Mick West è uno dei principali esponenti dello scetticismo Ufo dei nostri giorni. Si è occupato di molte cose, ma soprattutto di foto e di video di presunti Ufo. Negli ultimi dieci anni ne ha esaminati un migliaio. Di recente sullo Skeptical Inquirer[1] ha sottolineato come, in quei pochi casi in cui un oggetto non si riesce a identificare, queste immagini siano caratterizzate dall’ambiguità. Si pretende che mostrino qualcosa di “nuovo” (un nuovo fenomeno naturale, qualche nuova tecnologia, gli alieni), ma – che siano ripresi con una macchina fotografica di poco valore o con teleobiettivi potenti, facenti parte di apparati di sorveglianza di aerei militari – «è come se gli Ufo conoscessero le capacità della videocamera e si tenessero appena un po’ fuori portata», scrive in modo ironico.
In realtà West intende avanzare i suoi dubbi sulla “caccia all’evidenza Ufo” partita a giugno 2021, stavolta non a opera dei consueti ufologi, ma di una squadra guidata da un astrofisico di Harvard, il professor Avi Loeb, con un’iniziativa denominata “Galileo Project”.[2]
In anni recenti Loeb è già stato al centro di discussioni, se non di vere controversie scientifiche, la principale delle quali è quella su Oumuamua, il primo asteroide interstellare identificato come tale. In posizione del tutto minoritaria, Loeb continua a pensare che possa trattarsi non di un oggetto naturale, ma di un artefatto alieno, magari di un’astronave interstellare spinta da una “vela solare”.
Da metà 2021 Loeb sta cercando di implementare un progetto che, dopo qualche annuncio iniziale sulla ricerca di oggetti simili a Oumuamua, si è concentrato sulla possibilità di documentare, grazie a riprese fatte da una rete di telescopi con lenti da un metro di diametro e fotocamere professionali, quelli che, per pudore, da qualche anno in America preferiscono chiamare non più Ufo, ma UAP (Unidentified Aerial Phenomena).
Dal punto di vista metodologico, per West il problema più serio del Galileo Project è che, ammesso esistano fenomeni Ufo “veri” – qualsiasi cosa possano essere – rientrano nella categoria degli eventi rari. Ammettiamo vengano davvero piazzati telescopi sofisticati in località scelte a caso (o, al massimo, selezionate per motivi logistici), che cosa è ragionevole attendersi, quanto a risultati? Dovendo riprendere per definizione fenomeni a distanze elevate (e, peraltro, potenzialmente assai variabili), l’assorbimento e le distorsioni create dall’atmosfera costituirebbero la prima grande sfida.
Come detto, West è particolarmente interessato allo studio sperimentale dei limiti e dei difetti delle immagini create con apparati di ripresa di ogni gamma attualmente in uso. Riprendendo con lenti lunghe aerei ed elicotteri, West ha trovato che, di solito, sopra gli 8 km di distanza la turbolenza atmosferica crea difficoltà alle quali non è facile rimediare. È vero che con telescopi adeguati questi problemi potrebbero essere largamente aggirati, ma questo vale in larga misura soltanto per oggetti posti nei pressi dello zenit e se i telescopi si trovano a quote elevate rispetto al livello del mare, dove è possibile limitare la distorsione atmosferica.
La seconda grande sfida metodologica sarebbe rappresentata dal puntamento dei telescopi. Naturalmente, si possono posizionare videocamere in serie che scansionino ampie fette della volta celeste alla ricerca di oggetti in movimento. A quel punto, però, diventa compito di un sistema di controllo selezionare oggetti d’interesse potenziale e puntare il telescopio sul target.
Il problema serio di queste “cacce all’Ufo”, i cui primi esempi risalgono alla fine degli anni '40 del secolo scorso,[3] è sempre quello: ottenere immagini fortemente ingrandite di un “Ufo” lontano, immerso nell’atmosfera, di norma in movimento, magari a una discreta velocità angolare e, presumibilmente, di dimensioni reali relativamente piccole.
Sulla base di queste caratteristiche, i telescopi devono avere un campo visivo ridottissimo. Dunque, un puntamento più che preciso sarebbe necessario. Sulla base di tutto ciò, non c’è da essere ottimisti sul fatto che si riescano ad ottenere immagini di alta qualità.
