi nomi, elencate in lunghe tabelle bell'e pronte, ottenute chi sa come...); api intere a parte, s'intende... Certo che se - in luogo dei complessi (e in gran parte ancora sconosciuti) processi eziologici di vario genere - potesse operare una serie (per quanto lunga) di sostanze cattivone (che diventano, però, miracolosamente buone se iperdiluite) risulterebbe assai meno difficile studiare Medicina... Fatto sta che Herr Hahnemann (l'inventore dell'Omeopatia) credette comunque d'aver individuato un buon numero di sostanze attive in grado di determinare sintomatologie identiche a quelle tipiche di parecchi penosi malanni e, pertanto, le somministrò generosamente ai propri pazienti. Che poi si trattasse realmente delle sostanze capaci di provocare quegli specifici sintomi, oppure si trattasse di tutt'altre sostanze parimenti tossiche, i pazienti di Samuel Hahnemann, naturalmente, si sentirono subito molto peggio... Molti di essi, purtroppo, morirono...
A quel punto, s'era ormai rivelato tutt'altro che soddisfacente il primo dei due princìpi e venne quindi in gioco il secondo: "mai ammettere d'aver sbagliato"... Infatti, l'illustre studioso si guardò bene dall'ammettere che il primo principio - "il simile si cura con il simile" - era evidentemente sballato - e che lui stava praticamente avvelenando, uno dopo l'altro, tutti i suoi pazienti... -. No, egli replicò invece ai suoi critici - cioè ai parenti delle vittime dei suoi intrugli - affermando d'aver solamente ecceduto un tantino [4] nei dosaggi - nella "posologia" -. In effetti - e questo va ascritto a suo grande merito -, quando l'esimio luminare decise poi di diminuire fortemente le dosi dei suoi preparati tossici, i pazienti reagirono in maniera alquanto soddisfacente: i più robusti riuscirono a sopravvivere; qualcuno, decorso un certo periodo, guarì addirittura... Egli allora insistette, riducendo ulteriormente i dosaggi delle sue schifezze. Ottenne in tal modo i migliori risultati di tutta la sua carriera: nessuno sembrava esser stato più avvelenato dalle sue pozioni, finalmente... Inoltre, la percentuale di guarigioni tra coloro ch'erano affetti da patologie di per sé non fatali raggiungeva, grosso modo, il tasso di guarigioni ottenuto dagli altri dottori (che però, a differenza di lui, non avevano mica inventato una nuova branca della medicina!).
Ai suoi critici [5] - i quali sottolineavano come, delle varie sostanze mefitiche che tanto l'avevano entusiasmato in principio, non vi fosse ormai più alcuna traccia nei "rimedi" iperdiluiti che da ultimo aveva preso a propinare -, egli rispondeva d'aver provveduto ad "agitar bene prima dell'uso"... Fece così la sua comparsa anche questo terzo principio fondamentale dell'Omeopatia,[6] l'ultimo al quale desidero accennare in questa sede [7].
Due princìpi presiedettero alla nascita di tale scientificissima disciplina: "il simile si cura con il simile" e "mai ammettere d'aver sbagliato"...
Circa il primo principio, assai notevole appare la somiglianza con la tecnica del "mettere il sale sulla coda".[2] Infatti, per poterlo concretamente applicare sarebbe indispensabile conoscere le specifiche sostanze in grado di provocare ciascuna delle innumerevoli sintomatologie che purtroppo affliggono l'umanità, presupponendo, evidentemente,[3] che tutti i più diversi quadri patologici possano esser cagionati da questa o quella sostanza (possibilmente, tinture dai suggestivi nomi, elencate in lunghe tabelle bell'e pronte, ottenute chi sa come...); api intere a parte, s'intende... Certo che se - in luogo dei complessi (e in gran parte ancora sconosciuti) processi eziologici di vario genere - potesse operare una serie (per quanto lunga) di sostanze cattivone (che diventano, però, miracolosamente buone se iperdiluite) risulterebbe assai meno difficile studiare Medicina... Fatto sta che Herr Hahnemann (l'inventore dell'Omeopatia) credette comunque d'aver individuato un buon numero di sostanze attive in grado di determinare sintomatologie identiche a quelle tipiche di parecchi penosi malanni e, pertanto, le somministrò generosamente ai propri pazienti. Che poi si trattasse realmente delle sostanze capaci di provocare quegli specifici sintomi, oppure si trattasse di tutt'altre sostanze parimenti tossiche, i pazienti di Samuel Hahnemann, naturalmente, si sentirono subito molto peggio... Molti di essi, purtroppo, morirono...
