Verso la fine del 1859, Charles Darwin inviò una copia del suo libro L’origine delle specie a un famoso naturalista europeo. I due erano quasi coetanei e, anche se Darwin aveva incontrato questo naturalista una sola volta quasi vent’anni prima, la sua autorità scientifica giustificava l’invio di un’opera di cui non avrebbe sicuramente gradito le conclusioni. Se mai avesse voluto leggere il volume - scriveva Darwin - non doveva pensare che glielo avesse inviato come sfida o per compiere una bravata, ma nella speranza di vedersi riconosciuto l’intenso sforzo per arrivare alla verità[1].
«Questo è veramente mostruoso», scrisse il naturalista a margine di un passaggio del libro di Darwin che trovava particolarmente ripugnante: che differenza faceva tra il credere che Dio avesse creato una varietà di specie differenti oppure che avesse determinato le leggi naturali attraverso cui le specie variavano? Che cosa provava tutto questo se non che esisteva una «unità ideale», che lega tutte le parti della natura in un «progetto»? [2]
Chi esprimeva così chiaramente le sue convinzioni creazioniste era Louis Agassiz, uno scienziato di origine svizzera che si era distinto in Europa per le sue ricerche sui pesci fossili e sui movimenti dei ghiacciai nelle passate epoche geologiche. Figlio di un pastore protestante, Agassiz era stato allievo fedele di Georges Cuvier, il grande naturalista francese che aveva dato impulso alla zoologia e all’anatomia comparata. Cuvier, autore di un’enciclopedica Storia naturale dei pesci, aveva fondato la scienza della paleontologia ma si era strenuamente opposto alle concezioni evoluzionistiche di Jean-Baptiste Lamarck, ritenendo che le specie viventi non avessero alcuna relazione genealogica con quelle scomparse nelle epoche passate dato che - basandosi sulle conoscenze del suo tempo - non era stato in grado di individuare forme intermedie. Cuvier aveva anche esposto la teoria del “catastrofismo” che giustificava, adeguandosi alla Bibbia, la scomparsa di intere specie e la comparsa di nuove completamente indipendenti da queste ultime.
Agassiz rimase fedele fino all’ultimo alle idee del suo maestro, anche quando le prove a favore dell’evoluzione cominciarono ad accumularsi inesorabilmente nel mondo scientifico. Nel 1846 si trasferì negli Stati Uniti, un paese con enormi risorse geologiche e zoologiche ancora da studiare. Un Saggio sulla classificazione, pubblicato nel 1859, mostra che lo studioso sembrava non essersi accorto che il mondo della zoologia stava ormai abbandonando le dottrine creazioniste, rivolgendo il suo interesse alle teorie dell’evoluzione. Nonostante i pregiudizi - che derivavano anche dall’impostazione “idealistica” dei suoi studi universitari in Germania - Agassiz non era uno scienziato da tavolino: il suo insegnamento era improntato al contatto con la natura e alla raccolta di fatti concreti. Il Museo di Zoologia Comparata che aveva voluto presso l’Università di Harvard divenne il ricettacolo di un flusso ininterrotto di campioni ed esemplari, acquistati spesso a proprie spese dallo scienziato, che non esitava a fare debiti pur di incrementare la collezione.
Agassiz era ambizioso, tenace e infaticabile; si dedicava ossessivamente all’enorme lavoro di raccolta e classificazione che aveva davanti, sempre pronto a proiettarsi verso progetti futuri anche quando quelli in corso non erano completati. Come molti professori del vecchio continente, i suoi modi erano autoritari e aveva bisogno più di assistenti che di collaboratori.
In molti, a partire dai suoi colleghi di allora, si sono chiesti come uno dei più abili e competenti naturalisti della sua epoca possa essersi rifiutato di riconoscere alla luce della teoria darwiniana i fatti che si presentavano davanti ai suoi occhi e che parlavano di cambiamenti ambientali, variabilità ed ereditarietà. Nessuno meglio di Agassiz ha dimostrato come le convinzioni personali possano talvolta incidere su quello che effettivamente vediamo quando pensiamo di condurre osservazioni oggettive.
