Sono poco obiettivo. Trovo strano che si possa dire “la scienza non mi piace”. Penso si possa trovarla difficile, e allora l’espressione adeguata per manifestare questa idea dovrebbe essere “non mi piacciono le cose difficili”. Il problema è che un atteggiamento di questo genere finirebbe per estendersi anche a molti libri, alle opere d’arte concettuali, ai film con trame complesse, alle regole degli sport. O alle relazioni personali. La scienza è parte della nostra vita, del nostro quotidiano; la maggior parte delle nostre attività ha qualche elemento di scienza. Cosa vuol dire “non mi piace”? Quale è l’alternativa? Può darsi che si scambino la scienza ed i suoi metodi con la tecnologia ed i suoi effetti. Eppure questo atteggiamento anti-scienza è pervasivo, ed ingravescente e pone un problema a chi ritiene che la scienza sia un valore sociale. La risposta a questo problema non può essere semplicemente quella di organizzare qualche festival della scienza. Se ci si limitasse a questo, si offrirebbe proprio una visione della scienza come qualcosa di separato dal resto della società, da celebrare con manifestazioni a sé, cui probabilmente interverranno solo i simpatizzanti. Non è un caso che il movimento per il Public Understanding of Science non sia durato molto, forse anche per il poco fortunato acronimo (PUS), che peraltro ha lasciato il posto all’altrettanto infelice Public Engagement in Science and Technology (PEST). Io non voglio convincere, ed ho poco da insegnare, vorrei però condividere. Vorrei non appartenere ad un campo, non discutere tra “noi” e “voi”, vorrei però capire.
Poche settimane fa sono stato invitato ad un convegno di musica e neuroscienze. Un bellissimo conservatorio, decine di musicisti, professionisti esperti, insegnanti, storici, persone simpatiche, gentili e vivaci. Tutto lasciava presagire una mattinata gradevole ed una discussione interessante. Il primo a prendere la parola è stato un sedicente “professore” di meditazione, che elegante, azzimato, e cortese, illustrava dal palco i benefici di questa pratica, dei cui effetti positivi non dubito, e che probabilmente può offrire vie di benessere e di autocoscienza. Il problema ha avuto inizio quando il “professore” si è lanciato a spiegare i meccanismi scientifici sottesi a questa pratica antica e benemerita, inanellando un errore dopo l’altro. No, non opinioni discutibili, ma errori fattuali, o ipotesi quantomeno lontane dall’essere dimostrate. Per esempio, che l’acqua formi cristalli diversi a seconda delle parole che “sente”, e che allo stesso significato, espresso nelle diverse lingue con parole differenti, corrisponda sempre un cristallo con la medesima forma, riconoscibile; accreditando così l’idea che l’acqua parli una lingua universale, la lingua delle emozioni. Il pubblico sembrava non limitarsi ad accettare educatamente gli insegnamenti scientifici del “professore”, ma piuttosto sembrava apprezzarli pienamente. Eppure, se verificate, quelle affermazioni avrebbe implicato una rivoluzione culturale di proporzioni enormi. Non si trattava di scienza, ma di pseudoscienza. Questo tipo d’inganni pseudoscientifici è da smascherare, per la sua banalità, la sua mancanza di creatività, la sua rozzezza, la sua anticultura, la sua negazione della necessità di approfondimento, e per i potenziali danni che può creare alla società. Questo è il primo scopo del CICAP, contrastare lo pseudo scientismo. Noi siamo alleati di questi musicisti, vogliamo le stesse cose, dobbiamo quindi chiarire sempre il possibile equivoco che esistano campi separati ed opposti: gli artisti emotigeni ed aperti da una parte, gli scienziati chiusi, aridi e scettici dall’altra.
Le varie riviste internazionali che fanno capo a movimenti simili al nostro, si richiamano quasi invariabilmente al termine “scettico”, che non significa miscredente, bensì osservatore attento. L’approccio scettico è un metodo con delle caratteristiche (per esempio il rigore), non è un’ideologia, un programma, né ha assunti da difendere. Dobbiamo però evitare il rischio che il movimento scettico sfoci nel positivismo o nello scientismo: non siamo e non vogliamo essere paragonati a ghostbusters perché non abbiamo mai inteso aprire nessuna caccia, né ai fantasmi né ad altro. E dobbiamo essere contigui al mondo accademico, ma mantenere una capacità di critica anche nei confronti dell’accademia. Dobbiamo sempre aver presente che essere scettico non rende una persona immune da errori.