A quel punto, s'era ormai rivelato tutt'altro che soddisfacente il primo dei due princìpi e venne quindi in gioco il secondo: "mai ammettere d'aver sbagliato"... Infatti, l'illustre studioso si guardò bene dall'ammettere che il primo principio - "il simile si cura con il simile" - era evidentemente sballato - e che lui stava praticamente avvelenando, uno dopo l'altro, tutti i suoi pazienti... -. No, egli replicò invece ai suoi critici - cioè ai parenti delle vittime dei suoi intrugli - affermando d'aver solamente ecceduto un tantino [4] nei dosaggi - nella "posologia" -. In effetti - e questo va ascritto a suo grande merito -, quando l'esimio luminare decise poi di diminuire fortemente le dosi dei suoi preparati tossici, i pazienti reagirono in maniera alquanto soddisfacente: i più robusti riuscirono a sopravvivere; qualcuno, decorso un certo periodo, guarì addirittura... Egli allora insistette, riducendo ulteriormente i dosaggi delle sue schifezze. Ottenne in tal modo i migliori risultati di tutta la sua carriera: nessuno sembrava esser stato più avvelenato dalle sue pozioni, finalmente... Inoltre, la percentuale di guarigioni tra coloro ch'erano affetti da patologie di per sé non fatali raggiungeva, grosso modo, il tasso di guarigioni ottenuto dagli altri dottori (che però, a differenza di lui, non avevano mica inventato una nuova branca della medicina!).
Ai suoi critici [5] - i quali sottolineavano come, delle varie sostanze mefitiche che tanto l'avevano entusiasmato in principio, non vi fosse ormai più alcuna traccia nei "rimedi" iperdiluiti che da ultimo aveva preso a propinare -, egli rispondeva d'aver provveduto ad "agitar bene prima dell'uso"... Fece così la sua comparsa anche questo terzo principio fondamentale dell'Omeopatia,[6] l'ultimo al quale desidero accennare in questa sede [7].
NOTE
1) Desidero osservare che - a parte il tono adottato, forse non troppo reverente verso F. S. Hahnemann e la sua trovata - la sostanza dei fatti qui esposti coincide sia con quanto viene generalmente affermato dagli scettici, sia con quanto viene regolarmente narrato da tutti i più accesi sostenitori e fautori dell'Omeopatia.
2) Per coloro che hanno la fortuna di non aver alcuna familiarità con tale faccenda, riassumo qui brevemente: a noi ragazzini si diceva (A.D. 1900 circa) che, per catturare la selvaggina, il metodo più vivamente consigliato consisteva nel porre un poco di sale sulla coda di ciascun esemplare... Ho il sospetto che tale consiglio, in quell'epoca, venisse reputato solo uno scherzo rivolto a noi bambini.
3) Anche se su questo i moderni omeopati hanno aggiustato un po' il tiro, cadendo peraltro in insanabili contraddizioni o, a esser generosi, basando le loro cure su princìpi che nulla hanno che fare, in realtà, con l'Omeopatia - e utilizzando dunque i "rimedi" come, a vostra scelta, "specchietti per le allodole" ovvero "placebo" o, ancora, "gadgets" -. Probabilmente, i c.d. rimedi finiranno con l'esser considerati per il loro valore simbolico, quali elementi di un più complesso rituale; i medici (stavo per scrivere "celebranti") omeopati si ritroveranno così - più che mai - a cavallo tra scienza e religione (o tra pseudoscienza e pseudoreligione) e derideranno, quindi, chi si ostinerà ad attribuire efficacia, in modo superficiale, ai suddetti "rimedi" in sé e per sé, anziché comprendere il loro valore di strumenti di trascendenza nelle sapienti mani dei medici officianti.
4) Credo che allora nessuno usasse ancora l'espressione "un attimino".
5) Ai quali, peraltro, il dottor Hahnemann non ebbe la presenza di spirito - a quanto ci risulta - di affibbiare l'epiteto di "esponenti della lobby allopatica multinazionale" (anche se, forse, ci andò vicino...).
6) Probabilmente il più rivoluzionario: anziché essere il paziente (come avviene nell'angusto àmbito della "medicina ufficiale") deputato ad agitare bene prima dell'uso, sarà l'industriale che produce i rimedi omeopatici ad agitar bene l'acqua fresca - imitando perfettamente (così assicurano le case produttrici) er mitico "gioco di polso" (oh, mirabile succussione...) del Maestro - prima della distribuzione commerciale al dettaglio.
7) Un principio, alquanto somigliante invero al primo dei succitati dogmi dell'Omeopatia - e che potremmo esprimere grossolanamente così: "talvolta il simile si previene con il simile" -, si è rivelato invece assai fecondo ed è stato ampiamente verificato nel campo dei vaccini, tutti creati - come ognun sa - dalla "medicina ufficiale".