Solo da un'epoca molto recente la medicina possiede gli strumenti per valutare scientificamente le prove di efficacia delle terapie e degli interventi clinici.[1] In passato si è fatto uso dei preparati più strani; come la teriaca, un farmaco contenente carne di vipera che, oltre ad essere considerato un antidoto contro ogni tipo di veleno, era mescolato con altre sostanze in una complessa preparazione, diventando una sorta di panacea universale che resistette nel corso dei secoli.[2] Ma l'ingrediente più sorprendente di cui la medicina occidentale abbia mai fatto uso dal Medioevo fino al Seicento e oltre è probabilmente la mummia, ossia i corpi umani imbalsamati e disseccati di antiche sepolture provenienti dall'Egitto.
Questi resti finivano nelle farmacie, dove erano incorporati in diversi preparati medicinali. Nel 1581, il medico e naturalista Pier Andrea Mattioli scriveva che gli arabi attribuivano alla mummia molte virtù, come la cura delle paralisi e dell'epilessia, nonché di emicranie, vertigini, mal d'orecchi, tosse e mal di gola. La mummia era anche indicata per alleviare (con acqua di menta) le passioni del cuore e (con acqua di "cimino") le ventosità del corpo.[3] Anche se le forme di cannibalismo sono comunemente associate con le popolazioni che un tempo definivamo "selvagge", questa pratica di antropofagia medica era accettata dalla nostra civiltà in un passato neanche troppo lontano.
All'origine dell'uso dei cadaveri mummificati nella produzione di medicine vi è una certa confusione sul significato del termine mummia. Le parole persiane e arabe corrispondenti indicavano anticamente sia una sorta di bitume[4] che si trovava nella terra di Giudea, sia la miscela di sostanze utilizzate per imbalsamare i cadaveri.[5] Oggi sappiamo che i processi di imbalsamazione in Egitto richiedevano diversi prodotti, tra cui principalmente resine vegetali lavorate a caldo.[6] Nel Medioevo, i predoni di tombe notarono che le mummie erano ricoperte da una pellicola scura (causata dall'ossidazione) e pensarono erroneamente che fossero state trattate con bitume.[7] È ora chiaro che in Egitto il bitume fu usato effettivamente per l'imbalsamazione solo nel tardo periodo greco-romano; nonostante questo, a partire da un certo momento, si iniziò a confondere le mummie con un tipo di bitume che si credeva avesse proprietà curative. Per la scuola medica salernitana del XII secolo, il termine latino mumia indicava ciò che derivava dall'imbalsamazione dei corpi; più tardi, nel Cinquecento, la parola significava – secondo il farmacista portoghese Tomé Pires – un "liquore" che stillava dall'essudazione dei corpi mummificati e veniva raccolto a scopo medicinale.[8] Dato che si pensava che i corpi imbalsamati fossero trattati con materiali bituminosi, ben presto si ritenne che questi potessero sostituire la rara sostanza minerale che si trovava in Persia e nei pressi del Mar Morto. Ciò avviò un vivace commercio verso l'Europa del nuovo prodotto medicinale, incoraggiato dagli scambi commerciali con il Vicino Oriente e dalle Crociate.
