Uno dei campi dell’ufologia più in voga negli ultimi anni è quello delle cosiddette “sfere di luce”. Sotto questo termine vengono raggruppati avvistamenti di oggetti dall’apparente forma sferica o circolare, generalmente ripresi da videocamere amatoriali, che si presentano con una notevole variabilità. Si va dalle sfere luminose che si muovono nel cielo notturno a oggetti opachi, dall’apparenza metallica o semi-trasparente, ripresi fluttuare sopra le abitazioni, accanto a velivoli e persino attorno alle navette spaziali. Data l’estrema variabilità dei fenomeni in gioco, pretendere di trovare una spiegazione convenzionale che li spieghi tutti sarebbe alquanto presuntuoso: ogni caso e filmato andrebbe analizzato separatamente.
Ho tentato in questo articolo di occuparmi di una particolare casistica di “sfere di luce”: quelle riprese dalle telecamere delle navette orbitali durante le loro missioni spaziali. Si tratta di un caso particolarmente interessante perché i filmati provengono da una fonte sicura e affidabile (la NASA, l’ESA e l’agenzia spaziale russa), per cui si possono escludere manomissioni o fotomontaggi da parte di qualche burlone.
È interessante a tal proposito notare come gli ufologi stessi sottolineino l’affidabilità della fonte quale prova delle loro affermazioni, salvo denigrare la fonte stessa, accusandola di nascondere le prove, come quando per esempio le sonde esploratrici dimostrarono che la famosa sfinge marziana non era altro che una collina erosa.
Ma veniamo al fenomeno: i filmati sono facilmente reperibili su internet, talvolta in versione integrale, talvolta parzialmente rielaborati con tagli d’inquadratura, frecce e cerchi traslucidi per indicare gli oggetti su cui si vuole attrarre l’attenzione[1]. Spesso una inquietante musica da thriller è stata aggiunta in sottofondo, per convincere gli spettatori che «sta andando in onda qualcosa di sconvolgente». Youtube con i suoi canali gestiti da ufologi[2], a tal proposito, è una vera miniera di informazioni.
I filmati in sé, in realtà, sono abbastanza banali specialmente per chi, come il sottoscritto, si occupa professionalmente di tecnologie spaziali ed è appassionato di astronomia e astronautica. Una telecamera dello Space Shuttle o della Mir riprende ciò che avviene all'esterno, tipicamente per avvistare un altro veicolo con cui sta avvenendo una manovra di aggancio o per eseguire riprese della superficie terrestre. La ripresa, come solitamente accade nello spazio, ha lo sfondo nero del cielo e la luce è sovente proveniente dal retro o dal lato dell’inquadratura. Non potrebbe essere altrimenti, dato che l’assoluta mancanza di diffusione da parte dell’atmosfera fa sì che, con il Sole di fronte, non si riuscirebbe a vedere praticamente nulla. Nel corso di tali riprese, dei puntini o dei pallini luminosi passano di fronte al video fluttuando, ondeggiando e muovendosi talvolta disordinatamente uno rispetto all’altro.
Già a prima vista appare evidente che non può trattarsi del fondo stellato, perché le stelle presenterebbero un moto d'insieme ma nessun moto proprio indipendente.
A ciò aggiungerei che, nei casi in cui nell’inquadratura compare un altro veicolo spaziale, la luce riflessa da quest’ultimo è così intensa, in confronto a quella delle stelle, che, per mantenere il primo al giusto livello di esposizione, l’obiettivo della telecamera deve avere il diaframma estremamente “chiuso” per cui nessuna stella potrebbe apparire. È la stessa ragione per cui non si vedono le stelle nelle foto fatte dagli astronauti sulla Luna, contrariamente a quello che alcuni cospirazionisti affermano, portando questa obiezione a riprova della falsità di tali fotografie.
Gli ufologi sostengono inoltre che, dato che nello spazio non c’è vento, non c’è ragione per cui ciascuna sfera si muova “naturalmente” in modo diverso dalle altre, e talvolta sembri addirittura cambiare direzione. Questo comportamento costituirebbe quindi una evidenza schiacciante di un apparato di propulsione e di un’intelligenza che le muove[3].
Per finire, i più audaci hanno provato a misurare sui fotogrammi lo spostamento angolare e si sono impegnati a calcolare velocità e accelerazione di alcune sfere di luce. Ci sono un paio di casi emblematici in cui una di esse appare proiettata sul disco notturno della Terra, da cui ad un certo punto “schizza via” uscendo dall’inquadratura[4]. Ebbene alcuni ufologi sono riusciti a valutare, supponendo che la sfera fosse esattamente sopra lo strato di nubi, e dunque ad alcune migliaia di chilometri di distanza, che l’accelerazione subita sarebbe stata di qualche migliaio di g[5], un’accelerazione quindi che avrebbe ridotto in briciole qualunque veicolo terrestre. Un’affermazione del genere può avere solo due spiegazioni: o è viziata da un grossolano errore, oppure dimostra l’esistenza di veicoli alieni dotati di tecnologia avanzatissima. Ai lettori, dopo essere giunti alla fine del presente articolo, l’onere di giudicare quale delle due sia la più sensata.
Ma che cosa dicono le fonti primarie a riguardo delle sfere di luce? Possibile che gli astronauti e le agenzie spaziali, pur vedendosi continuamente circondati da veicoli alieni, abbiano sempre ignorato o taciuto?
In realtà una spiegazione ufficiale c’è: la NASA e i suoi astronauti sostengono da sempre che si tratta di frammenti di ghiaccio che fluttuano attorno alla navetta e che, illuminati dal sole, appaiono alla telecamera come sfere di luce[6]. Inutile dire che la dichiarazione è presa con incredulità e talvolta ironia dai sostenitori del mistero[7]: nuvolette di ghiaccio attorno allo Shuttle? Ammesso che sia vero, nello spazio non c’è vento, per cui il moto disordinato e i cambi di direzione non si spiegano. E poi gli oggetti non sono distanti qualche metro o decina di metri, ma molto di più; lo si deduce dal fatto che le riprese non sono sfuocate!