Partendo dallo studio dei resti fossili dei pesci, in cui era diventato il maggiore esperto, Agassiz si convinse che le specie animali e vegetali erano immutabili e non derivavano le une dalle altre, così come non potevano avere un lontano discendente comune; esse erano piuttosto la prova di un progetto che riguardava la vita e in cui ogni specie era un “pensiero” divino. In questo tipo di creazionismo, in cui ogni idea di sviluppo da forme semplici a forme complesse di vita era bandita, uomini, animali e vegetali erano nati da una serie di creazioni “speciali”, separate e indipendenti, mentre i cambiamenti ambientali non potevano avere ripercussioni organiche sulla scala evolutiva, ma unicamente provocare estinzioni di massa. Agassiz non condivideva le posizioni dei fondamentalisti cristiani, che propendevano per l’interpretazione letterale della Bibbia; egli riteneva che i testi sacri non erano manuali di storia naturale e che un’interpretazione non ortodossa delle origini dell’uomo come la sua - dove specie umane differenti erano state create separatamente - non precludeva un atteggiamento di devozione da parte dello scienziato che le esponeva. Ciononostante, l’idea di una “creazione separata” fu cavalcata dai razzisti americani prima della guerra civile, che la utilizzarono come argomento a favore dell’inferiorità dei neri per giustificarne la schiavitù.
L’unico tipo di “trasmutazione” che Agassiz fosse disposto ad accettare derivava dalla Naturphilosophie studiata in Germania e riguardava lo sviluppo embriologico di un individuo che avrebbe seguito una “ricapitolazione”, passando da forme semplici a forme adulte più complesse secondo una linea stabilita; si trattava comunque di una trasformazione ontogenetica - relativa cioè alla storia individuale - piuttosto che filogenetica, ossia riguardante la storia di un gruppo di individui geneticamente apparentati.
L’ostinazione e i metodi autoritari di Agassiz lo isolarono gradualmente dagli ambienti scientifici man mano che le idee evoluzionistiche diventavano sempre più note, anche se egli continuò ad avere in America una certa influenza a livello istituzionale e una vasta popolarità grazie alle sue conferenze - dove esponeva le sue idee creazioniste - e ai suoi articoli divulgativi sulla stampa. Molti dei suoi allievi più brillanti si allontanarono da lui, mentre eminenti colleghi, come il geologo e paleontologo James Dwight Dana e il botanico Asa Gray, si convinsero sempre più che Agassiz stesse ormai difendendo convinzioni teologiche invece che scientifiche. Era sorprendente constatare - confessò Darwin all’amico Joseph Dalton Hooker nel marzo 1856 - come un uomo così eminentemente intelligente e con una conoscenza così immensa potesse scrivere tali cose. [3]
Gli esemplari che Agassiz raccoglieva in modo compulsivo confluivano nel suo museo, dove sarebbero stati studiati per smentire le teorie evoluzionistiche e provare la fissità delle specie. Lo scienziato aveva una risposta per contrastare ogni indicazione che fosse contraria alle sue convinzioni: i pesci fossili “intermedi”, che possedevano caratteristiche sia dei rettili che delle specie ittiche, erano viste da Agassiz non come delle specie di transizione ma come creature “profetiche”. È sorprendente che il museo voluto da Agassiz ad Harvard abbia risentito fino in epoca recentissima delle convinzioni antievoluzioniste del suo ideatore: «il modo con cui questa istituzione si presenta al pubblico» - scriveva nel novembre 2003 il Boston Globe - «assomiglia più a un monumento alla tassidermia vittoriana che all’educazione scientifica». [4]
Naturalmente Agassiz non era il solo scienziato antievoluzionista della sua epoca, ma le opinioni stavano rapidamente cambiando. Dalla fine del 1861 egli non pubblicò più nessun articolo contro la teoria di Darwin nella letteratura scientifica, preferendo affidarsi alla stampa periodica, come la rivista Atlantic Monthly presso cui aveva una platea fedele di lettori.