Nel 1424, le autorità del Cairo, preoccupate dal corso che stavano prendendo gli avvenimenti, imprigionarono un gruppo di persone che avevano trafugato un numero consistente di cadaveri imbalsamati per poi bollirli in acqua e distillare da essi un "olio" che vendevano agli europei a caro prezzo.[9] Accanto ai resti delle antiche sepolture egiziane erano opportunamente trattati, per essere spediti alle farmacie europee, anche i corpi disidratati dei viandanti[10] che morivano tra le sabbie del deserto. Nel 1565 un viaggiatore tedesco raccontò che nel deserto attorno alla città del Cairo le popolazioni locali cercavano affannosamente mummie "color nero carbone", per poi venderle in città ai commercianti. Nel 1586, nonostante l'esportazione di mummie fosse stata proibita dalle autorità egiziane, parecchi quintali di esse salparono clandestinamente verso le farmacie della Gran Bretagna, e ancora due anni dopo un certo Samuel Kiechel era informato che, con le giuste conoscenze, al Cairo si poteva ancora comprare "un'intera persona".[11]
Quando un prodotto è raro, molto richiesto e costoso, inevitabilmente richiama l'interesse dei sofisticatori. Già Pires aveva messo in guardia contro certi truffatori che avevano cercato di spacciare carne abbrustolita di cammello per carne umana,[12] ma le falsificazioni potevano essere molto più realistiche. Nel 1564 Guy de la Fontaine, medico del re di Navarra, incontrò il principale mercante ebreo di mummie di Alessandria, il quale si stupì che gli europei potessero credere che le migliaia di mummie che rifornivano le loro farmacie provenissero veramente dalle antiche tombe d'Egitto. Gli mostrò quindi una catasta di corpi conservati nel suo magazzino e gli disse come li preparava: dopo aver estratto il cervello e le interiora, praticava delle grandi incisioni nei muscoli, che riempiva di una pece della Giudea chiamata asfaltite; quindi prendeva vecchie bende inzuppate in questo liquido, fasciava il tutto e lasciava infine riposare il cadavere per tre mesi in un luogo adatto. Per quanto riguardava l'origine dei corpi, il mercante dichiarò che non ne conosceva la provenienza, l'età, o se erano morti per peste o altre malattie e si stupì che i cristiani potessero esserne talmente ghiotti.[13]
In un libro apparso nel 1625 si diceva che l'uso medicinale delle mummie egiziane era stato avviato da un medico ebreo di Alessandria chiamato Elmagar il quale, attorno al 1100 (o al 1300 secondo altri), le aveva prescritte ai cristiani e ai musulmani che combattevano in Palestina. La pratica si era talmente diffusa che alcuni mercanti ebrei residenti in Egitto avevano iniziato a imbottire di asfalto a buon mercato ed essiccare al sole ogni sorta di cadavere – inclusi i giustiziati e i morti di lebbra e di peste – per poi venderli ai cristiani.[14]
Nei racconti sopra riportati sembrano trapelare i difficili rapporti con gli ebrei che caratterizzavano il cristianesimo dell'epoca. In realtà lo stesso Ambroise Paré (1510 ca.-1590), famoso chirurgo dei re di Francia, poco prima di citare la testimonianza di Guy de la Fontaine, dichiarava che c'era chi sosteneva che le mummie false fossero preparate anche in Francia, portando via i cadaveri degli impiccati la notte, per poi eviscerarli, immergerli nella pece nera ed essiccarli al forno; i corpi così preparati erano poi venduti a caro prezzo agli speziali, dicendo che venivano dall'Egitto ed erano stati acquistati da commercianti portoghesi.[15] Dobbiamo inoltre tener conto che l'uso della mummia era diffuso anche nella cultura medica e popolare ebraica sefardita del Vicino Oriente.[16] Questa pratica era inserita in una cura magica chiamata "indulco" e sulla liceità del consumo di mummia per uso medico dal punto di vista religioso si espressero alcuni rabbini residenti in Egitto a partire dal Cinquecento.[17] L'uso della mummia tra gli ebrei di Gerusalemme è documentato fino alla fine dell'Ottocento e, attorno al 1960, le vestigia di questa tradizione si trovano ancora nel folclore della popolazione sefardita stabilitasi a Seattle, negli Stati Uniti, all'inizio del secolo.[18]
Nel corso del Cinquecento, le nuove teorie del famoso medico svizzero Paracelso e dei suoi seguaci crearono ulteriore confusione su cosa si dovesse intendere per mummia: sebbene Paracelso accettasse il valore curativo degli antichi cadaveri egizi imbalsamati, egli sostenne anche che la mummia era una virtù intrinseca (quintessenza) del corpo umano; di conseguenza potevano essere utilizzate le proprietà farmaceutiche estratte dalle carni dei giustiziati e di chi aveva subito una morte violenta, purché queste fossero trattate velocemente dopo il decesso.[19]
