La criptozoologia studia gli animali misteriosi, quelli sconosciuti o in generale la presenza di quelli rari e che hanno un fascino particolare sull’uomo, ma non è sempre necessario il mostro di Loch Ness o il tilacino per raccontare una storia avvincente.
Questa è la storia di un cavallo domestico, non certo di un cavallo domestico qualunque, ma di quello che mi piace considerare lo hobbit degli equini: il cavallo del Caspio, amato, dimenticato, ritrovato, e subito dopo già a rischio di estinzione. Si tratta di una delle varietà di cavallo domestico più antiche e la sua particolarità è di essere in tutto e per tutto simile a un purosangue arabo, snello, slanciato, elegante, ma di essere alto più o meno come un alano, tra un metro e un metro e venti al garrese, senza essere un pony.
La domesticazione del cavallo incominciò nelle steppe dell’Asia centrale tra 6000 e 5500 anni fa: troviamo tracce di cavalli domesticati nei resti archeologici della cultura Botai risalenti a 5500 anni fa, ma la domesticazione effettiva potrebbe essere avvenuta prima e altrove, senza che ne siano rimaste tracce. Quel che è certo, è che si trattava di Equus ferus ferus, o tarpan, una delle due specie di cavallo selvatico sopravvissute in età storica: l’ultimo tarpan purosangue si è estinto nel 1879, l’altro, il cavallo di Przewalski, si è salvato dall’estinzione quasi per miracolo, dato che ne erano rimasti una dozzina scarsa. Il tarpan era un cavallo piuttosto tozzo, col muso a banana, la testa grande, dimensioni relativamente piccole, la pancia grande, le zampe, la coda e la criniera nere e corte. Non una bellezza, insomma, ma la domesticazione è quel processo che porta dal lupo al chihuahua e dal gatto selvatico allo sphynx, e anche l’aspetto dei cavalli è stato pesantemente modificato, dando luogo a diversi “tipi” e razze, in base all’aspetto e al temperamento. Il minuscolo caspian pare (ma l’analisi genetica ancora non conferma del tutto) che sia ancestrale a tutti i cavalli arabi, andalusi, purosangue inglesi etc, insomma ai cavalli agili e veloci e alti oggi impiegati nelle corse.
Quel che sappiamo con certezza è che i caspian furono impiegati per tirare i carri quasi contemporaneamente all’invenzione dei carri stessi, come testimoniato da una statuina in bronzo mesopotamica del terzo millennio a.C. e da una placca di terracotta del secondo millennio a.C. Che questi ritrovamenti archeologici rappresentino caspian è evidente dalle piccole dimensioni, dalle proporzioni generali e dalla particolare struttura della testa, più bulbosa rispetto a quella dei cavalli moderni.
Erano caspian a tirare il carro di Dario il Grande, l’imperatore della dinastia Achemenide, di solito ingiustamente ricordato solo perché, dopo aver letteralmente conquistato mezzo mondo e aver compiuto grandi gesta, ha perso la battaglia di Maratona durante le guerre greco-persiane. Dario montava un carro trainato da due minuscoli cavallini anche quando andava a caccia di leoni: lo sappiamo perché ce lo dicono le immagini su un suo sigillo, trovato quasi intatto, risalente al 500 a.C. circa, e i fregi del suo palazzo a Persepoli. I Greci invece, stando almeno ai fregi del Partenone del 447 a.C., montavano cavalli grandi dall’aspetto moderno. Che le dimensioni dei cavalli abbiano rappresentato una superiorità tattica dei Greci in quella battaglia? Non che i Persiani non avessero altri cavalli; in uno dei fregi di Persepoli si vede un cavallo addomesticato che sembra moltissimo un tarpan, e ci sono fregi con cavalli grandi e “moderni”, ma loro amavano i caspian, forse perché piccoli, agili, scattanti, veloci, resistenti, intelligenti e di buon carattere: tutto quello che si può richiedere a un cavallo, salvo le dimensioni.
All’impero Alchemenide successe l’impero Sasanide nel 224 d.C., e il passaggio di consegne ci viene ricordato da un bassorilievo nella roccia che mostra Ardashir I investito dallo spirito di Dario il Grande, entrambi a cavallo di due caspian, come testimoniano i piedi dei due cavalieri, che toccano terra. Con la caduta dell’impero Sasanide nel VII secolo d.C., tuttavia, scomparvero anche gli estimatori dei mini-caspian da guerra, e la razza si spense nell’oblio, soppiantata da cavalli più grandi, e da altri usi e costumi.
Tredici lunghi secoli di assoluto silenzio sono abbastanza per far ritenere una popolazione estinta, ma i caspian sono cavalli indomiti e resistenti, malgrado le dimensioni, proprio come gli hobbit di Tolkien, e le voci di minuscoli cavallini dalle sembianze di purosangue piuttosto che di pony rientravano, nel secolo scorso, nel campo della criptozoologia, poiché è difficile che un animale grosso come un cavallo sfugga agli scienziati.
