Se fosse ancora vivo, Samuel Hahnemann avrebbe oggi un sussulto sfogliando le pagine di Lancet. La rivista britannica ospita infatti un lungo studio sull'omeopatia. L'approccio terapeutico da lui ideato e mai preso in reale considerazione dai paladini della logica scientifica. Naturalmente una stroncatura, penserebbe subito Hahnemann. E invece il responso è apparentemente a favore delle sue discusse teorie.
"Se tutti gli effetti clinici dell'omeopatia fossero dovuti a un effetto placebo, i trial controllati confronterebbero di fatto un placebo a un altro placebo: i risultati dovrebbero quindi variare casualmente intorno a una differenza pari a zero" ragiona su Lancet Klaus Linds, della Technische Universität di Monaco, tra gli autori dello studio. "L'ipotesi-placebo dovrebbe invece essere considerata falsa se tutti i trial mostrassero una differenza significativa da zero, o se si dimostrasse un effetto indiscutibilmente superiore al placebo almeno per una condizione clinica".
Setacciando le banche dati, i ricercatori hanno selezionato 89 studi di buona qualità, randomizzati o in doppio cieco, sulle condizioni cliniche più disparate (dalle verruche all'ictus). "L'omeopatia è risultata quasi due volte e mezzo più efficace del placebo", sostiene il ricercatore bavarese. "I dati della nostra metanalisi, cioè non sono compatibili con l'ipotesi che i risultati clinici dell'omeopatia siano dovuti esclusivamente a un effetto placebo. Nonostante questo", e qui casca l'asino, "non ci sono prove sufficienti di efficacia per alcuna singola malattia". In altre parole l'omeopatia globalmente intesa, sembra funzionare, ma in nessuna malattia in maniera da determinare ripercussioni sulla pratica clinica.
A complicare l'interpretazione dei risultati restano però due potenziali fonti di errore che Linds e compagni, nonostante la buona volontà, ammettono di non essere riusciti a eliminare del tutto. Spiegano infatti: "Non tutti gli studi sull'omeopatia sono stati pubblicati, ed è altamente probabile che tra i non giunti agli onori delle cronache prevalgano quelli sfavorevoli all'approccio di Hahnemann. D'altra parte, per invalidare i risultati della nostra metanalisi, i trial con esito vicino allo zero dovrebbero essere alcune centinaia, mentre secondo le nostre ricerche gli studi non pubblicati con le caratteristiche da noi richieste non sono più di una trentina".
Punto due: la qualità degli studi. Tra i trial considerati, molti erano a basso budget o con infrastrutture insufficienti. "Del resto anche se si considerano separatamente gli studi dalla qualità ineccepibile - una ventina - la superiorità dell'omeopatia, pur riducendosi, resta significativa", osserva Linds.
Secondo i ricercatori, quindi, la metanalisi ha implicazioni per il futuro della ricerca: "Siamo di fronte a un rilevante fenomeno sociale. Pazienti e medici hanno bisogno di fatti oltre che di opinioni: pretendono un'informazione valida. Sarà pure implausibile, l'omeopatia, ma non può continuare a essere ignorata dal mondo scientifico". L'invito a investire in trial clinici sull'omeopatia non è tuttavia ben accetto agli irriducibili della logica volteriana. Jan Vandenbroucke, epidemiologo olandese dell'Università di Leida, è convinto che gli studi sull'omeopatia non portino da nessuna parte. Così giustifica in un editoriale l'imprevedibile verdetto riportato da Lancet: "Nei trial randomizzati, e a maggior ragione nelle metanalisi, esistono sconosciute e inidentificabili fonti di errore. I risultati di Linds devono solo far riflettere: dimostrano che trial condotti in maniera ineccepibile possono portare a conclusioni sbagliate. Se in questo caso, placebo versus placebo, l'errore è evidente, potrebbe non esserlo quando l'analisi coinvolge un farmaco allopatico, dal meccanismo d'azione convincente". Altrettanto scettico è Michael Langman, dell'Università di Birmingham: "Che senso ha mettere nello stesso calderone rimedi disparati per le più diverse malattie?" si domanda il ricercatore britannico. "L'analisi di Linds sarà pure accurata, ma riflettiamo prima di impiegare risorse per finanziare trial totalmente privi di base razionale".
(da Tempo Medico 1.10.1997)