Spiegare come mai mi sia trovato, ad un certo momento della mia vita, ad occuparmi di quelle particolari sperimentazioni che caratterizzano alcune attività del CICAP richiede dunque che io abbia il coraggio di divulgare almeno una parte della mia "biografia intellettuale".
Le scelte che ognuno di noi compie derivano da una naturale predisposizione, dall'esposizione a particolari stimoli, e da motivazioni gratificanti a seguirli.
La mia infanzia ed adolescenza sono trascorsi serene, ed ero considerato uno scolaro diligente e studioso. I miei hobbies, più intellettuali che sportivi, erano caratterizzati da un certo eclettismo, così che - come molti - scrivevo sonetti in stile stilnovista ai tempo del liceo, ma contemporaneamente avevo un piccolo laboratorio chimico in cantina. Collezionavo (lo faccio tuttora) testi e manuali su ogni argomento; il che permette di sapere un po' di tutto... ma tutto male.
Intanto, durante gli anni del liceo scientifico, lo studio della filosofia mi apriva nuovi orizzonti intellettuali. Nonostante gli sforzi contrari della nostra insegnante, che amava gli idealisti, soprattutto se cristiani, mi risultavano molto più congeniali i pensatori empiristi e razionalisti.
Locke e Hume, Voltaire e Russell sono i primi nomi che mi vengono alla mente. Soprattutto mi interessava la teoria della conoscenza più che l'estetica o la morale. Come si può giudicare la realtà se prima non la si conosce?
Sono stato cresciuto con un'educazione cattolica tradizionale, e - sempre diligente - vinsi due medagli d'oro al concorso "Veritas" per chi imparava meglio il Catechismo. Il terzo anno mi nominarono Araldo del Vescovo, senza medaglia ma con foto autografata e diploma. Nonostante questo, non ho mai fatto il chierichetto!
Ricordo che, agli inizi del liceo, un sacerdote amico di famiglia mi fece un lungo discorso (degno di un film di Verdone) per mettermi in guardia dai pericoli della filosofia, che avrebbe potuto farmi perdere la fede.
Finimmo a discutere di religioni comparate, dei miracoli che sembrerebbero più frequenti in quella cattolica, e delle differenze tra questi e i prodigi attribuiti ai medium spiritici.
Bene o male la fede religiosa restò fin verso la fine del liceo, e riconosco che mi aiutò a superare il trauma della morte di mio padre quando avevo diciassette anni.
Alla fine delle superiori, quando si trattò di concretizzare in una scelta uno dei miei vari interessi, consultai il servizio di orientamento universitario, che - dopo una serie di test teorici, pratici, e psico-attitudinali, utili anche e soprattutto per i loro schedari - concluse, per fortuna, che "possedevo un'intelligenza e una curiosità di tipo scientifico", consigliandomi l'iscrizione a Fisica o Chimica. Decisi per Chimica perché già giocavo col Piccolo Chimico anzichè col Piccolo Elettricista o col Lego, e perché ritenevo che la Fisica richiedesse, per i miei gusti, lo studio di troppa matematica.
Durante l'Università il vento soffiava gelido in altre direzioni; quegli anni coincisero col Sessantotto, gli anni di piombo e delle stragi, ed ero esposto ad altri stimoli. Nonostante tutto il fervore rivoluzionario che mi trovavo attorno, però, l'imprinting di Voltaire e Russell continuava a fare di me più un utopista tollerante che una persona impegnata politicamente.
Questa personalità dalle caratteristiche fin troppo comuni era insaporita da qualche altro hobby acquisito nel corso degli anni, come la fotografia, il disegno di fumetti, la passione per i romanzi e racconti di Sherlock Holmes, la magia e l'illusionismo (con relativa raccolta di manuali, riviste, spettacolini), e alcune tecniche più o meno illegali (spionaggio, serrature e grimaldelli...) eccetera.
Visti ora, almeno alcuni di questi interessi riguardavano chiaramente il desiderio di accedere a, chiamiamole così, conoscenze vietate ai più.
