Alcuni lettori scrivono: la parola paranormale finisce con l'allontanare persone dal Comitato perché fa pensare a un'associazione dedita alla magia e alle pseudoscienze.
ho letto sull’ultimo numero di S&P le opinioni dei lettori sull’eventuale cambio di nome del CICAP. Penso che, con un’adeguata campagna d’informazione, il cambio di nome non dovrebbe essere traumatico e anzi se ben studiato può portare un buon ritorno d’immagine. Tuttavia si potrebbe anche pensare di conservare la sigla CICAP cambiando però le parole, ad esempio: Comitato Italiano per il Controllo sulle Affermazioni Pseudo-Scientifiche conserverebbe il “logo” CICAP ma darebbe un’idea più chiara sul benemerito lavoro che fate.
Lo stesso può essere per la rivista: invece che Scienza&Paranormale potrebbe diventare Scienza&Pseudo-scienza rimarcando così ciò che si basa su affermazioni scientifiche e ciò che non lo è. Comunque sia credo che una modifica parziale o totale al nome del CICAP sia uno spunto da approfondire.
Alessio Lisi
Caro Massimo,
in riferimento alle discussioni sul possibile cambio di nome del CICAP e di S&P, pubblicate sui numeri 77 e 78 della nostra rivista, mi dichiaro assolutamente favorevole. I tempi sono cambiati e ci vuole ora un po’ di coraggio per modernizzare i nostri nomi. Riporto un aneddoto banale e forse un po’ ridicolo ma, credo, rappresentativo. Una settimana fa stavo leggendo l’ultimo numero di S&P durante un viaggio aereo. Beh, nei momenti di pausa dalla lettura mi veniva spontaneo tenere la rivista con la copertina rivolta verso il basso, per evitare possibili imbarazzi con i vicini di sedile alla vista del termine “Paranormale” (e stranamente questo imbarazzo non lo provavo fino a due o tre anni fa). Non sempre c’è modo/tempo/voglia di spiegare che i contenuti della rivista sono l’esatto opposto di quello che può apparire da un colpo d’occhio sul titolo (certo, il sottotitolo è chiarificatore, ma spesso il colpo d’occhio sul titolo è tutto ciò che si ha a disposizione). Per venire al sodo, ben venga CSI al posto di CICAP, per tutte le ragioni già delineate nelle discussioni precedenti (acronimo valido sia in inglese che in italiano e simpatica assonanza con la nota serie televisiva). Per quanto riguarda S&P, la mia proposta è Lo Scettico. Nessun motivo invece di cambiare l’ottimo sottotitolo attuale: “La rivista della scienza e della ragione”.
Come ricordava Maurizio Rondanini sul n. 78, sono numerosi gli esempi di cambi di brand seguiti da assoluto successo sul mercato. Anzi, spesso questi momenti di svolta costituiscono un’occasione in più per attirare l’attenzione dei media e comunicare con il grande pubblico.
Alessandro Alinone
in riferimento alle discussioni sul possibile cambio di nome del CICAP e di S&P, pubblicate sui numeri 77 e 78 della nostra rivista, mi dichiaro assolutamente favorevole. I tempi sono cambiati e ci vuole ora un po’ di coraggio per modernizzare i nostri nomi. Riporto un aneddoto banale e forse un po’ ridicolo ma, credo, rappresentativo. Una settimana fa stavo leggendo l’ultimo numero di S&P durante un viaggio aereo. Beh, nei momenti di pausa dalla lettura mi veniva spontaneo tenere la rivista con la copertina rivolta verso il basso, per evitare possibili imbarazzi con i vicini di sedile alla vista del termine “Paranormale” (e stranamente questo imbarazzo non lo provavo fino a due o tre anni fa). Non sempre c’è modo/tempo/voglia di spiegare che i contenuti della rivista sono l’esatto opposto di quello che può apparire da un colpo d’occhio sul titolo (certo, il sottotitolo è chiarificatore, ma spesso il colpo d’occhio sul titolo è tutto ciò che si ha a disposizione). Per venire al sodo, ben venga CSI al posto di CICAP, per tutte le ragioni già delineate nelle discussioni precedenti (acronimo valido sia in inglese che in italiano e simpatica assonanza con la nota serie televisiva). Per quanto riguarda S&P, la mia proposta è Lo Scettico. Nessun motivo invece di cambiare l’ottimo sottotitolo attuale: “La rivista della scienza e della ragione”.