Il desiderio di trovare a tutti i costi prove che potessero confutare l’evoluzione causarono un incidente che diede un ulteriore colpo alla reputazione scientifica di Agassiz dopo una spedizione naturalistica che intraprese in Brasile tra il 1865 e il 1866, con il finanziamento di un ricco uomo d’affari di Boston. Agassiz ritenne di aver trovato le tracce di una glaciazione che aveva coperto anche le regioni tropicali. Se la grande glaciazione del Pleistocene aveva raggiunto anche queste zone, trasformando la Terra in una palla di ghiaccio ed estinguendo tutte le forme di vita, questo significava che la flora e la fauna erano state ricreate di nuovo perlomeno una volta, e che non potevano esistere relazioni genetiche tra le piante e gli animali che erano vissuti prima e dopo l’evento. In questo modo le convinzioni degli evoluzionisti sarebbero state smentite.
Gli altri scienziati rimasero sorpresi nell’apprendere che colui che aveva studiato i ghiacciai alpini nel 1837, aveva rapidamente trovato questo tipo di tracce (senza fornire le prove) in un’area dell’Amazzonia dove altri scienziati, come Henry W. Bates e Alfred Russel Wallace, avevano trascorso anni di ricerche senza trovare nulla. In realtà Agassiz era stato mosso da una motivazione ideologica e aveva pensato di scoprire ciò che lo aveva spinto a compiere la spedizione. Solo in seguito furono trovate tracce di glaciazioni in alcune aree del Brasile, ma erano avvenute circa 250 milioni di anni prima di quella che Agassiz aveva cercato di provare e, per ironia della sorte, servirono a Darwin e al geologo Charles Lyell come ipotesi per una teoria sull’attuale distribuzione zoologica in quelle regioni. [5]
Dal 1866, Agassiz interruppe i suoi attacchi dogmatici contro gli evoluzionisti sulla stampa periodica. Tuttavia nel dicembre 1871, nonostante le sue precarie condizioni di salute (sarebbe morto di lì a due anni), lo scienziato si imbarcò in una spedizione di circumnavigazione del Sud America che seguiva parzialmente la rotta percorsa dalla Beagle nel celebre viaggio che Darwin aveva compiuto quarant’anni prima.
L’obiettivo era di studiare la vita sottomarina sperimentando un nuovo tipo di reti da pesca, nella convinzione - errata - che i fondi marini fossero un ambiente privo di sollecitazioni al cambiamento e quindi popolati unicamente da creature primitive che erano rimaste come erano state originariamente create. Ma Agassiz desiderava anche confrontarsi con la teoria darwiniana negli stessi luoghi in cui il naturalista inglese aveva maturato le sue opinioni. A questo scopo, dichiarandosi libero da ogni influenza esterna, aveva portato con sé solo le opere di Darwin. [6]
Il punto cruciale del viaggio furono le isole Galápagos, raggiunte il 10 giugno 1872. Durante la sosta, un gruppo di assistenti si impegnò nell’esplorazione delle formazioni vulcaniche, catturando alcuni esemplari di iguana che le popolavano. Lo stesso Darwin, una volta saputo della spedizione, si era augurato che il viaggio alle isole da lui visitate nel 1835, avesse potuto mutare le convinzioni del collega americano. Le speranze furono vane: al ritorno dal faticoso viaggio Agassiz non divulgò nessuna delle sue osservazioni scientifiche e solo la moglie, che lo aveva accompagnato, pubblicò una relazione sull’Atlantic Monthly. È rimasta un’unica considerazione di Agassiz sulle Galápagos, in una lettera inviata il 19 luglio 1872 all’amico Benjamin Peirce, il responsabile dell’US Coast Survey che aveva reso possibile la spedizione; essa è riportata nella biografia dello scienziato scritta dalla moglie. Nella lettera, Agassiz riconosceva come fosse impressionante trovarsi in un arcipelago così esteso e di origine così recente, abitato da creature così differenti da ogni altra parte del mondo. Si rifiutava però di prendere in considerazione le similitudini con le specie che abitavano la lontana terraferma sudamericana e che avevano raggiunto le isole, evolvendo separatamente e in modo diverso per adattarsi alle condizioni ambientali dell’isola.