Prima di provare a capire chi dei contendenti ha ragione, vale la pena approfondire se la versione della NASA è fisicamente plausibile. Per fare ciò può venire in aiuto ascoltare il parere dell’astronauta Maurizio Cheli, che sullo Shuttle ci è stato[8]. Per riassumere la questione, tanto per cominciare, la maggior parte dei lanciatori fa uso di motori criogenici spinti da idrogeno e ossigeno liquidi. Questo significa da un lato che, quando sono a terra prima del lancio, i razzi sono gigantesche cisterne raffreddate a quasi 250 gradi sotto zero, sulle quali si condensa una notevole quantità di vapore acqueo atmosferico. Sono famose a tal proposito le riprese dei lanci del Saturno 5[9], fatte dalle telecamere poste sulla rampa di lancio, in cui al momento del decollo si vedono intere fontane di ghiaccio staccarsi dal razzo[10]. Dall’altro, durante il volo di immissione in orbita, il lanciatore brucia idrogeno e ossigeno, producendo acqua.
In un significativo filmato del lancio di un vettore Delta 4[11], per esempio, grazie alle favorevoli condizioni di illuminazione si vede perfettamente una nuvola di “polvere luminescente” staccarsi al momento del distacco del satellite, esattamente dal punto in cui è avvenuta la separazione.
In definitiva, al termine del lancio il veicolo spaziale presenta ancora attaccati su di sé molti frammenti di ghiaccio, che vanno via via staccandosi nel corso di manovre che possono causare scossoni, come l’apertura del vano di carico, oppure gradualmente a causa delle sollecitazioni termiche. Insomma, non appena immesso in orbita lo Space Shuttle si trova a viaggiare affiancato da una nuvola di cristalli di ghiaccio, che solo gradualmente, nel corso dei giorni, va dissolvendosi.
Ma a questo punto entra in gioco un altro fattore. Per dare energia ai veicoli spaziali abitati[12] ci sono sostanzialmente due metodi: pannelli solari e celle a combustibile[13]. Queste ultime, ancora una volta, fanno reagire idrogeno ed ossigeno e danno come prodotto acqua, di cui ci si libera espellendola nello spazio. Non appena si trova nello spazio aperto, l’acqua ghiaccia e va ad alimentare la nube che circonda il veicolo. Oltre a ciò, ci sono liquidi come l’urina che vengono espulsi di continuo come rifiuti, e alcuni veicoli usano per il raffreddamento dei pannelli su cui vengono fatti evaporare dei liquidi.
Fin dal primo lancio nello spazio, l’astronauta americano John Glenn se ne rese conto, e descrisse il curioso fenomeno come delle “lucciole” che volavano attorno alla navicella[14].
Appurato che la versione della NASA è plausibile, dato che attorno ai veicoli spaziali abitati ci sono davvero cristalli di ghiaccio fluttuanti, non resta che da chiedersi se le obiezioni degli ufologi siano sensate o meno[15].
Tali obiezioni sono in larga parte di due categorie:
1. le sfere di luce sono palesemente distanti, e quindi non possono essere minuscoli cristalli di ghiaccio;
2. le sfere di luce hanno moti irregolari, che un pezzo di ghiaccio non può avere.
Stimare la distanza di un oggetto da una ripresa video è estremamente difficile, specialmente in mancanza di punti di riferimento precisi o di oggetti noti di cui si conoscano le reali dimensioni. Il rischio di commettere grossolani errori di valutazione è dovuto al fatto che nella vita di tutti i giorni usiamo l’effetto stereoscopico fornitoci da entrambi gli occhi per valutare la distanza degli oggetti. In pratica, osserviamo il mondo da due punti di osservazione distanti una decina di centimetri uno dall’altro (i nostri occhi), che ci presentano il mondo attorno a noi in modo leggermente diverso, a causa dell’effetto di parallasse. Il cervello elabora le due immagini e ci fornisce la sensazione che un oggetto sia vicino o lontano. Per distanze fino a qualche decina di metri il sistema è molto efficace, per cui, a meno di seri problemi di vista da uno degli occhi, difficilmente sbaglieremo a stimare la distanza di un oggetto vicino. Quando guardiamo un filmato, invece, entrambi gli occhi vedono la stessa immagine proveniente dall’obiettivo, e si perde l'effetto di parallasse. Ne consegue che il cervello ci trasmette il messaggio “tutti gli oggetti che vedi sono distanti”, e solo se la scena ripresa è familiare e popolata di oggetti di cui sappiamo le reali dimensioni possiamo ignorare questa sensazione.
C’è un altro modo per valutare se una ripresa fotografica o filmata è di un oggetto vicino oppure lontano: se la messa a fuoco è posizionata all’infinito, gli oggetti vicini risulteranno fuori fuoco. Questa considerazione, che a prima vista può apparire banale, nasconde in realtà un paio di insidie: quanto deve essere vicino un oggetto per apparire sfuocato? E in tal caso, quale aspetto dobbiamo attenderci che abbia?
La risposta alla seconda domanda è relativamente semplice se l’oggetto inquadrato è un punto luminoso, ed è nota a chiunque abbia provato a mettere a fuoco un telescopio puntato su una stella: l’immagine riproduce in negativo la forma dell’apertura dell’obiettivo. In altre parole, se come nella maggior parte dei casi l’obiettivo è un sistema di lenti circolari non ostruite, un punto luminoso appare come un dischetto (o una sfera, guarda caso...) tanto più grande quanto più è fuori fuoco. Situazione diversa se l’obiettivo è di tipo catadiottrico, con uno specchio secondario posto al centro, che ostruisce il cammino della luce in ingresso: l’immagine che si forma è simile a un dischetto luminoso con una macchia nera al centro.
E infatti, in alcune delle riprese additate dagli ufologi l’apparenza delle “sfere di luce” è precisamente quella attesa per una telecamera dotata di obiettivo catadiottrico, davanti a cui scorrono dei puntini luminosi molto più vicini dell'oggetto tenuto a fuoco. È il caso, per esempio, del filmato della rottura del cavo del satellite Tethered durante la missione Shuttle STS-75[16]. A ulteriore prova, mentre la telecamera effettua uno zoom e successivamente va alla ricerca del fuoco per il satellite, i presunti UFO cambiano congiuntamente di dimensione.
Siccome il video della STS-75 è continuamente citato come la “pistola fumante”, molti scettici si sono impegnati a riprodurre le condizioni della ripresa della Shuttle, dimostrandone con discreto successo la perfetta normalità[17].