Come ricordava Maurizio Rondanini sul n. 78, sono numerosi gli esempi di cambi di brand seguiti da assoluto successo sul mercato. Anzi, spesso questi momenti di svolta costituiscono un’occasione in più per attirare l’attenzione dei media e comunicare con il grande pubblico.
Alessandro Alinone
Caro Polidoro,
anch’io, purtroppo, devo ammettere che il nome CICAP si presta a equivoci e non chiarisce con immediata evidenza le finalità principali dell’associazione, che sono di negare l’esistenza dei fenomeni paranormali fino a prova scientifica contraria. Sono, quindi, favorevole a una modifica del nome, lasciando la parola “paranormale” ma affiancandola con la parola “scettici”. Ad esempio si potrebbe chiamare AISP (associazione indagatori scettici del paranormale o associazione italiana scettici sul paranormale). In questo modo, a mio modesto parere, pronunciata in trasmissioni televisive o radiofoniche cui partecipano suoi membri, risulterebbe subito chiarificatrice e tale da attrarre l’attenzione anche di chi, possibilista o meno sull’esistenza del paranormale, non vi ha ancora “messo a fuoco”.
Il fatto poi che l’associazione si occupi anche di altro è positivo e diciamo scontato e inevitabile, ma secondo me, la natura dell’attività principale deve risultare dal nome altrimenti si scade nel generico (scettico rispetto a che cosa?) e tale da generare nuovi equivoci.
Per quanto riguarda il nome della rivista, sono invece favorevole a un nome senza la parola “paranormale”, un pochino fastidioso da tenere in evidenza sulla scrivania, appunto perché molti che non sanno nulla di voi finiscono per equivocare credendoci ferventi creduloni, e più generico per esempio L’indagatore scettico lasciando inalterato il sottotitolo.
Giuse Mariotti
anch’io, purtroppo, devo ammettere che il nome CICAP si presta a equivoci e non chiarisce con immediata evidenza le finalità principali dell’associazione, che sono di negare l’esistenza dei fenomeni paranormali fino a prova scientifica contraria. Sono, quindi, favorevole a una modifica del nome, lasciando la parola “paranormale” ma affiancandola con la parola “scettici”. Ad esempio si potrebbe chiamare AISP (associazione indagatori scettici del paranormale o associazione italiana scettici sul paranormale). In questo modo, a mio modesto parere, pronunciata in trasmissioni televisive o radiofoniche cui partecipano suoi membri, risulterebbe subito chiarificatrice e tale da attrarre l’attenzione anche di chi, possibilista o meno sull’esistenza del paranormale, non vi ha ancora “messo a fuoco”.
Il fatto poi che l’associazione si occupi anche di altro è positivo e diciamo scontato e inevitabile, ma secondo me, la natura dell’attività principale deve risultare dal nome altrimenti si scade nel generico (scettico rispetto a che cosa?) e tale da generare nuovi equivoci.
Per quanto riguarda il nome della rivista, sono invece favorevole a un nome senza la parola “paranormale”, un pochino fastidioso da tenere in evidenza sulla scrivania, appunto perché molti che non sanno nulla di voi finiscono per equivocare credendoci ferventi creduloni, e più generico per esempio L’indagatore scettico lasciando inalterato il sottotitolo.
