Durante il soggiorno in India ho pensato, com’è mia abitudine, che il lavoro di documentazione non sarebbe stato completo se non avessi ascoltato il rappresentante di una pratica pseudoscientifica, così mi sono proposto di incontrare un guaritore. Ho facilmente identificato in rete un centro di Pranic Healing che presentava due vantaggi: vicinanza al mio hotel e disponibilità di vari contatti telefonici. Inoltre le recensioni erano molto positive: non che fossi interessato ad avvalermi dei suoi servizi, ma era importante non trovarsi in un posto che mi mettesse a disagio. Ho organizzato l’incontro nel giro di pochissimo tempo, qualificandomi come insegnante e divulgatore interessato alla “medicina alternativa” in India. Il centro si trova nell’edificio di un quartiere più che decente della città di Thane, a nord-est di Mumbai, e consiste di un appartamento su più piani. Ho concordato l’incontro con un giovane molto cortese e disponibile: il fondatore stesso, e direttore, del centro di “guarigione spirituale” in questione. Ovviamente, essendomi rivolto a un guaritore attivo in un contesto urbano piuttosto che a un “santone” rurale (cosa per cui non ci sarebbe stato il tempo) mi sono trovato di fronte a una pratica pseudoscientifica con elementi “locali” ma piuttosto globalizzata: il Pranic Healing unisce concetti tradizionali cinesi e indiani ed è diffuso internazionalmente. Mi è stato dato di capire che il Centro si dedica anche ad attività di volontariato e assistenza sociale del tutto “tangibili”, come la distribuzione di cibo ai poveri.
Sono doverose alcune precisazioni preliminari. Lascio in inglese l’espressione Pranic Healing (e pranic healer) per mantenere la distinzione rispetto alla pranoterapia: quest’ultima è un’espressione più generale, riferita alla presunta guarigione operata attraverso il “prana”, mentre il Pranic Healing è un insieme di discipline e pratiche sistematizzate da uno specifico autore (di cui si parla nell’intervista). Mi ha accompagnato e assistito Bob Churchill, all’epoca Direttore di Comunicazione e Campagne di Humanists International, ospite del convegno dell’ANiS, che ha anche posto alcune domande e che ringrazio sentitamente. Non desideravo un vero e proprio dibattito, e tantomeno una polemica, ma piuttosto un “documento etnografico” su cui riflettere successivamente, così mi sono proposto di rivolgere all’interlocutore domande critiche, ma non troppo incalzanti. Riporto il nostro scambio, così come l’ho potuto tradurre dalla registrazione (che metto a disposizione di chiunque sia interessato), omettendo parti ripetitive, acusticamente poco chiare, o di non grande rilevanza per comprendere il discorso in questione. Integro l’intervista con una serie di osservazioni critiche maturate in seguito all’esame attento dei tanti e diversi punti sollevati dal mio interlocutore.
Ci può raccontare un po’ il suo retroterra, gli studi, le attività?
Ho ventisette anni e il mio è un retroterra fondamentalmente scientifico. Ho un Master of Science [laurea magistrale] in Biochimica e un Advanced Diploma in Scienze dell’Alimentazione e Controllo della Qualità. Ho praticato yoga per quindici anni. Questo ha destato il mio interesse per le energie del nostro corpo astrale e i chakra [presunti ‘centri di energia’ del corpo, NdA], e quindi per il Pranic Healing, che pratico attualmente. Ci sono arrivato anche attraverso la meditazione, che mi ha permesso di conoscere meglio me stesso, e lo studio dei libri di pranic healers esperti, da cui ho appreso nuove tecniche di guarigione. Inizialmente ho frequentato dei corsi di base, per esempio dei workshop di due giorni, offerti in diversi posti a Mumbai.
Che cosa l’ha portata a interessarsi di quei corsi? C’era un interesse già in famiglia? O magari voleva integrare i suoi studi universitari? Sentiva che mancava qualcosa?
Si è trattato soprattutto di curiosità. Già all’epoca della scuola praticavo forme semplici di meditazione. Questo mi ha incuriosito rispetto a forme più profonde. Ho letto molti libri sulla spiritualità, per esempio di Jagannath Kunte, un autore indiano che ha viaggiato lungo il fiume Narmada e che descrive forme molto semplici di meditazione. Lui sostiene che se vuoi andare dalla sorgente alla foce di un fiume devi viaggiare per tre anni, tre mesi e tre giorni. Il Pranic Healing l’ho appreso dal Gran Maestro Choa Kok Sui [ingegnere e uomo d’affari cinese, 1952-2007] che è il padre del Pranic Healing moderno, che è una forma scientifica. In precedenza era praticato in tutto il mondo come una forma di arte.
Come definirebbe il prana per qualcuno che non ne sa nulla?
Prana è l’energia vitale che conferisce salute e vita a un corpo. In cinese si chiama chi, in giapponese ki. Per esempio il reiki fa riferimento a questa energia universale, dove ‘rei’ sta appunto per ‘universale’. Si chiama mana in lingua polinesiana. Il Grande Maestro ha reso quest’arte più scientifica.
Come? Attraverso esperimenti?
Sì, anche lui aveva un retroterra scientifico. Era un ingegnere chimico e, di professione, un uomo di affari. Condusse ricerche sull’energia fin dai tredici/quattordici anni, e scrisse molti libri tra cui l’autobiografia intitolata L’origine del moderno Pranic Healing ed Arhatic Yoga [così la traduzione in italiano: EIFIS editore, 2006]. Ebbe molte esperienze, per esempio i cosiddetti viaggi astrali nel sonno, viaggi verso diverse parti dell’universo che compiamo automaticamente quando dormiamo. Le sue ricerche sull’energia durarono più di vent’anni; arrivò a formulare tecniche, principi e procedure per guarire diverse malattie. Grazie a lui queste tecniche sono state ridotte a semplici “ricette” che si trovano nei suoi libri e che possono essere messe in atto seguendo dei passaggi semplici per ottenere l’effetto. A diverse affezioni, per esempio mal di testa, infezioni virali, polmoniti, cancro, corrispondono diverse procedure.
Mi può raccontare brevemente la storia e descrivere la struttura di questo Centro?
Il Centro fa parte del Gruppo di Pranic Healing di Thane. Lo abbiamo fondato insieme nel 2012. Io avevo appreso il Pranic Healing nel 2009. All’inizio eravamo in tre guaritori, abbiamo cominciato in una piccola sede, e praticavamo le guarigioni durante la settimana, mentre nel fine settimana offrivamo dei servizi di guarigione gratis per grandi gruppi, per attrarre nuove persone verso il Pranic Healing. E altri fine settimana erano dedicati alla meditazione. Attualmente lavoriamo dal lunedì alla domenica, dalla mattina alla sera. Ci sono quattro guaritori professionisti, inoltre quattro signore, che sono delle casalinghe, lavorano da casa, e praticano la guarigione a distanza. Guariscono persone che non sono fisicamente presenti. Al Centro pratichiamo sia la guarigione manuale [in presenza, NdA] sia a distanza. “Professionali” significa che quei guaritori hanno seguito dei programmi al termine dei quali hanno ricevuto un certificato. Nel fine settimana anche noi conduciamo dei workshop di due giorni ciascuno, dalle nove di mattina alle sei di sera, insegnando come guarire, i principi dell’anatomia, come funziona l’aura, come il corpo di energia influisce su quello fisico, e come guarire il corpo di energia in presenza o a distanza. Dopo avere completato diversi workshop, se sono interessati a diventare guaritori professionisti, ci sono dei programmi apposta, come per esempio uno chiamato Associated Certified Pranic Healer.
È possibile diventare un pranic healer senza formarsi attraverso un corso?
