Si può definire col termine di effetto placebo un risultato ottenuto in seguito alla somministrazione di una terapia, farmacologica o non, priva di un supposto o provato, specifico meccanismo d'azione. Tale definizione semplicistica non soddisfa ovviamente tutte le opinioni e le diverse inter-pretazioni, anche etimologiche, riguardanti la parola placebo, ma almeno ha il vantaggio della semplicità e, quantunque incompleta, di sicuro non è inesatta.
Le ragioni dell'insorgenza di un effetto placebo non sono completamente note ma si può affermare con una certa sicurezza che esso si basa prevalentemente sul convincimento o sull'aspettativa da parte di chi subisce la terapia che la terapia stessa sia efficace. Il suo sito d'azione appare chiaramente la psiche sulle cui possibilità di modificare anche il soma e generare vere e proprie malattie ormai non dovrebbero esservi più dubbi. Ovviamente è la sintomatologia, cioè il disturbo soggettivo (esempio emblematico il dolore) che mostra la maggiore responsività ai meccanismi indotti dalla somministrazione di un placebo, anche se questa non è una regola assoluta. D'altronde è noto come la maggior parte dei disturbi che portano un paziente dal medico di base sia rappresentata da disturbi di tipo psicosomatico. Né va dimenticato che tutto quello che arriva alla coscienza, ciò di cui si ha sensazione, è il frutto di una elaborazione cerebrale e di sistemi di controllo sull'arrivo delle informazioni dalla periferia del corpo umano. Ne consegue che ogni sensazione è il risultato di un embricamento tra psiche e soma anche se le percentuali di coinvolgimento dell'uno o dell'altro variano ampiamente da caso a caso. Si pensi ancora al dolore e a come questo possa essere in gran parte frutto dell'elaborazione psichica, con scarsi o nulli elementi organici (come ad esempio il dolore psicogeno del malato mentale) o al contrario possedere quasi esclusivamente elementi organici (come il dolore acuto della martellata su un dito).
L'utilizzo dell'effetto placebo è ampiamente diffuso in medicina, sia in quella ufficiale, sia in quella cosiddetta alternativa. Le ragioni della diffusione di questo utilizzo sono molteplici ma è indubbio che esse vanno ricercate anche nelle carenze della medicina scientifica ufficiale. In altre parole l'uso dell'effetto placebo è spesso il ripiego a cui è costretto, volontariamente o non, il medico nel tentativo di far star bene il paziente che si trova davanti e che gli sta chiedendo aiuto.
È noto a tutti, se non altro per esperienze personali, come la medicina sia una scienza altamente imperfetta, piena di insicurezze. L'imperfezione della medicina lascia enormi voragini culturali dentro le quali si tuffa ogni sorta di operatore terapeutico dall'ago-puntore al pranoterapeuta. Non si desidera entrare in polemica con chi utilizza le medicine non convenzionali, ne tantomeno si intende difendere aprioristicamente la medicina ufficiale la quale, anch'essa, fa largo uso, consciamente o inconsciamente, lecitamente o illecitamente, dell'effetto placebo, ma è un dato di fatto che c'è più scientificità nella medicina occidentale che in qualsiasi altro tipo di medicina. Purtroppo, o meno male, a seconda dei punti di vista, è l'avvicinarsi alla scientificità che ha fatto fare passi da gigante, in un solo secolo, alla medicina, permettendo, ad esempio, di sconfiggere o ridurre drasticamente l'insorgenza di malattie endemiche quali il vaiolo o la tubercolosi. Inoltre, gli effetti dello sviluppo tecnologico sono sotto gli occhi di tutti. Si pensi, ad esempio, all'introduzione in diagnostica della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), o alle macchine per la circolazione extracorporea che permettono il trapianto del cuore, o alla recente chirurgia laparoscopica.
Ma l'effetto placebo può, opportunamente utilizzato, essere accettato scientificamente?
La risposta è sicuramente positiva in quanto esso è il fenomeno biologico con cui ogni ricercatore serio deve confrontarsi quotidianamente se vuole studiare i meccanismi d'azione o gli effetti di terapie già note o se vuole validare l'utilizzo di una nuova terapia. Ovviamente, se per scientificità si intende la possibilità di definire e misurare un'entità, allora, a causa dell'alta aspecificità dell'effetto placebo, dovremmo rispondere di no alla suddetta domanda.
Altra cosa e altro problema è invece l'utilizzo da parte del medico pratico dell'effetto placebo per contrastare un sintomo o una malattia. Essendo l'effetto placebo basato sull'aspettativa del paziente per la terapia somministrata è chiaro che ogni cosa che aumenta questa aspettativa incrementa le possibilità di riuscita, in senso terapeutico, dell'effetto placebo. A questo punto il medico ha due alternative o dice la verità al paziente, dicendogli che sta ricercando un effetto placebo, oppure mente dicendogli che gli sta somministrando una terapia specifica. Nel primo caso l'effetto terapeutico sarà ridotto o assente, nel secondo caso esso sarà rinforzato. Il problema nasce dalla domanda, di valore anche deontologico professionale, se è corretto o meno mentire al paziente per farlo stare meglio. Anche perché, e questo è incontrovertibile, il miglioramento ottenuto con il placebo è fugace in quanto esso tende a ridursi sempre più con l'aumentare del numero di sedute terapeutiche fino alla scomparsa totale dell'effetto benefico.
Di sicuro un placebo ben confezionato ha, in teoria, un grossissimo vantaggio: l'assenza di effetti collaterali. In realtà, curiosamente, ma non illogicamente la somministrazione di un placebo è in grado di indurre effetti collaterali indesiderati, esattamente come è in grado di migliorare un sintomo. È sempre meno raro osservare nella bibliografia scientifica internazionale come in alcuni studi miranti a provare l'efficacia di un farmaco sia possibile talvolta osservare una maggiore incidenza di effetti collaterali in gruppi di pazienti trattati con placebo, piuttosto che in gruppi di pazienti trattati col farmaco in sperimentazione.
In conclusione, cosa c'è di paranormale nell'utilizzo del placebo in medicina? Direi che in linea di massima non c'è assolutamente nulla da obiettare quando l'effetto placebo viene sfruttato da un medico che agisca con rigore professionale ed essendo ben conscio di quanto sta accadendo. Purtroppo l'effetto placebo è raramente gestito da medici, ma, più frequentemente, esso è in mano a guaritori della pessima specie. Questi approfittando della debolezza della medicina nel rispondere alle richieste di buona salute, dell'assoluto bisogno di certezze in un mondo che tende ad offrirne sempre meno, delle intime ed importantissime correlazioni che esistono tra psiche e soma, spesso sottovalutate dalla medicina ufficiale, trovano davanti a se un campo sconfinato in cui agire e, proprio grazie all'effetto placebo, vendono la loro mercé terapeutica agli ignari, assetati utenti, senza purtroppo, il più delle volte, risolvere i loro veri problemi.
Michelangelo Buonocuore,
specialista in Neurofisiologia Clinica Aiuto Servizio Neurofisiopatologia-
Centro di Riabilitazione di Montescano {PV)