Dobbiamo rifuggire da ogni tono accondiscendente o paternalista. Ho letto recentemente su un sito di un’agenzia medica anglosassone che gli scienziati dovrebbero ingaggiare il pubblico come si fa con gli studenti a scuola. Ecco, io vorrei esattamente il contrario! Vorrei che si discutesse di opinioni in termini paritari, una volta acclarati i fatti così come li conosciamo; vorrei che si condividesse un metodo, che si potesse delegare, che non fosse necessario promuovere un’impossibile idea di conoscenza universale in base alla quale le persone possono diventare esperte di tutto. Vorrei che fosse chiaro che ciò che sostengo oggi, sarà molto probabilmente sbagliato domani, ma che affidarsi a ciò che è certamente sbagliato già da oggi non è una strategia adeguata.
Nelle nostre riunioni, sento spesso il richiamo alla razionalità. Sappiamo però che la mente umana prende decisioni anche, e in certi ambiti soprattutto, sulla base di automatismi o di reazioni viscerali. D’altro canto non ci sono ricette per cambiare il sistema di ragionamento e colpevolizzare il funzionamento della mente normale non ci porterebbe lontano.
Dobbiamo rifuggire dalla figura del tuttologo e dall’applicare ricette in modo acritico e generalista. Dobbiamo evitare principi d’autorità, per cui se la fonte è amica allora costituisce una garanzia sufficiente a prescindere o va giustificata nel caso si macchi di superficialità.
Non dobbiamo avere posizioni ideologiche nell’analizzare i dati, né esprimere posizioni che siano a priori contro qualcosa; scetticismo non significa essere a priori contro un dato potere o a favore di un altro. Per esempio, far notare che non esistono prove a sostegno dell’omeopatia non significa assolutamente essere a favore della prepotenza dell’industria farmaceutica o legittimarne l’azione. Naturalmente abbiamo diritto alle nostre idee. Io sono uno scienziato e sono di sinistra, il che talvolta mi sembra un ossimoro, soprattutto quando sfoglio le pagine di scienza di alcuni dei miei giornali di riferimento. La scienza si nutre di dati, che sono obiettivi; è la loro interpretazione che cambia e si discute; ma ci si deve accordare sui dati e sulla validità delle fonti. Le posizioni politiche, ideologiche, religiose quindi sono un bagaglio personale, non la condizione per poter discutere.
La divulgazione presenta dei rischi: il confine tra semplificare e rendere semplicistico, quindi necessariamente errato, è sottile. Vorrei che divulgare comprendesse l’accettazione del metodo, piuttosto che lo sbandieramento di un risultato.
Sono onorato, orgoglioso, felice di essere stato nominato Presidente del CICAP. Ho visto questa associazione nascere e crescere, ho imparato moltissimo frequentandone i convegni, ho conosciuto persone meravigliose, che mi hanno aiutato a guardare il mondo e ad ammirarlo, e soprattutto mi sono tanto divertito.
Vorrei che altri, molti altri, fossero esposti a questa fonte di conoscenza e divertimento. Vorrei che si cominciasse dalle scuole. E vorrei che Query, la nostra bella rivista, fosse disponibile nelle biblioteche. No, non vorrei fare adepti, ma vorrei che i miei amici musicisti potessero difendersi da chi vende loro l’acqua parlante (e poliglotta).
Poche settimane fa sono stato invitato ad un convegno di musica e neuroscienze. Un bellissimo conservatorio, decine di musicisti, professionisti esperti, insegnanti, storici, persone simpatiche, gentili e vivaci. Tutto lasciava presagire una mattinata gradevole ed una discussione interessante. Il primo a prendere la parola è stato un sedicente “professore” di meditazione, che elegante, azzimato, e cortese, illustrava dal palco i benefici di questa pratica, dei cui effetti positivi non dubito, e che probabilmente può offrire vie di benessere e di autocoscienza. Il problema ha avuto inizio quando il “professore” si è lanciato a spiegare i meccanismi scientifici sottesi a questa pratica antica e benemerita, inanellando un errore dopo l’altro. No, non opinioni discutibili, ma errori fattuali, o ipotesi quantomeno lontane dall’essere dimostrate. Per esempio, che l’acqua formi cristalli diversi a seconda delle parole che “sente”, e che allo stesso significato, espresso nelle diverse lingue con parole differenti, corrisponda sempre un cristallo con la medesima forma, riconoscibile; accreditando così l’idea che l’acqua parli una lingua universale, la lingua delle emozioni. Il pubblico sembrava non limitarsi ad accettare educatamente gli insegnamenti scientifici del “professore”, ma piuttosto sembrava apprezzarli pienamente. Eppure, se verificate, quelle affermazioni avrebbe implicato una rivoluzione culturale di proporzioni enormi. Non si trattava di scienza, ma di pseudoscienza. Questo tipo d’inganni pseudoscientifici è da smascherare, per la sua banalità, la sua mancanza di creatività, la sua rozzezza, la sua anticultura, la sua negazione della necessità di approfondimento, e per i potenziali danni che può creare alla società. Questo è il primo scopo del CICAP, contrastare lo pseudo scientismo. Noi siamo alleati di questi musicisti, vogliamo le stesse cose, dobbiamo quindi chiarire sempre il possibile equivoco che esistano campi separati ed opposti: gli artisti emotigeni ed aperti da una parte, gli scienziati chiusi, aridi e scettici dall’altra.
