Il ruolo dei volontari nell’evoluzione del CICAP

Di recente questa rubrica ha descritto quanto sia profondamente cambiato il ruolo del CICAP con l’evolversi dei mezzi di comunicazione e del nostro campo di interesse. Non abbiamo mai abbandonato la verifica delle affermazioni scientificamente controverse ma questo servizio, che era prezioso all’epoca in cui i punti di vista critici sulle pseudoscienze erano difficili da reperire, non è più altrettanto utile ora che il problema è casomai la sovrabbondanza di informazioni. Ci siamo allora dedicati sempre di più al tentativo di sviluppare strumenti efficaci per riconoscere le informazioni attendibili in un mare di notizie contrastanti e abbiamo rivolto un’attenzione crescente alla differenza tra il modo di procedere della scienza e quello della pseudoscienza e conseguentemente all’analisi dei processi che la scienza segue per produrre conoscenze e garantire la loro affidabilità. Abbiamo cioè spostato la nostra enfasi dai contenuti delle affermazioni pseudoscientifiche al modo di operare della scienza. Questa trasformazione ha richiesto al CICAP un sempre maggiore livello di competenze e di approfondimento.

In questo numero vorrei esaminare un ulteriore cambiamento che sta affrontando l’associazione, legato agli altri menzionati sopra: quello dell’organizzazione interna e in particolare dell’azione dei volontari.

Rispetto al momento in cui è nato il CICAP, la consapevolezza dei rischi sociali legati alle pseudoscienze è fortunatamente molto cresciuta e come risultato sono emerse sia figure specifiche sia proposte culturali e istituzionali che puntano a contrastare la disinformazione scientifica, spesso con maggiori risorse economiche rispetto alle nostre e con elevate professionalità. La riflessione interna condotta negli ultimi anni ci ha portati alla conclusione che in questo panorama sempre più affollato le nostre iniziative siano troppo frammentarie dal punto di vista tematico, territoriale e comunicativo per riuscire a emergere con forza sufficiente. Se nei primi anni di esistenza del Comitato la peculiarità del nostro messaggio rendeva relativamente più facile farci notare dal pubblico e dai media, oggi è diventato più difficile acquisire visibilità al di fuori della cerchia fedele ma ristretta dei nostri sostenitori, a cui pure va tutta la nostra gratitudine.

Se aspiriamo ad avere voce nel dibattito pubblico sulle questioni di nostra competenza dobbiamo imparare a usare in modo più efficace le limitate risorse a nostra disposizione, scegliendo quali progetti portare avanti e coinvolgendo tutti i nostri gruppi di lavoro nelle varie fasi del loro sviluppo, dalla nascita dell’idea alla sua realizzazione fino alla comunicazione all’esterno.

Il passaggio da molte attività settoriali e di limitata visibilità a un numero inferiore di campagne organiche mirate a un maggiore impatto modifica in modo rilevante anche il ruolo del singolo socio. Non si tratta più di concordare con pochi altri o addirittura decidere da soli una piccola iniziativa e seguire direttamente tutte le fasi della sua attuazione. Si prende parte invece a una campagna più vasta e complessa che viene discussa, approvata e portata a compimento da un maggior numero di soggetti, ognuno dei quali ha un ruolo specifico e circoscritto. Inoltre il volontario contribuisce ai progetti che sono stati collettivamente identificati come prioritari in un dato momento, ma che non sempre coincidono con quelli che lui percepisce come più urgenti socialmente o più gratificanti a livello personale.

Naturalmente l’associazione è tenuta a valorizzare le competenze e gli interessi dei suoi soci, ma in operazioni che coinvolgono molti individui è difficile far convivere aspirazioni e istanze di tutti. Infine, i tempi necessari per il completamento di una grande iniziativa di respiro nazionale sono maggiori di quelli di una manifestazione più ristretta e per questo è indispensabile che i programmi siano stabiliti con largo anticipo e che nel fornire i propri contributi i vari partecipanti rispettino le scadenze previste.

Per capire in pratica che cosa stiamo cercando di fare si può prendere l’esempio delle unità di apprendimento che scriviamo per le scuole.