No, non è possibile. I libri sono scritti per chi ha seguito un corso. Una persona comune, senza avere ricevuto un insegnamento, non è in grado di decodificare certe istruzioni. Per esempio potrebbe leggere che per curare un ginocchio è necessaria una purificazione di un certo tipo. Ma ha bisogno di sapere in che cosa consiste quella purificazione, e per quello serve un insegnante.
Quindi il lavoro del fondatore è stato integrato da nuove scoperte, da nuova teoria e nuova pratica?
Certo. È una ricerca basata sui suoi libri che impegna persone in tutto il mondo.
Se ho ben capito diventare healer significa apprendere determinate tecniche, ma è richiesto anche un qualche tipo di “dono” con cui si nasce?
Non è richiesto, ma si può avere un talento particolare e allora si diventa healer in un tempo più breve. Ma non è che serva un’energia speciale che attraversa il corpo e che alcuni hanno e altri no.
Che cosa si cura presso questo Centro?
Tutti i tipi di malattia: da raffreddore e tosse di stagione, al diabete, al cancro cronico, e l’ipertensione; dai disturbi fisici a quelli psicologici, come stress (il più comune), allucinazioni, depressione, tendenze suicide, tossicomanie, ma anche magia nera.
In una sessione di terapia c’è un contatto fisico?
No. Questa terapia è completamente esente da contatto fisico e da farmaci. Fondamentalmente, il Pranic Healing si basa su due principi. Il primo principio è quello dell’autoguarigione. Secondo questo principio, ognuno è un guaritore nato. Quando abbiamo delle piccole ferite, guariscono da sé. Il corpo non richiede medicine, in caso di infezione o di altro problema la guarigione viene da sé grazie al sistema immunitario. Quando applichiamo il Pranic Healing acceleriamo la guarigione. Il secondo principio è quello dell’energia vitale. Quello che studiamo in fisica è che ogni oggetto, per essere spostato da un posto a un altro, richiede l’applicazione di una forza. Per accelerare la guarigione è necessaria una forza, e quella forza è l’energia vitale o prana. Più energia vitale una persona possiede nel corpo, più bassa è la probabilità che quella persona si ammali. E meno forza c’è, più ci si ammala. Chi fa molto esercizio si ammala meno facilmente di una persona pigra.
La cura a distanza è meno efficace?
No, la terapia manuale e quella a distanza ottengono gli stessi risultati.
Teoricamente si può guarire una persona dall’altra parte del pianeta, allora.
Sì, abbiamo pazienti a Londra, negli Stati Uniti...
Come fa il guaritore a stabilire una connessione a distanza?
La terapia a distanza si basa su due principi. Il primo è quello dell’interconnessione. Come noi abbiamo il corpo di energia, o bioplasmico, così ce l’ha la Terra, e siamo tutti parte di quel corpo energetico, risultando tutti internamente connessi nonostante la distanza. Come si trasferisce l’energia alla persona specifica? Qui interviene il secondo principio, quello della direzionalità. Secondo questo principio, l’energia segue il tuo pensiero. Qualunque pensiero tu generi, e qualunque intenzione tu formi, la tua energia si muoverà seguendolo.
Ma allora si può anche fare del male a qualcuno a distanza?
Sì. Se le intenzioni sono cattive. Questo è il principio su cui si basa la magia nera. Non entriamo nei dettagli: ma nel mondo ci sono dei praticanti di magia nera, che fanno del male al prossimo lavorando sull’aura. Diciamo che abusano di queste tecniche per fare il male.
Queste attività sono riconosciute a livello statale?
In India, no, ma in altri Paesi come gli Emirati Arabi Uniti mi sembra di sì. In India dovrebbe succedere presto.
Che relazione c’è tra il Pranic Healing che Lei offre e la medicina praticata negli ospedali? La descriverebbe come complementare, come alternativa, come in conflitto...?
Il Pranic Healing è complementare rispetto ad altre terapie, che siano allopatiche, ayurvediche, o omeopatiche.
Se qualcuno si presenta con una determinata malattia, gli raccomanda anche di recarsi presso un ospedale normale, “allopatico”?
La maggior parte delle persone, piuttosto, proviene da un ospedale normale. A volte viene qui mentre sta seguendo altre terapie presso un ospedale, qualche volta dopo che quelle terapie hanno fallito, e qualcuno viene da noi avendo già provato il Pranic Healing. Se il caso è serio, al paziente viene consigliato di assumere le medicine dell’ospedale e poi si comincia il Pranic Healing.
Bob Churchill: Serio quanto?
In tutti i casi diciamo loro di andare dal dottore, di farsi fare la diagnosi, e poi cominciamo la terapia. Se qualcuno per esempio lamenta dolori al petto, ma il Pranic Healing non li fa sparire, gli chiediamo di farsi visitare da un medico così da vedere se quei dolori hanno a che vedere con il cuore, con l’acidità...
Il Pranic Healing è fallibile? Ha dei limiti?
Sì. Tuttora il Pranic Healing non può curare malattie congenite.
Ma ci sono anche delle malattie organiche che il Pranic Healing non può trattare? Delle malattie di fronte alle quali non comincia nemmeno la terapia, o dice “questo non è il mio campo”?
Sì. È il caso dell’HIV. Ma possiamo guarire le malattie autoimmuni. Sono genetiche, a volte, ma abbiamo constatato dei grandi miglioramenti. In alcuni casi di cancro, la persona può morire nel processo, però possiamo lo stesso applicare la terapia per rendere il fine-vita più facile, meno doloroso, cosa di cui informiamo la famiglia.
Qual è la malattia più facile da guarire, e quale la più difficile? E in termini di numero di sedute?
Dipende da quanto è grave. Un esempio di guarigione facile è quella dal mal di testa dovuto, per esempio, allo stress da viaggio. Ci vogliono una o due sessioni. Ma un’emicrania che si è presentata per una dozzina d’anni può richiedere un numero maggiore di sedute.
Quanto questo processo dipende dalla persona che desidera guarire, dal suo convincimento, dalla sua volontà invece che dal guaritore?
La volontà influisce sicuramente. A volte può anche accadere che la persona sia troppo debole o malata, al punto che l’aura non può richiamare l’energia. Succede allora che qualunque terapia applichiamo, qualunque energia proiettiamo, l’aura non può accoglierla. È una cosa che si può vedere quando una persona è in punto di morte. In quel caso il processo non può essere invertito.
Tornando alla Sua formazione: secondo lei la biochimica e il Pranic Healing si armonizzano?
La mia formazione mi ha aiutato a comprendere come funziona il metabolismo nel corpo fisico, e ha reso l’applicazione del Pranic Healing più facile.
Riguardo a altri sistemi simili che si usano nel mondo, secondo Lei qual è la particolarità del Pranic Healing?
Il Pranic Healing è più scientifico. C’è più ricerca al riguardo, che viene svolta tuttora. Inoltre non presenta rischi per i guaritori. Consideriamo poi il rischio di contaminazione: per esempio, se sto guarendo una persona che ha dolore alle spalle, c’è il rischio che passi a me. Se uno tratta quel dolore, per esempio, con la tecnica cinese del Qi Gong, è previsto che il guaritore svuoti la propria riserva di energia per attuare la guarigione; è come avere un contenitore d’acqua e svuotarlo. Infatti, come scoprì il Maestro studiando la scuola del Qi Gong, molti dei suoi guaritori muoiono in giovane età. In India invece si adotta una tecnica differente; in questo caso è come se si pompasse acqua da una fonte esterna. Si riceve l’energia con una mano e la si proietta con l’altra, in una postura, o mudra, che vedi spesso nelle divinità indù. Così facendo, ci si connette alla fonte di energia naturale, che è illimitata, e la si canalizza. Questo spiega anche perché l’apprendimento del Pranic Healing è così rapido, al punto che si può cominciare alla mattina e alla sera già si esercita la guarigione.
