Novita' (si fa per dire) sull'omeopatia

  • In Articoli
  • 20-10-2003
  • di Massimo Albertin

I tentativi di dare una patente di scientificità all'omeopatia continuano e ci si può attendere che, col tempo, aumenteranno sempre più.

Ricordiamo già lo sforzo, alquanto subdolo ma purtroppo ormai quasi riuscito, di chiamare le medicine non scientifiche "non convenzionali" o "complementari", rifiutando il più corretto aggettivo di "alternative", per evitare di dover rispondere alla contestazione che i principi su cui esse si fondano sono in contraddizione (non conciliabile) con fondamenti scientifici delle scienze di base.

Ma si moltiplicano, e questo potrebbe anche essere un aspetto positivo, le pubblicazioni relative a studi sulle medicine alternative; il condizionale è dovuto al fatto che dispiace che risorse umane ed economiche vengano distolte da ricerche serie per essere destinate a studi che non hanno dei fondamenti seri su cui basarsi. Ma, d'altronde, la popolarità crescente di queste che J.M. Abgrall chiama "patamedicine", impone un'attenzione per la diffusione che le loro scarse basi scientifiche non farebbero presumere.

Fra queste, oggi ci occupiamo di una delle nostre favorite, cioè dell'omeopatia. Lo spunto è tratto da un articolo recentemente pubblicato da una prestigiosa rivista medica: in tale articolo si presentano brevemente le caratteristiche della materia, si passano in rassegna gli studi più recenti sull'argomento e si giunge a conclusioni che vale la pena di riportare integralmente.

"L'omeopatia è un sistema terapeutico alternativo basato sul "principio dei simili" e sull'uso di dosaggi "minimi". L'omeopatia era una componente preminente dei sistemi di cura del 19° secolo e recentemente ha avuto un revival negli Stati Uniti e nel mondo. Malgrado lo scetticismo riguardo alla plausibilità dell'omeopatia, alcune ricerche randomizzate contro placebo e ricerche di laboratorio riportano effetti inattesi di medicine omeopatiche. Tuttavia, l'evidenza dell'efficacia dell'omeopatia per specifiche condizioni cliniche è insufficiente, di qualità disomogenea, ed è generalmente di qualità inferiore rispetto alle ricerche effettuate in medicina allopatica. C'è bisogno di ulteriori e migliori studi non viziati dalla credenza o non-credenza nel sistema. Finché l'omeopatia non sarà compresa meglio, è importante che i medici abbiano la mente aperta nei confronti della possibile validità dell'omeopatia e mantengano una comunicazione con i pazienti che la utilizzano. Come in tutta la medicina, i medici devono sapere come impedire ai pazienti di abbandonare terapie efficaci verso patologie importanti e come permettere terapie sicure (cioè non pericolose) anche se di validità non specificata."

Alcune delle frasi riportate in questa conclusione sono condivisibili, altre invece no.

La condivisibilità è quella relativa alla qualità degli studi; infatti, gli articoli citati si riferiscono soprattutto a meta-analisi, cioè a raccolte di ricerche effettuate con una numerosità scarsa che, accumulate per ottenere una numerosità statisticamente più significativa, dovrebbero fornire risultati e prove più "consistenti". Ma, come ben sanno gli statistici, la qualità di una meta-analisi è direttamente proporzionale a quella degli studi da cui è composta; vale a dire che se si accomunano studi di scarsa qualità otterremo una meta-analisi di altrettanto scarsa qualità. Inoltre, requisito essenziale di una meta-analisi è l'omogeneità (che negli studi sull'omeopatia manca). Che significa che, in ricerche di questo tipo, siamo autorizzati a sommare mele con mele o pere con pere; ma non a sommare mele con pere per concludere che "abbiamo tanta frutta". Ed è proprio ciò che hanno fatto autori, come Klejnen nel 1991 o Linde nel 1997 i quali, accomunando studi molto disparati, e di qualità molto variabile, hanno concluso le loro meta-analisi (molto declamate fra gli omeopati) sostenendo che gli effetti dell'omeopatia sarebbero superiori a quelli del placebo.

Ed è riferendosi a studi come quelli citati che gli autori dell'articolo a cui ci riferiamo oggi, traggono le conclusioni che ho riportato.