Dal momento che però, in diverse situazioni, i “puntini” hanno dimensioni che suggeriscono una corretta (o quasi) messa a fuoco, la domanda adesso è: quanto vicino deve essere un oggetto alla telecamera par apparire fuori fuoco?
A questa domanda, almeno in modo qualitativo, saprebbe prontamente rispondere ogni buon fotografo: dipende dalla “profondità di campo”. In altre parole, quando un oggetto ad una certa distanza viene messo a fuoco, tutto ciò che sta a distanza simile, entro una certa tolleranza, rimane altrettanto a fuoco. Questa “tolleranza”, chiamata appunto profondità di campo, dipende in realtà da diversi fattori. Giocando con essi un fotografo esperto può riuscire a tenere a fuoco tutto quanto gli serve per comporre l’inquadratura.
In termini un po’ più quantitativi, è necessario innanzi tutto definire un “cerchio di confusione”, che è la dimensione massima tollerata sul sensore per la proiezione di un punto. A causa della natura ondulatoria della luce, un oggetto puntiforme non ha mai una proiezione di dimensione nulla nel fuoco di un sistema ottico, per quanto perfetto esso sia[18]. Possiamo tollerare naturalmente anche dimensioni un po’ maggiori (cioè un leggero fuori fuoco) se non abbiamo necessità di vedere dettagli finissimi. Oltre che a considerazioni estetiche, e alla precisione di lavorazione delle lenti, la tolleranza è legata anche alle caratteristiche della fotocamera: è inutile avere un cerchio di confusione molto più piccolo delle dimensioni del pixel del sensore.
Una volta fissato il cerchio di confusione, gli altri parametri in gioco sono la lunghezza focale dell’obiettivo, la distanza di messa a fuoco, e il rapporto focale (altrimenti detto “apertura”) dell’obiettivo stesso[19]. In linea di massima, obiettivi a focale più lunga hanno minore profondità di campo, ma chiudendo il diaframma la profondità di campo aumenta.
Per esempio, proviamo a fissare il cerchio di confusione a 50μm e immaginiamo di usare un obiettivo con focale di 100mm. Se mettiamo a fuoco un soggetto distante 100m, con il diaframma tutto aperto (diciamo f:1.4) saranno a fuoco gli oggetti posti tra 60m e 330m, mentre chiudendo il diaframma fino a f:11 la regione a fuoco si estenderà da 15m all’infinito. C’è una distanza ottimale alla quale si dovrebbe regolare l’obiettivo, per ottenere la corretta messa a fuoco sul più ampio intervallo di distanze; essa prende il nome di iperfocale. Usando un obiettivo da 100mm regolato alla distanza iperfocale, il grafico in figura rappresenta la minima distanza di messa a fuoco, al variare dell’apertura del diaframma.[20]
Sfortunatamente, non è facile sapere quali obiettivi siano effettivamente utilizzati nelle riprese delle sfere di luce: tale dato non è ricavabile dalle riprese stesse ed è assai difficile da reperire, dal momento che gli apparati di ripresa vengono continuamente portati in orbita nel corso delle missioni per gli scopi più disparati e per supportare i diversi esperimenti.
Giusto per fare un esempio, se ci limitiamo ai soli apparecchi fotografici usati dagli astronauti per fare riprese ad alta risoluzione della superficie terrestre, nel corso delle missioni spaziali statunitensi condotte dagli anni ’60 agli anni ’90 sono stati utilizzati apparecchi di almeno 5 marche, oltre ad alcuni realizzati appositamente, che montavano obiettivi da 40mm fino a oltre 450mm di focale[21]. Sempre per le riprese in alta risoluzione della Terra, a partire dal 1998 è stata usata una videocamera Sony, con un obiettivo zoom da 8mm a 120mm[22]. Va comunque ricordato che le focali più lunghe servono a cogliere piccoli particolari e non sono adatte per immagini a largo campo, per cui è improbabile che siano utilizzate nelle riprese non dedicate a un particolare soggetto.
Di sicuro, quando nell’inquadratura compare una porzione del globo terrestre di cui si scorge la curvatura, possiamo essere certi che la focale utilizzata è estremamente corta. A 350 km, la quota a cui si trova la stazione spaziale, la Terra occupa circa 140° di campo: qualsiasi ripresa con un obiettivo a lunga focale consentirebbe di vederne sola una minima porzione e di non cogliere la curvatura del bordo[23]. A titolo di esempio, la succitata camera Sony, con l’obiettivo regolato a una focale di 50mm, è in grado di coprire meno di 20° di campo sulla diagonale del fotogramma.
In definitiva, addurre la mancanza di evidenti sfocature come una prova della presunta lontananza delle sfere di luce è un argomento piuttosto debole, salvo alcuni casi particolari. Nei rari casi in cui era comprovata la necessità di una ripresa con un obiettivo a lunga focale, come quello del satellite Tethered che si stava perdendo nello spazio, le sfocature ci sono, a riprova che le sfere di luce sono presumibilmente distanti alcuni metri dalla stazione orbitante.
E veniamo ora alla seconda, e per certi versi più importante, obiezione: i moti propri irregolari delle sfere di luce, non riconducibili a semplici fenomeni fisici. Come abbiamo osservato sopra, argomentare in maniera generale circa questa obiezione è molto difficile: ogni filmato andrebbe esaminato singolarmente, per valutare quanto il movimento mostrato sia effettivamente irregolare e inspiegabile.
Nel tentativo di dare una interpretazione alternativa, comunque, si possono tenere presenti alcuni principi generali che, a mio parere, possono portare a vedere diversi filmati sotto una luce molto meno misteriosa.
È vero che un pezzo di ghiaccio, o un qualunque altro oggetto non dotato di propulsione propria, nello spazio tenderà a mantenere il proprio stato di moto rettilineo uniforme, ma questo moto appare rettilineo solo se anche l’osservatore si comporta allo stesso modo[24]. Se per esempio il veicolo spaziale sta compiendo delle manovre, esso subisce rapide accelerazioni che possono riflettersi nel moto apparente degli oggetti fuori dall’abitacolo. A tal proposito, è interessante notare come alcuni dei filmati incriminati siano stati ripresi durante manovre di attracco con la Mir, in cui è più che normale che il veicolo subisca improvvise rotazioni e accelerazioni. Inoltre, se il veicolo spaziale, manovrando, attraversa la nube di cristalli di ghiaccio, è possibile che il cambio di prospettiva appaia come un moto disordinato degli stessi.
