I sindonologi la fanno da padroni su stampa e televisione, almeno in Italia. Lo si è visto una volta di più con l'atteggiamento dei media in relazione al documentario pasquale della Bbc (di cui presentiamo in questo numero ulteriore documentazione, cfr. articolo sul caso Ramsey). È possibile fare qualcosa per arginare la loro influenza? Si può provare a spiegare ai giornalisti che si sbagliano se pensano che i sindonologi siano da prendere sul serio.
Intervistato sulla Stampa (27 gennaio 2008), Pierluigi Baima Bollone, il più blasonato dei sindonologi italiani, alla domanda: «Che cosa depone assolutamente a sostegno di una Sindone compatibile con la storia di Gesù?», elencava quattro argomenti. Uno era quello delle «monete poste in corrispondenza delle palpebre, coniate nel 30 d.C., probabile anno di morte di Gesù». Il giornalista, che non conosce la letteratura sindonologica, può credere che la storia delle monete sia vera. Ma se gli si fornisce una descrizione un po' dettagliata delle vicende che hanno portato alla scoperta delle impronte, cioè della farsa che potete leggere nelle pagine che seguono, allora si può sperare che capisca non solo che le impronte non ci sono, ma anche, e più importante, che la sindonologia non è una cosa seria.
Un secondo argomento di Baima Bollone era quello dei pollini trovati sul lenzuolo: «sono di piante che nascono esclusivamente a Gerusalemme e in Anatolia». Questo argomento merita un'altra indagine (è in preparazione) con la quale si potranno spiegare ai giornalisti certe circostanze: Max Frei-Sulzer, l'autore delle scoperte sui pollini, era già screditato professionalmente quando venne a Torino nel 1973 per il primo prelievo (aveva dovuto lasciare il suo posto di responsabile del laboratorio scientifico della polizia di Zurigo, dopo che una sua incauta perizia in un processo per omicidio aveva fatto condannare all'ergastolo un imputato risultato poi innocente); i suoi metodi per l'esame dei pollini furono giudicati inadeguati; altri sindonologi dispongono in abbondanza di polveri prelevate dalla Sindone ma non hanno trovato conferme; infine gli stessi pollini prelevati da Frei sono stati riesaminati, sempre a cura dei sindonologi, con esito negativo. Insomma i sindonologi per primi dovrebbero sapere che nei pollini non c'è alcuna evidenza della provenienza orientale della Sindone, e se continuano a raccontarlo non possono essere presi sul serio.
Un terzo argomento è quello di un disegno dal codice Pray, un manoscritto latino del XII secolo proveniente da un monastero benedettino in Ungheria. I sindonologi dicono che chi ha fatto il disegno ha raffigurato la Sindone, tal quale, e quindi doveva averla vista già prima del 1200. Guardiamo il disegno che è qui riprodotto.
C'è sì un telo, nel quadro inferiore presso l'angelo, ma non ha niente che lo identifichi con la nostra Sindone. Naturalmente i teli sepolcrali di Gesù erano considerati bianchi e senza figura. Ma secondo i sindonologi la Sindone sarebbe da vedere nei due rettangoli sul bordo in basso, uno più grande e uno più piccolo. Lì ci sarebbe la Sindone piegata in due. Un giornalista dovrebbe capire da solo che non c'è niente di somigliante alla Sindone, ma se avesse dei dubbi basterà spiegargli che quella rappresentata è la scena delle donne che vanno al sepolcro di Gesù, la domenica mattina, e lo trovano vuoto. La stessa scena è stata raffigurata innumerevoli volte nel medioevo e si ripete sempre con gli stessi elementi: le tre donne, l'angelo e un sepolcro vuoto. Di regola il sepolcro era rappresentato come un sarcofago di pietra con il coperchio rimosso o spostato, come si vede ad esempio nelle altre due figure qui mostrate.
Nel disegno del codice Pray, lì dove i sindonologi credono di vedere la Sindone c'è il sepolcro vuoto con il coperchio spostato. Di certo è disegnato molto male, ma quella è la scena delle donne al sepolcro e il sepolcro deve per forza esserci. I sindonologi dovrebbero conoscere bene quell'episodio evangelico perché fu proprio da lì, secondo loro, che cominciò il viaggio della Sindone.
