Una delle attività più gratificanti nel campo delle indagini misteriose che svolgiamo abitualmente è fornire alle persone gli strumenti utili a capire il mondo che li circonda. In molti casi, infatti, basta davvero poco per arricchire la propria “cassetta degli attrezzi” ed evitare di cadere in facili trappole mentali, essere vittime di bufale, truffe e così via. Il nostro modesto aiuto, quindi, può fare davvero la differenza, uno spartiacque importante che permette di indirizzare le persone nella giusta direzione, aiutando ad affrontare in modo totalmente nuovo alcuni particolari fenomeni che sembrano davvero misteriosi e inspiegabili.
Nel caso che andremo a illustrare in questo numero ci si rende conto abbastanza facilmente di quanti problemi e preoccupazioni sarebbero potuti insorgere se non si fosse affrontato il tutto nel modo corretto. Fortunatamente, l’intera faccenda è passata sotto la “lente” del Comitato e, grazie a un bel lavoro di squadra, si è arrivati a una conclusione che esclude, senza ombra di dubbio, presunti fenomeni paranormali o lo zampino degli extraterrestri.
Ma ripercorriamo tutti gli eventi grazie al resoconto fatto da Luigi Garlaschelli e Nicolò Bagnasco, i soci CICAP che, quasi per caso, sono venuti a conoscenza dell’intrigante mistero.
Nell’estate 2020, a Giorgio Bardelli, socio CICAP di Milano, viene riportata una vicenda piuttosto enigmatica. Una sua ex collega ha un figlio di 28 anni al quale negli ultimi due anni circa è capitato più volte un fenomeno sorprendente: lavandosi i denti con spazzolino e dentifricio, si è trovato in bocca alcuni piccolissimi e misteriosi oggetti metallici rettangolari, senza saperne il motivo.
A causa del suo carattere schivo, è stato difficile contattare il ragazzo per avere informazioni sulla frequenza con cui gli eventi si sono ripetuti e la durata del fenomeno. Per aiutarci a capire meglio la questione, la madre ha raccontato a Bardelli che il figlio si è trovato in bocca durante un periodo di due anni e mezzo decine di piastrine.
Rivolgendosi a un amico entomologo, la stessa madre è riuscita ad avere delle fotografie al microscopio degli strani oggettini: hanno un aspetto metallico dorato simile all’ottone e dimensioni costanti di due millimetri per uno e mezzo, con uno spessore di un quarto di millimetro.
Cercando di risolvere questo mistero, Bardelli si rivolge al CICAP Lombardia, il quale formula diverse ipotesi; tuttavia, nessuna di queste riesce a fare chiarezza sul fenomeno. Ad esempio, emerge la possibilità che si trattasse del risultato di qualche cura odontoiatrica, eventualità esclusa dalla madre che, lavorando in ambito medico, ha conoscenze scientifico-anatomiche, garantisce che il ragazzo possiede una dentatura più che sana. Una ulteriore ipotesi formulata dai membri del CICAP Lombardia riguarda possibili difetti nei tubetti di dentifricio ma nessuno riesce a dimostrarne la fondatezza.
Bardelli poco dopo incontra, per altri motivi, Nicolò Bagnasco al museo di Storia Naturale di Milano e gli riporta il caso. Nicolò a sua volta, anche su invito di Bardelli, coinvolge Luigi Garlaschelli e i due iniziano a esplorare varie possibilità.
Per prima cosa, dalle foto microscopiche sembra chiaro che i misteriosi rettangolini sono stati prodotti a macchina: sono identici e i loro bordi sono troppo regolari per derivare dalla rottura casuale o voluta di qualche oggetto, come un tubo di dentifricio o una bandella di ottone che fissa la gomma in cima alle matite.
Una prima ipotesi viene trovata da Bagnasco, che nota una somiglianza con i “gambi” dei fermacampioni di ottone. Questa possibilità giustificherebbe le dimensioni e la forma degli oggetti misteriosi: lo spessore di un quarto di millimetro è una misura standard in alcuni fermacampioni e le bavette sui lati dei rettangolini potrebbero essere riconducibili alla lavorazione a macchina con cui i fermacampioni vengono prodotti.
Garlaschelli si mette quindi all’opera e prova a tagliare frammenti di fermacampioni con le forbici più affilate che possiede. Le misure sono simili a quelle dei rettangolini misteriosi, ma al microscopio gli orli tagliati a mano appaiono totalmente diversi.