La mumia patibuli ebbe un discreto successo: in Inghilterra il medico paracelsiano Oswald Croll diede una ricetta con cui fabbricare "mummie artificiali" che fu inclusa nella farmacopea ufficiale della città di Londra nel XVII secolo; essa prevedeva che si usasse il cadavere di un impiccato dai capelli rossi di ventiquattro anni, messo in ammollo per ventiquattro ore prima di essere fatto a pezzi e spruzzato di mirra e aloe, immerso ripetutamente in alcol etilico ed essenza di trementina e lasciato finalmente ad asciugare.[20]
Ma queste opinioni sulle proprietà magiche dei corpi dei condannati non erano condivise solo dai più dotti nell'arte medica: avvicinandoci a un patibolo in Danimarca all'inizio dell'era moderna avremmo potuto vedere una folla di epilettici assembrarsi sotto di esso e tendere ciotole e altri contenitori nella speranza di cogliere qualche goccia di sangue da bere ancora caldo, per assorbirne il potere e proteggersi contro la malattia.[21] Anche in Inghilterra era diffusa la credenza che il sangue dei condannati curasse l'epilessia e il boia era autorizzato a vendere il sangue di coloro che aveva appena giustiziato, rischiando così di mettere in crisi il commercio che già gli speziali facevano in grasso umano.[22]
Ancora in Danimarca, seguendo gli insegnamenti di Paracelso, si riteneva che le ossa del cranio di un impiccato, sminuzzate e pestate, potessero liberare dalle crisi convulsive. La ricetta era pubblicata in una raccolta stampata a Basilea nel 1598: si doveva unire una dracma di polvere di cranio a tre grani di peonia, aggiungere un cucchiaio di acqua di lavanda e bere il preparato per tre giorni la mattina a digiuno.[23] Nel 1660 a Londra le teste di chi aveva subito la pena capitale erano lasciate su di un palo come monito per parecchi anni, sviluppando un muschio verdastro chiamato "usnea". Questi teschi erano poi venduti ai farmacisti londinesi ad un prezzo che variava dagli otto agli undici scellini, a seconda della quantità di usnea che contenevano.[24]
Gia durante il Cinquecento una serie di importanti medici e naturalisti – come il francese Pierre Belon e l'italiano Pier Andrea Mattioli – espressero perplessità sul significato e l'uso della mummia, segnalando che gli autori arabi e greci usavano questo termine per riferirsi non alla "carne e ai corpi secchi" delle antiche sepolture, ma piuttosto al "condimento loro", e particolarmente al "pissasfalto": una miscela di asfalto e pece che si riteneva fosse stata usato per le imbalsamazioni.[25]
Nel Discorso della mummia, Ambroise Paré dichiarò senza mezzi termini che sia le autentiche mummie egiziane, sia quelle contraffatte, valevano allo stesso modo, ossia nulla, aggiungendo che i farmaci prodotti con le carni dei morti potevano più nuocere che aiutare: egli non aveva mai osservato nessuno bere o ingoiare della mummia senza poi rimettere o avere dolori di stomaco e un alito pestifero.[26] Inoltre i popoli antichi non avevano certamente fatto imbalsamare i loro morti perché poi i cristiani li mangiassero! Un secolo dopo Paré, il famoso medico tedesco Engelbert Kämpfer (1651-1716) sperimentò su una gallina un medicamento a base di mummia che avrebbe dovuto accelerare la guarigione delle fratture. Egli scoprì che la mummia, seccandosi, formava una specie di gesso, permettendo all'animale di camminare fin da subito; ma una volta eliminato questo involucro constatò anche che il risanamento non era ancora avvenuto.[27]
Nonostante molti dubbi e qualche sforzo volto a provare l'inefficacia (o la pericolosità) dei farmaci alla mummia, il loro uso continuò per tutto il Seicento. In Inghilterra, tra coloro che si espressero pubblicamente a favore troviamo il medico e chimico Robert Boyle e il filosofo Francis Bacon (uno dei numi tutelari dell' Encyclopédie di Diderot e d'Alembert); il quale sostenne che la mummia era adatta per arrestare le emorragie e curare contusioni e danni provocati dalle cadute.[28]
Durante l'Illuminismo e nelle epoche successive aumentò lo scetticismo e la mummia cominciò a essere considerata fuori moda, anche se continuò ad apparire qua e là nelle ricette mediche e nei testi specialistici. Ciononostante, in un manuale in tedesco di pratica farmaceutica stampato nel 1905, si affermava che la "vera mummia egiziana" si trovava ancora saltuariamente nelle farmacie nella varietà in pezzi e in polvere; anche se quella in commercio era generalmente un'imitazione. Il testo avvertiva gli utilizzatori che, nel caso dovessero procurarsi della vera mummia, era necessario controllare la quantità di solfuro di arsenico in essa contenuta prima di somministrarla.[29] Alcuni anni dopo, nel 1911, la mummia – nella sua preparazione artificiale e autentica – compariva ancora in un listino prezzi farmaceutico viennese.[30]
