Diverse sono le teorie del linguaggio e ognuna di esse ne definisce le funzioni[1][2][3][4]. Il minimo comune denominatore di tutte è la diade “colui che parla” e “colui che ascolta” che interagiscono con lo scopo di scambiare informazioni attraverso l’uso di parole che rimandano a concetti precisi e condivisi.
Uno dei maggiori ostacoli ad uno scambio efficiente è che “La parola è per metà di colui che parla, per metà di colui che l’ascolta (Michel de Montaigne)”.
Per questo motivo, la condivisione del significato delle parole acquisisce massima rilevanza all’interno degli ambiti tecnici.
La comunicazione in tema di salute può avvenire o all’interno della comunità scientifica (congressi, pubblicazioni, relazioni, conferenze), con lo scopo ultimo di progredire nella conoscenza attraverso il confronto di ipotesi basate su evidenze acquisite, o tra comunità scientifica e cittadini (media, social media, eventi divulgativi), con lo scopo ultimo di informare onestamente e correttamente sulle evidenze disponibili e sulle ipotesi plausibili. In quest’ultimo ambito, la disparità di conoscenze di base tra tecnici e non addetti ai lavori impone compromessi semantici e perifrasi esplicative, che vanno scelte con cura al fine di garantire il massimo livello possibile di aderenza al significato dei termini originari.
Quando il contesto è quello della comunicazione tra medico e paziente, le parole “… sono parte essenziale della cura: possono potenziarla o comprometterla. Le parole della cura sono comunque parole difficili da pronunciare, per questo richiedono delicatezza, equilibrio e soprattutto onestà”[5].
Il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) si è espresso più volte fornendo raccomandazioni sull’utilizzo di alcuni termini in medicina e in omeopatia. Le raccomandazioni nascono da un’analisi dei concetti a cui detti termini rimandano. In questo articolo prendiamo in esame tre documenti stilati dal CNB.
In questa prima parte affrontiamo le questioni riguardanti la denominazione dei prodotti omeopatici come "medicinali", il concetto di "pluralismo scientifico", la "libertà di scelta terapeutica" e la qualità della formazione, prendendo in considerazione le riflessioni espresse nelle mozioni del 2017[6] e del 2004[7]. Il documento del CNB del 2005[8] sarà oggetto di analisi nella seconda parte della prossima pubblicazione.
La “Dichiarazione sull’etichettatura dei preparati omeopatici e sulla trasparenza dell’informazione” del 2017[9], si concentra sull’utilizzo del termine “medicinale omeopatico” e ne sottolinea le incongruenze rispetto alla vigente legislazione[10] che ne impone l’uso solo accanto alla dicitura “senza indicazioni terapeutiche approvate”[11]. Ecco cosa chiede il CNB:
Di seguito si riportano alcuni esempi di queste forzature semantiche evidenziate dal CNB.
In merito al “pluralismo scientifico”, il CNB afferma al punto 3 del documento[10]:
Il professor Aldo Badiani, Direttore del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia dell’Università, in una lettera spiega le ragioni di questa scelta[12] e sottolinea che gli obiettivi del corso sono informare i Farmacisti sulla “… completa assenza di attività specifica dei medicinali omeopatici propriamente detti…” e sui rischi collegati all’uso di “… prodotti contenenti miscele di sostanze biologicamente attive in concentrazioni ponderali (e cioè analiticamente rilevabili), inclusi i prodotti omeopatici che non seguono i principi dell’omeopatia classica e contengono sostanze in concentrazione ponderale (e.g., tinture madri o macerati glicerici…”.
Dobbiamo con rammarico constatare che non tutte le Università Statali italiane seguono una impostazione rigorosa del metodo scientifico e alcuni corsi dedicati alle cosiddette medicine alternative/complementari/integrate ne sdoganano e ne magnificano l’utilizzo.
Leggi la seconda parte
Crediti immagine: By Unknown author - [1], Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1865760
Uno dei maggiori ostacoli ad uno scambio efficiente è che “La parola è per metà di colui che parla, per metà di colui che l’ascolta (Michel de Montaigne)”.