West ha anche offerto dei suggerimenti a Loeb. Se si cerca davvero un’evidenza che gli Ufo esistano, o addirittura che siano velivoli alieni, allora ottime foto ravvicinate sarebbero l’ideale. Il guaio, spiega West, è che persino foto dei presunti Ufo fatte da aerei militari, magari da distanze contenute, restano decisamente ambigue. A causa della distanza elevata e della scarsa definizione delle immagini, è il loro moto a costituire da sempre oggetto di perplessità, non tanto il loro aspetto o altre peculiarità osservative: l’attenzione si concentra dunque su caratteristiche del movimento, come presunti stazionamenti improvvisi, movimenti, accelerazioni e decelerazioni “impossibili”. Con il Galileo Project, Loeb vorrebbe invece ottenere riprese e immagini che ci facciano capire anche come potrebbero “essere fatti” gli UAP. Come fare? Al riguardo, West ha dialogato con Loeb in maniera diretta,[4] e lui gli ha risposto che buone triangolazioni si otterrebbero collocando due telescopi ad alte prestazioni a qualche decina di metri l’uno dall’altro. West - meno ottimista sui risultati - ha fatto notare che un sistema del genere farebbe lievitare i costi quasi del doppio. Per mostrarsi propositivo, West ha suggerito a Loeb di riconsiderare l’idea dei telescopi da 500.000 dollari verso i quali si era orientato, offrendo due alternative per l’ottenimento di immagini 3D.
La prima è la creazione di una rete di fotocamere full-sky a basso costo ma con buona risoluzione: ciò per raggiungere una densità di stazioni tali da ottenere finalmente mappature 3D avanzate del moto dei fenomeni, in modo da rendere davvero utilizzabili nelle analisi le presunte caratteristiche “impossibili”. L’accento passerebbe così dalla tradizionale ricerca ufologica della “foto perfetta” dei presunti Ufo all’analisi della loro dinamica. West fa notare quanto un approccio del genere sia stato efficace nello studio dei bolidi notturni da parte del Global Fireball Observatory.[5]
Il secondo suggerimento riguarda una rete di radar multistatici a basso costo, in grado di coprire aree anche superiori a quelle del primo suggerimento. Si tratta infatti di un sistema che usa i segnali dei trasmettitori commerciali FM per calcolare le differenze nella riflessione dei segnali stessi in punti diversi, in modo da triangolare moti e posizioni.
Da scettico, West si dice preoccupato che gli sforzi del Galileo Project si concentrino su un tentativo di ottenere immagini ad altissima qualità tramite telescopi costosi, cosa che comporterebbe la copertura di piccole porzioni di cielo. La mancanza di risultati potrebbe essere così attribuita alla parzialità della copertura. Invece - prosegue - se per gli Ufo vogliamo dimostrare l’evidenza dell’assenza, dobbiamo ottenere una scansione su ampia scala dello spazio atmosferico.
Infine, in questo autunno si è manifestata un’altra tendenza rischiosa per il Galileo Project. Nel team è stato accolto un buon numero di credenti più o meno radicali negli Ufo alieni. Alcuni fra essi sono giornalisti, altri ex-funzionari pubblici o uomini politici, altri ancora ufologi tout court, ma tutti caratterizzati dal fatto di essere individui con alta visibilità mediatica, autori di libri di successo sugli Ufo, oppure persone con buone capacità di lobbying tra i decisori politici o in ambienti militari. Peraltro, quest’ultimo tipo di attività a inizio novembre ha visto nuovi sviluppi a causa dell’emendamento al bilancio della Difesa 2022 presentato dalla senatrice democratica dello Stato di New York Kirsten Gillibrand che, in sostanza, chiede un’espansione dei compiti d’indagine sugli UAP per la Difesa e i servizi d’intelligence e l’ingresso di figure private come consulenti. Seppur modificata e alleggerita proprio in questo punto, la proposta è diventata legge il 17 dicembre scorso con l'approvazione del bilancio.
Intanto Loeb coopta credenti Ufo di vario genere. Fra questi, anche il “rivelatore” di segreti Ufo ed ex-agente segreto Luis Elizondo e lo scrittore e ufologo inglese Nick Pope, altro credente negli alieni, pure lui ex-funzionario civile della Difesa che, a suo tempo, era stato incaricato di raccogliere gli avvistamenti Ufo. Fa curiosa eccezione fra i “convocati” lo scettico Michael Shermer, redattore capo della rivista The Skeptic. Sarà interessante osservare come queste figure conviveranno fianco a fianco nel Galileo Project.