Dunque l’affermazione che il moto delle sfere mostri un controllo da parte di un’intelligenza si può ribaltare sull’osservatore, che effettivamente si trova su un veicolo controllato in modo attivo da un’entità intelligente.
Inoltre, siamo proprio sicuri che un pezzo di ghiaccio fluttuante nello spazio non sia sottoposto ad alcuna forza? Ci sono almeno tre fenomeni fisici che possono imprimergli un’accelerazione: il vento solare, la pressione di radiazione e l’”effetto razzo” dovuto alla sublimazione del ghiaccio stesso.
In altre parole, il blocchetto di ghiaccio è soggetto a una pressione dovuta alle particelle di vento solare che impattano su di esso, ai fotoni emessi dal Sole stesso (più a quelli riflessi dalla Terra, che però quantitativamente sono meno rilevanti) e per finire al fatto che il calore solare tende a far sublimare la faccia ad essi rivolta e il vapore acqueo liberato si comporta come un motore a reazione che sospinge nella direzione opposta il ghiaccio stesso.
È ben noto che le comete, che sono principalmente costituite di ghiaccio, tendono gradualmente a modificare le proprie orbite a causa di questi effetti. Quello che va valutato è però se le accelerazioni prodotte, su un pezzetto di materia di qualche millimetro, siano tali da produrre un effetto macroscopicamente visibile e di entità comparabile a quello che appare nei filmati.
Ho provato perciò a calcolare l’accelerazione subita da un cubetto di ghiaccio, di lato 1mm, illuminato dal Sole su una faccia, sotto alcune ipotesi ragionevoli, come per esempio che la superficie rifletta l’80-90% della luce incidente. Il risultato è che si possono produrre accelerazioni, principalmente dovute a effetto “razzo”, tra 1 e 10 cm/s2, che è compatibile coi cambi di direzione in alcuni filmati.
C’è per esempio un video, ripreso durante la missione Shuttle STS-114[25], che a mio avviso si spiega perfettamente con l’ipotesi della spinta causata dal Sole: in questo video la telecamera della navetta inquadra la Terra di notte, mentre la superficie terrestre scorre davanti allo schermo, costellata da una miriade di puntini luminosi. La navetta sta emergendo dal cono d’ombra della Terra, come si evince dal bagliore dell’alba che avanza; a un certo momento, un punto luminoso entra nell’inquadratura e si muove nella direzione in cui sta comparendo l’alba (e dunque dove ci si aspetta si trovi il Sole). Il punto luminoso gradualmente rallenta, inverte il moto e fuoriesce dallo schermo più o meno dalla stessa direzione da cui era venuto. Mi pare di poter dire che in casi come questo le accelerazioni prodotte dalla luce solare possano spiegare quanto si vede, senza dover ipotizzare la presenza di mezzi di propulsione.
Per coloro che invece amano le dimostrazioni per assurdo, ritengo emblematico il video tratto dalla missione Shuttle STS-63[26], che aveva come obiettivo principale un rendez-vous con la stazione Mir, per verificare le tecniche di avvicinamento e volo in formazione. Nel video in questione, spesso additato dagli ufologi, la telecamera dello Shuttle scandaglia il cielo nella direzione attesa, tentando di individuare la Mir; quest’ultima appare come un debolissimo puntino luminoso, in mezzo a centinaia di punti luminosi più brillanti che fluttuano attorno allo Shuttle e costituiscono un intralcio alla corretta individuazione. Dal centro di controllo finalmente scorgono l’obiettivo, e lo indicano come la piccola lucina intermittente al centro dell’inquadratura. Ora, stando all’interpretazione ufologica, lo Shuttle sarebbe circondato dall’intera armata di Vega, dispiegata in forze tra i due veicoli spaziali terrestri, e nonostante ciò gli astronauti e il controllo missione andrebbero avanti imperturbabili a discutere su dove si trovi la Mir!
In definitiva, mi pare di poter concludere che la stragrande maggioranza delle “sfere di luce” che compaiono nelle riprese spaziali si possano ricondurre al fenomeno dei cristalli di ghiaccio che fluttuano attorno ai veicoli spaziali.
A questa interpretazione, va detto per completezza, sfugge qualche raro caso isolato, tipo la sfera semi-trasparente ripresa durante la missione STS-37[27], ma su queste eccezioni torneremo forse in un’altra occasione.
Negli altri casi, sebbene non vi possa essere certezza che le argomentazioni qui presentate siano quelle corrette, vale sempre il rasoio di Occam: a parità di fattori, la spiegazione più semplice è quella preferibile.
Ho tentato in questo articolo di occuparmi di una particolare casistica di “sfere di luce”: quelle riprese dalle telecamere delle navette orbitali durante le loro missioni spaziali. Si tratta di un caso particolarmente interessante perché i filmati provengono da una fonte sicura e affidabile (la NASA, l’ESA e l’agenzia spaziale russa), per cui si possono escludere manomissioni o fotomontaggi da parte di qualche burlone.
È interessante a tal proposito notare come gli ufologi stessi sottolineino l’affidabilità della fonte quale prova delle loro affermazioni, salvo denigrare la fonte stessa, accusandola di nascondere le prove, come quando per esempio le sonde esploratrici dimostrarono che la famosa sfinge marziana non era altro che una collina erosa.
Ma veniamo al fenomeno: i filmati sono facilmente reperibili su internet, talvolta in versione integrale, talvolta parzialmente rielaborati con tagli d’inquadratura, frecce e cerchi traslucidi per indicare gli oggetti su cui si vuole attrarre l’attenzione[1]. Spesso una inquietante musica da thriller è stata aggiunta in sottofondo, per convincere gli spettatori che «sta andando in onda qualcosa di sconvolgente». Youtube con i suoi canali gestiti da ufologi[2], a tal proposito, è una vera miniera di informazioni.