Per questo motivo, la condivisione del significato delle parole acquisisce massima rilevanza all’interno degli ambiti tecnici.
La comunicazione in tema di salute può avvenire o all’interno della comunità scientifica (congressi, pubblicazioni, relazioni, conferenze), con lo scopo ultimo di progredire nella conoscenza attraverso il confronto di ipotesi basate su evidenze acquisite, o tra comunità scientifica e cittadini (media, social media, eventi divulgativi), con lo scopo ultimo di informare onestamente e correttamente sulle evidenze disponibili e sulle ipotesi plausibili. In quest’ultimo ambito, la disparità di conoscenze di base tra tecnici e non addetti ai lavori impone compromessi semantici e perifrasi esplicative, che vanno scelte con cura al fine di garantire il massimo livello possibile di aderenza al significato dei termini originari.
Quando il contesto è quello della comunicazione tra medico e paziente, le parole “… sono parte essenziale della cura: possono potenziarla o comprometterla. Le parole della cura sono comunque parole difficili da pronunciare, per questo richiedono delicatezza, equilibrio e soprattutto onestà”[5].
Il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) si è espresso più volte fornendo raccomandazioni sull’utilizzo di alcuni termini in medicina e in omeopatia. Le raccomandazioni nascono da un’analisi dei concetti a cui detti termini rimandano. In questo articolo prendiamo in esame tre documenti stilati dal CNB.
In questa prima parte affrontiamo le questioni riguardanti la denominazione dei prodotti omeopatici come "medicinali", il concetto di "pluralismo scientifico", la "libertà di scelta terapeutica" e la qualità della formazione, prendendo in considerazione le riflessioni espresse nelle mozioni del 2017[6] e del 2004[7]. Il documento del CNB del 2005[8] sarà oggetto di analisi nella seconda parte della prossima pubblicazione.
La “Dichiarazione sull’etichettatura dei preparati omeopatici e sulla trasparenza dell’informazione” del 2017[9], si concentra sull’utilizzo del termine “medicinale omeopatico” e ne sottolinea le incongruenze rispetto alla vigente legislazione[10] che ne impone l’uso solo accanto alla dicitura “senza indicazioni terapeutiche approvate”[11]. Ecco cosa chiede il CNB:
“che nell’etichettatura ed eventualmente nel foglio illustrativo dei preparati omeopatici: – il termine «medicinale» sia sostituito dal termine «preparato»; – la frase «Medicinale omeopatico senza indicazioni terapeutiche approvate» sia modificata e integrata in questo modo: «Preparato omeopatico di efficacia non convalidata scientificamente e senza indicazioni terapeutiche approvate»”[6].
Nel 2004, la “Mozione del comitato nazionale per la bioetica su medicine e pratiche non convenzionali”[10] esamina molta della terminologia che, negli anni, si è fatta strada, sia nella comunità scientifica che nel gergo civile, per poter descrivere dottrine che non hanno mai dimostrato con dati la loro valenza scientifica; nonostante ciò, esse pretendono un riconoscimento scientifico pur non condividendo con la scienza né il metodo e nemmeno il lessico di base. Queste molte dottrine, fanno spesso uso di termini tecnici tipici della medicina svuotandoli però del loro significato originario e sostituendolo con concetti alternativi basati su ipotesi non provate e/o non plausibili. Di seguito si riportano alcuni esempi di queste forzature semantiche evidenziate dal CNB.
In merito al “pluralismo scientifico”, il CNB afferma al punto 3 del documento[10]:
“Il CNB rileva che nell’art. 1 della p.d.l. (proposta di legge, ndr) viene affermato un principio quanto mai discutibile qual è quello del “pluralismo scientifico”. Se per pluralismo scientifico si intende la contemporanea presenza di più scienze concernenti un medesimo oggetto – ad esempio, la presenza di più chimiche organiche o di più fisiche – il pluralismo scientifico non esiste e non è mai esistito. Una delle caratteristiche fondamentali del sapere scientifico è la sua costante tendenza all’unificazione delle sue varie parti e a dare una visione unitaria della realtà. Alla luce di queste considerazioni epistemologiche non si vede quindi in che modo il pluralismo scientifico possa costituire un fattore essenziale per il progresso della scienza e dell’arte medica”.