Quando ha sentito di essere maturo abbastanza per lavorare in qualità di guaritore professionista, al punto di poter fondare e dirigere un Centro? Inoltre, si sente di avere completato la propria formazione, oppure può ancora progredire?
Non c’è limite allo sviluppo, ma sicuramente vedo che ho sviluppato più abilità. Al momento sono Pranic Healer certificato associato, e presto sarò Pranic Healer certificato. Per questo passaggio servono delle testimonianze, dei risultati medici, che provino che una persona era in una determinata condizione prima della terapia e che c’è stato un cambiamento. Per esempio nel livello di emoglobina. Non c’è, comunque, un limite al miglioramento. Quanto a quello che mi ha indotto a fondare questo Centro... Fin da bambino ho deciso che avrei fatto qualunque lavoro mi sarebbe piaciuto, ma non da dipendente. Ho cominciato con un lavoro part time, andando a domicilio o facendo venire i pazienti a casa mia. Ho capito che mi piaceva, che era la mia passione. Ho fondato il Centro per passione.
Se qualcuno si avvicina al Centro per imparare e fare a propria volta il guaritore, c’è una selezione?
Abbiamo, come ho detto, il programma di certificazione. Chi lo completa può essere da noi assunto come socio, e poi continuiamo ad alimentare ed allenare le sue capacità per svilupparle.
Ci sono, in India, persone o organizzazioni che si oppongono al Pranic Healing, che la criticano, o che competono?
No. Almeno a Mumbai.
Torniamo un attimo agli dèi che menzionava prima. Il Pranic Healing ha una relazione speciale con la religione, con l’induismo... O con il buddhismo, o qualunque altra religione? Vedo che qui nel Suo studio ci sono delle statuette di divinità.
No, il Pranic Healing è presente in tutte le culture. Ho delle statuette perché in India le teniamo dappertutto. Il Gran Maestro Choa Kok Sui ha estratto le tecniche e gli insegnamenti da tutte le culture, li ha integrati e ha mostrato la scienza su cui si basavano. In uno dei suoi libri menziona per esempio il dio indù con corpo umano e testa di elefante, Ganesha, in relazione all’attuale impossibilità scientifica di ottenere chirurgicamente una simile combinazione. Il Maestro sostiene che si tratti di un antico insegnamento che non ha a che vedere alla lettera con la pratica del trapianto ma è un simbolo dell’energia che fluisce dalla base della colonna vertebrale fino alla testa e che consente di diventare il Signore Ganesha. Ganesha è la prima divinità a cui ci rivolgiamo nei nostri rituali prima di cominciare un’attività. Ma analogamente, il Maestro riscontra insegnamenti rilevanti per il Pranic Healing nel Buddhismo: per esempio il Buddha indica un “ottuplice sentiero” e “quattro nobili verità”, che hanno a che vedere con la spiritualità, che è a propria volta distinta dalla religione. La religione aiuta a praticare la spiritualità ma le due cose non coincidono necessariamente. La stessa osservazione vale per il Cristianesimo, che contiene insegnamenti relativi alle energie, ai chakra. Non è corretto sostenere che il concetto di chakra sia esclusivamente indiano. E ancora, il Maestro ha riscontrato dei concetti rilevanti nella pratica dell’agopuntura...
...Che però qui non esercitate in quanto comporta contatto, vero?
Esatto.
Il Pranic Healing ha a che vedere con una qualche credenza in una vita dopo la morte? In quale forma?
Sì. Dopo la morte fisica continuiamo a esistere. [Mostra le illustrazioni di un libro]. Queste sono fotografie effettuate con la tecnica Kirlian, che consente di vedere l’aura di energia. Per esempio potete vedere che in questa fotografia l’aura di una persona sofferente di diabete è cambiata dopo dieci sedute di Pranic Healing. Nelle sedute insegniamo agli studenti a sentire l’aura. Anche le particelle biologicamente attive hanno un’aura. E quando due persone sono innamorate le loro aure si fondono in una sola. Questi non sono disegni, ma fotografie prese con un dispositivo GDV [Gas Discharge Visualization].
Ci sono delle differenze di genere? Un uomo cura meglio di una donna, o viceversa? O magari uomini curano meglio altri uomini...?
No.
Bob Churchill: Ha parlato prima della capacità del corpo di guarire sé stesso. In realtà anche la medicina “ufficiale” ha un concetto di questo tipo, visto che fa riferimento al sistema immunitario. Rispetto alla spiegazione medico-scientifica, la spiegazione offerta dal Pranic Healing come diverge, o che cosa aggiunge?
Ottima domanda. Torniamo al concetto di energia vitale. L’energia non si crea e non si distrugge ma può essere solo trasformata. Prendiamo per esempio l’elettrolisi. Sapete come funziona?
[Basandosi su ricordi del Liceo] È la separazione degli elementi di un composto attraverso la corrente elettrica...?
No, è come quello che succede con la batteria di un telefono. Quando la carichiamo, l’energia elettrica è trasformata in energia chimica. Quando la usiamo, l’energia chimica si converte in elettrica. Nella fotografia la luce viene convertita in energia chimica. Analogamente, quando applichiamo il Pranic Healing, l’energia vitale si presenta come luce. Quanto proiettiamo l’energia voi non vedete niente che fluisca dalla mia mano, ma la luce raggiunge, per esempio, la spalla di un soggetto, e quando la raggiunge l’energia della spalla è assimilata dalle cellule ed è convertita in energia chimica. Quindi, se proietto energia sul taglio che una persona ha in una mano, le sostanze chimiche necessarie alle cellule per una guarigione rapida vengono prodotte all’interno delle cellule stesse.
L’energia pranica non può essere immagazzinata?
Nel corpo, sì. Ma non in un dispositivo.
Insomma, non posso farci muovere un’automobile?
No, per nulla. Però è possibile immagazzinarla, o meglio applicarla, a particelle e a oggetti, come cristalli e gemme, che poi si possono indossare sotto forma di gioielli “caricati”.
Quindi la differenza tra questo tipo di energia e l’energia elettrica, o una forma di energia con cui si possono fare funzionare delle macchine, è che è più, per così dire... sottile?
Nel libro The Etheric Double [Arthur E. Powell, 1969] viene detto che la fonte suprema di energia è il sole, che irradia tre forme di energia. Una si chiama prana, una si chiama fohat, e una si chiama kundalini. La prima è quella che studiamo nel Pranic Healing, la seconda comprende tutte le forze che conosciamo nel mondo materiale e che menzionavi tu, come l’elettricità e il calore, e poi c’è la kundalini che è una forma di energia sottile. Le tre energie sono distinte, non intercambiabili. Analogamente, a livello molecolare, l’atomo contiene protoni elettroni e neutroni, che sono gli elementi di base e non sono intercambiabili.
Bob Churchill: Ci sono esperimenti che verifichino la dispersione di energia in un oggetto precedentemente caricato?
Con un dispositivo, sì, ma non a occhio nudo.
Possiamo spendere ancora un paio di parole sulle persone che praticano magia nera? Si tratta di persone che possiedono le sue stesse conoscenze ma le usano per fini malvagi? Perché lo fanno?
Hanno una volontà malvagia. Non usano esattamente tecniche di Pranic Healing, ma altre, e lo fanno per causare danni. Ma c’è anche chi cerca di far del male al prossimo con tecniche analoghe al Pranic Healing. Quando si applica l’energia con l’intenzione di fare del male si può notare una flessione nell’elettroencefalogramma e nell’elettrocardiogramma della persona, ma è un fenomeno temporaneo, che in seguito si normalizza.