Giuse Mariotti
Cari amici del CICAP, è vero: in vent’anni le cose sono cambiate sul fronte della lotta ai ciarlatani e ai falsi miti. Molte battaglie sono state vinte grazie anche alla vostra opera di divulgazione scientifica, ma c’è ancora molto da fare per sconfiggere definitivamente chi si vuole approfittare dell’ingenuità delle persone. Questo perché i ciarlatani affinano sempre di più le loro tecniche e i miti si evolvono. Una volta c’erano i guaritori filippini, oggi ci sono i maghi in tv, così come un tempo c’era il mostro di Lochness e adesso ci sono i rettiliani di David Icke.
Senza parlare poi del problema delle pseudoscienze, o di quello delle varie tesi complottistiche che puntualmente si legano ai più sconcertanti fatti di cronaca. A mio modesto avviso, il modo migliore per arginare tutti questi fenomeni, nonché il punto dal quale partire per rinnovare l’opera del CICAP, è provare a rispondere a un semplice quesito: di chi è la colpa?
Mi spiego meglio, portando un esempio estremamente concreto e di attualità. Prendiamo uno dei tanti ricercatori precari che da anni manda avanti la ricerca in uno qualsiasi dei pur sempre prestigiosi atenei italiani. Trent’anni superati da un po’, laurea con lode, dottorato, qualche lavoro di ricerca pubblicato che gentilmente il professore del dipartimento gli ha concesso di firmare (a fronte delle decine su cui ha lavorato, ma che sono stati poi firmati da altri…), e mettiamoci pure un paio di SSIS fatte per disperazione, tanto per avere un’eventuale scialuppa di salvataggio come professore di scuola media e superiore... finanziamenti permettendo, s’intende. Stipendio del nostro eroico soggetto: 800 euro al mese in media. Eh sì, perché anche se gli assegni di ricerca arrivano fino a 1200 euro al mese, bisogna mettere nel conto i periodi in cui il nostro amico deve lavorare come “volontario” in attesa di rinnovo contrattuale, senza considerare poi le spese che deve sostenere durante tale “volontariato”.
Un bel giorno il nostro eroe si stufa della sua condizione lavorativa e si mette a fare il mago in TV, o meglio ancora, sfruttando il suo curriculum di ricercatore, entra nell’industria dei prodotti omeopatici. Domanda: voi del CICAP vi sentireste di condannarlo? E per cosa? Il bene della scienza sarà anche estremamente prezioso, ma serve poco quando si deve fare la spesa. E, in ultima analisi, di chi sarebbe la colpa di quest’alto tradimento nei confronti della scienza e della ragione? Credo che i membri del vostro Comitato inseriti nel mondo accademico potrebbero affrontare in maniera esauriente la questione.
Massimo Tumiati
Senza parlare poi del problema delle pseudoscienze, o di quello delle varie tesi complottistiche che puntualmente si legano ai più sconcertanti fatti di cronaca. A mio modesto avviso, il modo migliore per arginare tutti questi fenomeni, nonché il punto dal quale partire per rinnovare l’opera del CICAP, è provare a rispondere a un semplice quesito: di chi è la colpa?
Mi spiego meglio, portando un esempio estremamente concreto e di attualità. Prendiamo uno dei tanti ricercatori precari che da anni manda avanti la ricerca in uno qualsiasi dei pur sempre prestigiosi atenei italiani. Trent’anni superati da un po’, laurea con lode, dottorato, qualche lavoro di ricerca pubblicato che gentilmente il professore del dipartimento gli ha concesso di firmare (a fronte delle decine su cui ha lavorato, ma che sono stati poi firmati da altri…), e mettiamoci pure un paio di SSIS fatte per disperazione, tanto per avere un’eventuale scialuppa di salvataggio come professore di scuola media e superiore... finanziamenti permettendo, s’intende. Stipendio del nostro eroico soggetto: 800 euro al mese in media. Eh sì, perché anche se gli assegni di ricerca arrivano fino a 1200 euro al mese, bisogna mettere nel conto i periodi in cui il nostro amico deve lavorare come “volontario” in attesa di rinnovo contrattuale, senza considerare poi le spese che deve sostenere durante tale “volontariato”.