In realtà West intende avanzare i suoi dubbi sulla “caccia all’evidenza Ufo” partita a giugno 2021, stavolta non a opera dei consueti ufologi, ma di una squadra guidata da un astrofisico di Harvard, il professor Avi Loeb, con un’iniziativa denominata “Galileo Project”.[2]
In anni recenti Loeb è già stato al centro di discussioni, se non di vere controversie scientifiche, la principale delle quali è quella su Oumuamua, il primo asteroide interstellare identificato come tale. In posizione del tutto minoritaria, Loeb continua a pensare che possa trattarsi non di un oggetto naturale, ma di un artefatto alieno, magari di un’astronave interstellare spinta da una “vela solare”.
Da metà 2021 Loeb sta cercando di implementare un progetto che, dopo qualche annuncio iniziale sulla ricerca di oggetti simili a Oumuamua, si è concentrato sulla possibilità di documentare, grazie a riprese fatte da una rete di telescopi con lenti da un metro di diametro e fotocamere professionali, quelli che, per pudore, da qualche anno in America preferiscono chiamare non più Ufo, ma UAP (Unidentified Aerial Phenomena).
Dal punto di vista metodologico, per West il problema più serio del Galileo Project è che, ammesso esistano fenomeni Ufo “veri” – qualsiasi cosa possano essere – rientrano nella categoria degli eventi rari. Ammettiamo vengano davvero piazzati telescopi sofisticati in località scelte a caso (o, al massimo, selezionate per motivi logistici), che cosa è ragionevole attendersi, quanto a risultati? Dovendo riprendere per definizione fenomeni a distanze elevate (e, peraltro, potenzialmente assai variabili), l’assorbimento e le distorsioni create dall’atmosfera costituirebbero la prima grande sfida.
Come detto, West è particolarmente interessato allo studio sperimentale dei limiti e dei difetti delle immagini create con apparati di ripresa di ogni gamma attualmente in uso. Riprendendo con lenti lunghe aerei ed elicotteri, West ha trovato che, di solito, sopra gli 8 km di distanza la turbolenza atmosferica crea difficoltà alle quali non è facile rimediare. È vero che con telescopi adeguati questi problemi potrebbero essere largamente aggirati, ma questo vale in larga misura soltanto per oggetti posti nei pressi dello zenit e se i telescopi si trovano a quote elevate rispetto al livello del mare, dove è possibile limitare la distorsione atmosferica.
La seconda grande sfida metodologica sarebbe rappresentata dal puntamento dei telescopi. Naturalmente, si possono posizionare videocamere in serie che scansionino ampie fette della volta celeste alla ricerca di oggetti in movimento. A quel punto, però, diventa compito di un sistema di controllo selezionare oggetti d’interesse potenziale e puntare il telescopio sul target.
Il problema serio di queste “cacce all’Ufo”, i cui primi esempi risalgono alla fine degli anni '40 del secolo scorso,[3] è sempre quello: ottenere immagini fortemente ingrandite di un “Ufo” lontano, immerso nell’atmosfera, di norma in movimento, magari a una discreta velocità angolare e, presumibilmente, di dimensioni reali relativamente piccole.
Sulla base di queste caratteristiche, i telescopi devono avere un campo visivo ridottissimo. Dunque, un puntamento più che preciso sarebbe necessario. Sulla base di tutto ciò, non c’è da essere ottimisti sul fatto che si riescano ad ottenere immagini di alta qualità.
West ha anche offerto dei suggerimenti a Loeb. Se si cerca davvero un’evidenza che gli Ufo esistano, o addirittura che siano velivoli alieni, allora ottime foto ravvicinate sarebbero l’ideale. Il guaio, spiega West, è che persino foto dei presunti Ufo fatte da aerei militari, magari da distanze contenute, restano decisamente ambigue. A causa della distanza elevata e della scarsa definizione delle immagini, è il loro moto a costituire da sempre oggetto di perplessità, non tanto il loro aspetto o altre peculiarità osservative: l’attenzione si concentra dunque su caratteristiche del movimento, come presunti stazionamenti improvvisi, movimenti, accelerazioni e decelerazioni “impossibili”. Con il Galileo Project, Loeb vorrebbe invece ottenere riprese e immagini che ci facciano capire anche come potrebbero “essere fatti” gli UAP. Come fare? Al riguardo, West ha dialogato con Loeb in maniera diretta,[4] e lui gli ha risposto che buone triangolazioni si otterrebbero collocando due telescopi ad alte prestazioni a qualche decina di metri l’uno dall’altro. West - meno ottimista sui risultati - ha fatto notare che un sistema del genere farebbe lievitare i costi quasi del doppio. Per mostrarsi propositivo, West ha suggerito a Loeb di riconsiderare l’idea dei telescopi da 500.000 dollari verso i quali si era orientato, offrendo due alternative per l’ottenimento di immagini 3D.