Una delle segnalazioni più recenti della permanenza di questa pratica viene dall'antropologo Renato Grilletto, il quale, scrivendo nel 1987, dichiara che la mummia era usata fino a poco tempo prima dagli arabi di Gournah (un villaggio sulla riva occidentale del Nilo nei pressi della Valle dei Re) e dà la ricetta con cui era preparato il medicamento: il cranio del cadavere esumato era spaccato, e utilizzato per far bollire la sostanza resinosa che conteneva.[31]
Perché l'uso della mummia fu accettato ed entrò nella farmacopea medica? Secondo la giornalista scientifica Heather Pringle, la medicina nell'Europa rinascimentale era talmente rozza e dolorosa per i pazienti che questi avrebbero comunque accettato qualsiasi tipo di "medicamento miracoloso" alternativo all'uso di sanguisughe e altre pratiche cruente, come il versamento di olio bollente sulle ferite d'arma da fuoco e la cauterizzazione delle amputazioni con ferri roventi.[32]
Si sa che l'uomo è disposto a tutto pur di allontanare o guarire i propri mali[33] ma dobbiamo anche considerare che – allora come oggi – se la nostra cultura ci porta a prenderci grande cura dei corpi di coloro che sono appena deceduti, per i resti essiccati di chi è perito migliaia di anni fa generalmente la preoccupazione è minore; il trascorrere del tempo – nota la Pringle – li ha trasformati in meri oggetti.[34] Durante il Rinascimento le mummie divennero veri e propri beni di consumo, con tanto di variazioni nei prezzi di mercato e tentativi di sofisticazione. La gente comune accettò le mummie come medicine perché erano oggetti molto antichi, trattati (si supponeva) con balsami preziosi e costosi, e perché i migliori medici attribuivano loro importanza. La confusione lessicale tra il bitume e i materiali usati per imbalsamare gli Egizi, l'avidità e l'ignoranza umana fecero la loro parte, ma un ruolo molto forte – seppure a livello inconscio – lo giocò anche il fatto che il corpo umano era stato a lungo considerato come qualcosa di sacro e quindi il suo uso come ingrediente in medicina poteva produrre un farmaco veramente speciale.[35]
Andrea Albini
Questi resti finivano nelle farmacie, dove erano incorporati in diversi preparati medicinali. Nel 1581, il medico e naturalista Pier Andrea Mattioli scriveva che gli arabi attribuivano alla mummia molte virtù, come la cura delle paralisi e dell'epilessia, nonché di emicranie, vertigini, mal d'orecchi, tosse e mal di gola. La mummia era anche indicata per alleviare (con acqua di menta) le passioni del cuore e (con acqua di "cimino") le ventosità del corpo.[3] Anche se le forme di cannibalismo sono comunemente associate con le popolazioni che un tempo definivamo "selvagge", questa pratica di antropofagia medica era accettata dalla nostra civiltà in un passato neanche troppo lontano.
Indice |
Corpi mummificati e prodotti per l'imbalsamazione
All'origine dell'uso dei cadaveri mummificati nella produzione di medicine vi è una certa confusione sul significato del termine mummia. Le parole persiane e arabe corrispondenti indicavano anticamente sia una sorta di bitume[4] che si trovava nella terra di Giudea, sia la miscela di sostanze utilizzate per imbalsamare i cadaveri.[5] Oggi sappiamo che i processi di imbalsamazione in Egitto richiedevano diversi prodotti, tra cui principalmente resine vegetali lavorate a caldo.[6] Nel Medioevo, i predoni di tombe notarono che le mummie erano ricoperte da una pellicola scura (causata dall'ossidazione) e pensarono erroneamente che fossero state trattate con bitume.[7] È ora chiaro che in Egitto il bitume fu usato effettivamente per l'imbalsamazione solo nel tardo periodo greco-romano; nonostante questo, a partire da un certo momento, si iniziò a confondere le mummie con un tipo di bitume che si credeva avesse proprietà curative. Per la scuola medica salernitana del XII secolo, il termine latino mumia indicava ciò che derivava dall'imbalsamazione dei corpi; più tardi, nel Cinquecento, la parola significava – secondo il farmacista portoghese Tomé Pires – un "liquore" che stillava dall'essudazione dei corpi mummificati e veniva raccolto a scopo medicinale.[8] Dato che si pensava che i corpi imbalsamati fossero trattati con materiali bituminosi, ben presto si ritenne che questi potessero sostituire la rara sostanza minerale che si trovava in Persia e nei pressi del Mar Morto. Ciò avviò un vivace commercio verso l'Europa del nuovo prodotto medicinale, incoraggiato dagli scambi commerciali con il Vicino Oriente e dalle Crociate.