A questo punto i due seguono l’ipotesi che si tratti di difetti industriali nel tubo di dentifricio. Tuttavia, la ricerca su internet di notizie a proposito di dentifrici in cui siano stati trovati corpi estranei non dà alcun esito. Esclusa questa possibilità, Bagnasco e Garlaschelli sono anche costretti a chiedersi se il caso potesse essere in realtà opera di un simulatore. Tuttavia, il ragazzo ha 28 anni, e parrebbe un po’ troppo cresciuto per emulare il comportamento tipico di certi adolescenti che simulano i casi di poltergeist[1].
Oltretutto, il protagonista di questa strana vicenda si è trovato le lastrine in bocca nel corso di alcuni anni, mentre i citati episodi di pseudo-poltergeist tendono a essere molto più limitati nel tempo.
Una novità arriva invece dalla madre del ragazzo: cercando su Google con la chiave 'microchip bocca’ trova la sorprendente notizia che un caso simile era stato riportato anni addietro su Flickr da un ragazzo di Roma. Approfondendo le ricerche su questa persona, Bagnasco scopre che ne aveva addirittura parlato sul suo blog. Garlaschelli quindi, temendo che il blog sia ormai abbandonato, ritrova la stessa persona anche su Facebook e gli lascia due messaggi, chiedendo se l’episodio fosse vero o se fosse stato solo uno scherzo.
La risposta, per fortuna, non tarda ad arrivare e approfondisce il mistero: non era uno scherzo, e gli era capitato di trovarsi in bocca i misteriosi frammenti dopo essersi lavato i denti. Nei commenti sotto al post originale, Bagnasco scopre perfino un terzo caso: quello di Jane, una signora americana che affermava di essersi trovata delle lastrine simili addirittura sul cuoio capelluto! A questo punto, due o tre simulatori che si imitano in questo modo sembrano essere davvero improbabili!
Il ritrovamento delle lastrine, ormai, sembra essere correlato al fatto di lavarsi i denti o a spazzole e spazzolini: ancora però non si identifica la loro origine. Bagnasco e Garlaschelli esaminano quindi ipotesi legate ad arredamenti da bagno, od oggetti correlati. Dai glitter per make-up, esclusi perché sono più piccoli e sottili e hanno forme diverse, a frammenti di specchio usati per coprire gli oggetti come i bicchieri per gli spazzolini; ogni possibilità viene metodicamente analizzata e confutata.
La discussione sul caso viene allargata anche al Gruppo Indagini del CICAP; vengono fatte nuove ipotesi soprattutto su come possano essere prodotti - a livello industriale - tali lamelle. Ben presto lo scambio di mail si fa sempre più serrato, non solo sull’origine dei pezzetti metallici ma anche su come essi possano essere finiti in bocca al ragazzo. A questo punto, però, a Garlaschelli pare di ricordare qualcosa su come le setole delle spazzole sono fissate alle loro basi. Detto fatto, impugna una pinza a becchi sottili, recupera il proprio spazzolino da denti e ne strappa senza difficoltà un ciuffetto di setole dal loro alveolo. Ed ecco che tra le setole sparse sul tavolino appare una lastrina identica a quelle incriminate!
La notizia si diffonde velocemente nelle mailing list del CICAP, i cui iscritti nei due giorni successivi smembrano almeno dodici spazzolini per verificare il fatto e cercare di capirne meglio la dinamica.
Certo è che ogni spazzolino “sacrificato” per la scienza possiede le famigerate lastrine, che servono a tenere fisse le setole nel corpo di plastica (si veda il disegno realizzato da Bagnasco n.d.r.).
Le dimensioni sono sempre circa le stesse, a volte presentano leggere rigature - evidentemente per trattenere meglio le setole - e sono quasi sempre dorate, come se fossero di ottone. In pochi casi sono argentee, forse di acciaio inossidabile. Anche altre spazzole, come quelle per le unghie, utilizzano lo stesso sistema. La signora che si era trovata una lastrina sulla fronte probabilmente stava utilizzando una spazzola per capelli costruita in modo simile.
Il vero mistero a questo punto è: come sono potute emergere quelle lastrine dalle viscere dello spazzolino? La risposta è difficile. Evidentemente a volte il processo di fabbricazione potrebbe lasciare alcune setole fissate meno saldamente. A tutti sarà capitato di trovarsene qualcuna in bocca. Una volta che da un alveolo si staccano anche due o tre setole, la lastrina potrebbe scivolare fuori. Marche di spazzolini diverse potrebbero anche avere resistenza all’uso diversa. La madre del ragazzo, messa al corrente della piccola scoperta, afferma inoltre che il figlio è solito usare lo spazzolino da denti con grande energia.