Quanto è diffusa la magia nera, in India, o a Mumbai?
Non ci sono molte persone che la praticano. Forse una su un milione, forse meno.
A parte l’energia, una persona può anche ammalarsi a causa dell’attacco e della possessione da parte di uno spirito, magari indotto da una persona che pratica la magia nera?
È una questione di energia. Come ci sono un polo positivo e un polo negativo, ci sono angeli, dotati di un corpo di luce, con energia curativa e buone intenzioni, e ci sono esseri con energia negativa e la volontà di fare del male, che possono attaccare le persone con un’aura debole.
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Lo scambio con il pranic healer mi ha suggerito vari pensieri e riflessioni. Anzitutto, fin dai primi istanti dell’incontro mi ha colpito l’analogia degli ambienti, dei discorsi, e persino del modo di fare del giovane indiano, rispetto a quelli di un “guaritore coranico” altrettanto giovane che avevo intervistato a Casablanca per Query (31, 2017). La “guarigione coranica” è basata o sulla recitazione del testo sacro dell’Islam, a cui si attribuisce il potere di scacciare i demoni che causerebbero certe malattie (e che sarebbero manipolati da “stregoni” malvagi), o su pratiche “terapeutiche” tradizionali che sarebbero state elogiate dal Profeta dell’Islam, in particolare il salasso mediante coppette. Analogamente al “guaritore” di Casablanca, quello di Thane mi ha parlato di entità negative impiegate da “colleghi malvagi” come causa di alcune malattie e ha auspicato l’istituzionalizzazione statale della propria pratica sulla falsariga di quanto avviene in altri Paesi. Curiosamente, però, il “guaritore” marocchino si era rifatto al riconoscimento della “medicina alternativa” in Canada, Germania e Stati Uniti d’America, mentre quello indiano ha parlato come modello positivo degli Emirati Arabi Uniti. Ironia della globalizzazione!
Nel caso delle pratiche e delle teorie del pranic healer ho compreso tuttavia di essere di fronte a un prodotto più sincretico, “smaterializzato”, sofisticato, e, quindi, in ultima analisi, dal potenziale ancora più grande in termini di marketing e diffusione.
Laddove la “guarigione coranica” può avere un fascino soprattutto per chi si riconosce nell’Islam, il Pranic Healing “pesca” in diverse tradizioni, simbologie e iconografie: così, in occidente può sfruttare il fascino pregresso legato a una certa immagine dell’Asia come spirituale, mistica e magica, mentre chi vi si avvicini con un retroterra culturale cinese o indiano può sempre trovarvi elementi che lo fanno sentire culturalmente “a casa”: il profilo del fondatore, il richiamo ai chakra... Lo stesso vale per chi abbia credenze di tipo religioso, viste le affinità, sottolineate dal mio interlocutore, con il buddhismo, l’induismo, il cristianesimo, e più in generale la presenza di una nozione tipicamente religiosa come l’immortalità dell’anima.
Il Pranic Healing avanza una pretesa di scientificità legata anzitutto alle credenziali del fondatore, che però, a esaminare bene le parole del mio interlocutore, emerge un po’ come scienziato e un po’ come “profeta” (come suggeriscono i racconti di esperienze speciali fin da giovanissimo). I suoi ritratti presenti nel Centro mi sono sembrati oggetto di un ossequio religioso più che di un semplice omaggio storico e intellettuale. Analogamente, il mio intervistato ha parlato del proprio percorso professionale e di vita in termini che un po’ evocavano una formazione scientifica e un po’ un cammino di scoperta spirituale. C’è poi un’idea di istituzionalizzazione e trasmissione formale del sapere (il pranic healer ha ben precisato che non è possibile un Pranic Healing fai-da-te) che giustifica l’esistenza di scuole, corsi e workshop. Al tempo stesso, però, l’apprendimento è concettualizzato in modo incoraggiante anche per chi non dovesse essere troppo a suo agio rispetto all’idea di studiare e impegnarsi per un lungo periodo, visto che, come ha spiegato il mio interlocutore, per diventare healer non occorrono né talenti particolari, né corsi lunghi e tediosi, anzi, si può accedere ai primi livelli letteralmente dalla sera alla mattina (viene però da chiedersi se questa facilità di diffusione non possa ingenerare, nel lungo periodo, una saturazione del mercato, e in tal caso, come reagirebbero gli healer).
Tipica mi è sembrata la disinvoltura con cui il pranic healer passava da nozioni mediche o scientifiche vere e proprie, evocate da termini specifici (le malattie congenite, l’elettrolisi), a riferimenti ad enti totalmente inverificabili e dai nomi più “esotici” (i chakra, il prana). Speciale, e vantaggiosa rispetto ad altre forme di pseudomedicina, mi è sembrata invece l’assenza del contatto fisico o dell’uso di sostanze, macchinari o dispositivi. I “guaritori coranici” e chiunque altro intervenga sul corpo con strumenti tangibili, si espongono, in fin dei conti, a dei rischi, devono attenersi a certe pratiche igieniche, e devono investire denaro per attrezzarsi: il “mio” guaritore coranico, per esempio, mi aveva mostrato le coppette usa-e-getta per il salasso (che peraltro erano made in China, altro inequivocabile segno di globalizzazione), il lettino simile a quello degli ambulatori medici, e così via. Un pranic healer, che si limita a muovere le mani su un “paziente” (o che addirittura agisce a distanza!), è automaticamente messo al riparo da molti guai, non deve osservare procedure igieniche particolari, e le spese di avviamento e di gestione di un Centro come quello che ho visitato si limitano all’affitto dei locali, alle utenze e alla pubblicità.
Relativamente sofisticato, e astuto, ma non inconsueto, mi è suonato il modo in cui è stato concettualizzato il rapporto del Pranic Healing con la medicina “allopatica”, rispetto alla quale è posizionato come alternativa o come integrazione a seconda delle esigenze. Ai lettori non sarà inoltre sfuggito come il Pranic Healing di fatto si appoggi ai concetti e ai risultati della medicina “ufficiale” sia per certificare la gravità di una malattia e quindi la sua incurabilità attraverso il Pranic Healing stesso, sia per raccogliere le prove della perizia di un singolo guaritore che desideri progredire professionalmente. In questo senso il Pranic Healing vampirizza, per così dire, il prestigio della medicina “ufficiale” e al tempo stesso si evita tutti i problemi di immagine e concreti che potrebbero essere causati da un’opposizione troppo netta rispetto a teorie e pratiche mediche vere e proprie.
È anche vero, però, stando alla conversazione con il giovane di Thane, che alla “modestia” rispetto ad alcune malattie il Pranic Healing unisce una “baldanza” che non si riscontra in tutte le forme di guarigione “alternativa”: se si riconosce di non poter fare nulla rispetto alle malattie congenite, per esempio, non ci si fa scrupolo di includere il cancro e il diabete nell’elenco delle patologie che il Pranic Healing può trattare, anche se con alcune “clausole” che offrono scappatoie in caso di morte (la persona era troppo debole, il decesso è stato comunque “addolcito” dal Pranic Healing...). A questo proposito, mi è venuta in mente una forte analogia tra il ruolo del Pranic Healing rispetto alle malattie incurabili o allo stadio terminale, e quello di una credenza tipica di tutt’altro contesto culturale, che a prima vista sembrerebbe molto diversa. Mi riferisco alla devozione per la Santa Muerte in Messico, che ho approfondito qualche anno fa per Query (21, 2015). In quel caso i devoti pregano la personificazione della morte per scongiurare il decesso proprio o altrui. Quando però il presunto beneficiario delle preghiere muore, i fedeli trovano ugualmente motivo di esprimere gratitudine alla scheletrica Santa dichiarando che per lo meno la loro beniamina ha consentito un trapasso rapido e sereno. Mi sembra che l’idea del Pranic Healing come facilitatore di un buon decesso sia del tutto simile, e similmente inverificabile: gli interessati non possono tornare a raccontare la propria esperienza, e comunque, anche in caso di sofferenze visibili prima della dipartita, chi ha assistito i propri cari sul letto di morte si può immaginare una situazione peggiore rispetto alla quale cui i morenti, grazie appunto al Pranic Healing, sarebbero stati risparmiati. Senza contare che, in questo come in altri casi, l’“onere” di un possibile fallimento del Pranic Healing può sempre essere spostato sul paziente, sostenendo che che non era abbastanza predisposto, motivato, e così via. A dispetto della sua dichiarata modestia, al pari di altre forme di “guarigione”, il Pranic Healing vince sempre.