I filmati in sé, in realtà, sono abbastanza banali specialmente per chi, come il sottoscritto, si occupa professionalmente di tecnologie spaziali ed è appassionato di astronomia e astronautica. Una telecamera dello Space Shuttle o della Mir riprende ciò che avviene all'esterno, tipicamente per avvistare un altro veicolo con cui sta avvenendo una manovra di aggancio o per eseguire riprese della superficie terrestre. La ripresa, come solitamente accade nello spazio, ha lo sfondo nero del cielo e la luce è sovente proveniente dal retro o dal lato dell’inquadratura. Non potrebbe essere altrimenti, dato che l’assoluta mancanza di diffusione da parte dell’atmosfera fa sì che, con il Sole di fronte, non si riuscirebbe a vedere praticamente nulla. Nel corso di tali riprese, dei puntini o dei pallini luminosi passano di fronte al video fluttuando, ondeggiando e muovendosi talvolta disordinatamente uno rispetto all’altro.
Già a prima vista appare evidente che non può trattarsi del fondo stellato, perché le stelle presenterebbero un moto d'insieme ma nessun moto proprio indipendente.
A ciò aggiungerei che, nei casi in cui nell’inquadratura compare un altro veicolo spaziale, la luce riflessa da quest’ultimo è così intensa, in confronto a quella delle stelle, che, per mantenere il primo al giusto livello di esposizione, l’obiettivo della telecamera deve avere il diaframma estremamente “chiuso” per cui nessuna stella potrebbe apparire. È la stessa ragione per cui non si vedono le stelle nelle foto fatte dagli astronauti sulla Luna, contrariamente a quello che alcuni cospirazionisti affermano, portando questa obiezione a riprova della falsità di tali fotografie.
Gli ufologi sostengono inoltre che, dato che nello spazio non c’è vento, non c’è ragione per cui ciascuna sfera si muova “naturalmente” in modo diverso dalle altre, e talvolta sembri addirittura cambiare direzione. Questo comportamento costituirebbe quindi una evidenza schiacciante di un apparato di propulsione e di un’intelligenza che le muove[3].
Per finire, i più audaci hanno provato a misurare sui fotogrammi lo spostamento angolare e si sono impegnati a calcolare velocità e accelerazione di alcune sfere di luce. Ci sono un paio di casi emblematici in cui una di esse appare proiettata sul disco notturno della Terra, da cui ad un certo punto “schizza via” uscendo dall’inquadratura[4]. Ebbene alcuni ufologi sono riusciti a valutare, supponendo che la sfera fosse esattamente sopra lo strato di nubi, e dunque ad alcune migliaia di chilometri di distanza, che l’accelerazione subita sarebbe stata di qualche migliaio di g[5], un’accelerazione quindi che avrebbe ridotto in briciole qualunque veicolo terrestre. Un’affermazione del genere può avere solo due spiegazioni: o è viziata da un grossolano errore, oppure dimostra l’esistenza di veicoli alieni dotati di tecnologia avanzatissima. Ai lettori, dopo essere giunti alla fine del presente articolo, l’onere di giudicare quale delle due sia la più sensata.
Ma che cosa dicono le fonti primarie a riguardo delle sfere di luce? Possibile che gli astronauti e le agenzie spaziali, pur vedendosi continuamente circondati da veicoli alieni, abbiano sempre ignorato o taciuto?
In realtà una spiegazione ufficiale c’è: la NASA e i suoi astronauti sostengono da sempre che si tratta di frammenti di ghiaccio che fluttuano attorno alla navetta e che, illuminati dal sole, appaiono alla telecamera come sfere di luce[6]. Inutile dire che la dichiarazione è presa con incredulità e talvolta ironia dai sostenitori del mistero[7]: nuvolette di ghiaccio attorno allo Shuttle? Ammesso che sia vero, nello spazio non c’è vento, per cui il moto disordinato e i cambi di direzione non si spiegano. E poi gli oggetti non sono distanti qualche metro o decina di metri, ma molto di più; lo si deduce dal fatto che le riprese non sono sfuocate!
Prima di provare a capire chi dei contendenti ha ragione, vale la pena approfondire se la versione della NASA è fisicamente plausibile. Per fare ciò può venire in aiuto ascoltare il parere dell’astronauta Maurizio Cheli, che sullo Shuttle ci è stato[8]. Per riassumere la questione, tanto per cominciare, la maggior parte dei lanciatori fa uso di motori criogenici spinti da idrogeno e ossigeno liquidi. Questo significa da un lato che, quando sono a terra prima del lancio, i razzi sono gigantesche cisterne raffreddate a quasi 250 gradi sotto zero, sulle quali si condensa una notevole quantità di vapore acqueo atmosferico. Sono famose a tal proposito le riprese dei lanci del Saturno 5[9], fatte dalle telecamere poste sulla rampa di lancio, in cui al momento del decollo si vedono intere fontane di ghiaccio staccarsi dal razzo[10]. Dall’altro, durante il volo di immissione in orbita, il lanciatore brucia idrogeno e ossigeno, producendo acqua.
In un significativo filmato del lancio di un vettore Delta 4[11], per esempio, grazie alle favorevoli condizioni di illuminazione si vede perfettamente una nuvola di “polvere luminescente” staccarsi al momento del distacco del satellite, esattamente dal punto in cui è avvenuta la separazione.
In definitiva, al termine del lancio il veicolo spaziale presenta ancora attaccati su di sé molti frammenti di ghiaccio, che vanno via via staccandosi nel corso di manovre che possono causare scossoni, come l’apertura del vano di carico, oppure gradualmente a causa delle sollecitazioni termiche. Insomma, non appena immesso in orbita lo Space Shuttle si trova a viaggiare affiancato da una nuvola di cristalli di ghiaccio, che solo gradualmente, nel corso dei giorni, va dissolvendosi.
Ma a questo punto entra in gioco un altro fattore. Per dare energia ai veicoli spaziali abitati[12] ci sono sostanzialmente due metodi: pannelli solari e celle a combustibile[13]. Queste ultime, ancora una volta, fanno reagire idrogeno ed ossigeno e danno come prodotto acqua, di cui ci si libera espellendola nello spazio. Non appena si trova nello spazio aperto, l’acqua ghiaccia e va ad alimentare la nube che circonda il veicolo. Oltre a ciò, ci sono liquidi come l’urina che vengono espulsi di continuo come rifiuti, e alcuni veicoli usano per il raffreddamento dei pannelli su cui vengono fatti evaporare dei liquidi.
Fin dal primo lancio nello spazio, l’astronauta americano John Glenn se ne rese conto, e descrisse il curioso fenomeno come delle “lucciole” che volavano attorno alla navicella[14].