Invece è proprio quello che avvenne: i caspian si salvarono dall’estinzione rifugiandosi tra le impervie montagne della catena degli Elburz, in Iran, che circondano l’estremità meridionale del Mar Caspio, tra le province del Mazanderan e del Gilan, accidentalmente anche patria dello zoroastrismo. Parte si rinselvatichirono, sorprendentemente senza ibridarsi coi cavalli domestici regolari, parte hanno continuato a tirare carretti per tutto questo tempo, senza che nessuno fuori da quelle valli lo sapesse.
Nel 1965 Louise Firouz, una cittadina americana che allevava cavalli da monta in una fattoria vicino a Teheran, si mise alla ricerca di cavalli piccoli da far cavalcare ai bambini. Aveva sentito voci del mitico cavallino e andò a verificare di persona. Le faticose ricerche in queste valli isolate piene di foreste le permisero di recuperare sei esemplari, tre maschi e tre femmine, e li portò con sé a Norouzabad, vicino Teheran. Da lì riuscì a far partire un nucleo di questa razza, per allevarli e preservarli, e i loro discendenti furono anche esportati negli USA, UK, Bermuda e in Australia. Uno dei capostipiti, Ostad, detto “il professore” per la sua saggezza, fu visto da Louise Firouz mentre tirava un carretto pesantissimo nella città di Amol. Fu acquistato e divenne un cavallo da sella per i bambini, diventando bravo anche nel salto a ostacoli.
Sfortunatamente le esportazioni di cavalli dall’Iran terminarono con la rivoluzione islamica. Un branco fondato da Firouz nelle steppe turcomanne fu quasi completamente divorato dai lupi negli anni settanta, mentre il grosso dei caspian rimasti fu impiegato nello sforzo bellico contro l’Iraq, perdendosi. Nel 1989 Firouz fondò nuovi nuclei riproduttivi coi cavallini rimasti e riuscì a esportarne sei nel Regno Unito. Alla morte dell’allevatrice, nel 2008, c’erano in tutto il mondo circa 1600 caspian, di cui circa 500 negli USA, ma il grosso in Iran.
Data l’instabilità politica del Medio Oriente e la consanguineità degli animali all’estero, i cavallini di Dario il Grande non possono considerarsi fuori pericolo. Speriamo che non debbano tornare a nascondersi tra i monti e tornare argomento di criptozoologia per altri mille anni.
Questa è la storia di un cavallo domestico, non certo di un cavallo domestico qualunque, ma di quello che mi piace considerare lo hobbit degli equini: il cavallo del Caspio, amato, dimenticato, ritrovato, e subito dopo già a rischio di estinzione. Si tratta di una delle varietà di cavallo domestico più antiche e la sua particolarità è di essere in tutto e per tutto simile a un purosangue arabo, snello, slanciato, elegante, ma di essere alto più o meno come un alano, tra un metro e un metro e venti al garrese, senza essere un pony.
La domesticazione del cavallo incominciò nelle steppe dell’Asia centrale tra 6000 e 5500 anni fa: troviamo tracce di cavalli domesticati nei resti archeologici della cultura Botai risalenti a 5500 anni fa, ma la domesticazione effettiva potrebbe essere avvenuta prima e altrove, senza che ne siano rimaste tracce. Quel che è certo, è che si trattava di Equus ferus ferus, o tarpan, una delle due specie di cavallo selvatico sopravvissute in età storica: l’ultimo tarpan purosangue si è estinto nel 1879, l’altro, il cavallo di Przewalski, si è salvato dall’estinzione quasi per miracolo, dato che ne erano rimasti una dozzina scarsa. Il tarpan era un cavallo piuttosto tozzo, col muso a banana, la testa grande, dimensioni relativamente piccole, la pancia grande, le zampe, la coda e la criniera nere e corte. Non una bellezza, insomma, ma la domesticazione è quel processo che porta dal lupo al chihuahua e dal gatto selvatico allo sphynx, e anche l’aspetto dei cavalli è stato pesantemente modificato, dando luogo a diversi “tipi” e razze, in base all’aspetto e al temperamento. Il minuscolo caspian pare (ma l’analisi genetica ancora non conferma del tutto) che sia ancestrale a tutti i cavalli arabi, andalusi, purosangue inglesi etc, insomma ai cavalli agili e veloci e alti oggi impiegati nelle corse.
Quel che sappiamo con certezza è che i caspian furono impiegati per tirare i carri quasi contemporaneamente all’invenzione dei carri stessi, come testimoniato da una statuina in bronzo mesopotamica del terzo millennio a.C. e da una placca di terracotta del secondo millennio a.C. Che questi ritrovamenti archeologici rappresentino caspian è evidente dalle piccole dimensioni, dalle proporzioni generali e dalla particolare struttura della testa, più bulbosa rispetto a quella dei cavalli moderni.
