Valicare le barriere inamovibili del pensiero: gli stratagemmi della demistificazione

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  • 13-08-2015
  • di Sara Pluviano e Sergio Della Sala
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©the richest youtube.com
“Qual è il parassita più resistente? Un’idea”. Così si apre Inception, l’immaginifico quanto magmatico film del 2010 di Christopher Nolan, alludendo alla sorprendente capacità della nostra mente di difendere strenuamente le convinzioni in essa radicate. Una capacità che può divenire tanto più ostinata quanto più le informazioni che cerchiamo di custodire dimostrano di essere fallaci e vengono ripetutamente confutate. Così, contro ogni logica previsione, prestiamo fede a quelli che in realtà sono miti e leggende metropolitane.

Uno su tutti riguarda la credenza secondo la quale le nostre capacità intellettuali sarebbero sfruttate unicamente al 10%. L’ipotetico restante 90% fungerebbe da limbo di potenzialità psichiche di vario tipo che, se opportunamente utilizzate, consentirebbero all’individuo di godere di capacità straordinarie. Credenza assai affascinante, quanto in realtà erronea e priva di fondamento scientifico. Nondimeno, le reiterate confutazioni di questa leggenda non le hanno impedito di perpetuarsi nel corso del tempo ed attecchire nella cultura di massa. Complice è stata anche l’industria cinematografica, che ha fatto la sua buona parte nel diffonderla. Thriller mescolati a fanta-neuroscienza come Limitless, film del 2011 diretto da Neil Bruger, o il recentissimo Lucy, dal genio di Luc Besson, si basano proprio sull’idea suggestiva che sia in qualche modo possibile attivare queste abilità mentali dormienti. Così, dopo aver assunto dei farmaci miracolosi che liberano tutte le parti del cervello inutilizzate, i protagonisti diventano capaci di fare qualunque cosa, dall’imparare una nuova lingua ascoltandola per la prima volta, al piegare la materia. Pellicole che seguono la scia del più datato Phenomenon, dove un commovente John Travolta interpreta un uomo ordinario che acquisisce qualità straordinarie, frutto stavolta non di una sostanza sintetica ma di uno strano tumore al cervello in grado di esaltare alcune facoltà fisiche e mentali. Dal cinema alla vita reale, aspiranti speculatori hanno poi costruito delle fortune sulla presunta sottoutilizzazione del cervello, proponendo corsi (a fior di quattrini) finalizzati all’accrescimento del proprio potenziale.

Ma se gli effetti negativi di una persistente credenza possono essere limitati, diverso è il caso del mito sulla presunta correlazione vaccini-autismo, legame smentito più e più volte dalla scienza, ma che è tutt’oggi ritenuto non privo di fondamento da molti genitori che, impauriti, ritardano i tempi consigliati per la vaccinazione dei loro figli o, ancor peggio, scelgono di non vaccinarli affatto. Purtroppo questa preoccupante tendenza riguarda anche l’Italia, dove si registra il livello di copertura vaccinale più basso degli ultimi 10 anni, un dato che ha spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad ammonirci poiché ci siamo significativamente allontanati dall’obiettivo comune di eliminare la rosolia congenita ed il morbillo entro il 2015. Questo quadro si dipinge di tinte ancor più fosche se si considera il ruolo svolto da alcune recenti sentenze, che hanno contribuito a smantellare la fiducia nei vaccini come strumento preventivo fondamentale per la salute dei bambini e di tutta la popolazione. Un barlume di speranza viene però da una pronuncia della magistratura di Bologna, che ha recentemente ribadito che non esiste alcun rapporto tra il vaccino trivalente MPR, inoculato per prevenire morbillo, parotite e rosolia, e l’autismo. Così facendo, è stata ribaltata una sentenza emessa dal Tribunale di Rimini nel 2012, con la quale era stato riconosciuto il risarcimento ad una coppia il cui bambino, vaccinato dall’Asl nel 2002, aveva in seguito sviluppato una forma di autismo. Va detto, tuttavia, che nel nostro Paese esistono altre sentenze del genere, sia precedenti che successive a quella di Rimini, giunte a simili conclusioni. Non sorprende quindi la preoccupazione degli scienziati, che hanno scritto una lettera aperta[1] indirizzata, tra gli altri, al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, invitando i rappresentanti delle istituzioni a prendere gli opportuni provvedimenti per informare correttamente la popolazione ed evitare che vengano diffuse paure ingiustificate riguardo alle vaccinazioni.