Nel 1424, le autorità del Cairo, preoccupate dal corso che stavano prendendo gli avvenimenti, imprigionarono un gruppo di persone che avevano trafugato un numero consistente di cadaveri imbalsamati per poi bollirli in acqua e distillare da essi un "olio" che vendevano agli europei a caro prezzo.[9] Accanto ai resti delle antiche sepolture egiziane erano opportunamente trattati, per essere spediti alle farmacie europee, anche i corpi disidratati dei viandanti[10] che morivano tra le sabbie del deserto. Nel 1565 un viaggiatore tedesco raccontò che nel deserto attorno alla città del Cairo le popolazioni locali cercavano affannosamente mummie "color nero carbone", per poi venderle in città ai commercianti. Nel 1586, nonostante l'esportazione di mummie fosse stata proibita dalle autorità egiziane, parecchi quintali di esse salparono clandestinamente verso le farmacie della Gran Bretagna, e ancora due anni dopo un certo Samuel Kiechel era informato che, con le giuste conoscenze, al Cairo si poteva ancora comprare "un'intera persona".[11]
Truffatori, mummie false e mummie patibolari
Quando un prodotto è raro, molto richiesto e costoso, inevitabilmente richiama l'interesse dei sofisticatori. Già Pires aveva messo in guardia contro certi truffatori che avevano cercato di spacciare carne abbrustolita di cammello per carne umana,[12] ma le falsificazioni potevano essere molto più realistiche. Nel 1564 Guy de la Fontaine, medico del re di Navarra, incontrò il principale mercante ebreo di mummie di Alessandria, il quale si stupì che gli europei potessero credere che le migliaia di mummie che rifornivano le loro farmacie provenissero veramente dalle antiche tombe d'Egitto. Gli mostrò quindi una catasta di corpi conservati nel suo magazzino e gli disse come li preparava: dopo aver estratto il cervello e le interiora, praticava delle grandi incisioni nei muscoli, che riempiva di una pece della Giudea chiamata asfaltite; quindi prendeva vecchie bende inzuppate in questo liquido, fasciava il tutto e lasciava infine riposare il cadavere per tre mesi in un luogo adatto. Per quanto riguardava l'origine dei corpi, il mercante dichiarò che non ne conosceva la provenienza, l'età, o se erano morti per peste o altre malattie e si stupì che i cristiani potessero esserne talmente ghiotti.[13]
In un libro apparso nel 1625 si diceva che l'uso medicinale delle mummie egiziane era stato avviato da un medico ebreo di Alessandria chiamato Elmagar il quale, attorno al 1100 (o al 1300 secondo altri), le aveva prescritte ai cristiani e ai musulmani che combattevano in Palestina. La pratica si era talmente diffusa che alcuni mercanti ebrei residenti in Egitto avevano iniziato a imbottire di asfalto a buon mercato ed essiccare al sole ogni sorta di cadavere – inclusi i giustiziati e i morti di lebbra e di peste – per poi venderli ai cristiani.[14]
Nei racconti sopra riportati sembrano trapelare i difficili rapporti con gli ebrei che caratterizzavano il cristianesimo dell'epoca. In realtà lo stesso Ambroise Paré (1510 ca.-1590), famoso chirurgo dei re di Francia, poco prima di citare la testimonianza di Guy de la Fontaine, dichiarava che c'era chi sosteneva che le mummie false fossero preparate anche in Francia, portando via i cadaveri degli impiccati la notte, per poi eviscerarli, immergerli nella pece nera ed essiccarli al forno; i corpi così preparati erano poi venduti a caro prezzo agli speziali, dicendo che venivano dall'Egitto ed erano stati acquistati da commercianti portoghesi.[15] Dobbiamo inoltre tener conto che l'uso della mummia era diffuso anche nella cultura medica e popolare ebraica sefardita del Vicino Oriente.[16] Questa pratica era inserita in una cura magica chiamata "indulco" e sulla liceità del consumo di mummia per uso medico dal punto di vista religioso si espressero alcuni rabbini residenti in Egitto a partire dal Cinquecento.[17] L'uso della mummia tra gli ebrei di Gerusalemme è documentato fino alla fine dell'Ottocento e, attorno al 1960, le vestigia di questa tradizione si trovano ancora nel folclore della popolazione sefardita stabilitasi a Seattle, negli Stati Uniti, all'inizio del secolo.[18]