Sono doverose alcune precisazioni preliminari. Lascio in inglese l’espressione Pranic Healing (e pranic healer) per mantenere la distinzione rispetto alla pranoterapia: quest’ultima è un’espressione più generale, riferita alla presunta guarigione operata attraverso il “prana”, mentre il Pranic Healing è un insieme di discipline e pratiche sistematizzate da uno specifico autore (di cui si parla nell’intervista). Mi ha accompagnato e assistito Bob Churchill, all’epoca Direttore di Comunicazione e Campagne di Humanists International, ospite del convegno dell’ANiS, che ha anche posto alcune domande e che ringrazio sentitamente. Non desideravo un vero e proprio dibattito, e tantomeno una polemica, ma piuttosto un “documento etnografico” su cui riflettere successivamente, così mi sono proposto di rivolgere all’interlocutore domande critiche, ma non troppo incalzanti. Riporto il nostro scambio, così come l’ho potuto tradurre dalla registrazione (che metto a disposizione di chiunque sia interessato), omettendo parti ripetitive, acusticamente poco chiare, o di non grande rilevanza per comprendere il discorso in questione. Integro l’intervista con una serie di osservazioni critiche maturate in seguito all’esame attento dei tanti e diversi punti sollevati dal mio interlocutore.
Ci può raccontare un po’ il suo retroterra, gli studi, le attività?
Ho ventisette anni e il mio è un retroterra fondamentalmente scientifico. Ho un Master of Science [laurea magistrale] in Biochimica e un Advanced Diploma in Scienze dell’Alimentazione e Controllo della Qualità. Ho praticato yoga per quindici anni. Questo ha destato il mio interesse per le energie del nostro corpo astrale e i chakra [presunti ‘centri di energia’ del corpo, NdA], e quindi per il Pranic Healing, che pratico attualmente. Ci sono arrivato anche attraverso la meditazione, che mi ha permesso di conoscere meglio me stesso, e lo studio dei libri di pranic healers esperti, da cui ho appreso nuove tecniche di guarigione. Inizialmente ho frequentato dei corsi di base, per esempio dei workshop di due giorni, offerti in diversi posti a Mumbai.
Che cosa l’ha portata a interessarsi di quei corsi? C’era un interesse già in famiglia? O magari voleva integrare i suoi studi universitari? Sentiva che mancava qualcosa?
Si è trattato soprattutto di curiosità. Già all’epoca della scuola praticavo forme semplici di meditazione. Questo mi ha incuriosito rispetto a forme più profonde. Ho letto molti libri sulla spiritualità, per esempio di Jagannath Kunte, un autore indiano che ha viaggiato lungo il fiume Narmada e che descrive forme molto semplici di meditazione. Lui sostiene che se vuoi andare dalla sorgente alla foce di un fiume devi viaggiare per tre anni, tre mesi e tre giorni. Il Pranic Healing l’ho appreso dal Gran Maestro Choa Kok Sui [ingegnere e uomo d’affari cinese, 1952-2007] che è il padre del Pranic Healing moderno, che è una forma scientifica. In precedenza era praticato in tutto il mondo come una forma di arte.
Come definirebbe il prana per qualcuno che non ne sa nulla?
Prana è l’energia vitale che conferisce salute e vita a un corpo. In cinese si chiama chi, in giapponese ki. Per esempio il reiki fa riferimento a questa energia universale, dove ‘rei’ sta appunto per ‘universale’. Si chiama mana in lingua polinesiana. Il Grande Maestro ha reso quest’arte più scientifica.
Come? Attraverso esperimenti?
Sì, anche lui aveva un retroterra scientifico. Era un ingegnere chimico e, di professione, un uomo di affari. Condusse ricerche sull’energia fin dai tredici/quattordici anni, e scrisse molti libri tra cui l’autobiografia intitolata L’origine del moderno Pranic Healing ed Arhatic Yoga [così la traduzione in italiano: EIFIS editore, 2006]. Ebbe molte esperienze, per esempio i cosiddetti viaggi astrali nel sonno, viaggi verso diverse parti dell’universo che compiamo automaticamente quando dormiamo. Le sue ricerche sull’energia durarono più di vent’anni; arrivò a formulare tecniche, principi e procedure per guarire diverse malattie. Grazie a lui queste tecniche sono state ridotte a semplici “ricette” che si trovano nei suoi libri e che possono essere messe in atto seguendo dei passaggi semplici per ottenere l’effetto. A diverse affezioni, per esempio mal di testa, infezioni virali, polmoniti, cancro, corrispondono diverse procedure.
Mi può raccontare brevemente la storia e descrivere la struttura di questo Centro?
Il Centro fa parte del Gruppo di Pranic Healing di Thane. Lo abbiamo fondato insieme nel 2012. Io avevo appreso il Pranic Healing nel 2009. All’inizio eravamo in tre guaritori, abbiamo cominciato in una piccola sede, e praticavamo le guarigioni durante la settimana, mentre nel fine settimana offrivamo dei servizi di guarigione gratis per grandi gruppi, per attrarre nuove persone verso il Pranic Healing. E altri fine settimana erano dedicati alla meditazione. Attualmente lavoriamo dal lunedì alla domenica, dalla mattina alla sera. Ci sono quattro guaritori professionisti, inoltre quattro signore, che sono delle casalinghe, lavorano da casa, e praticano la guarigione a distanza. Guariscono persone che non sono fisicamente presenti. Al Centro pratichiamo sia la guarigione manuale [in presenza, NdA] sia a distanza. “Professionali” significa che quei guaritori hanno seguito dei programmi al termine dei quali hanno ricevuto un certificato. Nel fine settimana anche noi conduciamo dei workshop di due giorni ciascuno, dalle nove di mattina alle sei di sera, insegnando come guarire, i principi dell’anatomia, come funziona l’aura, come il corpo di energia influisce su quello fisico, e come guarire il corpo di energia in presenza o a distanza. Dopo avere completato diversi workshop, se sono interessati a diventare guaritori professionisti, ci sono dei programmi apposta, come per esempio uno chiamato Associated Certified Pranic Healer.
È possibile diventare un pranic healer senza formarsi attraverso un corso?
No, non è possibile. I libri sono scritti per chi ha seguito un corso. Una persona comune, senza avere ricevuto un insegnamento, non è in grado di decodificare certe istruzioni. Per esempio potrebbe leggere che per curare un ginocchio è necessaria una purificazione di un certo tipo. Ma ha bisogno di sapere in che cosa consiste quella purificazione, e per quello serve un insegnante.
Quindi il lavoro del fondatore è stato integrato da nuove scoperte, da nuova teoria e nuova pratica?
Certo. È una ricerca basata sui suoi libri che impegna persone in tutto il mondo.
Se ho ben capito diventare healer significa apprendere determinate tecniche, ma è richiesto anche un qualche tipo di “dono” con cui si nasce?
Non è richiesto, ma si può avere un talento particolare e allora si diventa healer in un tempo più breve. Ma non è che serva un’energia speciale che attraversa il corpo e che alcuni hanno e altri no.
