La signora ha una simpatica faccia da ragazza. Si presenta al Dipartimento di Fisica di Pavia, nello studio del Prof. Piazzoli, vicepresidente del CICAP, e ci racconta di possedere capacità pranoterapeutiche di vario tipo. Imponendo le mani, ella sa guarire, herpes, artrosi, ulcere, influenze. I tumori progrediscono più lentamente. È venuta qui fin da Bologna affinché il CICAP possa studiarla e spiegarle l’origine di queste sue meravigliose doti, come esempio concreto delle quali ci mostra un uovo mummificato.
Così Gigi Garlaschelli inizia il suo racconto di un piccolo “classico” tra le indagini del CICAP, che ci permette di parlare di uno strumento fondamentale nel progettare un esperimento o un protocollo di indagine. Facciamo prima però un passo indietro, e partiamo da un esempio preso dal lavoro di un biologo.
Supponiamo che lo scienziato debba valutare l’efficacia di un antibiotico, una molecola innovativa che ha appena finito di mettere a punto. Gli antibiotici agiscono uccidendo i batteri, ma non necessariamente tutti; quindi per valutarne l’efficacia bisogna avere a disposizione un po’ di batteri da sacrificare e un microscopio che permetta di valutare quanti batteri muoiano per effetto dell’antibiotico. Il nostro biologo prenderà quindi una capsula Petri con una coltura dei batteri che gli interessa uccidere, ci verserà sopra una goccia del suo antibiotico e inizierà a osservare la scena al microscopio, contando il numero di batteri morti rispetto a quelli vivi.
Vi fidereste di un farmaco testato in questa maniera? Se siete persone accorte e prudenti, no. L’effetto “morte dei batteri” visto dal biologo potrebbe essere dovuto a condizioni ambientali, a errori nella preparazione del terreno di coltura dei batteri o a effetti del tutto casuali perché magari quel giorno si è alzato col piede sbagliato. Per mettersi al sicuro da errori di questo genere, il nostro biologo utilizzerà molte colture contenenti lo stesso numero di batteri, ripetendo l’esperimento più volte in giorni e condizioni differenti, controllando le variabili che possono influenzare il processo. Potrà essere sicuro dell’efficacia del farmaco solo quando avrà un campione abbastanza grande da superare i test statistici che misurano quanta probabilità ci sia che il risultato ottenuto sia dovuto al caso piuttosto che a un vero effetto (abbiamo parlato della significatività statistica in Query 1).
Ma non basta. I batteri, come tutti gli esseri viventi, nascono, crescono, si riproducono e muoiono. Quanti sono quelli morti a causa dell’antibiotico e quanti quelli che, rispettati e compianti da tutta la comunità batterica, sono morti di morte naturale al compimento del loro ciclo vitale?
Nel cercare di capire se l’antibiotico che sta mettendo alla prova sia davvero efficace, il biologo non dovrà limitare a contare il numero di batteri morti nelle (molte) colture che ha trattato con il farmaco, ma conterà anche il numero di quelli morti in altrettante colture in cui non ha messo alcun farmaco (o, meglio ancora, ha messo una sostanza simile al farmaco ma inattiva). Nel gergo scientifico questo si chiama “usare un campione di controllo”: la reale efficacia dell’antibiotico sarà data dalla differenza tra il numero di batteri morti nelle colture trattate con l’antibiotico e quello nelle colture del “controllo”.
Torniamo alla signora di Bologna. La signora sosteneva di avere un misterioso potere, frutto forse di un fluido che promanava dalle sue mani: era in grado di mummificare le uova. In pratica, la signora rompeva un uovo in un piattino, imponeva le mani per qualche minuto senza toccarlo e poi lo lasciava per un po’ in un angolo tranquillo. Dopo alcuni giorni l’uovo, invece di cominciare a far notare prepotentemente la sua presenza con il caratteristico fetore sulfureo, si era disseccato, come mummificato: non puzzava, aveva la consistenza della plastica e poteva essere conservato indefinitamente (anche se nessuno si azzardò ad assaggiarlo). Effettivamente, alcune uova mostrate dalla signora avevano proprio queste caratteristiche; a quanto pare mummificare uova, piccoli frutti o pezzi di carne è una pratica seguita da molti pranoterapeuti per dimostrare la potenza del proprio “prana”. Per mettere alla prova i poteri della signora, la procedura ovvia sarebbe stata di scegliere dieci uova identiche, romperle in altrettanti piattini identici sui quali avrebbe dovuto imporre le mani sotto lo stretto controllo degli sperimentatori. I piattini sarebbero poi stati chiusi per il periodo richiesto in una stanza opportunamente sigillata, sempre per impedire qualunque possibilità di imbroglio. A questo punto però la sappiamo più lunga, e abbiamo capito che è necessario un campione di controllo: cosa succede alle uova messe nelle stesse condizioni ma non sottoposte all’imposizione delle mani? Altre uova, identiche alle prime, furono rotte in altri piattini anche loro identici, e riposte nella stanza sigillata: la Signora delle Uova venne tenuta ben lontana da queste uova di controllo.