Nel corso del Cinquecento, le nuove teorie del famoso medico svizzero Paracelso e dei suoi seguaci crearono ulteriore confusione su cosa si dovesse intendere per mummia: sebbene Paracelso accettasse il valore curativo degli antichi cadaveri egizi imbalsamati, egli sostenne anche che la mummia era una virtù intrinseca (quintessenza) del corpo umano; di conseguenza potevano essere utilizzate le proprietà farmaceutiche estratte dalle carni dei giustiziati e di chi aveva subito una morte violenta, purché queste fossero trattate velocemente dopo il decesso.[19]
La mumia patibuli ebbe un discreto successo: in Inghilterra il medico paracelsiano Oswald Croll diede una ricetta con cui fabbricare "mummie artificiali" che fu inclusa nella farmacopea ufficiale della città di Londra nel XVII secolo; essa prevedeva che si usasse il cadavere di un impiccato dai capelli rossi di ventiquattro anni, messo in ammollo per ventiquattro ore prima di essere fatto a pezzi e spruzzato di mirra e aloe, immerso ripetutamente in alcol etilico ed essenza di trementina e lasciato finalmente ad asciugare.[20]
Ma queste opinioni sulle proprietà magiche dei corpi dei condannati non erano condivise solo dai più dotti nell'arte medica: avvicinandoci a un patibolo in Danimarca all'inizio dell'era moderna avremmo potuto vedere una folla di epilettici assembrarsi sotto di esso e tendere ciotole e altri contenitori nella speranza di cogliere qualche goccia di sangue da bere ancora caldo, per assorbirne il potere e proteggersi contro la malattia.[21] Anche in Inghilterra era diffusa la credenza che il sangue dei condannati curasse l'epilessia e il boia era autorizzato a vendere il sangue di coloro che aveva appena giustiziato, rischiando così di mettere in crisi il commercio che già gli speziali facevano in grasso umano.[22]
Ancora in Danimarca, seguendo gli insegnamenti di Paracelso, si riteneva che le ossa del cranio di un impiccato, sminuzzate e pestate, potessero liberare dalle crisi convulsive. La ricetta era pubblicata in una raccolta stampata a Basilea nel 1598: si doveva unire una dracma di polvere di cranio a tre grani di peonia, aggiungere un cucchiaio di acqua di lavanda e bere il preparato per tre giorni la mattina a digiuno.[23] Nel 1660 a Londra le teste di chi aveva subito la pena capitale erano lasciate su di un palo come monito per parecchi anni, sviluppando un muschio verdastro chiamato "usnea". Questi teschi erano poi venduti ai farmacisti londinesi ad un prezzo che variava dagli otto agli undici scellini, a seconda della quantità di usnea che contenevano.[24]
Il declino della mummia in medicina
Gia durante il Cinquecento una serie di importanti medici e naturalisti – come il francese Pierre Belon e l'italiano Pier Andrea Mattioli – espressero perplessità sul significato e l'uso della mummia, segnalando che gli autori arabi e greci usavano questo termine per riferirsi non alla "carne e ai corpi secchi" delle antiche sepolture, ma piuttosto al "condimento loro", e particolarmente al "pissasfalto": una miscela di asfalto e pece che si riteneva fosse stata usato per le imbalsamazioni.[25]
Nel Discorso della mummia, Ambroise Paré dichiarò senza mezzi termini che sia le autentiche mummie egiziane, sia quelle contraffatte, valevano allo stesso modo, ossia nulla, aggiungendo che i farmaci prodotti con le carni dei morti potevano più nuocere che aiutare: egli non aveva mai osservato nessuno bere o ingoiare della mummia senza poi rimettere o avere dolori di stomaco e un alito pestifero.[26] Inoltre i popoli antichi non avevano certamente fatto imbalsamare i loro morti perché poi i cristiani li mangiassero! Un secolo dopo Paré, il famoso medico tedesco Engelbert Kämpfer (1651-1716) sperimentò su una gallina un medicamento a base di mummia che avrebbe dovuto accelerare la guarigione delle fratture. Egli scoprì che la mummia, seccandosi, formava una specie di gesso, permettendo all'animale di camminare fin da subito; ma una volta eliminato questo involucro constatò anche che il risanamento non era ancora avvenuto.[27]
