Scrivo a proposito di un articolo del professorSilvio Garattini comparso su S&P 39: "Ma è mai possibile curare i malati con il nulla?"
Seguo con interesse le iniziative del CICAP, credo praticamente da sempre, pur mantenendo talora un'ulteriore forma di scetticismo. Ho 51 anni, sono da più di trenta un convinto non credente, ho una formazione umanistica ma con una forte predominanza positivista, tuttavia ho trovato deludente l'articolo del professore.
Mi pare che Garattini sorvoli con troppa spensieratezza su alcune questioni che il trattamento omeopatico (ma non solo) talora sembrano suscitare. Non voglio fare le pulci sulle singole affermazioni, solo fare ascoltare la campana di uno scettico pratico. Vi racconterò pertanto alcuni aneddoti clinici che m'hanno fortemente impressionato.
Sino ai trent'anni sono stato un paziente allopatico con alcuni disturbi relativi alla funzionalità respiratoria e circolatoria. Non riuscendo a risolverli, così per caso, senza nulla sapere mi affidai alle terapie, prima di un farmacista-biologo, poi, su suo suggerimento, di un medico omeopatico.
I risultati estremamente positivi raggiunti mi spinsero a continuare nella cosa. Da allora (ho avuto tre figli) non c'è stata situazione patologica che non sia stata affrontata con tale medicina. Tuttavia il mio positivismo (pur leggendo molto di omeopatia) affiorava e affiora costantemente. Vedo che la cosa funziona ma fatico a comprenderne i meccanismi (benché qualcuno, oggi, ipotizzi fenomeni relativi alla fisica quantistica).
Ma non è di me che voglio dire; in fondo potrebbe trattarsi di quelle cose che passano da sole.
Dirò allora di mia figlia, ventiduenne che, in seguito all'ingestione di carne cruda (una tartare) assunta assieme al suo ragazzo, s'è beccata una pesante forma di toxoplasmosi. In particolare il suo ragazzo ha sperimentato momenti di acuta sofferenza. Lo specialista allopatico ha suggerito, tuttavia, di attendere una possibile reazione del corpo essendo la terapia antibiotica lunga, costosa e troppo tossica. Tuttavia il ragazzo, dopo la visita, peggiorò: era giunto a provare dolori fortissimi nelle masse muscolari del dorso e degli arti che lo bloccavano a letto in uno stato di prostrazione profonda.
Fu a questo punto che mia figlia lo condusse dal nostro omeopata. Questi fornì loro, direttamente, un farmaco omeopatico (formato dalla tossina dinamizzata).
Ebbene: dopo l'assunzione vi fu, per entrambi, un impressionante rapido peggioramento della durata di tre giorni che l'omeopata definì tipica reazione dell'efficacia del farmaco omeopatico. Al quarto giorno tutti i sintomi dolorosi del ragazzo erano scomparsi e in breve questi riprese energia e tornò alle attività di studio e di svago tipiche e normali. Anche mia figlia vedeva ridursi fortemente il gonfiore dei linfonodi e riacquistare forza ed energia.
Io e i genitori del ragazzo (il padre è un medico patologo) rimanemmo impressionati.
Altra storia: mio fratello, più giovane di una quindicina d'anni, aveva una attività per conto di una nota azienda alimentare. Il classico "padroncino" che con il camion-frigo segue le consegne di prodotti nei negozi. Discreti guadagni ma un'attività intensa e faticosa.
Una sua precedente ernia discale, già operata, degenerò producendo ben tre ernie interne che premevano contro il midollo osseo. La cosa si fece così grave che dopo un mese di ricovero presso l'ospedale di Forlì, ancora faticava a camminare. Fu costretto a sospendere l'attività, vendere il camion e avviarsi a un'operazione di microchirurgia presso il Sant'Orsola a Bologna. Mio cugino, primario radiologo di quell'ospedale, aveva già prenotato giorno e ora per l'intervento.