I misteri del paranormale mi incuriosivano ma li consideravo con blando stupore e non mi impegnavo nel loro studio, nemmeno raccogliendo furiosamente libri e manuali. Guardavo affascinato "Incontri ravvicinati del terzo tipo", mi facevo leggere i tarocchi da qualche amico, giocavo col pendolino, ma tutti questi temi mi risultavano piuttosto indifferenti, quasi come dei giochi. Nel medesimo tempo sentivo che stava lentamente nascendo una forte necessità di potere indagare direttamente alcuni misteri.
Ricordo che ad un certo punto accarezzai l'idea di potere diventare, per questo scopo e come occupazione secondaria, una sorta di giornalista free-lance per riviste (ahime') come "Il Giornale dei Misteri".
Allora non vi era l'attuale alluvione di pubblicazioni congeneri nelle edicole; ma la lettura del "Giornale dei Misteri" mi deluse, perché era chiaro che in esso non vi era alcuna vera volontà di capire i fenomeni di cui trattava.
Su questo terreno ben concimato, il seme che fece germinare una piantina di scetticismo fattivo fu un episodio specifico: un articolo su "Panorama" in cui si raccontava del prof. Piazzoli e di una sua indagine sui misteriosi cerchi comparsi in un campo di calcio.
Uno scienziato di Pavia si occupava di fenomeni misteriosi! E io che lavoravo a trecento metri da lui non lo sapevo...
Gli scrissi immediatamente una lettera molto deferente chiedendogli un incontro. Piazzoli si dimostrò felice di conoscermi; ci demmo del tu da subito e lui mi regalò i pochi numeri arretrati del bollettino CICAP.
Davanti a me si aprì un nuovo universo di cui non avevo sospettato l'esistenza e che mi conquistò subito. Finalmente avevo trovato persone che erano curiose come me, e che volevano indagare con metodi razionali e scientifici tutto ciò che sembrava violare le leggi della natura. Ascoltavo affascinato i racconti del prof. Piazzoli, leggevo avidamente i libri di Piero Angela e cominciavo a raccogliere (furiosamente) materiale e testi.
Mi abbonai subito allo "Skeptical Inquirer" (con gli arretrati), scrissi lettere per il bollettino del CICAP e iniziai qualche piccola indagine personale.
Già dalla lettura dei primi numeri del bollettino scoprii qualcosa che, come chimico, mi sarebbe piaciuto tentare in laboratorio, ovvero la riproduzione del famoso miracolo di S. Gennaro, secondo quanto suggerito da una lettera di Ramaccini e Della Sala.
Ben presto li incontrai entrambi, e conobbi altre persone eccezionali come Polidoro e diversi soci del Cicap; da allora, come si suol dire, è storia nota.
Insieme, abbiamo svolto diverse indagini, tenuto centinaia di conferenze e interviste, e contribuito - speriamo - a gettare luce su qualche "mistero".
Quali sono le mie sensazioni se tiro le somme di dieci anni di attività del Cicap e mie in particolare?
Sarebbe bello poter fare proprie le parole di Galileo: "Io stimo più il trovare un vero benché di cosa leggera, che'l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna".
Temo però di non avere l'umiltà intellettuale di Galileo, e di provare piuttosto con intensità dolorosa un senso di inadeguatezza. Nel rendermi conto quanto sia faticoso diffondere il concetto di pensiero razionale e di metodo scientifico; nel pensare quante cose restano ancora da fare, quante domande ancora sono ancora senza risposta, e quanto poco tempo vi è nella vita di un uomo.
Forse dovrei piuttosto citare Newton, il quale affermò che gli sembrava di essere stato come un bambino, che sulla spiaggia si diverte a trovare piccole conchiglie, mentre davanti a lui si stende l'Oceano immenso e ancora ignoto.
I miei capelli ormai diventano grigi, e dubito fortemente di riuscire mai a vedere - diciamo - l'ampollina di S. Gennaro esaminata al MIT, la statua della Madonna di Siracusa radiografata, l'omeopatia provata seriamente come dovrebbe esserlo qualunque farmaco, gli esperimenti migliori di parapsicologia replicati; e anche di sapere (ma forse non vi sono esperimenti di laboratorio adatti...) se le consolazioni illusorie sono utili o no.
E capisco chi spera che esista un aldilà dove potremo avere accesso a tutte le conoscenze.
Anzi... se ci andrò giuro di tornare a dirvelo; e anzi... avrei in mente anche un protocollo interessante per verificare se il medium che verrà da voi sarà autentico o un imbroglione....