Dato che le isole erano recenti - ragionò Agassiz - la trasformazioni delle specie avrebbe dovuto avvenire rapidamente e non in tempi lunghissimi come sostenevano gli evoluzionisti. Alla luce di questi fatti - concludeva - bisognava riconoscere che la scienza non era ancora pronta a discutere l’origine degli esseri viventi [7]. Anche tenendo conto che i meccanismi evolutivi con cui avvenivano gli adattamenti non erano ancora conosciuti a quell’epoca, Agassiz si era rifiutato di accogliere quella sfida scientifica che aveva invece rappresentato una catarsi per Darwin. Oggi sappiamo che cambiamenti evolutivi possono avvenire anche in tempi molto brevi: uno studio condotto da Peter e Rosemary Grant della Princeton University sui famosi fringuelli osservati da Darwin alle Galàpagos, ha mostrato che un solo anno di siccità nelle isole ogni dieci, favorisce la sopravvivenza di piante che producono noci dal guscio più resistente e, in circa duecento anni, può far emergere per selezione naturale nuove specie di fringuelli con il becco sufficientemente robusto per rompere queste noci. [8]
Perché Agassiz, giunto alle Galápagos, mise da parte il principale argomento di Darwin e una volta concluso il viaggio disse così poco sulle isole? Stephen Jay Gould ha ritenuto che il vecchio scienziato era ormai talmente radicato nelle sue convinzioni creazionistiche che la visita alle Galápagos lo impressionò molto poco: «La scoperta scientifica non è un trasferimento a senso unico di informazione da una natura priva di ambiguità a menti che sono sempre aperte» - scrive Gould - essa è piuttosto «un’interazione reciproca fra una natura multiforme e sconcertante e menti sufficientemente ricettive». Alle Galápagos non vi erano segni che proclamavano a gran voce che l’evoluzione fosse all’opera; le informazioni erano deboli, anche se comprensibili, e dovevano essere estratte dal “rumore di fondo”. Il giovane Darwin fu recettivo a questi segnali, mentre Agassiz arrivò sulle isole con un atteggiamento difensivo e con il pregiudizio di sapere già quello che voleva trovare: per l’ennesima volta le prove dell’esattezza dell’ipotesi creazionista. Forse fu per questo che le isole Galápagos non gli comunicarono niente - conclude Gould - perché la scienza richiede un’interazione equilibrata di intelligenza e natura.[9]
Lo psicologo William James, che fu allievo di Agassiz e lo accompagnò nella sua spedizione in Brasile, ci ha lasciato una descrizione del peculiare tipo di intelletto dello scienziato, «in cui la capacità di astrazione e di ragionamento causale e l’abilità di tracciare catene di conseguenze partendo dalle ipotesi, erano meno sviluppate del suo genio per la conoscenza di enormi quantità di dettagli e della sua facilità nell’afferrare analogie e relazioni di tipo più immediato e concreto».[10] Agassiz non riuscì a tenere il passo con la zoologia quando questa, da “storia naturale” - che studia le specie, le forme e le loro relazioni tassonomiche - si stava trasformando in una nuova scienza che usava il microscopio, si apriva alla fisiologia, all’istologia e alla chimica e, soprattutto, utilizzava ragionamenti più astratti. Questo limite lo emarginò negli ultimi anni della sua vita dal centro del pensiero scientifico, trasformandolo in una figura sempre più eccentrica e fondamentalmente tragica; perlomeno agli occhi di un numero sempre maggiore di suoi colleghi.