Il quarto argomento è quello che Baima Bollone elenca per primo: «Un tessuto del tutto compatibile e di datazione certa è conservato nel museo di Gerusalemme. Si giudica che provenga dallo stesso atelier di tessitura». In un'altra intervista, su una rivista svizzera (Le Nouvelliste, 1° marzo 2008), è ancora più esplicito: «Un tessuto perfettamente identico alla Sindone, proveniente dal forte di Masada (Israele) è conservato nel Museo di Gerusalemme. La sua datazione è stata verificata e tutti i dettagli della sua fabbricazione provano che viene dallo stesso atelier di tessitura come quello della Sindone». Come potete leggere nell'articolo di Antonio Lombatti, i sindonologi non sembrano essere molto competenti in fatto di archeologia giudaica. Quanto alla specifica affermazione di Baima Bollone, non è possibile verificarla se non viene fornito qualche dettaglio in più. Se vorrà indicare almeno in quale museo il tessuto è conservato, faremo una verifica e se, come ci aspettiamo, risulterà che a Gerusalemme non c'è alcun tessuto gemello di quello della Sindone, i giornalisti sapranno che non dovrebbero fidarsi a occhi chiusi quando intervistano un sindonologo.
Potremmo continuare con gli esempi. Ne vediamo ancora un paio. In un'intervista sul Tempo del 21 luglio 2008, la sindonologa Maria Grazia Siliato dice, a proposito del prelievo dei campioni per la datazione nel 1988: «Il peso medio della Sindone per centimetro quadrato è di 23/25 milligrammi. Il tessuto del prelievo è di 43/47 milligrammi. non era stato prelevato tessuto sindonico, bensì uno dei tanti rammendi storici, avvenuti in secoli diversi». Quelle operazioni di prelievo furono analizzate fin nei minimi dettagli dai sindonologi. Ci sono le fotografie dalle quali si può stimare in buona approssimazione la superficie dei vari pezzi tagliati, per i quali si conosce il peso con grande precisione. La densità che si ricava è appunto di 20 o poco più milligrammi per centimetro quadrato. Non si riesce a immaginare che un sindonologo non lo sappia.
Passiamo alla televisione che ha sempre avuto un ruolo importante nel propagandare la leggenda della Sindone. In questo 2008 la palma del programma peggiore va a un servizio trasmesso nella puntata di Voyager del 2 giugno su Raidue col titolo "Sindone, ultima frontiera". Ecco come veniva presentato sul sito della Rai: «Cosa lega la Sacra Sindone ai segreti dell'Universo? È possibile che da un antico lembo di stoffa si possano svelare i perché dell'esistenza dell'uomo? Una incredibile scoperta ha sconvolto, dalle fondamenta, le certezza del mondo accademico, stravolgendo le conoscenze e le convinzioni degli scienziati. Voyager racconta quanto è accaduto.»
Se da un programma come Voyager ci si può aspettare più di una concessione alla fantasia, la Sindone viene trattata in modo acritico anche in trasmissioni con ambizioni culturali. Il 17 ottobre su Raitre, in una puntata di Pianeta Files, Mario Tozzi ha presentato l'ipotesi avanzata da John Jackson per invalidare il test del C14, quella del monossido di carbonio (vedere a p. 55-56), e ne ha parlato come di una ipotesi promettente senza spiegare che è stata sottoposta a verifica a Oxford con esito negativo. Tozzi, geologo, è un ricercatore e un apprezzato divulgatore scientifico. Ci si aspetterebbe da lui qualcosa di meglio.
Citiamo infine Mizar, la "rubrica culturale del Tg2", che il 13 settembre ha intervistato la sindonologa Emanuela Marinelli, sola e senza contraddittorio. La Marinelli ha parlato della datazione medievale del 1988 e con fare sicuro e convincente ha spiegato che ci sono motivi per ritenere non valido il risultato medievale. Ha detto in primo luogo che il telo della Sindone è inquinato da "funghi e batteri". Come potete leggere a p. 52-53, la Marinelli nelle sue pubblicazioni aveva portato come prova di tale inquinamento un esperimento che, per quanto ci risulta, non è mai stato condotto.
Fra tutte le pseudoscienze, la sindonologia è quella che gode del maggiore favore nei media. Va fatto un elogio ai sindonologi che sanno vendere il loro prodotto. La chiave del loro successo sta in equivoco in cui i media cadono troppo facilmente quando presentano la sindonologia come se fosse una "scienza". In realtà sarebbe perfino generoso chiamarla una pseudoscienza. È una parodia della scienza. Potremmo chiamarla una "scienza buffa". Riusciranno mai i nostri giornalisti ad accorgersene?