Che cosa si cura presso questo Centro?
Tutti i tipi di malattia: da raffreddore e tosse di stagione, al diabete, al cancro cronico, e l’ipertensione; dai disturbi fisici a quelli psicologici, come stress (il più comune), allucinazioni, depressione, tendenze suicide, tossicomanie, ma anche magia nera.
In una sessione di terapia c’è un contatto fisico?
No. Questa terapia è completamente esente da contatto fisico e da farmaci. Fondamentalmente, il Pranic Healing si basa su due principi. Il primo principio è quello dell’autoguarigione. Secondo questo principio, ognuno è un guaritore nato. Quando abbiamo delle piccole ferite, guariscono da sé. Il corpo non richiede medicine, in caso di infezione o di altro problema la guarigione viene da sé grazie al sistema immunitario. Quando applichiamo il Pranic Healing acceleriamo la guarigione. Il secondo principio è quello dell’energia vitale. Quello che studiamo in fisica è che ogni oggetto, per essere spostato da un posto a un altro, richiede l’applicazione di una forza. Per accelerare la guarigione è necessaria una forza, e quella forza è l’energia vitale o prana. Più energia vitale una persona possiede nel corpo, più bassa è la probabilità che quella persona si ammali. E meno forza c’è, più ci si ammala. Chi fa molto esercizio si ammala meno facilmente di una persona pigra.
La cura a distanza è meno efficace?
No, la terapia manuale e quella a distanza ottengono gli stessi risultati.
Teoricamente si può guarire una persona dall’altra parte del pianeta, allora.
Sì, abbiamo pazienti a Londra, negli Stati Uniti...
Come fa il guaritore a stabilire una connessione a distanza?
La terapia a distanza si basa su due principi. Il primo è quello dell’interconnessione. Come noi abbiamo il corpo di energia, o bioplasmico, così ce l’ha la Terra, e siamo tutti parte di quel corpo energetico, risultando tutti internamente connessi nonostante la distanza. Come si trasferisce l’energia alla persona specifica? Qui interviene il secondo principio, quello della direzionalità. Secondo questo principio, l’energia segue il tuo pensiero. Qualunque pensiero tu generi, e qualunque intenzione tu formi, la tua energia si muoverà seguendolo.
Ma allora si può anche fare del male a qualcuno a distanza?
Sì. Se le intenzioni sono cattive. Questo è il principio su cui si basa la magia nera. Non entriamo nei dettagli: ma nel mondo ci sono dei praticanti di magia nera, che fanno del male al prossimo lavorando sull’aura. Diciamo che abusano di queste tecniche per fare il male.
Queste attività sono riconosciute a livello statale?
In India, no, ma in altri Paesi come gli Emirati Arabi Uniti mi sembra di sì. In India dovrebbe succedere presto.
Che relazione c’è tra il Pranic Healing che Lei offre e la medicina praticata negli ospedali? La descriverebbe come complementare, come alternativa, come in conflitto...?
Il Pranic Healing è complementare rispetto ad altre terapie, che siano allopatiche, ayurvediche, o omeopatiche.
Se qualcuno si presenta con una determinata malattia, gli raccomanda anche di recarsi presso un ospedale normale, “allopatico”?
La maggior parte delle persone, piuttosto, proviene da un ospedale normale. A volte viene qui mentre sta seguendo altre terapie presso un ospedale, qualche volta dopo che quelle terapie hanno fallito, e qualcuno viene da noi avendo già provato il Pranic Healing. Se il caso è serio, al paziente viene consigliato di assumere le medicine dell’ospedale e poi si comincia il Pranic Healing.
Bob Churchill: Serio quanto?
In tutti i casi diciamo loro di andare dal dottore, di farsi fare la diagnosi, e poi cominciamo la terapia. Se qualcuno per esempio lamenta dolori al petto, ma il Pranic Healing non li fa sparire, gli chiediamo di farsi visitare da un medico così da vedere se quei dolori hanno a che vedere con il cuore, con l’acidità...
Il Pranic Healing è fallibile? Ha dei limiti?
Sì. Tuttora il Pranic Healing non può curare malattie congenite.
Ma ci sono anche delle malattie organiche che il Pranic Healing non può trattare? Delle malattie di fronte alle quali non comincia nemmeno la terapia, o dice “questo non è il mio campo”?
Sì. È il caso dell’HIV. Ma possiamo guarire le malattie autoimmuni. Sono genetiche, a volte, ma abbiamo constatato dei grandi miglioramenti. In alcuni casi di cancro, la persona può morire nel processo, però possiamo lo stesso applicare la terapia per rendere il fine-vita più facile, meno doloroso, cosa di cui informiamo la famiglia.
Qual è la malattia più facile da guarire, e quale la più difficile? E in termini di numero di sedute?
Dipende da quanto è grave. Un esempio di guarigione facile è quella dal mal di testa dovuto, per esempio, allo stress da viaggio. Ci vogliono una o due sessioni. Ma un’emicrania che si è presentata per una dozzina d’anni può richiedere un numero maggiore di sedute.
Quanto questo processo dipende dalla persona che desidera guarire, dal suo convincimento, dalla sua volontà invece che dal guaritore?
La volontà influisce sicuramente. A volte può anche accadere che la persona sia troppo debole o malata, al punto che l’aura non può richiamare l’energia. Succede allora che qualunque terapia applichiamo, qualunque energia proiettiamo, l’aura non può accoglierla. È una cosa che si può vedere quando una persona è in punto di morte. In quel caso il processo non può essere invertito.
Tornando alla Sua formazione: secondo lei la biochimica e il Pranic Healing si armonizzano?
La mia formazione mi ha aiutato a comprendere come funziona il metabolismo nel corpo fisico, e ha reso l’applicazione del Pranic Healing più facile.
Riguardo a altri sistemi simili che si usano nel mondo, secondo Lei qual è la particolarità del Pranic Healing?
Il Pranic Healing è più scientifico. C’è più ricerca al riguardo, che viene svolta tuttora. Inoltre non presenta rischi per i guaritori. Consideriamo poi il rischio di contaminazione: per esempio, se sto guarendo una persona che ha dolore alle spalle, c’è il rischio che passi a me. Se uno tratta quel dolore, per esempio, con la tecnica cinese del Qi Gong, è previsto che il guaritore svuoti la propria riserva di energia per attuare la guarigione; è come avere un contenitore d’acqua e svuotarlo. Infatti, come scoprì il Maestro studiando la scuola del Qi Gong, molti dei suoi guaritori muoiono in giovane età. In India invece si adotta una tecnica differente; in questo caso è come se si pompasse acqua da una fonte esterna. Si riceve l’energia con una mano e la si proietta con l’altra, in una postura, o mudra, che vedi spesso nelle divinità indù. Così facendo, ci si connette alla fonte di energia naturale, che è illimitata, e la si canalizza. Questo spiega anche perché l’apprendimento del Pranic Healing è così rapido, al punto che si può cominciare alla mattina e alla sera già si esercita la guarigione.
Quando ha sentito di essere maturo abbastanza per lavorare in qualità di guaritore professionista, al punto di poter fondare e dirigere un Centro? Inoltre, si sente di avere completato la propria formazione, oppure può ancora progredire?
Non c’è limite allo sviluppo, ma sicuramente vedo che ho sviluppato più abilità. Al momento sono Pranic Healer certificato associato, e presto sarò Pranic Healer certificato. Per questo passaggio servono delle testimonianze, dei risultati medici, che provino che una persona era in una determinata condizione prima della terapia e che c’è stato un cambiamento. Per esempio nel livello di emoglobina. Non c’è, comunque, un limite al miglioramento. Quanto a quello che mi ha indotto a fondare questo Centro... Fin da bambino ho deciso che avrei fatto qualunque lavoro mi sarebbe piaciuto, ma non da dipendente. Ho cominciato con un lavoro part time, andando a domicilio o facendo venire i pazienti a casa mia. Ho capito che mi piaceva, che era la mia passione. Ho fondato il Centro per passione.