Andrea Albini Collaboratore tecnico presso l’Università di Pavia dove si occupa di didattica e dello studio di materiali per l’ingegneria elettrica
«Questo è veramente mostruoso», scrisse il naturalista a margine di un passaggio del libro di Darwin che trovava particolarmente ripugnante: che differenza faceva tra il credere che Dio avesse creato una varietà di specie differenti oppure che avesse determinato le leggi naturali attraverso cui le specie variavano? Che cosa provava tutto questo se non che esisteva una «unità ideale», che lega tutte le parti della natura in un «progetto»? [2]
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Creazionismo e scienze naturali
Chi esprimeva così chiaramente le sue convinzioni creazioniste era Louis Agassiz, uno scienziato di origine svizzera che si era distinto in Europa per le sue ricerche sui pesci fossili e sui movimenti dei ghiacciai nelle passate epoche geologiche. Figlio di un pastore protestante, Agassiz era stato allievo fedele di Georges Cuvier, il grande naturalista francese che aveva dato impulso alla zoologia e all’anatomia comparata. Cuvier, autore di un’enciclopedica Storia naturale dei pesci, aveva fondato la scienza della paleontologia ma si era strenuamente opposto alle concezioni evoluzionistiche di Jean-Baptiste Lamarck, ritenendo che le specie viventi non avessero alcuna relazione genealogica con quelle scomparse nelle epoche passate dato che - basandosi sulle conoscenze del suo tempo - non era stato in grado di individuare forme intermedie. Cuvier aveva anche esposto la teoria del “catastrofismo” che giustificava, adeguandosi alla Bibbia, la scomparsa di intere specie e la comparsa di nuove completamente indipendenti da queste ultime.
Agassiz rimase fedele fino all’ultimo alle idee del suo maestro, anche quando le prove a favore dell’evoluzione cominciarono ad accumularsi inesorabilmente nel mondo scientifico. Nel 1846 si trasferì negli Stati Uniti, un paese con enormi risorse geologiche e zoologiche ancora da studiare. Un Saggio sulla classificazione, pubblicato nel 1859, mostra che lo studioso sembrava non essersi accorto che il mondo della zoologia stava ormai abbandonando le dottrine creazioniste, rivolgendo il suo interesse alle teorie dell’evoluzione. Nonostante i pregiudizi - che derivavano anche dall’impostazione “idealistica” dei suoi studi universitari in Germania - Agassiz non era uno scienziato da tavolino: il suo insegnamento era improntato al contatto con la natura e alla raccolta di fatti concreti. Il Museo di Zoologia Comparata che aveva voluto presso l’Università di Harvard divenne il ricettacolo di un flusso ininterrotto di campioni ed esemplari, acquistati spesso a proprie spese dallo scienziato, che non esitava a fare debiti pur di incrementare la collezione.
Agassiz era ambizioso, tenace e infaticabile; si dedicava ossessivamente all’enorme lavoro di raccolta e classificazione che aveva davanti, sempre pronto a proiettarsi verso progetti futuri anche quando quelli in corso non erano completati. Come molti professori del vecchio continente, i suoi modi erano autoritari e aveva bisogno più di assistenti che di collaboratori.
In molti, a partire dai suoi colleghi di allora, si sono chiesti come uno dei più abili e competenti naturalisti della sua epoca possa essersi rifiutato di riconoscere alla luce della teoria darwiniana i fatti che si presentavano davanti ai suoi occhi e che parlavano di cambiamenti ambientali, variabilità ed ereditarietà. Nessuno meglio di Agassiz ha dimostrato come le convinzioni personali possano talvolta incidere su quello che effettivamente vediamo quando pensiamo di condurre osservazioni oggettive.
Partendo dallo studio dei resti fossili dei pesci, in cui era diventato il maggiore esperto, Agassiz si convinse che le specie animali e vegetali erano immutabili e non derivavano le une dalle altre, così come non potevano avere un lontano discendente comune; esse erano piuttosto la prova di un progetto che riguardava la vita e in cui ogni specie era un “pensiero” divino. In questo tipo di creazionismo, in cui ogni idea di sviluppo da forme semplici a forme complesse di vita era bandita, uomini, animali e vegetali erano nati da una serie di creazioni “speciali”, separate e indipendenti, mentre i cambiamenti ambientali non potevano avere ripercussioni organiche sulla scala evolutiva, ma unicamente provocare estinzioni di massa. Agassiz non condivideva le posizioni dei fondamentalisti cristiani, che propendevano per l’interpretazione letterale della Bibbia; egli riteneva che i testi sacri non erano manuali di storia naturale e che un’interpretazione non ortodossa delle origini dell’uomo come la sua - dove specie umane differenti erano state create separatamente - non precludeva un atteggiamento di devozione da parte dello scienziato che le esponeva. Ciononostante, l’idea di una “creazione separata” fu cavalcata dai razzisti americani prima della guerra civile, che la utilizzarono come argomento a favore dell’inferiorità dei neri per giustificarne la schiavitù.