Alcune Istituzioni usano la “libertà di scelta terapeutica” del paziente come principio su cui basare la scelta di inserire l’omeopatia tra i servizi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) o nei livelli essenziali di assistenza (LEA). A questo proposito al punto 5: “Il CNB rileva che se l’autonomia del paziente nella scelta terapeutica rappresenta certamente un valore fondamentale universalmente riconosciuto dalla bioetica, e se la libertà della ricerca scientifica va in ogni caso salvaguardata, la libertà di cura tuttavia non può prescindere dalle conoscenze scientifiche acquisite e convalidate, senza le quali non è possibile tutelare adeguatamente la salute del paziente garantendone l’informazione ai fini del consenso”.
Le Istituzioni di cui al capoverso precedente, hanno pensato di poter garantire la formazione degli esperti nelle medicine complementari, imponendo una formazione qualificata, ma il CNB, al punto 6, afferma: “Il CNB è preoccupato della proposta di istituire a) insegnamenti accademici e corsi di formazione nelle Università statali e non statali di “medicine e pratiche non convenzionali”, b) di inserire la materie di insegnamento relative alle medicine e alle pratiche non convenzionali, nei corsi di laurea di Medicina, di Odontoiatria, di Farmacia, di Medicina Veterinaria, di Scienze Biologiche e di Chimica, c) di accreditare come società e associazioni “scientifiche” le società e le associazioni di riferimento delle professioni sanitarie non convenzionali, d) di modificare la composizione del Consiglio Superiore di Sanità inserendo, fra i suoi componenti sei rappresentanti delle medicine e pratiche non convenzionali”.
In relazione alla formazione, l’Università La Sapienza di Roma ha istituito un Master dedicato ai farmacisti che, in prima persona, sono chiamati a rispondere alle richieste di prodotti omeopatici da parte delle persone. Il professor Aldo Badiani, Direttore del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia dell’Università, in una lettera spiega le ragioni di questa scelta[12] e sottolinea che gli obiettivi del corso sono informare i Farmacisti sulla “… completa assenza di attività specifica dei medicinali omeopatici propriamente detti…” e sui rischi collegati all’uso di “… prodotti contenenti miscele di sostanze biologicamente attive in concentrazioni ponderali (e cioè analiticamente rilevabili), inclusi i prodotti omeopatici che non seguono i principi dell’omeopatia classica e contengono sostanze in concentrazione ponderale (e.g., tinture madri o macerati glicerici…”.
Dobbiamo con rammarico constatare che non tutte le Università Statali italiane seguono una impostazione rigorosa del metodo scientifico e alcuni corsi dedicati alle cosiddette medicine alternative/complementari/integrate ne sdoganano e ne magnificano l’utilizzo.
Leggi la seconda parte
Crediti immagine: By Unknown author - [1], Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1865760
Biografia dell’autrice: Laureata in Medicina e Chirurgia, specializzata in Psichiatria e Master in Patologia Genetico Molecolare. Ha esperienza pluriennale come medico di base, come Psichiatra e nella sperimentazione clinica di farmaci e vaccini. Si veda il profilo Linkedin per maggiori dettagli
Bibliografia 1) Linguistics and Poetics , su pure.mpg.de. Pubblicato in Thomas A. Sebeok (ed.), Style in language, New York, John Wiley & Sons, 1960, pp. 350-377.
3) Ugo Volli. Il nuovo libro della comunicazione. Che cosa significa comunicare: idee, tecnologie, strumenti, modelli. Il Saggiatore, Milano 20
4) Blackwell. Directions in Sociolinguistics. The Ethnography of Communication (a cura di), New York, 1986
5) Sandro Spinsanti. La cura con parole oneste. Pensiero Scientifico Editore , 2019
10) Decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219