Nonostante molti dubbi e qualche sforzo volto a provare l'inefficacia (o la pericolosità) dei farmaci alla mummia, il loro uso continuò per tutto il Seicento. In Inghilterra, tra coloro che si espressero pubblicamente a favore troviamo il medico e chimico Robert Boyle e il filosofo Francis Bacon (uno dei numi tutelari dell' Encyclopédie di Diderot e d'Alembert); il quale sostenne che la mummia era adatta per arrestare le emorragie e curare contusioni e danni provocati dalle cadute.[28]
Durante l'Illuminismo e nelle epoche successive aumentò lo scetticismo e la mummia cominciò a essere considerata fuori moda, anche se continuò ad apparire qua e là nelle ricette mediche e nei testi specialistici. Ciononostante, in un manuale in tedesco di pratica farmaceutica stampato nel 1905, si affermava che la "vera mummia egiziana" si trovava ancora saltuariamente nelle farmacie nella varietà in pezzi e in polvere; anche se quella in commercio era generalmente un'imitazione. Il testo avvertiva gli utilizzatori che, nel caso dovessero procurarsi della vera mummia, era necessario controllare la quantità di solfuro di arsenico in essa contenuta prima di somministrarla.[29] Alcuni anni dopo, nel 1911, la mummia – nella sua preparazione artificiale e autentica – compariva ancora in un listino prezzi farmaceutico viennese.[30]
Una delle segnalazioni più recenti della permanenza di questa pratica viene dall'antropologo Renato Grilletto, il quale, scrivendo nel 1987, dichiara che la mummia era usata fino a poco tempo prima dagli arabi di Gournah (un villaggio sulla riva occidentale del Nilo nei pressi della Valle dei Re) e dà la ricetta con cui era preparato il medicamento: il cranio del cadavere esumato era spaccato, e utilizzato per far bollire la sostanza resinosa che conteneva.[31]
Ragioni dell'uso della mummia
Perché l'uso della mummia fu accettato ed entrò nella farmacopea medica? Secondo la giornalista scientifica Heather Pringle, la medicina nell'Europa rinascimentale era talmente rozza e dolorosa per i pazienti che questi avrebbero comunque accettato qualsiasi tipo di "medicamento miracoloso" alternativo all'uso di sanguisughe e altre pratiche cruente, come il versamento di olio bollente sulle ferite d'arma da fuoco e la cauterizzazione delle amputazioni con ferri roventi.[32]
Si sa che l'uomo è disposto a tutto pur di allontanare o guarire i propri mali[33] ma dobbiamo anche considerare che – allora come oggi – se la nostra cultura ci porta a prenderci grande cura dei corpi di coloro che sono appena deceduti, per i resti essiccati di chi è perito migliaia di anni fa generalmente la preoccupazione è minore; il trascorrere del tempo – nota la Pringle – li ha trasformati in meri oggetti.[34] Durante il Rinascimento le mummie divennero veri e propri beni di consumo, con tanto di variazioni nei prezzi di mercato e tentativi di sofisticazione. La gente comune accettò le mummie come medicine perché erano oggetti molto antichi, trattati (si supponeva) con balsami preziosi e costosi, e perché i migliori medici attribuivano loro importanza. La confusione lessicale tra il bitume e i materiali usati per imbalsamare gli Egizi, l'avidità e l'ignoranza umana fecero la loro parte, ma un ruolo molto forte – seppure a livello inconscio – lo giocò anche il fatto che il corpo umano era stato a lungo considerato come qualcosa di sacro e quindi il suo uso come ingrediente in medicina poteva produrre un farmaco veramente speciale.[35]
Andrea Albini
Note
1) Cagliano S., Bobbio M., "La medicina delle prove", Le Scienze, luglio 2006.
2) Grilletto 1987, p. 218.