Se capita anche a voi di trovarvi una lastrina dorata in bocca, ora lo sapete: probabilmente non si tratta di un microchip che vi è stato impiantato dagli alieni!
Nel caso che andremo a illustrare in questo numero ci si rende conto abbastanza facilmente di quanti problemi e preoccupazioni sarebbero potuti insorgere se non si fosse affrontato il tutto nel modo corretto. Fortunatamente, l’intera faccenda è passata sotto la “lente” del Comitato e, grazie a un bel lavoro di squadra, si è arrivati a una conclusione che esclude, senza ombra di dubbio, presunti fenomeni paranormali o lo zampino degli extraterrestri.
Ma ripercorriamo tutti gli eventi grazie al resoconto fatto da Luigi Garlaschelli e Nicolò Bagnasco, i soci CICAP che, quasi per caso, sono venuti a conoscenza dell’intrigante mistero.
Nell’estate 2020, a Giorgio Bardelli, socio CICAP di Milano, viene riportata una vicenda piuttosto enigmatica. Una sua ex collega ha un figlio di 28 anni al quale negli ultimi due anni circa è capitato più volte un fenomeno sorprendente: lavandosi i denti con spazzolino e dentifricio, si è trovato in bocca alcuni piccolissimi e misteriosi oggetti metallici rettangolari, senza saperne il motivo.
A causa del suo carattere schivo, è stato difficile contattare il ragazzo per avere informazioni sulla frequenza con cui gli eventi si sono ripetuti e la durata del fenomeno. Per aiutarci a capire meglio la questione, la madre ha raccontato a Bardelli che il figlio si è trovato in bocca durante un periodo di due anni e mezzo decine di piastrine.
Rivolgendosi a un amico entomologo, la stessa madre è riuscita ad avere delle fotografie al microscopio degli strani oggettini: hanno un aspetto metallico dorato simile all’ottone e dimensioni costanti di due millimetri per uno e mezzo, con uno spessore di un quarto di millimetro.
Cercando di risolvere questo mistero, Bardelli si rivolge al CICAP Lombardia, il quale formula diverse ipotesi; tuttavia, nessuna di queste riesce a fare chiarezza sul fenomeno. Ad esempio, emerge la possibilità che si trattasse del risultato di qualche cura odontoiatrica, eventualità esclusa dalla madre che, lavorando in ambito medico, ha conoscenze scientifico-anatomiche, garantisce che il ragazzo possiede una dentatura più che sana. Una ulteriore ipotesi formulata dai membri del CICAP Lombardia riguarda possibili difetti nei tubetti di dentifricio ma nessuno riesce a dimostrarne la fondatezza.
Bardelli poco dopo incontra, per altri motivi, Nicolò Bagnasco al museo di Storia Naturale di Milano e gli riporta il caso. Nicolò a sua volta, anche su invito di Bardelli, coinvolge Luigi Garlaschelli e i due iniziano a esplorare varie possibilità.
Per prima cosa, dalle foto microscopiche sembra chiaro che i misteriosi rettangolini sono stati prodotti a macchina: sono identici e i loro bordi sono troppo regolari per derivare dalla rottura casuale o voluta di qualche oggetto, come un tubo di dentifricio o una bandella di ottone che fissa la gomma in cima alle matite.
Una prima ipotesi viene trovata da Bagnasco, che nota una somiglianza con i “gambi” dei fermacampioni di ottone. Questa possibilità giustificherebbe le dimensioni e la forma degli oggetti misteriosi: lo spessore di un quarto di millimetro è una misura standard in alcuni fermacampioni e le bavette sui lati dei rettangolini potrebbero essere riconducibili alla lavorazione a macchina con cui i fermacampioni vengono prodotti.
Garlaschelli si mette quindi all’opera e prova a tagliare frammenti di fermacampioni con le forbici più affilate che possiede. Le misure sono simili a quelle dei rettangolini misteriosi, ma al microscopio gli orli tagliati a mano appaiono totalmente diversi.
A questo punto i due seguono l’ipotesi che si tratti di difetti industriali nel tubo di dentifricio. Tuttavia, la ricerca su internet di notizie a proposito di dentifrici in cui siano stati trovati corpi estranei non dà alcun esito. Esclusa questa possibilità, Bagnasco e Garlaschelli sono anche costretti a chiedersi se il caso potesse essere in realtà opera di un simulatore. Tuttavia, il ragazzo ha 28 anni, e parrebbe un po’ troppo cresciuto per emulare il comportamento tipico di certi adolescenti che simulano i casi di poltergeist[1].