La fantasia sul possesso di abilità mentali misteriose e le incertezze, se non il rifiuto, dei vaccini, unitamente alle scelte razionalmente immotivate e a volte rischiose che le accompagnano, richiamano l’importanza di una corretta informazione. Un’informazione di qualità, trasparente e non paternalistica, che fornisca un quadro obiettivo e completo sull’argomento in oggetto. A tal proposito, cosa potrebbero fare concretamente le varie figure politico-sociali, i divulgatori scientifici, o in generale tutti coloro che, a pieno titolo o meno, vengono identificati come esperti e le cui dichiarazioni vengono riportate dalle differenti fonti di informazione?

Un primo tentativo di risposta viene dagli psicologi cognitivi John Cook e Stephan Lewandowsky, che hanno recentemente pubblicato un manuale dall’eloquente titolo The Debunking Handbook (v. l’intervista all’autore da pagina 49), una sorta di vademecum delle strategie da adottare per sfatare efficacemente i miti. L’associazione Italian Climate Network, che ha curato la sua versione italiana (Manuale della demistificazione), lo identifica come uno strumento utile per fare informazione basandosi su fonti scientifiche autorevoli, di modo da risvegliare l’interesse e il senso di responsabilità dell’opinione pubblica. La scienza è uno strumento capace di auto-correzione; il divulgatore scientifico Carl Sagan sosteneva due principi. Primo: non esistono “verità sacre”, intoccabili; tutte le ipotesi possono e devono essere esaminate criticamente, poiché appellarsi unicamente all’autorità della fonte per sostenere la sua validità risulta inutile. Secondo: tutto ciò che è in contrasto con i fatti deve essere rivisto ed eventualmente eliminato.

Quest’operazione è tutt’altro che semplice, ma può essere in qualche modo insegnata. Quali, quindi, le strategie che il comunicatore può adottare affinché le persone elaborino opinioni fondate su dati di realtà e non su leggende o miti metropolitani? Prima fra tutte, evitare gli effetti “iatrogeni” della demistificazione, legati all’inconveniente che si presenta allorquando, con l’intento di sfatare un mito, si portano in realtà le persone a credervi ancora di più. Per limitare questo indesiderato contraccolpo, risulta anzitutto necessario enfatizzare i fatti, rispetto al mito stesso, evitando che le persone familiarizzino eccessivamente con esso. Per aumentare le sue chances di accettazione da parte delle persone, bisogna poi rendere l’informazione che si vuole trasmettere facile da comprendere, sacrificando la sua pur esistente complessità a favore dell’immediatezza e della semplicità. In questa delicata operazione è necessario tuttavia rammentare che ogni questione dovrebbe essere comunicata nel modo più semplice possibile, ma non in maniera semplicistica.

Infine, una demistificazione di successo non implica la necessità di fornire molte argomentazioni a sfavore del mito, che possono invece produrre l’effetto di rafforzare ancora una volta il mito stesso. Preferire quindi poche ed accuratamente selezionate informazioni, espresse in modo chiaro e semplice, rispetto a sofisticate ed infinite argomentazioni. Se il divulgatore ha avuto successo lungo questo tortuoso cammino verso la demistificazione, si troverà poi ad affrontare l’ostacolo più arduo: trovare una spiegazione alternativa che possa scalzare il mito e prendere il suo posto. Una volta sfatato il mito, difatti, si forma una lacuna nel modello mentale della persona che, in assenza di una spiegazione migliore, tende a preferire un modello seppur scorretto ma completo, finendo con il fare ancora una volta affidamento sul mito.

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Una delle bufale più diffuse, quella del falso allunaggio. ©Theblackcat, Madamepickwickartblog
Come il filosofo e storico dell’età ellenistica Evemero provava a smantellare i miti pagani, riconducendo gli dei a personaggi realmente esistiti e divinizzati per le loro imprese dai posteri, ai giorni nostri il comunicatore moderno si trova a combattere millenarie e sedimentate credenze erronee, se non vere e proprie superstizioni. Resta però legittimamente da chiedersi: cosa possiamo fare noi stessi in quanto vittime del nostro stesso “parassita-pensiero”? Quali i mezzi per difenderci da esso ed eradicarlo?