Appurato che la versione della NASA è plausibile, dato che attorno ai veicoli spaziali abitati ci sono davvero cristalli di ghiaccio fluttuanti, non resta che da chiedersi se le obiezioni degli ufologi siano sensate o meno[15].
Tali obiezioni sono in larga parte di due categorie:
1. le sfere di luce sono palesemente distanti, e quindi non possono essere minuscoli cristalli di ghiaccio;
2. le sfere di luce hanno moti irregolari, che un pezzo di ghiaccio non può avere.
Stimare la distanza di un oggetto da una ripresa video è estremamente difficile, specialmente in mancanza di punti di riferimento precisi o di oggetti noti di cui si conoscano le reali dimensioni. Il rischio di commettere grossolani errori di valutazione è dovuto al fatto che nella vita di tutti i giorni usiamo l’effetto stereoscopico fornitoci da entrambi gli occhi per valutare la distanza degli oggetti. In pratica, osserviamo il mondo da due punti di osservazione distanti una decina di centimetri uno dall’altro (i nostri occhi), che ci presentano il mondo attorno a noi in modo leggermente diverso, a causa dell’effetto di parallasse. Il cervello elabora le due immagini e ci fornisce la sensazione che un oggetto sia vicino o lontano. Per distanze fino a qualche decina di metri il sistema è molto efficace, per cui, a meno di seri problemi di vista da uno degli occhi, difficilmente sbaglieremo a stimare la distanza di un oggetto vicino. Quando guardiamo un filmato, invece, entrambi gli occhi vedono la stessa immagine proveniente dall’obiettivo, e si perde l'effetto di parallasse. Ne consegue che il cervello ci trasmette il messaggio “tutti gli oggetti che vedi sono distanti”, e solo se la scena ripresa è familiare e popolata di oggetti di cui sappiamo le reali dimensioni possiamo ignorare questa sensazione.
C’è un altro modo per valutare se una ripresa fotografica o filmata è di un oggetto vicino oppure lontano: se la messa a fuoco è posizionata all’infinito, gli oggetti vicini risulteranno fuori fuoco. Questa considerazione, che a prima vista può apparire banale, nasconde in realtà un paio di insidie: quanto deve essere vicino un oggetto per apparire sfuocato? E in tal caso, quale aspetto dobbiamo attenderci che abbia?
La risposta alla seconda domanda è relativamente semplice se l’oggetto inquadrato è un punto luminoso, ed è nota a chiunque abbia provato a mettere a fuoco un telescopio puntato su una stella: l’immagine riproduce in negativo la forma dell’apertura dell’obiettivo. In altre parole, se come nella maggior parte dei casi l’obiettivo è un sistema di lenti circolari non ostruite, un punto luminoso appare come un dischetto (o una sfera, guarda caso...) tanto più grande quanto più è fuori fuoco. Situazione diversa se l’obiettivo è di tipo catadiottrico, con uno specchio secondario posto al centro, che ostruisce il cammino della luce in ingresso: l’immagine che si forma è simile a un dischetto luminoso con una macchia nera al centro.
E infatti, in alcune delle riprese additate dagli ufologi l’apparenza delle “sfere di luce” è precisamente quella attesa per una telecamera dotata di obiettivo catadiottrico, davanti a cui scorrono dei puntini luminosi molto più vicini dell'oggetto tenuto a fuoco. È il caso, per esempio, del filmato della rottura del cavo del satellite Tethered durante la missione Shuttle STS-75[16]. A ulteriore prova, mentre la telecamera effettua uno zoom e successivamente va alla ricerca del fuoco per il satellite, i presunti UFO cambiano congiuntamente di dimensione.
Siccome il video della STS-75 è continuamente citato come la “pistola fumante”, molti scettici si sono impegnati a riprodurre le condizioni della ripresa della Shuttle, dimostrandone con discreto successo la perfetta normalità[17].
Dal momento che però, in diverse situazioni, i “puntini” hanno dimensioni che suggeriscono una corretta (o quasi) messa a fuoco, la domanda adesso è: quanto vicino deve essere un oggetto alla telecamera par apparire fuori fuoco?
A questa domanda, almeno in modo qualitativo, saprebbe prontamente rispondere ogni buon fotografo: dipende dalla “profondità di campo”. In altre parole, quando un oggetto ad una certa distanza viene messo a fuoco, tutto ciò che sta a distanza simile, entro una certa tolleranza, rimane altrettanto a fuoco. Questa “tolleranza”, chiamata appunto profondità di campo, dipende in realtà da diversi fattori. Giocando con essi un fotografo esperto può riuscire a tenere a fuoco tutto quanto gli serve per comporre l’inquadratura.
In termini un po’ più quantitativi, è necessario innanzi tutto definire un “cerchio di confusione”, che è la dimensione massima tollerata sul sensore per la proiezione di un punto. A causa della natura ondulatoria della luce, un oggetto puntiforme non ha mai una proiezione di dimensione nulla nel fuoco di un sistema ottico, per quanto perfetto esso sia[18]. Possiamo tollerare naturalmente anche dimensioni un po’ maggiori (cioè un leggero fuori fuoco) se non abbiamo necessità di vedere dettagli finissimi. Oltre che a considerazioni estetiche, e alla precisione di lavorazione delle lenti, la tolleranza è legata anche alle caratteristiche della fotocamera: è inutile avere un cerchio di confusione molto più piccolo delle dimensioni del pixel del sensore.
Una volta fissato il cerchio di confusione, gli altri parametri in gioco sono la lunghezza focale dell’obiettivo, la distanza di messa a fuoco, e il rapporto focale (altrimenti detto “apertura”) dell’obiettivo stesso[19]. In linea di massima, obiettivi a focale più lunga hanno minore profondità di campo, ma chiudendo il diaframma la profondità di campo aumenta.