Gian Marco Rinaldi
Intervistato sulla Stampa (27 gennaio 2008), Pierluigi Baima Bollone, il più blasonato dei sindonologi italiani, alla domanda: «Che cosa depone assolutamente a sostegno di una Sindone compatibile con la storia di Gesù?», elencava quattro argomenti. Uno era quello delle «monete poste in corrispondenza delle palpebre, coniate nel 30 d.C., probabile anno di morte di Gesù». Il giornalista, che non conosce la letteratura sindonologica, può credere che la storia delle monete sia vera. Ma se gli si fornisce una descrizione un po' dettagliata delle vicende che hanno portato alla scoperta delle impronte, cioè della farsa che potete leggere nelle pagine che seguono, allora si può sperare che capisca non solo che le impronte non ci sono, ma anche, e più importante, che la sindonologia non è una cosa seria.
Un secondo argomento di Baima Bollone era quello dei pollini trovati sul lenzuolo: «sono di piante che nascono esclusivamente a Gerusalemme e in Anatolia». Questo argomento merita un'altra indagine (è in preparazione) con la quale si potranno spiegare ai giornalisti certe circostanze: Max Frei-Sulzer, l'autore delle scoperte sui pollini, era già screditato professionalmente quando venne a Torino nel 1973 per il primo prelievo (aveva dovuto lasciare il suo posto di responsabile del laboratorio scientifico della polizia di Zurigo, dopo che una sua incauta perizia in un processo per omicidio aveva fatto condannare all'ergastolo un imputato risultato poi innocente); i suoi metodi per l'esame dei pollini furono giudicati inadeguati; altri sindonologi dispongono in abbondanza di polveri prelevate dalla Sindone ma non hanno trovato conferme; infine gli stessi pollini prelevati da Frei sono stati riesaminati, sempre a cura dei sindonologi, con esito negativo. Insomma i sindonologi per primi dovrebbero sapere che nei pollini non c'è alcuna evidenza della provenienza orientale della Sindone, e se continuano a raccontarlo non possono essere presi sul serio.
Un terzo argomento è quello di un disegno dal codice Pray, un manoscritto latino del XII secolo proveniente da un monastero benedettino in Ungheria. I sindonologi dicono che chi ha fatto il disegno ha raffigurato la Sindone, tal quale, e quindi doveva averla vista già prima del 1200. Guardiamo il disegno che è qui riprodotto.
C'è sì un telo, nel quadro inferiore presso l'angelo, ma non ha niente che lo identifichi con la nostra Sindone. Naturalmente i teli sepolcrali di Gesù erano considerati bianchi e senza figura. Ma secondo i sindonologi la Sindone sarebbe da vedere nei due rettangoli sul bordo in basso, uno più grande e uno più piccolo. Lì ci sarebbe la Sindone piegata in due. Un giornalista dovrebbe capire da solo che non c'è niente di somigliante alla Sindone, ma se avesse dei dubbi basterà spiegargli che quella rappresentata è la scena delle donne che vanno al sepolcro di Gesù, la domenica mattina, e lo trovano vuoto. La stessa scena è stata raffigurata innumerevoli volte nel medioevo e si ripete sempre con gli stessi elementi: le tre donne, l'angelo e un sepolcro vuoto. Di regola il sepolcro era rappresentato come un sarcofago di pietra con il coperchio rimosso o spostato, come si vede ad esempio nelle altre due figure qui mostrate.
Nel disegno del codice Pray, lì dove i sindonologi credono di vedere la Sindone c'è il sepolcro vuoto con il coperchio spostato. Di certo è disegnato molto male, ma quella è la scena delle donne al sepolcro e il sepolcro deve per forza esserci. I sindonologi dovrebbero conoscere bene quell'episodio evangelico perché fu proprio da lì, secondo loro, che cominciò il viaggio della Sindone.