All’interno del CICAP c’è un Gruppo Scuola che periodicamente si riunisce e decide insieme a quale tema dedicare una nuova unità didattica. La discussione tra persone con esperienze e sensibilità diverse permette di verificare che il tema riscuota un interesse abbastanza ampio e che la corrispondenza agli obiettivi più generali del CICAP sia forte e non fraintendibile. Si cercano poi all’interno o all’esterno del gruppo i soggetti con le competenze necessarie per sviluppare il tema in maniera rigorosa e aggiornata. I contenuti prodotti vengono revisionati da diversi volontari che hanno il compito non solo di eliminare gli eventuali errori ma anche di adattare la scrittura al target a cui è rivolta: per esempio, in un laboratorio per la scuola primaria serve un linguaggio specializzato che anche un divulgatore esperto faticherà a formulare se non ha esperienza in quel settore. Altri soci finalizzano l’unità didattica nel formato richiesto, preparano il materiale grafico per promuoverla sul sito del CICAP e sui social network e la pubblicizzano presso i docenti. Più tardi si raccolgono dagli insegnanti che hanno svolto in classe l’unità di apprendimento i feedback da adoperare per migliorare i materiali successivi. Un impegno molto strutturato che richiede una lunga messa a punto e sarebbe difficilmente accessibile a una persona da sola ma che permette di ottenere un risultato a regola d’arte e di raggiungere un pubblico ampio.

In altri settori il nostro lavoro non è ancora articolato in modo così sistematico. Da quando un gruppo di lavoro ha individuato la necessità di agire in modo coordinato e con maggiori ambizioni, la discussione su come riuscire a farlo è stata laboriosa e talvolta sofferta. Può essere di conforto constatare che questa fatica nell’elaborare la ristrutturazione interna non riguarda soltanto il CICAP. La tensione con cui viene vissuta la necessità di rivedere la propria organizzazione e di perseguire una maggiore efficienza è un fenomeno comune nelle associazioni di volontariato non soltanto culturale. Si può citare per esempio un’indagine sui bisogni dei volontari condotta dal CESVOT (Centro Servizi per il Volontariato della Regione Toscana): la ricerca di maggiore efficienza e la razionalizzazione delle attività fanno temere, soprattutto nelle realtà come la nostra con una lunga storia alle spalle, che venga meno l’entusiasmo e che si perdano di vista i rapporti personali e lo “spirito originario”. Molti volontari esprimono la preoccupazione di diventare “come un’azienda”.

A tali osservazioni si è risposto che la discussione sulle iniziative da portare avanti è aperta e collettiva, che i soci partecipano attivamente, spesso con elevate responsabilità, a tutte le fasi del loro sviluppo e che l’inserire i propri contributi in un contesto più ampio richiede di rispettare regole condivise ma permette di valorizzare l’intraprendenza e la creatività dei volontari, indirizzandole verso obiettivi comuni e più significativi di quelli alla portata di un singolo individuo o di un piccolo gruppo.

Sono considerazioni corrette, ma se ci si limitasse a valutare le ragioni che impongono un cambiamento organizzativo si rischierebbe di perdere di vista le istanze più profonde che danno senso all’agire dei volontari e che attengono al piano degli ideali e dei valori e non a quello delle necessità pratiche. Dal rapporto del CESVOT arriva un suggerimento valido anche per il CICAP: per mantenere la motivazione dei soci non bisogna limitarsi alla ricerca di maggiore efficacia ed efficienza ma occorre anche la «produzione di beni relazionali, che consolidano la fiducia, la voglia di stare insieme, la condivisione e lo scambio interno». Senza la possibilità di riscoprire gli ideali fondativi attraverso la socialità, l’aggregazione e il senso di appartenenza i volontari rischiano di sentirsi ingranaggi in una macchina manovrata da altri, anziché protagonisti del cambiamento. Su questo aspetto forse avremmo potuto fare meglio e dovremo investire in futuro.

I volontari sono un patrimonio prezioso che la nostra associazione deve preservare. Perseguire un ideale anziché un tornaconto economico è la ragione essenziale per cui tanti, me compreso, continuano da decenni a dedicare le proprie energie al CICAP. Da quando è nata la nostra associazione il mondo è cambiato profondamente e non possiamo fare a meno di adeguare il nostro operato, ma i valori che condividiamo sono rimasti gli stessi e c’è ancora moltissimo bisogno di noi, della nostra esperienza e del nostro entusiasmo. Continuiamo a lavorare insieme.

Senza la possibilità di riscoprire gli ideali fondativi attraverso la socialità, l’aggregazione e il senso di appartenenza, i volontari rischiano di sentirsi ingranaggi in una macchina manovrata da altri, anziché protagonisti del cambiamento

Bibliografia

  • Ferrero, A., 2022. “La missione del CICAP nella società di oggi”, in Query n. 51
  • Ferrero, A., 2023. “Dal paranormale alle pseudoscienze, un passaggio non scontato”, in Query n. 55
  • Salvini, A., Corchia, L. (a cura di), 2012. “I bisogni delle organizzazioni di volontariato. Riflessioni sugli esiti dei focus group realizzati nelle delegazioni territoriali di Cesvot - Report d’indagine”. http://www.cesvot.it

ANDREA FERRERO è ingegnere e lavora alla progettazione di veicoli spaziali presso la Thales Alenia Space di Torino. È vicepresidente del CICAP
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