L’unico tipo di “trasmutazione” che Agassiz fosse disposto ad accettare derivava dalla Naturphilosophie studiata in Germania e riguardava lo sviluppo embriologico di un individuo che avrebbe seguito una “ricapitolazione”, passando da forme semplici a forme adulte più complesse secondo una linea stabilita; si trattava comunque di una trasformazione ontogenetica - relativa cioè alla storia individuale - piuttosto che filogenetica, ossia riguardante la storia di un gruppo di individui geneticamente apparentati.
Alla ricerca della glaciazione totale
L’ostinazione e i metodi autoritari di Agassiz lo isolarono gradualmente dagli ambienti scientifici man mano che le idee evoluzionistiche diventavano sempre più note, anche se egli continuò ad avere in America una certa influenza a livello istituzionale e una vasta popolarità grazie alle sue conferenze - dove esponeva le sue idee creazioniste - e ai suoi articoli divulgativi sulla stampa. Molti dei suoi allievi più brillanti si allontanarono da lui, mentre eminenti colleghi, come il geologo e paleontologo James Dwight Dana e il botanico Asa Gray, si convinsero sempre più che Agassiz stesse ormai difendendo convinzioni teologiche invece che scientifiche. Era sorprendente constatare - confessò Darwin all’amico Joseph Dalton Hooker nel marzo 1856 - come un uomo così eminentemente intelligente e con una conoscenza così immensa potesse scrivere tali cose. [3]
Gli esemplari che Agassiz raccoglieva in modo compulsivo confluivano nel suo museo, dove sarebbero stati studiati per smentire le teorie evoluzionistiche e provare la fissità delle specie. Lo scienziato aveva una risposta per contrastare ogni indicazione che fosse contraria alle sue convinzioni: i pesci fossili “intermedi”, che possedevano caratteristiche sia dei rettili che delle specie ittiche, erano viste da Agassiz non come delle specie di transizione ma come creature “profetiche”. È sorprendente che il museo voluto da Agassiz ad Harvard abbia risentito fino in epoca recentissima delle convinzioni antievoluzioniste del suo ideatore: «il modo con cui questa istituzione si presenta al pubblico» - scriveva nel novembre 2003 il Boston Globe - «assomiglia più a un monumento alla tassidermia vittoriana che all’educazione scientifica». [4]
Naturalmente Agassiz non era il solo scienziato antievoluzionista della sua epoca, ma le opinioni stavano rapidamente cambiando. Dalla fine del 1861 egli non pubblicò più nessun articolo contro la teoria di Darwin nella letteratura scientifica, preferendo affidarsi alla stampa periodica, come la rivista Atlantic Monthly presso cui aveva una platea fedele di lettori.
Il desiderio di trovare a tutti i costi prove che potessero confutare l’evoluzione causarono un incidente che diede un ulteriore colpo alla reputazione scientifica di Agassiz dopo una spedizione naturalistica che intraprese in Brasile tra il 1865 e il 1866, con il finanziamento di un ricco uomo d’affari di Boston. Agassiz ritenne di aver trovato le tracce di una glaciazione che aveva coperto anche le regioni tropicali. Se la grande glaciazione del Pleistocene aveva raggiunto anche queste zone, trasformando la Terra in una palla di ghiaccio ed estinguendo tutte le forme di vita, questo significava che la flora e la fauna erano state ricreate di nuovo perlomeno una volta, e che non potevano esistere relazioni genetiche tra le piante e gli animali che erano vissuti prima e dopo l’evento. In questo modo le convinzioni degli evoluzionisti sarebbero state smentite.
