L'articolo di Repubblica uscito il 10 febbraio 2014, dal titolo “Prepariamoci all’era dei supertopi. Dai roditori lo strano scherzo dell’evoluzione”[1], è un po’ una raccolta di molti degli errori che i mass-media fanno quando parlano di animali o piante in evoluzione.
È interessante ripercorrere i passi del pezzo, perché permettono di capire come si intrecciano conoscenze corrette (magari da fonti autorevoli) con credenze di senso comune. Non tutte le colpe, ovviamente, sono da ascrivere all’articolista, Simone Cosimi, ma in varia misura ai responsabili delle pagine e al titolista.
Il primo problema è la (solita) confusione tra topi ‒ nel titolo e nel testo ‒ e ratti ‒ nel testo. Sono due specie del tutto diverse, come ben sa chiunque abbia visto un topolino delle case (Mus musculus) e un ratto (Rattus norvegicus). Le dimensioni sono decisamente diverse (7,5-10 cm contro 25 cm) e l’aspetto anche. Il topolino domestico è più snello e il colore marrone un po’ più chiaro, orecchie e occhi sono più grandi rispetto al corpo. Ma soprattutto i topolini abitano le case, i ratti preferiscono fogne e sotterranei. Sono animali così diversi che visti l’uno accanto all’altro sono difficili da confondere: ma i media usano l’uno o l’altro termine quando e come fa comodo per il ritmo dell’articolo.
Il secondo punto è: “qual è la notizia”? Probabilmente è l’aumento di resistenza agli anticoagulanti, i veleni che vengono usati per combattere i roditori. Gli animali, secondo l’articolo, «sono infatti in grado di resistere ai veleni più diffusi Oltremanica». Come se fosse un fenomeno improvviso e appena avvenuto. In realtà, cercando di rintracciare la fonte, ho trovato un articolo[2] del Daily Mail – che quanto ad autorevolezza è lì lì con Novella 3000 – pubblicato all’inizio dell’anno. Si dice che è in atto un’invasione di “super ratti mutanti” in occasione delle alluvioni che hanno colpito la Gran Bretagna; gli animali sono super perché resistono ai rodenticidi. Un minimo di ricerca, e di ricordi universitari (nel secolo scorso...), mi dice che la resistenza ai rodenticidi è un fenomeno studiato da decenni, il primo caso fu in Scozia nel 1958. Nessuna novità quindi, se non che un paio d’anni fa alcuni ricercatori del Rodenticide Resistance Action Group dell’università di Reading hanno fatto un’analisi dello stato delle cose[3]. Affermando che sarebbero necessarie altre politiche per affrontare il problema. Niente emergenza, niente invasione, niente malattie trasmesse. No, queste ci sono, ma anche in questo caso i pericoli erano ben noti.
Il tutto, quindi, è ben lontano da uno “scherzo dell’evoluzione” – altra frase del titolo. Non si tratta infatti di qualcosa di particolare, di strano, di inusuale, anzi è una delle più classiche dimostrazioni di microevoluzione, di modifica cioè delle frequenze alleliche in una popolazione. Che, come dice sempre l’articolista, sia aiutata dall’uomo, non ci sono dubbi. Ma anche la resistenza agli erbicidi, agli insetticidi, agli antibiotici e a tutti i veleni che immettiamo nell’ambiente sono fenomeni aiutati dall’uomo. E non sono affatto scherzi di natura.
E arriviamo al particolare delle dimensioni. I ricercatori di Reading parlavano di super ratti mutanti, attenzione, non “super ratti giganti mutanti”. Perché questo particolare aspetto è stato enfatizzato, o meglio aggiunto? L’idea sottointesa è che se un animale diventa super, quindi evolve, anche le sue dimensioni aumenteranno. Nel corso della storia della vita sulla Terra, così dice la vulgata dell’evoluzione, gli animali sono diventati sempre più grandi; lo sanno tutti, no? Perché evoluzione significa miglioramento e quindi, automaticamente, dimensioni maggiori, più complessità, sistemi più intricati. Si va dalle cellule ai dinosauri, dai topi ai mammut, dalle scimmie all’uomo.
Tutti più grandi. Vero? No, l’aumento di dimensioni delle specie animali e vegetali sul pianeta è un artefatto, un’illusione dovuta alla divulgazione e a una lettura semplicistica della storia della vita sulla Terra. Che ha visto animali ingrandirsi e rimpicciolirsi, così come diventare più complessi e più semplici, per tutta la storia della vita sulla Terra. Quando si dice che l’evoluzione non è teleologica, non ha un fine verso cui “dirigersi”, si vuol significare proprio questo. I meccanismi evolutivi sono volti sempre e soltanto a superare i problemi del qui e ora, senza una vera e propria direzione che porti a una maggiore o minore complessità.