La prima è la creazione di una rete di fotocamere full-sky a basso costo ma con buona risoluzione: ciò per raggiungere una densità di stazioni tali da ottenere finalmente mappature 3D avanzate del moto dei fenomeni, in modo da rendere davvero utilizzabili nelle analisi le presunte caratteristiche “impossibili”. L’accento passerebbe così dalla tradizionale ricerca ufologica della “foto perfetta” dei presunti Ufo all’analisi della loro dinamica. West fa notare quanto un approccio del genere sia stato efficace nello studio dei bolidi notturni da parte del Global Fireball Observatory.[5]
Il secondo suggerimento riguarda una rete di radar multistatici a basso costo, in grado di coprire aree anche superiori a quelle del primo suggerimento. Si tratta infatti di un sistema che usa i segnali dei trasmettitori commerciali FM per calcolare le differenze nella riflessione dei segnali stessi in punti diversi, in modo da triangolare moti e posizioni.
Da scettico, West si dice preoccupato che gli sforzi del Galileo Project si concentrino su un tentativo di ottenere immagini ad altissima qualità tramite telescopi costosi, cosa che comporterebbe la copertura di piccole porzioni di cielo. La mancanza di risultati potrebbe essere così attribuita alla parzialità della copertura. Invece - prosegue - se per gli Ufo vogliamo dimostrare l’evidenza dell’assenza, dobbiamo ottenere una scansione su ampia scala dello spazio atmosferico.
Infine, in questo autunno si è manifestata un’altra tendenza rischiosa per il Galileo Project. Nel team è stato accolto un buon numero di credenti più o meno radicali negli Ufo alieni. Alcuni fra essi sono giornalisti, altri ex-funzionari pubblici o uomini politici, altri ancora ufologi tout court, ma tutti caratterizzati dal fatto di essere individui con alta visibilità mediatica, autori di libri di successo sugli Ufo, oppure persone con buone capacità di lobbying tra i decisori politici o in ambienti militari. Peraltro, quest’ultimo tipo di attività a inizio novembre ha visto nuovi sviluppi a causa dell’emendamento al bilancio della Difesa 2022 presentato dalla senatrice democratica dello Stato di New York Kirsten Gillibrand che, in sostanza, chiede un’espansione dei compiti d’indagine sugli UAP per la Difesa e i servizi d’intelligence e l’ingresso di figure private come consulenti. Seppur modificata e alleggerita proprio in questo punto, la proposta è diventata legge il 17 dicembre scorso con l'approvazione del bilancio.
Intanto Loeb coopta credenti Ufo di vario genere. Fra questi, anche il “rivelatore” di segreti Ufo ed ex-agente segreto Luis Elizondo e lo scrittore e ufologo inglese Nick Pope, altro credente negli alieni, pure lui ex-funzionario civile della Difesa che, a suo tempo, era stato incaricato di raccogliere gli avvistamenti Ufo. Fa curiosa eccezione fra i “convocati” lo scettico Michael Shermer, redattore capo della rivista The Skeptic. Sarà interessante osservare come queste figure conviveranno fianco a fianco nel Galileo Project.
Note
1) West, Mick (2021). The Galileo Project. Skeptical Inquirer. 45(6):30-33.
3) Stilo, Giuseppe. (1998). Il mistero delle “green fireballs”. Documenti UFO, n. 20. Centro Italiano Studi Ufologici, Torino.
4) Howie, Robert, Jonathan Paxman, Philip A. Bland, et al. (2017). How to build a continental scale fireball camera network. Experimental Astronomy 43:237-266. Disponibile all’url: https://tinyurl.com/24xkah55
5) West, Mick. (2021). Avi Loeb and the Galileo Project. Tales from the Rabbit Hole (10 agosto). Disponibile all’url: https://tinyurl.com/36jcvdrn .