Per esempio, proviamo a fissare il cerchio di confusione a 50μm e immaginiamo di usare un obiettivo con focale di 100mm. Se mettiamo a fuoco un soggetto distante 100m, con il diaframma tutto aperto (diciamo f:1.4) saranno a fuoco gli oggetti posti tra 60m e 330m, mentre chiudendo il diaframma fino a f:11 la regione a fuoco si estenderà da 15m all’infinito. C’è una distanza ottimale alla quale si dovrebbe regolare l’obiettivo, per ottenere la corretta messa a fuoco sul più ampio intervallo di distanze; essa prende il nome di iperfocale. Usando un obiettivo da 100mm regolato alla distanza iperfocale, il grafico in figura rappresenta la minima distanza di messa a fuoco, al variare dell’apertura del diaframma.[20]
Sfortunatamente, non è facile sapere quali obiettivi siano effettivamente utilizzati nelle riprese delle sfere di luce: tale dato non è ricavabile dalle riprese stesse ed è assai difficile da reperire, dal momento che gli apparati di ripresa vengono continuamente portati in orbita nel corso delle missioni per gli scopi più disparati e per supportare i diversi esperimenti.
Giusto per fare un esempio, se ci limitiamo ai soli apparecchi fotografici usati dagli astronauti per fare riprese ad alta risoluzione della superficie terrestre, nel corso delle missioni spaziali statunitensi condotte dagli anni ’60 agli anni ’90 sono stati utilizzati apparecchi di almeno 5 marche, oltre ad alcuni realizzati appositamente, che montavano obiettivi da 40mm fino a oltre 450mm di focale[21]. Sempre per le riprese in alta risoluzione della Terra, a partire dal 1998 è stata usata una videocamera Sony, con un obiettivo zoom da 8mm a 120mm[22]. Va comunque ricordato che le focali più lunghe servono a cogliere piccoli particolari e non sono adatte per immagini a largo campo, per cui è improbabile che siano utilizzate nelle riprese non dedicate a un particolare soggetto.
Astronaut John Glenn relaxes aboard the USS Noa after being recovered from the Atlantic Ocean near Grand Turk Island, where his capsule landed at the end of his historic Mercury flight. Glenn became the first American to orbit the Earth on February 20, 1962 in his "Friendship 7" capsule.
In definitiva, addurre la mancanza di evidenti sfocature come una prova della presunta lontananza delle sfere di luce è un argomento piuttosto debole, salvo alcuni casi particolari. Nei rari casi in cui era comprovata la necessità di una ripresa con un obiettivo a lunga focale, come quello del satellite Tethered che si stava perdendo nello spazio, le sfocature ci sono, a riprova che le sfere di luce sono presumibilmente distanti alcuni metri dalla stazione orbitante.
E veniamo ora alla seconda, e per certi versi più importante, obiezione: i moti propri irregolari delle sfere di luce, non riconducibili a semplici fenomeni fisici. Come abbiamo osservato sopra, argomentare in maniera generale circa questa obiezione è molto difficile: ogni filmato andrebbe esaminato singolarmente, per valutare quanto il movimento mostrato sia effettivamente irregolare e inspiegabile.
Nel tentativo di dare una interpretazione alternativa, comunque, si possono tenere presenti alcuni principi generali che, a mio parere, possono portare a vedere diversi filmati sotto una luce molto meno misteriosa.
È vero che un pezzo di ghiaccio, o un qualunque altro oggetto non dotato di propulsione propria, nello spazio tenderà a mantenere il proprio stato di moto rettilineo uniforme, ma questo moto appare rettilineo solo se anche l’osservatore si comporta allo stesso modo[24]. Se per esempio il veicolo spaziale sta compiendo delle manovre, esso subisce rapide accelerazioni che possono riflettersi nel moto apparente degli oggetti fuori dall’abitacolo. A tal proposito, è interessante notare come alcuni dei filmati incriminati siano stati ripresi durante manovre di attracco con la Mir, in cui è più che normale che il veicolo subisca improvvise rotazioni e accelerazioni. Inoltre, se il veicolo spaziale, manovrando, attraversa la nube di cristalli di ghiaccio, è possibile che il cambio di prospettiva appaia come un moto disordinato degli stessi.
Dunque l’affermazione che il moto delle sfere mostri un controllo da parte di un’intelligenza si può ribaltare sull’osservatore, che effettivamente si trova su un veicolo controllato in modo attivo da un’entità intelligente.
Inoltre, siamo proprio sicuri che un pezzo di ghiaccio fluttuante nello spazio non sia sottoposto ad alcuna forza? Ci sono almeno tre fenomeni fisici che possono imprimergli un’accelerazione: il vento solare, la pressione di radiazione e l’”effetto razzo” dovuto alla sublimazione del ghiaccio stesso.
In altre parole, il blocchetto di ghiaccio è soggetto a una pressione dovuta alle particelle di vento solare che impattano su di esso, ai fotoni emessi dal Sole stesso (più a quelli riflessi dalla Terra, che però quantitativamente sono meno rilevanti) e per finire al fatto che il calore solare tende a far sublimare la faccia ad essi rivolta e il vapore acqueo liberato si comporta come un motore a reazione che sospinge nella direzione opposta il ghiaccio stesso.
È ben noto che le comete, che sono principalmente costituite di ghiaccio, tendono gradualmente a modificare le proprie orbite a causa di questi effetti. Quello che va valutato è però se le accelerazioni prodotte, su un pezzetto di materia di qualche millimetro, siano tali da produrre un effetto macroscopicamente visibile e di entità comparabile a quello che appare nei filmati.
Ho provato perciò a calcolare l’accelerazione subita da un cubetto di ghiaccio, di lato 1mm, illuminato dal Sole su una faccia, sotto alcune ipotesi ragionevoli, come per esempio che la superficie rifletta l’80-90% della luce incidente. Il risultato è che si possono produrre accelerazioni, principalmente dovute a effetto “razzo”, tra 1 e 10 cm/s2, che è compatibile coi cambi di direzione in alcuni filmati.
C’è per esempio un video, ripreso durante la missione Shuttle STS-114[25], che a mio avviso si spiega perfettamente con l’ipotesi della spinta causata dal Sole: in questo video la telecamera della navetta inquadra la Terra di notte, mentre la superficie terrestre scorre davanti allo schermo, costellata da una miriade di puntini luminosi. La navetta sta emergendo dal cono d’ombra della Terra, come si evince dal bagliore dell’alba che avanza; a un certo momento, un punto luminoso entra nell’inquadratura e si muove nella direzione in cui sta comparendo l’alba (e dunque dove ci si aspetta si trovi il Sole). Il punto luminoso gradualmente rallenta, inverte il moto e fuoriesce dallo schermo più o meno dalla stessa direzione da cui era venuto. Mi pare di poter dire che in casi come questo le accelerazioni prodotte dalla luce solare possano spiegare quanto si vede, senza dover ipotizzare la presenza di mezzi di propulsione.