Gli altri scienziati rimasero sorpresi nell’apprendere che colui che aveva studiato i ghiacciai alpini nel 1837, aveva rapidamente trovato questo tipo di tracce (senza fornire le prove) in un’area dell’Amazzonia dove altri scienziati, come Henry W. Bates e Alfred Russel Wallace, avevano trascorso anni di ricerche senza trovare nulla. In realtà Agassiz era stato mosso da una motivazione ideologica e aveva pensato di scoprire ciò che lo aveva spinto a compiere la spedizione. Solo in seguito furono trovate tracce di glaciazioni in alcune aree del Brasile, ma erano avvenute circa 250 milioni di anni prima di quella che Agassiz aveva cercato di provare e, per ironia della sorte, servirono a Darwin e al geologo Charles Lyell come ipotesi per una teoria sull’attuale distribuzione zoologica in quelle regioni. [5]
Agassiz alle Galàpagos
Dal 1866, Agassiz interruppe i suoi attacchi dogmatici contro gli evoluzionisti sulla stampa periodica. Tuttavia nel dicembre 1871, nonostante le sue precarie condizioni di salute (sarebbe morto di lì a due anni), lo scienziato si imbarcò in una spedizione di circumnavigazione del Sud America che seguiva parzialmente la rotta percorsa dalla Beagle nel celebre viaggio che Darwin aveva compiuto quarant’anni prima.
L’obiettivo era di studiare la vita sottomarina sperimentando un nuovo tipo di reti da pesca, nella convinzione - errata - che i fondi marini fossero un ambiente privo di sollecitazioni al cambiamento e quindi popolati unicamente da creature primitive che erano rimaste come erano state originariamente create. Ma Agassiz desiderava anche confrontarsi con la teoria darwiniana negli stessi luoghi in cui il naturalista inglese aveva maturato le sue opinioni. A questo scopo, dichiarandosi libero da ogni influenza esterna, aveva portato con sé solo le opere di Darwin. [6]
Il punto cruciale del viaggio furono le isole Galápagos, raggiunte il 10 giugno 1872. Durante la sosta, un gruppo di assistenti si impegnò nell’esplorazione delle formazioni vulcaniche, catturando alcuni esemplari di iguana che le popolavano. Lo stesso Darwin, una volta saputo della spedizione, si era augurato che il viaggio alle isole da lui visitate nel 1835, avesse potuto mutare le convinzioni del collega americano. Le speranze furono vane: al ritorno dal faticoso viaggio Agassiz non divulgò nessuna delle sue osservazioni scientifiche e solo la moglie, che lo aveva accompagnato, pubblicò una relazione sull’Atlantic Monthly. È rimasta un’unica considerazione di Agassiz sulle Galápagos, in una lettera inviata il 19 luglio 1872 all’amico Benjamin Peirce, il responsabile dell’US Coast Survey che aveva reso possibile la spedizione; essa è riportata nella biografia dello scienziato scritta dalla moglie. Nella lettera, Agassiz riconosceva come fosse impressionante trovarsi in un arcipelago così esteso e di origine così recente, abitato da creature così differenti da ogni altra parte del mondo. Si rifiutava però di prendere in considerazione le similitudini con le specie che abitavano la lontana terraferma sudamericana e che avevano raggiunto le isole, evolvendo separatamente e in modo diverso per adattarsi alle condizioni ambientali dell’isola.