Il quarto argomento è quello che Baima Bollone elenca per primo: «Un tessuto del tutto compatibile e di datazione certa è conservato nel museo di Gerusalemme. Si giudica che provenga dallo stesso atelier di tessitura». In un'altra intervista, su una rivista svizzera (Le Nouvelliste, 1° marzo 2008), è ancora più esplicito: «Un tessuto perfettamente identico alla Sindone, proveniente dal forte di Masada (Israele) è conservato nel Museo di Gerusalemme. La sua datazione è stata verificata e tutti i dettagli della sua fabbricazione provano che viene dallo stesso atelier di tessitura come quello della Sindone». Come potete leggere nell'articolo di Antonio Lombatti, i sindonologi non sembrano essere molto competenti in fatto di archeologia giudaica. Quanto alla specifica affermazione di Baima Bollone, non è possibile verificarla se non viene fornito qualche dettaglio in più. Se vorrà indicare almeno in quale museo il tessuto è conservato, faremo una verifica e se, come ci aspettiamo, risulterà che a Gerusalemme non c'è alcun tessuto gemello di quello della Sindone, i giornalisti sapranno che non dovrebbero fidarsi a occhi chiusi quando intervistano un sindonologo.
Potremmo continuare con gli esempi. Ne vediamo ancora un paio. In un'intervista sul Tempo del 21 luglio 2008, la sindonologa Maria Grazia Siliato dice, a proposito del prelievo dei campioni per la datazione nel 1988: «Il peso medio della Sindone per centimetro quadrato è di 23/25 milligrammi. Il tessuto del prelievo è di 43/47 milligrammi. non era stato prelevato tessuto sindonico, bensì uno dei tanti rammendi storici, avvenuti in secoli diversi». Quelle operazioni di prelievo furono analizzate fin nei minimi dettagli dai sindonologi. Ci sono le fotografie dalle quali si può stimare in buona approssimazione la superficie dei vari pezzi tagliati, per i quali si conosce il peso con grande precisione. La densità che si ricava è appunto di 20 o poco più milligrammi per centimetro quadrato. Non si riesce a immaginare che un sindonologo non lo sappia.
Passiamo alla televisione che ha sempre avuto un ruolo importante nel propagandare la leggenda della Sindone. In questo 2008 la palma del programma peggiore va a un servizio trasmesso nella puntata di Voyager del 2 giugno su Raidue col titolo "Sindone, ultima frontiera". Ecco come veniva presentato sul sito della Rai: «Cosa lega la Sacra Sindone ai segreti dell'Universo? È possibile che da un antico lembo di stoffa si possano svelare i perché dell'esistenza dell'uomo? Una incredibile scoperta ha sconvolto, dalle fondamenta, le certezza del mondo accademico, stravolgendo le conoscenze e le convinzioni degli scienziati. Voyager racconta quanto è accaduto.»
Se da un programma come Voyager ci si può aspettare più di una concessione alla fantasia, la Sindone viene trattata in modo acritico anche in trasmissioni con ambizioni culturali. Il 17 ottobre su Raitre, in una puntata di Pianeta Files, Mario Tozzi ha presentato l'ipotesi avanzata da John Jackson per invalidare il test del C14, quella del monossido di carbonio (vedere a p. 55-56), e ne ha parlato come di una ipotesi promettente senza spiegare che è stata sottoposta a verifica a Oxford con esito negativo. Tozzi, geologo, è un ricercatore e un apprezzato divulgatore scientifico. Ci si aspetterebbe da lui qualcosa di meglio.
Citiamo infine Mizar, la "rubrica culturale del Tg2", che il 13 settembre ha intervistato la sindonologa Emanuela Marinelli, sola e senza contraddittorio. La Marinelli ha parlato della datazione medievale del 1988 e con fare sicuro e convincente ha spiegato che ci sono motivi per ritenere non valido il risultato medievale. Ha detto in primo luogo che il telo della Sindone è inquinato da "funghi e batteri". Come potete leggere a p. 52-53, la Marinelli nelle sue pubblicazioni aveva portato come prova di tale inquinamento un esperimento che, per quanto ci risulta, non è mai stato condotto.
Fra tutte le pseudoscienze, la sindonologia è quella che gode del maggiore favore nei media. Va fatto un elogio ai sindonologi che sanno vendere il loro prodotto. La chiave del loro successo sta in equivoco in cui i media cadono troppo facilmente quando presentano la sindonologia come se fosse una "scienza". In realtà sarebbe perfino generoso chiamarla una pseudoscienza. È una parodia della scienza. Potremmo chiamarla una "scienza buffa". Riusciranno mai i nostri giornalisti ad accorgersene?
Gian Marco Rinaldi