Oltretutto, il protagonista di questa strana vicenda si è trovato le lastrine in bocca nel corso di alcuni anni, mentre i citati episodi di pseudo-poltergeist tendono a essere molto più limitati nel tempo.
Una novità arriva invece dalla madre del ragazzo: cercando su Google con la chiave 'microchip bocca’ trova la sorprendente notizia che un caso simile era stato riportato anni addietro su Flickr da un ragazzo di Roma. Approfondendo le ricerche su questa persona, Bagnasco scopre che ne aveva addirittura parlato sul suo blog. Garlaschelli quindi, temendo che il blog sia ormai abbandonato, ritrova la stessa persona anche su Facebook e gli lascia due messaggi, chiedendo se l’episodio fosse vero o se fosse stato solo uno scherzo.
La risposta, per fortuna, non tarda ad arrivare e approfondisce il mistero: non era uno scherzo, e gli era capitato di trovarsi in bocca i misteriosi frammenti dopo essersi lavato i denti. Nei commenti sotto al post originale, Bagnasco scopre perfino un terzo caso: quello di Jane, una signora americana che affermava di essersi trovata delle lastrine simili addirittura sul cuoio capelluto! A questo punto, due o tre simulatori che si imitano in questo modo sembrano essere davvero improbabili!
Il ritrovamento delle lastrine, ormai, sembra essere correlato al fatto di lavarsi i denti o a spazzole e spazzolini: ancora però non si identifica la loro origine. Bagnasco e Garlaschelli esaminano quindi ipotesi legate ad arredamenti da bagno, od oggetti correlati. Dai glitter per make-up, esclusi perché sono più piccoli e sottili e hanno forme diverse, a frammenti di specchio usati per coprire gli oggetti come i bicchieri per gli spazzolini; ogni possibilità viene metodicamente analizzata e confutata.
La discussione sul caso viene allargata anche al Gruppo Indagini del CICAP; vengono fatte nuove ipotesi soprattutto su come possano essere prodotti - a livello industriale - tali lamelle. Ben presto lo scambio di mail si fa sempre più serrato, non solo sull’origine dei pezzetti metallici ma anche su come essi possano essere finiti in bocca al ragazzo. A questo punto, però, a Garlaschelli pare di ricordare qualcosa su come le setole delle spazzole sono fissate alle loro basi. Detto fatto, impugna una pinza a becchi sottili, recupera il proprio spazzolino da denti e ne strappa senza difficoltà un ciuffetto di setole dal loro alveolo. Ed ecco che tra le setole sparse sul tavolino appare una lastrina identica a quelle incriminate!
La notizia si diffonde velocemente nelle mailing list del CICAP, i cui iscritti nei due giorni successivi smembrano almeno dodici spazzolini per verificare il fatto e cercare di capirne meglio la dinamica.
Certo è che ogni spazzolino “sacrificato” per la scienza possiede le famigerate lastrine, che servono a tenere fisse le setole nel corpo di plastica (si veda il disegno realizzato da Bagnasco n.d.r.).
Le dimensioni sono sempre circa le stesse, a volte presentano leggere rigature - evidentemente per trattenere meglio le setole - e sono quasi sempre dorate, come se fossero di ottone. In pochi casi sono argentee, forse di acciaio inossidabile. Anche altre spazzole, come quelle per le unghie, utilizzano lo stesso sistema. La signora che si era trovata una lastrina sulla fronte probabilmente stava utilizzando una spazzola per capelli costruita in modo simile.
Il vero mistero a questo punto è: come sono potute emergere quelle lastrine dalle viscere dello spazzolino? La risposta è difficile. Evidentemente a volte il processo di fabbricazione potrebbe lasciare alcune setole fissate meno saldamente. A tutti sarà capitato di trovarsene qualcuna in bocca. Una volta che da un alveolo si staccano anche due o tre setole, la lastrina potrebbe scivolare fuori. Marche di spazzolini diverse potrebbero anche avere resistenza all’uso diversa. La madre del ragazzo, messa al corrente della piccola scoperta, afferma inoltre che il figlio è solito usare lo spazzolino da denti con grande energia.
Se capita anche a voi di trovarvi una lastrina dorata in bocca, ora lo sapete: probabilmente non si tratta di un microchip che vi è stato impiantato dagli alieni!