Per coloro che invece amano le dimostrazioni per assurdo, ritengo emblematico il video tratto dalla missione Shuttle STS-63[26], che aveva come obiettivo principale un rendez-vous con la stazione Mir, per verificare le tecniche di avvicinamento e volo in formazione. Nel video in questione, spesso additato dagli ufologi, la telecamera dello Shuttle scandaglia il cielo nella direzione attesa, tentando di individuare la Mir; quest’ultima appare come un debolissimo puntino luminoso, in mezzo a centinaia di punti luminosi più brillanti che fluttuano attorno allo Shuttle e costituiscono un intralcio alla corretta individuazione. Dal centro di controllo finalmente scorgono l’obiettivo, e lo indicano come la piccola lucina intermittente al centro dell’inquadratura. Ora, stando all’interpretazione ufologica, lo Shuttle sarebbe circondato dall’intera armata di Vega, dispiegata in forze tra i due veicoli spaziali terrestri, e nonostante ciò gli astronauti e il controllo missione andrebbero avanti imperturbabili a discutere su dove si trovi la Mir!
In definitiva, mi pare di poter concludere che la stragrande maggioranza delle “sfere di luce” che compaiono nelle riprese spaziali si possano ricondurre al fenomeno dei cristalli di ghiaccio che fluttuano attorno ai veicoli spaziali.
A questa interpretazione, va detto per completezza, sfugge qualche raro caso isolato, tipo la sfera semi-trasparente ripresa durante la missione STS-37[27], ma su queste eccezioni torneremo forse in un’altra occasione.
Negli altri casi, sebbene non vi possa essere certezza che le argomentazioni qui presentate siano quelle corrette, vale sempre il rasoio di Occam: a parità di fattori, la spiegazione più semplice è quella preferibile.
Note
1) Qualche esempio significativo:
http://www.youtube.com/watch?v=sGiDAhWEQ_4
http://www.youtube.com/watch?v=DJFJG6iuh8M
http://www.youtube.com/watch?v=sGiDAhWEQ_4
http://www.youtube.com/watch?v=DJFJG6iuh8M
2) http://www.youtube.com/user/madmod72
http://www.youtube.com/user/undercoveralien
http://www.youtube.com/user/LunaCognita
http://www.youtube.com/user/ufovideoitalia
http://www.youtube.com/user/undercoveralien
http://www.youtube.com/user/LunaCognita
http://www.youtube.com/user/ufovideoitalia
3) Si veda ad esempio la puntata di Rebus del 14/6/07 “Sfere di luce”, presente in studio Adriano Forgione, reperibile nel sito di Odeon TV http://www.odeontw.tw/default.asp?dprogramma=100003&dpuntata=100589
6) Si veda per esempio il filmato originale dell'incidente del Tethered (STS-75) http://www.youtube.com/watch?v=XD2INJW7JvE e la conversazione tra l'astronauta Chang-Diaz Franklin e il controllo missione
Franklin: "You guys getting the image?"
Houston: "Franklin we see a long line, a couple of star-like things and a lot of things swimming in the foreground. Can you describe what you're seeing?"
Franklin: "Well the long line is the tether and, ... there's a little bit of debris that kind of flies with us and, ... it's illuminated by the Sun at such a low angle so there's a lot of stray light and it's getting washed out quickly..."
Franklin: "You guys getting the image?"
Houston: "Franklin we see a long line, a couple of star-like things and a lot of things swimming in the foreground. Can you describe what you're seeing?"
Franklin: "Well the long line is the tether and, ... there's a little bit of debris that kind of flies with us and, ... it's illuminated by the Sun at such a low angle so there's a lot of stray light and it's getting washed out quickly..."
7) Si vedano per esempio i forum di http://www.abovetopsecret.com/ o http://www.unexplained-mysteries.com/ nei diversi thread dedicati ai “NASA UFO”.
8) Nel corso di una conferenza tenuta a Torino, scaricabile da internet: http://www.extramuseum.it/giosci/modules/conferenze/article.php?storyid=14&xoops_theme_...
9) http://www.youtube.com/watch?v=wvWHnK2FiCk
Oltre che nei filmati d'epoca, un effetto molto realistico è stato riportato anche nel film “Apollo 13”.
Oltre che nei filmati d'epoca, un effetto molto realistico è stato riportato anche nel film “Apollo 13”.
10) Per ridurre la condensa, la cisterna del carburante dello Space Shuttle è rivestita con una copertura isolante, tristemente nota da quando alcuni pezzi, staccatisi durante il lancio della missione STS-107, hanno danneggiato la navetta ed hanno portato alla sua distruzione al rientro in atmosfera
12) Per quelli non abitati, in special modo se devono allontanarsi molto dal Sole, sono talvolta usati i reattori nucleari.
13) Qualcuno ricorderà che il famoso incidente della missione Apollo 13 fu causato dall'esplosione di una delle cisterne dei reagenti per le celle a combustibile.
15) Vedi nota 7.
18) La forma di un punto è nota come disco di Airy.
19) L'apertura di una lente circolare è definita come il rapporto tra focale e diametro. I diaframmi regolabili, variando il diametro “utile” della lente, consentono di agire sull'apertura.
20) Tabella tratta dal sito http://johnhendry.com
21) Robinson et al., “Astronaut-acquired orbital photographs as digital data for remote sensing: spatial resolution”, Int. j. remote sensing, 2002, vol. 23.
22) Robinson et al., “High-Definition Television (HDTV) Images for Earth Observations & Earth Science Applications”, NASA/TP-2000.
23) A voler essere pignoli, la curvatura del bordo terrestre potrebbe essere dovuta anche a una distorsione introdotta dall'obiettivo, ma siccome queste distorsioni si presentano tipicamente negli obiettivi grandangolari, a maggior ragione si potrebbe sostenere che la focale utilizzata era molto corta.
24) A essere precisi, sia le navette spaziali che i presunti frammenti di ghiaccio, in quanto in orbita intorno alla terra, non sono per niente un sistema inerziale, ma nel breve periodo, e per un osservatore posto sulla navetta stessa, l'apparenza è appunto questa e il lettore mi concederà l'inesattezza formale.