Per questo i tentativi di Bergson o Teilhard De Chardin di individuare una direzione dell’evoluzione per conciliare evoluzione e religione (cattolicesimo in particolare) sono destinati a fallire; il punto Omega di Teilhard De Chardin, il “massimo livello di complessità e di coscienza verso il quale sembra che l’universo tenda nella sua evoluzione” (definizione di Wikipedia[4]) non ha dal punto di vista evolutivo nessuna ragione di essere.
Forse abbiamo presunto troppo da poche frasi dell’articolo, ma ne abbiamo approfittato, diciamo, per chiarire alcuni aspetti che periodicamente ritornano sui mass-media quando si parla di evoluzione per selezione naturale. Forse l’autore voleva solo agganciare la presenza di ratti mutanti, resistenti ai rodenticidi, alle affermazioni dello zoologo Jan Zalasiewicz, dell’università di Leicester. Che dice (ho rintracciato anche questo, in rete[5]): «Conviene che ci abituiamo ad avere sempre più ratti intorno a noi, la loro influenza globale è destinata a crescere a mano a mano che gli altri mammiferi si estingueranno». Detta così, e letta all’interno dell’articolo, sembra un grido di allarme verso la famosa invasione dei ratti in tutto il mondo. Ma quel che conta qui è una questione di tempi.
Zalasiewicz, molto probabilmente, non pensava né al domani né al dopodomani. Ma a tempi evolutivi, che implicano quindi migliaia di anni e sconvolgimenti epocali. Non le “semplici” alluvioni che hanno sconvolto l’Inghilterra meridionale (questo sì uno scherzo di natura aiutato dall’uomo; la loro frequenza è molto probabilmente aumentata in seguito al riscaldamento globale). I ratti, secondo Zalasiewicz, potrebbero riempire gli “ecospazi” ‒ la definizione è sua ‒ lasciati liberi dagli altri mammiferi estinti dall’azione dell’uomo. Può darsi; come può darsi tutto nell’evoluzione, che i ratti si estinguano anche loro in seguito all’estinzione del loro fornitore di cibo. Cioè noi. O che divengano superintelligenti e conquistino lo spazio.
All’interno dell’articolo c'è anche il riferimento alle ricerche di un paleontologo, che ha scoperto come nei periodi caldi gli animali siano aumentati di dimensioni. Ancora, può accadere, ma alcune ricerche hanno rivelato come il riscaldamento globale (sempre lui) abbia diminuito le dimensioni di un gruppo di pecore selvatiche di alcune isole scozzesi[6]. Però, per Cosimi, l’aumento di dimensioni (“dando loro abbastanza tempo” ‒ quanto?) pare assicurato.
Ecco allora ratti che diventano grandi quanto il ratto gigante africano (che, viene fatto notare con una curiosa ed esatta notazione tassonomica, non è neppure un ratto) oppure come un capibara. O ancora come un roditore sudamericano, Josephoartigasia monesi, che era grande come un toro e, per fortuna, vegetariano.
Vengono in mente alcuni fantastici (nel doppio senso) libri pubblicati nel passato, come Animali dopo l’uomo[7], in cui Dougal Dixon racconta la fauna del futuro quando la nostra specie sarà sparita. Cercateli, sono divertentissimi e scientificamente corretti.
Alla fine l’articolo ridimensiona l’allarme dicendo che però secondo Zalasiewicz i ratti possono anche «evolversi verso proporzioni piccole o grandi; questo dipenderà dalle particolari circostanze in cui s’imbatteranno e quale pressione selettiva subiranno». Giusto, anche se banale. Ma perché insistere per tutto l’articolo sull’aumento di dimensioni, il pericolo di ratti giganti invasori resistenti ai veleni, l’invasione di ecospazi e l’estinzione di tutte le specie, quando tutto dipende dalle circostanze? E perché finire con un elenco di “ratti magri e grassi, lenti e velocissimi, feroci”, che saranno senz’altro protagonisti del futuro? Perché, e questo è solo un parere personale, l’evoluzione imprevedibile e preda del caso è un concetto troppo sfuggente, difficile da afferrare, che anche i giornalisti armati delle migliori intenzioni (un punto a favore di Cosimi quando fa notare la pericolosità dei ratti sulle isole, per esempio) padroneggiano con estrema fatica. E preferiscono quindi andare sul sicuro, affermando che l’evoluzione porterà a ratti giganti dominatori degli ecosistemi.