Se qualcuno si avvicina al Centro per imparare e fare a propria volta il guaritore, c’è una selezione?
Abbiamo, come ho detto, il programma di certificazione. Chi lo completa può essere da noi assunto come socio, e poi continuiamo ad alimentare ed allenare le sue capacità per svilupparle.
Ci sono, in India, persone o organizzazioni che si oppongono al Pranic Healing, che la criticano, o che competono?
No. Almeno a Mumbai.
Torniamo un attimo agli dèi che menzionava prima. Il Pranic Healing ha una relazione speciale con la religione, con l’induismo... O con il buddhismo, o qualunque altra religione? Vedo che qui nel Suo studio ci sono delle statuette di divinità.
No, il Pranic Healing è presente in tutte le culture. Ho delle statuette perché in India le teniamo dappertutto. Il Gran Maestro Choa Kok Sui ha estratto le tecniche e gli insegnamenti da tutte le culture, li ha integrati e ha mostrato la scienza su cui si basavano. In uno dei suoi libri menziona per esempio il dio indù con corpo umano e testa di elefante, Ganesha, in relazione all’attuale impossibilità scientifica di ottenere chirurgicamente una simile combinazione. Il Maestro sostiene che si tratti di un antico insegnamento che non ha a che vedere alla lettera con la pratica del trapianto ma è un simbolo dell’energia che fluisce dalla base della colonna vertebrale fino alla testa e che consente di diventare il Signore Ganesha. Ganesha è la prima divinità a cui ci rivolgiamo nei nostri rituali prima di cominciare un’attività. Ma analogamente, il Maestro riscontra insegnamenti rilevanti per il Pranic Healing nel Buddhismo: per esempio il Buddha indica un “ottuplice sentiero” e “quattro nobili verità”, che hanno a che vedere con la spiritualità, che è a propria volta distinta dalla religione. La religione aiuta a praticare la spiritualità ma le due cose non coincidono necessariamente. La stessa osservazione vale per il Cristianesimo, che contiene insegnamenti relativi alle energie, ai chakra. Non è corretto sostenere che il concetto di chakra sia esclusivamente indiano. E ancora, il Maestro ha riscontrato dei concetti rilevanti nella pratica dell’agopuntura...
...Che però qui non esercitate in quanto comporta contatto, vero?
Esatto.
Il Pranic Healing ha a che vedere con una qualche credenza in una vita dopo la morte? In quale forma?
Sì. Dopo la morte fisica continuiamo a esistere. [Mostra le illustrazioni di un libro]. Queste sono fotografie effettuate con la tecnica Kirlian, che consente di vedere l’aura di energia. Per esempio potete vedere che in questa fotografia l’aura di una persona sofferente di diabete è cambiata dopo dieci sedute di Pranic Healing. Nelle sedute insegniamo agli studenti a sentire l’aura. Anche le particelle biologicamente attive hanno un’aura. E quando due persone sono innamorate le loro aure si fondono in una sola. Questi non sono disegni, ma fotografie prese con un dispositivo GDV [Gas Discharge Visualization].
Ci sono delle differenze di genere? Un uomo cura meglio di una donna, o viceversa? O magari uomini curano meglio altri uomini...?
No.
Bob Churchill: Ha parlato prima della capacità del corpo di guarire sé stesso. In realtà anche la medicina “ufficiale” ha un concetto di questo tipo, visto che fa riferimento al sistema immunitario. Rispetto alla spiegazione medico-scientifica, la spiegazione offerta dal Pranic Healing come diverge, o che cosa aggiunge?
Ottima domanda. Torniamo al concetto di energia vitale. L’energia non si crea e non si distrugge ma può essere solo trasformata. Prendiamo per esempio l’elettrolisi. Sapete come funziona?
[Basandosi su ricordi del Liceo] È la separazione degli elementi di un composto attraverso la corrente elettrica...?
No, è come quello che succede con la batteria di un telefono. Quando la carichiamo, l’energia elettrica è trasformata in energia chimica. Quando la usiamo, l’energia chimica si converte in elettrica. Nella fotografia la luce viene convertita in energia chimica. Analogamente, quando applichiamo il Pranic Healing, l’energia vitale si presenta come luce. Quanto proiettiamo l’energia voi non vedete niente che fluisca dalla mia mano, ma la luce raggiunge, per esempio, la spalla di un soggetto, e quando la raggiunge l’energia della spalla è assimilata dalle cellule ed è convertita in energia chimica. Quindi, se proietto energia sul taglio che una persona ha in una mano, le sostanze chimiche necessarie alle cellule per una guarigione rapida vengono prodotte all’interno delle cellule stesse.
L’energia pranica non può essere immagazzinata?
Nel corpo, sì. Ma non in un dispositivo.
Insomma, non posso farci muovere un’automobile?
No, per nulla. Però è possibile immagazzinarla, o meglio applicarla, a particelle e a oggetti, come cristalli e gemme, che poi si possono indossare sotto forma di gioielli “caricati”.
Quindi la differenza tra questo tipo di energia e l’energia elettrica, o una forma di energia con cui si possono fare funzionare delle macchine, è che è più, per così dire... sottile?
Nel libro The Etheric Double [Arthur E. Powell, 1969] viene detto che la fonte suprema di energia è il sole, che irradia tre forme di energia. Una si chiama prana, una si chiama fohat, e una si chiama kundalini. La prima è quella che studiamo nel Pranic Healing, la seconda comprende tutte le forze che conosciamo nel mondo materiale e che menzionavi tu, come l’elettricità e il calore, e poi c’è la kundalini che è una forma di energia sottile. Le tre energie sono distinte, non intercambiabili. Analogamente, a livello molecolare, l’atomo contiene protoni elettroni e neutroni, che sono gli elementi di base e non sono intercambiabili.
Bob Churchill: Ci sono esperimenti che verifichino la dispersione di energia in un oggetto precedentemente caricato?
Con un dispositivo, sì, ma non a occhio nudo.
Possiamo spendere ancora un paio di parole sulle persone che praticano magia nera? Si tratta di persone che possiedono le sue stesse conoscenze ma le usano per fini malvagi? Perché lo fanno?
Hanno una volontà malvagia. Non usano esattamente tecniche di Pranic Healing, ma altre, e lo fanno per causare danni. Ma c’è anche chi cerca di far del male al prossimo con tecniche analoghe al Pranic Healing. Quando si applica l’energia con l’intenzione di fare del male si può notare una flessione nell’elettroencefalogramma e nell’elettrocardiogramma della persona, ma è un fenomeno temporaneo, che in seguito si normalizza.
Quanto è diffusa la magia nera, in India, o a Mumbai?
Non ci sono molte persone che la praticano. Forse una su un milione, forse meno.
A parte l’energia, una persona può anche ammalarsi a causa dell’attacco e della possessione da parte di uno spirito, magari indotto da una persona che pratica la magia nera?
È una questione di energia. Come ci sono un polo positivo e un polo negativo, ci sono angeli, dotati di un corpo di luce, con energia curativa e buone intenzioni, e ci sono esseri con energia negativa e la volontà di fare del male, che possono attaccare le persone con un’aura debole.