Un bel giorno il nostro eroe si stufa della sua condizione lavorativa e si mette a fare il mago in TV, o meglio ancora, sfruttando il suo curriculum di ricercatore, entra nell’industria dei prodotti omeopatici. Domanda: voi del CICAP vi sentireste di condannarlo? E per cosa? Il bene della scienza sarà anche estremamente prezioso, ma serve poco quando si deve fare la spesa. E, in ultima analisi, di chi sarebbe la colpa di quest’alto tradimento nei confronti della scienza e della ragione? Credo che i membri del vostro Comitato inseriti nel mondo accademico potrebbero affrontare in maniera esauriente la questione.
Massimo Tumiati
Caro Massimo, mi cimento anch’io sul tema del rinnovamento del CICAP, solo che ho bisogno di fare qualche premessa, prima di trasmettere le mie osservazioni.
Io non sono diventato scettico con il tempo, i miei ricordi mi portano a rammentare che già prima dei diciotto anni ero scettico, anzi forse più incredulo che scettico. A quei tempi, cercavo di far ragionare i miei coetanei, ma via via che il tempo passava, mi rendevo conto che tutto era ribaltato, nel senso che i miei interlocutori mi chiedevano di dimostrare l’inesistenza di quanto da loro affermato, invece del contrario. In questi casi uno degli esempi che usavo era: «Ieri ho visto un asino che volava…» e chiedevo loro di dimostrarmi che non era vero. Tutto inutile.
Mi sono adattato a convivere con questa maggioranza di persone, e ho preso l’abitudine di rinunciare a discutere, tanto gli interlocutori creduloni non cambiavano idea, mentre con i pochissimi scettici incontrati, si può ragionare pacatamente.
Le stringate premesse di cui sopra per dire che secondo me, tenere in vita il CICAP, pubblicare i vostri bellissimi libri con l’illusione di cambiare le opinioni di chi non è scettico, è un’utopia.
Allora il problema diventa: eliminiamo il CICAP e i preziosi libri che voi autori scrivete per noi scettici già convinti ? E no, il CICAP e i libri servono molto, ma l’avvicinarsi al CICAP e alle sue pubblicazioni da parte del pubblico più illuminato (perdonami la presunzione) deve essere solo ed esclusivamente spontaneo: i libri e il Comitato devono offrire delle spiegazioni a noi scettici, che abbiamo la curiosità di sapere come potrebbero essere accadute o provocate certe situazioni pur sapendo che si tratta di bufale.
In sostanza, ad esempio io ho sempre saputo benissimo che i prestigiatori sono degli abili (e molti anche simpatici) “imbroglioni” e con la lettura delle pubblicazioni del CICAP e la frequenza del corso per investigatori, ho anche capito (in alcuni casi) i loro trucchi, ma rimane la questione sostanziale: mai e poi mai il CICAP o qualcuno dei suoi libri farà cambiare idea a un credulone.
Per questo considero assolutamente ininfluente che il nome del CICAP debba essere orecchiabile e/o facile da ricordare: chi ha qualche dubbio e se lo vuole togliere, sarà lui a cercarci. Lo stesso vale per la religione, chi crede ha un dogma inserito nel cervello, e se gli vengono dei dubbi o anche delle semplici perplessità, sa benissimo come fare per documentarsi. Non è nostro compito, sempre secondo il mio modesto parere, instillare il dubbio nelle persone, il nostro compito deve essere quello della costante presenza e del costante esempio di coerenza scettica; poi chi vuole può informarsi e trarre le proprie conclusioni liberamente, senza forzature da parte nostra. Non è il faro che va a cercare i marinai, noi dovremmo comportarci come il faro che i genovesi chiamano “A Lanterna” (anche questa potrebbe essere una sigla per il CICAP) verso la quale il marinaio avveduto cerca l’approdo.