Fu in quei giorni che precedevano l'intervento che la sorella di mio cugino gli chiese perché, prima di tentare l'operazione, non si sperimentasse la carta di un pranoterapeuta di Faenza. Lei raccontò di situazioni simili da lui restituite alla normalità. Mio fratello, che era in cassa malattia, si lasciò convincere da mia cugina (che non è una sempliciotta sprovveduta, lavorando infatti per la Farnesina) e iniziò i trattamenti di imposizione delle mani. Io ero ovviamente curioso del risultato. Fu nel pomeriggio di una domenica , dopo 15-20 giorni, che, salendo in montagna dove entrambi abbiamo la casa, sentii il rumore di una motosega. Curioso andai a vedere: mio fratello era là che da ore lavorava tagliando tronchi. L'operazione, ovviamente, era sata sospesa (né fu mai più eseguita).
Incredibile! Da allora (sono passati anni) non s'è presentata più la malattia, l'unico problema, come del resto gli aveva anticipato il pranoterapeuta, è la vecchia operazione all'ernia, quella, talvolta si fa sentire. Sappia che ora mio fratello, fra le altre innumerevoli attività, svolge anche il lavoro di piastrellista e montatore!
Che dire, coincidenze?
Avrei anche altri aneddoti simili, uno più curioso dell'altro, sia nel campo omeopatico che pranoterapeutico.
Ora mi pare che parlare di suggestione o autoguarigione, sia, in questi casi, veramente un poco azzardato.
Tuttavia, se il CICAP avrà buoni argomenti da oppormi, vi prego di sostenerli, sono aperto al convincimento se è di buona lega. Tutto ciò non esclude che io ritenga comunque valida la vostra attività.
Gabriele Attilio Turci
Forlì
Risponde Silvio Garattini:
Se assumo un farmaco e dopo un po' di tempo ho un beneficio ciò può essere dovuto ad almeno tre possibilità:
1) il farmaco è stato efficace e ha corretto la mia patologia;
2) il farmaco non è efficace perché la patologia - nel periodo intercorso - si sarebbe risolta da sola;
3) il farmaco è stato dannoso perché ha rallentato il processo di guarigione.
Stabilire quale di queste ipotesi sia vera è molto complesso perché attiene alla difficoltà di determinare inequivocabilmente un rapporto di causa ed effetto anzicché una pura associazione fra due fenomeni.
Ci sono voluti molti secoli per porre questo problema in termini razionali. Allo stato attuale il metodo migliore per stabilire quale delle ipotesi sopra formulate sia vera è lo studio clinico randomizzato controllato. Gli studi finora eseguiti sui rimedi omeopatici non sono affatto convincenti. In sintesi, quanto più sono ben fatti, tanto più sono negativi. I casi anedottici come quelli citati dal signor Turci non sono affatto indicativi; al massimo se sono numerosi possono essere utili per realizzare una sperimentazione clinica. Devo anche sottolineare che quanto più l'ipotesi è inconsistente, tanto più deve essere "robusta" e ripetuta la consistenza dei dati. Per fortuna la maggior parte delle malattie guarisce spontaneamente.
L'omeopatia fa parte di questa situazione perché ammetterete che un prodotto che non contiene neppure una molecola del principio attivo di partenza (prima della diluizione) è molto difficile che possa esercitare un effetto terapeutico. A ciò si aggiunga che prodotti omeopatici con indicazioni diverse contengono tutti la stessa cosa, cioè niente. Fra l'altro un prodotto che si può caratterizzare solo con un'etichetta, perché non esiste altro modo per identificarlo, non ha i presupposti per poter avere una sua individualità dimostrabile.
Che i prodotti omeopatici - per coloro che vi si accostano con grande fede - possano svolgere il cosiddetto effetto placebo può essere accettabile, ma ciò non supporta certo una specifica efficacia. Sono passati più di due secoli dalla formulazione della teoria omeopatica e nonostante il tempo passato non esistono dimostrazioni di efficacia scientificamente attendibili, mentre l'insieme delle prescrizioni rappresenta un grande affare commerciale.
Sono sicuro di non avere convinto il signor Turci, ma ho provato a suggerire qualche riflessione critica.