È interessante ripercorrere i passi del pezzo, perché permettono di capire come si intrecciano conoscenze corrette (magari da fonti autorevoli) con credenze di senso comune. Non tutte le colpe, ovviamente, sono da ascrivere all’articolista, Simone Cosimi, ma in varia misura ai responsabili delle pagine e al titolista.
Che specie è?
Il primo problema è la (solita) confusione tra topi ‒ nel titolo e nel testo ‒ e ratti ‒ nel testo. Sono due specie del tutto diverse, come ben sa chiunque abbia visto un topolino delle case (Mus musculus) e un ratto (Rattus norvegicus). Le dimensioni sono decisamente diverse (7,5-10 cm contro 25 cm) e l’aspetto anche. Il topolino domestico è più snello e il colore marrone un po’ più chiaro, orecchie e occhi sono più grandi rispetto al corpo. Ma soprattutto i topolini abitano le case, i ratti preferiscono fogne e sotterranei. Sono animali così diversi che visti l’uno accanto all’altro sono difficili da confondere: ma i media usano l’uno o l’altro termine quando e come fa comodo per il ritmo dell’articolo.
Alla ricerca della curiosità
Il secondo punto è: “qual è la notizia”? Probabilmente è l’aumento di resistenza agli anticoagulanti, i veleni che vengono usati per combattere i roditori. Gli animali, secondo l’articolo, «sono infatti in grado di resistere ai veleni più diffusi Oltremanica». Come se fosse un fenomeno improvviso e appena avvenuto. In realtà, cercando di rintracciare la fonte, ho trovato un articolo[2] del Daily Mail – che quanto ad autorevolezza è lì lì con Novella 3000 – pubblicato all’inizio dell’anno. Si dice che è in atto un’invasione di “super ratti mutanti” in occasione delle alluvioni che hanno colpito la Gran Bretagna; gli animali sono super perché resistono ai rodenticidi. Un minimo di ricerca, e di ricordi universitari (nel secolo scorso...), mi dice che la resistenza ai rodenticidi è un fenomeno studiato da decenni, il primo caso fu in Scozia nel 1958. Nessuna novità quindi, se non che un paio d’anni fa alcuni ricercatori del Rodenticide Resistance Action Group dell’università di Reading hanno fatto un’analisi dello stato delle cose[3]. Affermando che sarebbero necessarie altre politiche per affrontare il problema. Niente emergenza, niente invasione, niente malattie trasmesse. No, queste ci sono, ma anche in questo caso i pericoli erano ben noti.
Il tutto, quindi, è ben lontano da uno “scherzo dell’evoluzione” – altra frase del titolo. Non si tratta infatti di qualcosa di particolare, di strano, di inusuale, anzi è una delle più classiche dimostrazioni di microevoluzione, di modifica cioè delle frequenze alleliche in una popolazione. Che, come dice sempre l’articolista, sia aiutata dall’uomo, non ci sono dubbi. Ma anche la resistenza agli erbicidi, agli insetticidi, agli antibiotici e a tutti i veleni che immettiamo nell’ambiente sono fenomeni aiutati dall’uomo. E non sono affatto scherzi di natura.
Sei grande, grande, grande...
E arriviamo al particolare delle dimensioni. I ricercatori di Reading parlavano di super ratti mutanti, attenzione, non “super ratti giganti mutanti”. Perché questo particolare aspetto è stato enfatizzato, o meglio aggiunto? L’idea sottointesa è che se un animale diventa super, quindi evolve, anche le sue dimensioni aumenteranno. Nel corso della storia della vita sulla Terra, così dice la vulgata dell’evoluzione, gli animali sono diventati sempre più grandi; lo sanno tutti, no? Perché evoluzione significa miglioramento e quindi, automaticamente, dimensioni maggiori, più complessità, sistemi più intricati. Si va dalle cellule ai dinosauri, dai topi ai mammut, dalle scimmie all’uomo.
Tutti più grandi. Vero? No, l’aumento di dimensioni delle specie animali e vegetali sul pianeta è un artefatto, un’illusione dovuta alla divulgazione e a una lettura semplicistica della storia della vita sulla Terra. Che ha visto animali ingrandirsi e rimpicciolirsi, così come diventare più complessi e più semplici, per tutta la storia della vita sulla Terra. Quando si dice che l’evoluzione non è teleologica, non ha un fine verso cui “dirigersi”, si vuol significare proprio questo. I meccanismi evolutivi sono volti sempre e soltanto a superare i problemi del qui e ora, senza una vera e propria direzione che porti a una maggiore o minore complessità.