Le varie riviste internazionali che fanno capo a movimenti simili al nostro, si richiamano quasi invariabilmente al termine “scettico”, che non significa miscredente, bensì osservatore attento. L’approccio scettico è un metodo con delle caratteristiche (per esempio il rigore), non è un’ideologia, un programma, né ha assunti da difendere. Dobbiamo però evitare il rischio che il movimento scettico sfoci nel positivismo o nello scientismo: non siamo e non vogliamo essere paragonati a ghostbusters perché non abbiamo mai inteso aprire nessuna caccia, né ai fantasmi né ad altro. E dobbiamo essere contigui al mondo accademico, ma mantenere una capacità di critica anche nei confronti dell’accademia. Dobbiamo sempre aver presente che essere scettico non rende una persona immune da errori.
Dobbiamo rifuggire da ogni tono accondiscendente o paternalista. Ho letto recentemente su un sito di un’agenzia medica anglosassone che gli scienziati dovrebbero ingaggiare il pubblico come si fa con gli studenti a scuola. Ecco, io vorrei esattamente il contrario! Vorrei che si discutesse di opinioni in termini paritari, una volta acclarati i fatti così come li conosciamo; vorrei che si condividesse un metodo, che si potesse delegare, che non fosse necessario promuovere un’impossibile idea di conoscenza universale in base alla quale le persone possono diventare esperte di tutto. Vorrei che fosse chiaro che ciò che sostengo oggi, sarà molto probabilmente sbagliato domani, ma che affidarsi a ciò che è certamente sbagliato già da oggi non è una strategia adeguata.
Nelle nostre riunioni, sento spesso il richiamo alla razionalità. Sappiamo però che la mente umana prende decisioni anche, e in certi ambiti soprattutto, sulla base di automatismi o di reazioni viscerali. D’altro canto non ci sono ricette per cambiare il sistema di ragionamento e colpevolizzare il funzionamento della mente normale non ci porterebbe lontano.
Dobbiamo rifuggire dalla figura del tuttologo e dall’applicare ricette in modo acritico e generalista. Dobbiamo evitare principi d’autorità, per cui se la fonte è amica allora costituisce una garanzia sufficiente a prescindere o va giustificata nel caso si macchi di superficialità.
Non dobbiamo avere posizioni ideologiche nell’analizzare i dati, né esprimere posizioni che siano a priori contro qualcosa; scetticismo non significa essere a priori contro un dato potere o a favore di un altro. Per esempio, far notare che non esistono prove a sostegno dell’omeopatia non significa assolutamente essere a favore della prepotenza dell’industria farmaceutica o legittimarne l’azione. Naturalmente abbiamo diritto alle nostre idee. Io sono uno scienziato e sono di sinistra, il che talvolta mi sembra un ossimoro, soprattutto quando sfoglio le pagine di scienza di alcuni dei miei giornali di riferimento. La scienza si nutre di dati, che sono obiettivi; è la loro interpretazione che cambia e si discute; ma ci si deve accordare sui dati e sulla validità delle fonti. Le posizioni politiche, ideologiche, religiose quindi sono un bagaglio personale, non la condizione per poter discutere.
La divulgazione presenta dei rischi: il confine tra semplificare e rendere semplicistico, quindi necessariamente errato, è sottile. Vorrei che divulgare comprendesse l’accettazione del metodo, piuttosto che lo sbandieramento di un risultato.
Sono onorato, orgoglioso, felice di essere stato nominato Presidente del CICAP. Ho visto questa associazione nascere e crescere, ho imparato moltissimo frequentandone i convegni, ho conosciuto persone meravigliose, che mi hanno aiutato a guardare il mondo e ad ammirarlo, e soprattutto mi sono tanto divertito.
Vorrei che altri, molti altri, fossero esposti a questa fonte di conoscenza e divertimento. Vorrei che si cominciasse dalle scuole. E vorrei che Query, la nostra bella rivista, fosse disponibile nelle biblioteche. No, non vorrei fare adepti, ma vorrei che i miei amici musicisti potessero difendersi da chi vende loro l’acqua parlante (e poliglotta).