3) Ibid. p. 221.
4) Il bitume è una miscela di idrocarburi che si trova in natura.
5) Lucas 1914, pp. 241-242.
6) Koller et al. 2005.
7) Harrell e Lewan 2002.
8) Dannenfeldt 1985, pp. 165-166.
9) Ibid. p. 167.
10) Conosciuti come "mummie bianche" per il colore che prendevano durante questo processo di mummificazione naturale.
11) Dannenfeldt 1985, p. 169.
12) Ibid. p. 168.
13) Paré 1582, pp.7r-8r; Barbero-Paré 1997, pp. 136-137; Dannenfeldt 1985, p. 170.
14) Dannenfeldt 1985, p. 170. Secondo un autore del 1625, le autorità di Damietta, Alessandria, Rosetta e altri luoghi in Egitto, nonché di Aleppo in Siria, infliggevano forti multe agli ebrei coinvolti nel commercio delle false mummie. Cit. in Dannenfeldt 1985 p. 171. Questo può aver contribuito a ridurne il traffico.
15) Paré 1582, pp. 6v-7r.
16) Ossia quella parte della popolazione ebraica che si stabilì in Spagna dopo la diaspora, e che qui rimase fino al XV secolo per poi essere nuovamente espulsa e dispersa in varie regioni, tra cui il Vicino Oriente.
17) Patai 1964, pp. 7-9. In particolare David ben Zirma (1479 ca.-1589) ritenne che la mummia poteva essere mangiata perché la sua forma era cambiata rispetto alla carne umana (il cui consumo era proibito) e perché era assunta a causa delle "spezie" in essa contenute, dato che era ben noto che la carne umana non aveva alcun valore medicinale.
18) Firestone 1962. In una cura contro la paura causata dai demoni, la mummia polverizzata (ad esempio proveniente dagli scarti della circoncisione) era somministrata ai paziente senza che lo sapessero. Ibid. pp. 305-306.
19) Dannenfeldt 1985, p. 173. La "mummia" di Paracelso era un'entità intermedia tra il corpo fisico di un individuo e la sua anima, in grado, tra l'altro, di attivare come un magnete gli influssi cosmici.
20) Gordon-Grube 1988, p. 406. Nella sua Opera Omnia, il medico e professore universitario di Lipsia Michael Ettmüller (1644-1683) definì la "mumia patibuli" come il corpo degli impiccati, affumicata e poi "condita" con aloe e mirra. Vedi Paré-Barbero 1997, p. 134. In un manoscritto anonimo risalente alla seconda metà del Seicento, ritrovato a Torino, si parla di un "liquore di mummia" ottenuto con "carne di uomo giovane e sano morto violentemente", distillato in storta dopo gli opportuni trattamenti. Vedi Grilletto 1987, p. 223.
21) Sugg 2006, p. 225; Himmelman 1997, p. 197. Il sangue aveva molti usi medicinali e si pensava che fosse adatto anche a curare la lebbra e i problemi riproduttivi.
22) Gordon-Grube 1988, p. 407.
23) De secretis libri XVII ex varii authoribus collecti per Jacobus Wackerum. Basilea, 1598. Cit. in Grilletto et al. 2004, pp. 189-190.
24) Ibid. L'usnea rimase nella farmacopea inglese fino al diciassettesimo secolo.
25) Dannenfeldt 1985, pp. 174.176; Grilletto 1987, pp. 220-221.
26) Paré 1582, pp. 7r.-8r.
27) Grilletto 1987, pp. 221-221.
28) Dannenfeldt 1985, p. 178.
29) Ibid., pp. 179-180.
30) Barbero-Paré 1997, p. 129.
31) Grilletto 1987, p. 219.
32) Pringle 2001, pp. 192-193.
33) Grilletto 1987, p. 217.
34) Pringle 2001, p. 188. Ne è un esempio il fatto che fino all'inizio del Novecento una ditta di Londra produsse un colore per la pittura artistica a base di mummia. In passato spesso i farmacisti e i produttori di colori erano la stessa persona ed è possibile che gli artisti italiani abbiano usato la mummia nei loro quadri fin da XII secolo. Ibid. pp. 194-204.
35) Sugg 2006, pp. 229-230. Per approfondimenti sull'uso della mummia in medicina dal punto di vista dell'antropologia, vedi Himmelman 1997.
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