Per questo i tentativi di Bergson o Teilhard De Chardin di individuare una direzione dell’evoluzione per conciliare evoluzione e religione (cattolicesimo in particolare) sono destinati a fallire; il punto Omega di Teilhard De Chardin, il “massimo livello di complessità e di coscienza verso il quale sembra che l’universo tenda nella sua evoluzione” (definizione di Wikipedia[4]) non ha dal punto di vista evolutivo nessuna ragione di essere.
L’evoluzione, questa sconosciuta
Forse abbiamo presunto troppo da poche frasi dell’articolo, ma ne abbiamo approfittato, diciamo, per chiarire alcuni aspetti che periodicamente ritornano sui mass-media quando si parla di evoluzione per selezione naturale. Forse l’autore voleva solo agganciare la presenza di ratti mutanti, resistenti ai rodenticidi, alle affermazioni dello zoologo Jan Zalasiewicz, dell’università di Leicester. Che dice (ho rintracciato anche questo, in rete[5]): «Conviene che ci abituiamo ad avere sempre più ratti intorno a noi, la loro influenza globale è destinata a crescere a mano a mano che gli altri mammiferi si estingueranno». Detta così, e letta all’interno dell’articolo, sembra un grido di allarme verso la famosa invasione dei ratti in tutto il mondo. Ma quel che conta qui è una questione di tempi.
Zalasiewicz, molto probabilmente, non pensava né al domani né al dopodomani. Ma a tempi evolutivi, che implicano quindi migliaia di anni e sconvolgimenti epocali. Non le “semplici” alluvioni che hanno sconvolto l’Inghilterra meridionale (questo sì uno scherzo di natura aiutato dall’uomo; la loro frequenza è molto probabilmente aumentata in seguito al riscaldamento globale). I ratti, secondo Zalasiewicz, potrebbero riempire gli “ecospazi” ‒ la definizione è sua ‒ lasciati liberi dagli altri mammiferi estinti dall’azione dell’uomo. Può darsi; come può darsi tutto nell’evoluzione, che i ratti si estinguano anche loro in seguito all’estinzione del loro fornitore di cibo. Cioè noi. O che divengano superintelligenti e conquistino lo spazio.
All’interno dell’articolo c'è anche il riferimento alle ricerche di un paleontologo, che ha scoperto come nei periodi caldi gli animali siano aumentati di dimensioni. Ancora, può accadere, ma alcune ricerche hanno rivelato come il riscaldamento globale (sempre lui) abbia diminuito le dimensioni di un gruppo di pecore selvatiche di alcune isole scozzesi[6]. Però, per Cosimi, l’aumento di dimensioni (“dando loro abbastanza tempo” ‒ quanto?) pare assicurato.
Ecco allora ratti che diventano grandi quanto il ratto gigante africano (che, viene fatto notare con una curiosa ed esatta notazione tassonomica, non è neppure un ratto) oppure come un capibara. O ancora come un roditore sudamericano, Josephoartigasia monesi, che era grande come un toro e, per fortuna, vegetariano.
Vengono in mente alcuni fantastici (nel doppio senso) libri pubblicati nel passato, come Animali dopo l’uomo[7], in cui Dougal Dixon racconta la fauna del futuro quando la nostra specie sarà sparita. Cercateli, sono divertentissimi e scientificamente corretti.
Ma allora, perché?
Alla fine l’articolo ridimensiona l’allarme dicendo che però secondo Zalasiewicz i ratti possono anche «evolversi verso proporzioni piccole o grandi; questo dipenderà dalle particolari circostanze in cui s’imbatteranno e quale pressione selettiva subiranno». Giusto, anche se banale. Ma perché insistere per tutto l’articolo sull’aumento di dimensioni, il pericolo di ratti giganti invasori resistenti ai veleni, l’invasione di ecospazi e l’estinzione di tutte le specie, quando tutto dipende dalle circostanze? E perché finire con un elenco di “ratti magri e grassi, lenti e velocissimi, feroci”, che saranno senz’altro protagonisti del futuro? Perché, e questo è solo un parere personale, l’evoluzione imprevedibile e preda del caso è un concetto troppo sfuggente, difficile da afferrare, che anche i giornalisti armati delle migliori intenzioni (un punto a favore di Cosimi quando fa notare la pericolosità dei ratti sulle isole, per esempio) padroneggiano con estrema fatica. E preferiscono quindi andare sul sicuro, affermando che l’evoluzione porterà a ratti giganti dominatori degli ecosistemi.