Pino Pisani
Io non sono diventato scettico con il tempo, i miei ricordi mi portano a rammentare che già prima dei diciotto anni ero scettico, anzi forse più incredulo che scettico. A quei tempi, cercavo di far ragionare i miei coetanei, ma via via che il tempo passava, mi rendevo conto che tutto era ribaltato, nel senso che i miei interlocutori mi chiedevano di dimostrare l’inesistenza di quanto da loro affermato, invece del contrario. In questi casi uno degli esempi che usavo era: «Ieri ho visto un asino che volava…» e chiedevo loro di dimostrarmi che non era vero. Tutto inutile.
Mi sono adattato a convivere con questa maggioranza di persone, e ho preso l’abitudine di rinunciare a discutere, tanto gli interlocutori creduloni non cambiavano idea, mentre con i pochissimi scettici incontrati, si può ragionare pacatamente.
Le stringate premesse di cui sopra per dire che secondo me, tenere in vita il CICAP, pubblicare i vostri bellissimi libri con l’illusione di cambiare le opinioni di chi non è scettico, è un’utopia.
Allora il problema diventa: eliminiamo il CICAP e i preziosi libri che voi autori scrivete per noi scettici già convinti ? E no, il CICAP e i libri servono molto, ma l’avvicinarsi al CICAP e alle sue pubblicazioni da parte del pubblico più illuminato (perdonami la presunzione) deve essere solo ed esclusivamente spontaneo: i libri e il Comitato devono offrire delle spiegazioni a noi scettici, che abbiamo la curiosità di sapere come potrebbero essere accadute o provocate certe situazioni pur sapendo che si tratta di bufale.
In sostanza, ad esempio io ho sempre saputo benissimo che i prestigiatori sono degli abili (e molti anche simpatici) “imbroglioni” e con la lettura delle pubblicazioni del CICAP e la frequenza del corso per investigatori, ho anche capito (in alcuni casi) i loro trucchi, ma rimane la questione sostanziale: mai e poi mai il CICAP o qualcuno dei suoi libri farà cambiare idea a un credulone.
Per questo considero assolutamente ininfluente che il nome del CICAP debba essere orecchiabile e/o facile da ricordare: chi ha qualche dubbio e se lo vuole togliere, sarà lui a cercarci. Lo stesso vale per la religione, chi crede ha un dogma inserito nel cervello, e se gli vengono dei dubbi o anche delle semplici perplessità, sa benissimo come fare per documentarsi. Non è nostro compito, sempre secondo il mio modesto parere, instillare il dubbio nelle persone, il nostro compito deve essere quello della costante presenza e del costante esempio di coerenza scettica; poi chi vuole può informarsi e trarre le proprie conclusioni liberamente, senza forzature da parte nostra. Non è il faro che va a cercare i marinai, noi dovremmo comportarci come il faro che i genovesi chiamano “A Lanterna” (anche questa potrebbe essere una sigla per il CICAP) verso la quale il marinaio avveduto cerca l’approdo.
Pino Pisani
Mi fa particolarmente piacere che il tema del rinnovamento del Comitato abbia suscitato un interesse ampio. Come è ovvio, lo si vede anche dalle lettere che pubblichiamo, i pareri sulle scelte da intraprendere possono essere diversi, ma comunque la partecipazione è già un bel segnale della vitalità del CICAP: proprio per dare spazio alla discussione e allo scambio di idee tra noi su questi argomenti abbiamo organizzato a Torino nel mese di novembre la Prima assemblea nazionale dei soci CICAP. Sarà un’occasione per rincontrarci, nella quale tutti potranno portare il loro contributo di idee e di proposte per costruire insieme il CICAP dei prossimi 20 anni. A presto!