Lo scambio con il pranic healer mi ha suggerito vari pensieri e riflessioni. Anzitutto, fin dai primi istanti dell’incontro mi ha colpito l’analogia degli ambienti, dei discorsi, e persino del modo di fare del giovane indiano, rispetto a quelli di un “guaritore coranico” altrettanto giovane che avevo intervistato a Casablanca per Query (31, 2017). La “guarigione coranica” è basata o sulla recitazione del testo sacro dell’Islam, a cui si attribuisce il potere di scacciare i demoni che causerebbero certe malattie (e che sarebbero manipolati da “stregoni” malvagi), o su pratiche “terapeutiche” tradizionali che sarebbero state elogiate dal Profeta dell’Islam, in particolare il salasso mediante coppette. Analogamente al “guaritore” di Casablanca, quello di Thane mi ha parlato di entità negative impiegate da “colleghi malvagi” come causa di alcune malattie e ha auspicato l’istituzionalizzazione statale della propria pratica sulla falsariga di quanto avviene in altri Paesi. Curiosamente, però, il “guaritore” marocchino si era rifatto al riconoscimento della “medicina alternativa” in Canada, Germania e Stati Uniti d’America, mentre quello indiano ha parlato come modello positivo degli Emirati Arabi Uniti. Ironia della globalizzazione!
Nel caso delle pratiche e delle teorie del pranic healer ho compreso tuttavia di essere di fronte a un prodotto più sincretico, “smaterializzato”, sofisticato, e, quindi, in ultima analisi, dal potenziale ancora più grande in termini di marketing e diffusione.
Laddove la “guarigione coranica” può avere un fascino soprattutto per chi si riconosce nell’Islam, il Pranic Healing “pesca” in diverse tradizioni, simbologie e iconografie: così, in occidente può sfruttare il fascino pregresso legato a una certa immagine dell’Asia come spirituale, mistica e magica, mentre chi vi si avvicini con un retroterra culturale cinese o indiano può sempre trovarvi elementi che lo fanno sentire culturalmente “a casa”: il profilo del fondatore, il richiamo ai chakra... Lo stesso vale per chi abbia credenze di tipo religioso, viste le affinità, sottolineate dal mio interlocutore, con il buddhismo, l’induismo, il cristianesimo, e più in generale la presenza di una nozione tipicamente religiosa come l’immortalità dell’anima.
Il Pranic Healing avanza una pretesa di scientificità legata anzitutto alle credenziali del fondatore, che però, a esaminare bene le parole del mio interlocutore, emerge un po’ come scienziato e un po’ come “profeta” (come suggeriscono i racconti di esperienze speciali fin da giovanissimo). I suoi ritratti presenti nel Centro mi sono sembrati oggetto di un ossequio religioso più che di un semplice omaggio storico e intellettuale. Analogamente, il mio intervistato ha parlato del proprio percorso professionale e di vita in termini che un po’ evocavano una formazione scientifica e un po’ un cammino di scoperta spirituale. C’è poi un’idea di istituzionalizzazione e trasmissione formale del sapere (il pranic healer ha ben precisato che non è possibile un Pranic Healing fai-da-te) che giustifica l’esistenza di scuole, corsi e workshop. Al tempo stesso, però, l’apprendimento è concettualizzato in modo incoraggiante anche per chi non dovesse essere troppo a suo agio rispetto all’idea di studiare e impegnarsi per un lungo periodo, visto che, come ha spiegato il mio interlocutore, per diventare healer non occorrono né talenti particolari, né corsi lunghi e tediosi, anzi, si può accedere ai primi livelli letteralmente dalla sera alla mattina (viene però da chiedersi se questa facilità di diffusione non possa ingenerare, nel lungo periodo, una saturazione del mercato, e in tal caso, come reagirebbero gli healer).
Tipica mi è sembrata la disinvoltura con cui il pranic healer passava da nozioni mediche o scientifiche vere e proprie, evocate da termini specifici (le malattie congenite, l’elettrolisi), a riferimenti ad enti totalmente inverificabili e dai nomi più “esotici” (i chakra, il prana). Speciale, e vantaggiosa rispetto ad altre forme di pseudomedicina, mi è sembrata invece l’assenza del contatto fisico o dell’uso di sostanze, macchinari o dispositivi. I “guaritori coranici” e chiunque altro intervenga sul corpo con strumenti tangibili, si espongono, in fin dei conti, a dei rischi, devono attenersi a certe pratiche igieniche, e devono investire denaro per attrezzarsi: il “mio” guaritore coranico, per esempio, mi aveva mostrato le coppette usa-e-getta per il salasso (che peraltro erano made in China, altro inequivocabile segno di globalizzazione), il lettino simile a quello degli ambulatori medici, e così via. Un pranic healer, che si limita a muovere le mani su un “paziente” (o che addirittura agisce a distanza!), è automaticamente messo al riparo da molti guai, non deve osservare procedure igieniche particolari, e le spese di avviamento e di gestione di un Centro come quello che ho visitato si limitano all’affitto dei locali, alle utenze e alla pubblicità.
Relativamente sofisticato, e astuto, ma non inconsueto, mi è suonato il modo in cui è stato concettualizzato il rapporto del Pranic Healing con la medicina “allopatica”, rispetto alla quale è posizionato come alternativa o come integrazione a seconda delle esigenze. Ai lettori non sarà inoltre sfuggito come il Pranic Healing di fatto si appoggi ai concetti e ai risultati della medicina “ufficiale” sia per certificare la gravità di una malattia e quindi la sua incurabilità attraverso il Pranic Healing stesso, sia per raccogliere le prove della perizia di un singolo guaritore che desideri progredire professionalmente. In questo senso il Pranic Healing vampirizza, per così dire, il prestigio della medicina “ufficiale” e al tempo stesso si evita tutti i problemi di immagine e concreti che potrebbero essere causati da un’opposizione troppo netta rispetto a teorie e pratiche mediche vere e proprie.
È anche vero, però, stando alla conversazione con il giovane di Thane, che alla “modestia” rispetto ad alcune malattie il Pranic Healing unisce una “baldanza” che non si riscontra in tutte le forme di guarigione “alternativa”: se si riconosce di non poter fare nulla rispetto alle malattie congenite, per esempio, non ci si fa scrupolo di includere il cancro e il diabete nell’elenco delle patologie che il Pranic Healing può trattare, anche se con alcune “clausole” che offrono scappatoie in caso di morte (la persona era troppo debole, il decesso è stato comunque “addolcito” dal Pranic Healing...). A questo proposito, mi è venuta in mente una forte analogia tra il ruolo del Pranic Healing rispetto alle malattie incurabili o allo stadio terminale, e quello di una credenza tipica di tutt’altro contesto culturale, che a prima vista sembrerebbe molto diversa. Mi riferisco alla devozione per la Santa Muerte in Messico, che ho approfondito qualche anno fa per Query (21, 2015). In quel caso i devoti pregano la personificazione della morte per scongiurare il decesso proprio o altrui. Quando però il presunto beneficiario delle preghiere muore, i fedeli trovano ugualmente motivo di esprimere gratitudine alla scheletrica Santa dichiarando che per lo meno la loro beniamina ha consentito un trapasso rapido e sereno. Mi sembra che l’idea del Pranic Healing come facilitatore di un buon decesso sia del tutto simile, e similmente inverificabile: gli interessati non possono tornare a raccontare la propria esperienza, e comunque, anche in caso di sofferenze visibili prima della dipartita, chi ha assistito i propri cari sul letto di morte si può immaginare una situazione peggiore rispetto alla quale cui i morenti, grazie appunto al Pranic Healing, sarebbero stati risparmiati. Senza contare che, in questo come in altri casi, l’“onere” di un possibile fallimento del Pranic Healing può sempre essere spostato sul paziente, sostenendo che che non era abbastanza predisposto, motivato, e così via. A dispetto della sua dichiarata modestia, al pari di altre forme di “guarigione”, il Pranic Healing vince sempre.