Una via promettente potrebbe essere quella di adottare un sano scetticismo scientifico, assumendo un costante atteggiamento di apertura mentale, e nondimeno di scrupoloso dubbio e interesse ad una analisi critica, verso tutte quelle affermazioni, teorie o enunciati che pretendono di avere carattere di scientificità, ma che ancora non sono passate al vaglio rigoroso del cosiddetto metodo sperimentale. Una posizione mentale di tale fatta opera un esame rigoroso su ogni affermazione, pur non traducendosi allo stesso tempo in un atteggiamento di dubbio nei confronti della realtà, né tantomeno in un’aprioristica chiusura mentale nei confronti di ciò che appare diverso rispetto alle nostre idee.

Due psicologi statunitensi, Rodney Schmaltz e Scott O. Lilienfeld[2], ritengono che questa forma mentis possa essere efficacemente insegnata agli studenti proprio in relazione alle pseudoscienze e alle cosiddette “bufale”. A tal proposito, al posto di etichettare a priori una certa affermazione come pseudoscientifica, gli insegnanti potrebbero invitare gli studenti a discutere in modo attivo in aula di eventi apparentemente inspiegabili (ad esempio, avvistamenti di alieni o Goblins), indirizzando ciascuno a testare empiricamente la tesi in questione e a scovare le incoerenze nei dati, i punti deboli nelle osservazioni e le falle nel ragionamento che la sostengono. Per i non più giovanissimi o per coloro che hanno lasciato da tempo le aule universitarie e non possono godere di una tale alfabetizzazione scientifica, resta la possibilità di auto-imporsi l’adozione di una forma mentis così positivamente scettica, che può essere alla portata di ciascuno di noi con un po’ di esercizio.

Definire, perlomeno in linea di principio, una netta distinzione tra scienza e pseudoscienza risulta difficile persino ai filosofi e agli scienziati, che, finora infruttuosamente, hanno cercato dei criteri assoluti e certi che permettano di tracciare una linea di demarcazione[3]. Potrebbe invece essere più utile ed interessante distinguere, tra le teorie almeno apparentemente scientifiche, quelle fondate (o, in altre parole, autenticamente scientifiche) da quelle infondate (o pseudoscientifiche)[4]. Stante l’impossibilità di fornire una serie di regole ed operazioni che, se seguite passo dopo passo, connotano automaticamente un’affermazione come “scientifica”, nonché il sempre valido monito di documentarsi da varie fonti, cercando di capire chi fornisce le basi più attendibili sull’argomento, esiste nondimeno qualche utile stratagemma per riconoscere prontamente un mito e/o un’affermazione pseudoscientifica.

Ad esempio, è necessario valutare la qualità della fonte dalla quale abbiamo ricavato una certa informazione. Chiedersi quindi se coloro che si professano esperti lo facciano a ragione o se la loro competenza e i loro interessi non siano quantomeno dubbi. Analizzare poi dettagliatamente il contenuto dell’informazione stessa. I termini utilizzati sono realmente usati in maniera appropriata o siamo solo di fronte ad una fuorviante insalata di parole? Ancora, le evidenze (o presunte tali) che vengono fornite sono verificabili scientificamente o sono invece di natura puramente aneddotica? In che modo queste evidenze si riconnettono a quanto scientificamente già comprovato? L’informazione in questione può essere confutata, almeno in linea di principio, o risulta infalsificabile, collocandosi così automaticamente al di fuori del discorso scientifico?