Erano caspian a tirare il carro di Dario il Grande, l’imperatore della dinastia Achemenide, di solito ingiustamente ricordato solo perché, dopo aver letteralmente conquistato mezzo mondo e aver compiuto grandi gesta, ha perso la battaglia di Maratona durante le guerre greco-persiane. Dario montava un carro trainato da due minuscoli cavallini anche quando andava a caccia di leoni: lo sappiamo perché ce lo dicono le immagini su un suo sigillo, trovato quasi intatto, risalente al 500 a.C. circa, e i fregi del suo palazzo a Persepoli. I Greci invece, stando almeno ai fregi del Partenone del 447 a.C., montavano cavalli grandi dall’aspetto moderno. Che le dimensioni dei cavalli abbiano rappresentato una superiorità tattica dei Greci in quella battaglia? Non che i Persiani non avessero altri cavalli; in uno dei fregi di Persepoli si vede un cavallo addomesticato che sembra moltissimo un tarpan, e ci sono fregi con cavalli grandi e “moderni”, ma loro amavano i caspian, forse perché piccoli, agili, scattanti, veloci, resistenti, intelligenti e di buon carattere: tutto quello che si può richiedere a un cavallo, salvo le dimensioni.
All’impero Alchemenide successe l’impero Sasanide nel 224 d.C., e il passaggio di consegne ci viene ricordato da un bassorilievo nella roccia che mostra Ardashir I investito dallo spirito di Dario il Grande, entrambi a cavallo di due caspian, come testimoniano i piedi dei due cavalieri, che toccano terra. Con la caduta dell’impero Sasanide nel VII secolo d.C., tuttavia, scomparvero anche gli estimatori dei mini-caspian da guerra, e la razza si spense nell’oblio, soppiantata da cavalli più grandi, e da altri usi e costumi.
Tredici lunghi secoli di assoluto silenzio sono abbastanza per far ritenere una popolazione estinta, ma i caspian sono cavalli indomiti e resistenti, malgrado le dimensioni, proprio come gli hobbit di Tolkien, e le voci di minuscoli cavallini dalle sembianze di purosangue piuttosto che di pony rientravano, nel secolo scorso, nel campo della criptozoologia, poiché è difficile che un animale grosso come un cavallo sfugga agli scienziati.
Invece è proprio quello che avvenne: i caspian si salvarono dall’estinzione rifugiandosi tra le impervie montagne della catena degli Elburz, in Iran, che circondano l’estremità meridionale del Mar Caspio, tra le province del Mazanderan e del Gilan, accidentalmente anche patria dello zoroastrismo. Parte si rinselvatichirono, sorprendentemente senza ibridarsi coi cavalli domestici regolari, parte hanno continuato a tirare carretti per tutto questo tempo, senza che nessuno fuori da quelle valli lo sapesse.
Nel 1965 Louise Firouz, una cittadina americana che allevava cavalli da monta in una fattoria vicino a Teheran, si mise alla ricerca di cavalli piccoli da far cavalcare ai bambini. Aveva sentito voci del mitico cavallino e andò a verificare di persona. Le faticose ricerche in queste valli isolate piene di foreste le permisero di recuperare sei esemplari, tre maschi e tre femmine, e li portò con sé a Norouzabad, vicino Teheran. Da lì riuscì a far partire un nucleo di questa razza, per allevarli e preservarli, e i loro discendenti furono anche esportati negli USA, UK, Bermuda e in Australia. Uno dei capostipiti, Ostad, detto “il professore” per la sua saggezza, fu visto da Louise Firouz mentre tirava un carretto pesantissimo nella città di Amol. Fu acquistato e divenne un cavallo da sella per i bambini, diventando bravo anche nel salto a ostacoli.
Sfortunatamente le esportazioni di cavalli dall’Iran terminarono con la rivoluzione islamica. Un branco fondato da Firouz nelle steppe turcomanne fu quasi completamente divorato dai lupi negli anni settanta, mentre il grosso dei caspian rimasti fu impiegato nello sforzo bellico contro l’Iraq, perdendosi. Nel 1989 Firouz fondò nuovi nuclei riproduttivi coi cavallini rimasti e riuscì a esportarne sei nel Regno Unito. Alla morte dell’allevatrice, nel 2008, c’erano in tutto il mondo circa 1600 caspian, di cui circa 500 negli USA, ma il grosso in Iran.
Data l’instabilità politica del Medio Oriente e la consanguineità degli animali all’estero, i cavallini di Dario il Grande non possono considerarsi fuori pericolo. Speriamo che non debbano tornare a nascondersi tra i monti e tornare argomento di criptozoologia per altri mille anni.
=Fonti
- Firouz, L., 1971. Osteological and historical implication of the caspian pony to early domestication in iran. Proc. 3rd Int. Congr. Agricultural Museum, Budapest: 1-5