Si tratta di conclusioni che, come gli stessi autori citati sottolineano, mostrano in realtà un notevole decadimento dell'effetto dell'omeopatia al crescere della qualità degli studi considerati. Come dire, in altre parole, e come sostiene da sempre il Cicap, che al crescere del controllo, cala l'entità del fenomeno. Ricordiamo poi un altro assunto del Cicap, che dice come al crescere della straordinarietà di un'affermazione (in questo quella della validità di un fenomeno anomalo e contrastante le leggi fondamentali di chimica, fisica e biologia com'è l'omeopatia), altrettanto straordinaria dev'essere la dimostrazione della sua validità; con questa premessa non si capisce come, davanti a evidenze sporadiche, poco significative, e soprattutto non confermate da studi indipendenti, si possa giungere a conclusioni così possibiliste e sbilanciate verso il "potrebbe esserci qualche fondamento di validità" come quelle degli autori dell'editoriale di cui ci stiamo occupando.

Costoro si permettono perfino di invitare i medici ad "avere una mente aperta nei confronti della possibile validità dell'omeopatia...". Ma su che basi? Su quelle formate da studi che essi stessi definiscono inconcludenti e di qualità inferiori alla media delle normali ricerche in campo medico? Solo perché ci sono tanti pazienti che utilizzano queste pratiche e perciò bisogna evitare di "perderli"? Come non ricordare, a questo punto l'invito di Piero Angela ad avere sì la mente aperta, ma non al punto di far cadere a terra il cervello...

Il problema, a mio parere, è che la popolarità e la diffusione delle pratiche alternative, lungi dal dare loro una patina di scientificità, impone sempre più la necessità di un confronto che si dimostra più di carattere "politico" che scientifico. Il caso Di Bella è stato l'esempio più clamoroso in tal senso: si distolsero fondi dalla ricerca seria per stornarli verso una ricerca con scarsi presupposti di validità, ma in cui la spinta popolare e perciò l'attenzione politica, impose scelte che ben poco avevano di scientifico.

Riviste a grande diffusione, anche a carattere pseudo-scientifico (come ad esempio l'inserto "Salute" del quotidiano La Repubblica) bombardano l'opinione pubblica con asserzioni prive di fondamento scientifico e, aprendo così un circolo vizioso, chi le legge trova conferma delle proprie convinzioni, che prevalentemente non sono basate su una preparazione scientifica adeguata.

Se anche le riviste scientifiche serie come Annals of Internal Medicine, come succede sempre più spesso, lasciano spazio a editoriali di carattere "internazional-popolare", come quello di cui ci occupiamo oggi, la speranza che un'informazione corretta possa prevalere su una disinformazione diffusa è costretta a recedere.

Personalmente non credo, come sono soliti concludere molti articoli scientifici politically correct che ci sia bisogno di ulteriori studi. Le centinaia di ricerche già concluse permettono di farsi un'opinione scientificamente fondata e non pregiudiziale dell'infondatezza di pratiche alternative come l'omeopatia. Ma se le spinte popolari e politiche impongono la necessità di effettuare nuove ricerche per dirimere i dubbi che i "fedeli" dell'alternativo (coloro cioè che credono all'omeopatia piuttosto che ai fiori di Bach, all'ayurvedica piuttosto che alla medicina tradizionale cinese o alle stregonerie di qualche tribù indigena) possono avere sulla validità delle loro pratiche, noi certo non ci opporremo.

Ma, come in astronomia nessuno al giorno d'oggi impegna risorse per dirimere il dubbio se la terra sia piatta o sferica, ameremmo riuscire ad impostare a priori uno studio (di ricerca di base o di medicina applicata) che, condotto su protocolli scelti di comune accordo tra "scettici" e "fedeli" porti a conclusioni che non siano più "discutibili o incomplete" o che impongano "nuovi studi ed approfondimenti", ma che siano conclusivi e chiarificatori.

Temo però che le convinzioni espresse dai fautori dell'alternativo, essendo più vicine all'espressione di una fede religiosa che alla manifestazione di una convinzione scientifica, non si arrenderebbero davanti all'evidenza, ma troverebbero sempre nuovi e lucidi specchi su cui arrampicarsi per riaprire la questione.

 

Massimo Albertin

Medico, dir. lab. analisi chimiche Abano Terme (PD)

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