Dopo una settimana di “incubazione” le uova furono esaminate dagli sperimentatori. Le dieci uova trattate dalla signora erano in effetti perfettamente mummificate, senza alcuna traccia di muffa, puzze o altre tracce di putrefazione. La sorpresa fu che anche le uova non trattate erano nelle stesse identiche condizioni, praticamente indistinguibili dalle altre. Era semplicemente successo quello che, contro le nostre aspettative, succede a tutte le uova messe in quelle condizioni. Se si mette un uovo in un ambiente asciutto, ventilato e caldo ma non troppo e lo si lascia lì, l’acqua evapora e le proteine si cristallizzano più rapidamente di quanto facciano i batteri e le muffe ad aggredire l’uovo facendolo marcire. L’esperimento si può facilmente fare a casa: evitando il bagno e la cucina, spesso umidi, eventualmente avvisando chi in casa si occupa delle pulizie per evitare sorprese e rimostranze e in qualche giorno è pronto un uovo mummificato. Come aveva fatto la signora a non rendersene conto? Banalmente, non poteva sapere che il suo non era un superpotere (un po’ sui generis ma sempre superpotere) perché non aveva mai fatto un esperimento ben progettato. Vediamo ancora come Garlaschelli racconta il colloquio con la signora:
Quante volte ha ripetuto questi esperimenti? (4 o 5.) Ha mai provato a trattare uova sotto vetro? (Mai). Ha mai provato a rompere uova e vedere che cosa succede se NON vengono “pranate”? (No, mai!). Ha mai provato a rompere una dozzina di uova in altrettanti piattini, trattarne solo un paio e poi fare un confronto con le altre? (No, mai!)
Spesso fenomeni (fisici, chimici, biologici, qualunque) poco familiari e magari controintuitivi possono essere scambiati per misteriosi o paranormali; l’uso di un campione di controllo ci permette di verificare se il fenomeno che stiamo guardando è naturale oppure no, o per lo meno se è dovuto o meno alla causa che abbiamo ipotizzato. L’idea è davvero importantissima, e non vale solo per gli “esperimenti” in senso stretto. Per esempio, per capire se i nati sotto il segno dello Scorpione sono davvero più vendicativi degli altri, non sarà sufficiente studiare solo loro. Dovremo esaminare anche un altro gruppo di persone, scelte indipendentemente dal segno zodiacale, per capire quante persone sono vendicative per ragioni non astrologiche, come i tratti familiari o l’educazione. Dire che «il 30 per cento degli Scorpione è vendicativo» non insegna nulla se non è seguito da un’affermazione come «mentre solo il 15 per cento lo è nel resto della popolazione». Oppure, volendo verificare se le piante di grano all’interno di un Crop Circle presentano davvero qualche anomalia, non sarà sufficiente esaminare i campioni provenienti dall’interno della formazione, ma confrontarli con quelli provenienti dal resto del campo.
Così Gigi Garlaschelli inizia il suo racconto di un piccolo “classico” tra le indagini del CICAP, che ci permette di parlare di uno strumento fondamentale nel progettare un esperimento o un protocollo di indagine. Facciamo prima però un passo indietro, e partiamo da un esempio preso dal lavoro di un biologo.
Supponiamo che lo scienziato debba valutare l’efficacia di un antibiotico, una molecola innovativa che ha appena finito di mettere a punto. Gli antibiotici agiscono uccidendo i batteri, ma non necessariamente tutti; quindi per valutarne l’efficacia bisogna avere a disposizione un po’ di batteri da sacrificare e un microscopio che permetta di valutare quanti batteri muoiano per effetto dell’antibiotico. Il nostro biologo prenderà quindi una capsula Petri con una coltura dei batteri che gli interessa uccidere, ci verserà sopra una goccia del suo antibiotico e inizierà a osservare la scena al microscopio, contando il numero di batteri morti rispetto a quelli vivi.
Vi fidereste di un farmaco testato in questa maniera? Se siete persone accorte e prudenti, no. L’effetto “morte dei batteri” visto dal biologo potrebbe essere dovuto a condizioni ambientali, a errori nella preparazione del terreno di coltura dei batteri o a effetti del tutto casuali perché magari quel giorno si è alzato col piede sbagliato. Per mettersi al sicuro da errori di questo genere, il nostro biologo utilizzerà molte colture contenenti lo stesso numero di batteri, ripetendo l’esperimento più volte in giorni e condizioni differenti, controllando le variabili che possono influenzare il processo. Potrà essere sicuro dell’efficacia del farmaco solo quando avrà un campione abbastanza grande da superare i test statistici che misurano quanta probabilità ci sia che il risultato ottenuto sia dovuto al caso piuttosto che a un vero effetto (abbiamo parlato della significatività statistica in Query 1).
Ma non basta. I batteri, come tutti gli esseri viventi, nascono, crescono, si riproducono e muoiono. Quanti sono quelli morti a causa dell’antibiotico e quanti quelli che, rispettati e compianti da tutta la comunità batterica, sono morti di morte naturale al compimento del loro ciclo vitale?