A tal proposito, si pensi ad alcune delle più diffuse teorie cospirazioniste che, pur non suffragate da alcun riscontro oggettivo, ed anzi rinnegando ogni logica ed evidenza scientifica o storica, si sono diffuse nel web raccogliendo via via più proseliti. Dalla falsità dell’allunaggio, che sarebbe stato montato ad arte negli studi televisivi, alla creazione a tavolino dell’AIDS per sterminare la popolazione gay e le minoranze, blog e social network sono ricchi di teorie complottiste che ripetono all’infinito dubbi, supposizioni e falsità pretestuose. Dubbi che non hanno nulla a che spartire con lo scetticismo razionale di cui sopra; ma che si autoalimentano, si moltiplicano, alimentando un circolo vizioso destinato unicamente a disinformare, il cui vortice può addirittura portare l’individuo a rigettare in toto ogni solida prova scientifica. Perché, se è vero che possiamo dubitare di ogni cosa, ciò non significa che dobbiamo credere che la conoscenza non sia di per sé possibile. Il vero scetticismo, strumento alla base di ogni ragionamento scientifico che viene in nostro soccorso per discernere il vero dal falso, non equivale al cieco negazionismo. Una recente lettera aperta apparsa sul sito web del Committee for Scientific Inquiry[5] ne chiarisce bene la differenza: “Un appropriato scetticismo promuove l’indagine scientifica, l’investigazione critica e l’uso della ragione nell’esaminare affermazioni controverse e fuori ordinario”. Questo è alla base del metodo scientifico. Il negazionismo, d’altro canto, consiste nel rifiuto a priori di idee senza considerazioni oggettive”.

Ad ulteriore riprova della continuità tra l’atteggiamento scettico ed il pensiero scientifico, si ricorda che il termine scetticismo deriva dal greco sképsis, che vuol dire “ricerca” o “dubbio”, ed ha la stessa radice del verbo sképtesthai che significa “osservare attentamente” ed “esaminare”. D’altro canto, nell’appassionato volume Apologia dello scetticismo[6], il filosofo Giuseppe Rensi chiarisce che l’etimologia del termine scetticismo ha sempre indicato indagine critica del conoscere, sincerità e lealtà d’analisi conoscitiva. Coerentemente, lo scettico non è banalmente colui che non crede, ma un sottile osservatore dei fatti che ha ben chiara l’impossibilità dell’esistenza di verità assolute. Ancora una volta, si sottolinea che intraprendere la strada della ricerca e del dubbio dello scetticismo non implica addentrarsi in un labirinto conoscitivo eminentemente relativistico, che arriva a negare qualsiasi realtà esterna al soggetto pensante come accade nel nihilismo. Un pensiero scientifico degno di tale nome deve necessariamente salvaguardarsi da questo pericolo ed accogliere invece il vero lascito dell’insegnamento scettico: adottare la ricerca e il dubbio come metodi di approccio alla realtà.

In sintesi, in un mondo che cambia a ritmo sempre più rapido, è necessario muoversi da funamboli, sfuggendo sia dalla comfort zone di idee rassicuranti e precostituite, che ci portano a rifiutare tutto ciò che va apparentemente contro le nostre convinzioni senza valutare la qualità degli argomenti, sia dalla tentazione di prendere per oro colato tutto ciò che apprendiamo dalla rete o dalla carta stampata. La chiave sta nel dialogo e nel continuare a porsi delle domande. Perché, come ci ricorda Karl Popper, la scienza inizia coi miti e con la critica dei miti[7].

Note

1) Il testo integrale è disponibile sul sito Lescienze.it, portale di Repubblica.it, all'indirizzo http://www.lescienze.it/news/2014/03/28/news/vaccini_autismo_lettera_appello_ministro-2...
2) Schmaltz, R., & Lilienfeld, S. O. (2014). Hauntings, homeopathy, and the Hopkinsville Goblins: Using pseudoscience to teach scientific thinking. Frontiers in Psychology, 5(336), 1–5. doi:10.3389/fpsyg.2014.00336
3) Ferrero, A. (Autunno 2014). Ma allora si può distinguere oggettivamente tra scienza e pseudoscienza, sì o no? Query n. 19
4) Ferrero, A. (Estate 2014). Scienza o pseudoscienza: la morte del problema della demarcazione? Larry Laudan. Query n. 18
5) La versione integrale è disponibile all’indirizzo http://www.csicop.org/news/show/deniers_are_not_skeptics
6) Rensi, G. (2011). Apologia dello scetticismo. Milano: La vita felice.
7) Popper, K. (2014). Conjectures and refutations: The growth of scientific knowledge. London: Routledge

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