Dato che le isole erano recenti - ragionò Agassiz - la trasformazioni delle specie avrebbe dovuto avvenire rapidamente e non in tempi lunghissimi come sostenevano gli evoluzionisti. Alla luce di questi fatti - concludeva - bisognava riconoscere che la scienza non era ancora pronta a discutere l’origine degli esseri viventi [7]. Anche tenendo conto che i meccanismi evolutivi con cui avvenivano gli adattamenti non erano ancora conosciuti a quell’epoca, Agassiz si era rifiutato di accogliere quella sfida scientifica che aveva invece rappresentato una catarsi per Darwin. Oggi sappiamo che cambiamenti evolutivi possono avvenire anche in tempi molto brevi: uno studio condotto da Peter e Rosemary Grant della Princeton University sui famosi fringuelli osservati da Darwin alle Galàpagos, ha mostrato che un solo anno di siccità nelle isole ogni dieci, favorisce la sopravvivenza di piante che producono noci dal guscio più resistente e, in circa duecento anni, può far emergere per selezione naturale nuove specie di fringuelli con il becco sufficientemente robusto per rompere queste noci. [8]
Perché Agassiz, giunto alle Galápagos, mise da parte il principale argomento di Darwin e una volta concluso il viaggio disse così poco sulle isole? Stephen Jay Gould ha ritenuto che il vecchio scienziato era ormai talmente radicato nelle sue convinzioni creazionistiche che la visita alle Galápagos lo impressionò molto poco: «La scoperta scientifica non è un trasferimento a senso unico di informazione da una natura priva di ambiguità a menti che sono sempre aperte» - scrive Gould - essa è piuttosto «un’interazione reciproca fra una natura multiforme e sconcertante e menti sufficientemente ricettive». Alle Galápagos non vi erano segni che proclamavano a gran voce che l’evoluzione fosse all’opera; le informazioni erano deboli, anche se comprensibili, e dovevano essere estratte dal “rumore di fondo”. Il giovane Darwin fu recettivo a questi segnali, mentre Agassiz arrivò sulle isole con un atteggiamento difensivo e con il pregiudizio di sapere già quello che voleva trovare: per l’ennesima volta le prove dell’esattezza dell’ipotesi creazionista. Forse fu per questo che le isole Galápagos non gli comunicarono niente - conclude Gould - perché la scienza richiede un’interazione equilibrata di intelligenza e natura.[9]
Lo psicologo William James, che fu allievo di Agassiz e lo accompagnò nella sua spedizione in Brasile, ci ha lasciato una descrizione del peculiare tipo di intelletto dello scienziato, «in cui la capacità di astrazione e di ragionamento causale e l’abilità di tracciare catene di conseguenze partendo dalle ipotesi, erano meno sviluppate del suo genio per la conoscenza di enormi quantità di dettagli e della sua facilità nell’afferrare analogie e relazioni di tipo più immediato e concreto».[10] Agassiz non riuscì a tenere il passo con la zoologia quando questa, da “storia naturale” - che studia le specie, le forme e le loro relazioni tassonomiche - si stava trasformando in una nuova scienza che usava il microscopio, si apriva alla fisiologia, all’istologia e alla chimica e, soprattutto, utilizzava ragionamenti più astratti. Questo limite lo emarginò negli ultimi anni della sua vita dal centro del pensiero scientifico, trasformandolo in una figura sempre più eccentrica e fondamentalmente tragica; perlomeno agli occhi di un numero sempre maggiore di suoi colleghi.
Andrea Albini Collaboratore tecnico presso l’Università di Pavia dove si occupa di didattica e dello studio di materiali per l’ingegneria elettrica
Bibliografia e note
1) Edward Lurie. Louis Agassiz : a life in science. University of Chicago Press, Chicago and London, 1966, pp. 253-4.
2) Ibid. p. 255.
3) Ibid. p. 269
4) Jascha Hoffman. “Natural Selection”. Boston Globe, 18 November 2003
5) Lurie. Cit. p. 356
6) Stephen Jay Gould. Quando i cavalli avevano le dita. Feltrinelli, Milano, 1984, p. 113.
7) Elizabeth Cary Agassiz. Louis Agassiz: his life and correspondence. Houghton Mifflin & Co. Boston, 1885 (Capitolo 24; edizione elettronica in http://www.gutenberg.org ).
8) Science and Creationism: a view from the National Academy of Science. Second Edition, 1999, pp. 10-11 (edizione elettronica in http://www.nap.edu/catalog/6024.html ).
9) Gould. Cit. pp. 118-119.
10) Autori Vari. Storie segrete della Scienza. Mondadori, Milano, pp. 184-6.