Nel cercare di capire se l’antibiotico che sta mettendo alla prova sia davvero efficace, il biologo non dovrà limitare a contare il numero di batteri morti nelle (molte) colture che ha trattato con il farmaco, ma conterà anche il numero di quelli morti in altrettante colture in cui non ha messo alcun farmaco (o, meglio ancora, ha messo una sostanza simile al farmaco ma inattiva). Nel gergo scientifico questo si chiama “usare un campione di controllo”: la reale efficacia dell’antibiotico sarà data dalla differenza tra il numero di batteri morti nelle colture trattate con l’antibiotico e quello nelle colture del “controllo”.
Torniamo alla signora di Bologna. La signora sosteneva di avere un misterioso potere, frutto forse di un fluido che promanava dalle sue mani: era in grado di mummificare le uova. In pratica, la signora rompeva un uovo in un piattino, imponeva le mani per qualche minuto senza toccarlo e poi lo lasciava per un po’ in un angolo tranquillo. Dopo alcuni giorni l’uovo, invece di cominciare a far notare prepotentemente la sua presenza con il caratteristico fetore sulfureo, si era disseccato, come mummificato: non puzzava, aveva la consistenza della plastica e poteva essere conservato indefinitamente (anche se nessuno si azzardò ad assaggiarlo). Effettivamente, alcune uova mostrate dalla signora avevano proprio queste caratteristiche; a quanto pare mummificare uova, piccoli frutti o pezzi di carne è una pratica seguita da molti pranoterapeuti per dimostrare la potenza del proprio “prana”. Per mettere alla prova i poteri della signora, la procedura ovvia sarebbe stata di scegliere dieci uova identiche, romperle in altrettanti piattini identici sui quali avrebbe dovuto imporre le mani sotto lo stretto controllo degli sperimentatori. I piattini sarebbero poi stati chiusi per il periodo richiesto in una stanza opportunamente sigillata, sempre per impedire qualunque possibilità di imbroglio. A questo punto però la sappiamo più lunga, e abbiamo capito che è necessario un campione di controllo: cosa succede alle uova messe nelle stesse condizioni ma non sottoposte all’imposizione delle mani? Altre uova, identiche alle prime, furono rotte in altri piattini anche loro identici, e riposte nella stanza sigillata: la Signora delle Uova venne tenuta ben lontana da queste uova di controllo.
Dopo una settimana di “incubazione” le uova furono esaminate dagli sperimentatori. Le dieci uova trattate dalla signora erano in effetti perfettamente mummificate, senza alcuna traccia di muffa, puzze o altre tracce di putrefazione. La sorpresa fu che anche le uova non trattate erano nelle stesse identiche condizioni, praticamente indistinguibili dalle altre. Era semplicemente successo quello che, contro le nostre aspettative, succede a tutte le uova messe in quelle condizioni. Se si mette un uovo in un ambiente asciutto, ventilato e caldo ma non troppo e lo si lascia lì, l’acqua evapora e le proteine si cristallizzano più rapidamente di quanto facciano i batteri e le muffe ad aggredire l’uovo facendolo marcire. L’esperimento si può facilmente fare a casa: evitando il bagno e la cucina, spesso umidi, eventualmente avvisando chi in casa si occupa delle pulizie per evitare sorprese e rimostranze e in qualche giorno è pronto un uovo mummificato. Come aveva fatto la signora a non rendersene conto? Banalmente, non poteva sapere che il suo non era un superpotere (un po’ sui generis ma sempre superpotere) perché non aveva mai fatto un esperimento ben progettato. Vediamo ancora come Garlaschelli racconta il colloquio con la signora:
Quante volte ha ripetuto questi esperimenti? (4 o 5.) Ha mai provato a trattare uova sotto vetro? (Mai). Ha mai provato a rompere uova e vedere che cosa succede se NON vengono “pranate”? (No, mai!). Ha mai provato a rompere una dozzina di uova in altrettanti piattini, trattarne solo un paio e poi fare un confronto con le altre? (No, mai!)
Spesso fenomeni (fisici, chimici, biologici, qualunque) poco familiari e magari controintuitivi possono essere scambiati per misteriosi o paranormali; l’uso di un campione di controllo ci permette di verificare se il fenomeno che stiamo guardando è naturale oppure no, o per lo meno se è dovuto o meno alla causa che abbiamo ipotizzato. L’idea è davvero importantissima, e non vale solo per gli “esperimenti” in senso stretto. Per esempio, per capire se i nati sotto il segno dello Scorpione sono davvero più vendicativi degli altri, non sarà sufficiente studiare solo loro. Dovremo esaminare anche un altro gruppo di persone, scelte indipendentemente dal segno zodiacale, per capire quante persone sono vendicative per ragioni non astrologiche, come i tratti familiari o l’educazione. Dire che «il 30 per cento degli Scorpione è vendicativo» non insegna nulla se non è seguito da un’affermazione come «mentre solo il 15 per cento lo è nel resto della popolazione». Oppure, volendo verificare se le piante di grano all’interno di un Crop Circle presentano davvero qualche anomalia, non sarà sufficiente esaminare i campioni provenienti dall’interno della formazione, ma confrontarli con quelli provenienti dal resto del campo.