Come si comunica la scienza? è il titolo che Yurij Castelfranchi e Nico Pitrelli hanno scelto per il loro volume edito da Editori Laterza. Sembrerebbe un manuale per conoscere i trucchi del mestiere del comunicatore scientifico. Invece è molto di più. I due autori presentano un quadro lucido e chiaro di come la comunicazione ricopra inevitabilmente un ruolo essenziale per la scienza e la società, attraverso una serie di dinamiche estremamente complesse. Per farlo viene presentata l'evoluzione di queste dinamiche nel corso della storia. Dalle prime conferenze pubbliche alle "camere delle meraviglie" del Cinquecento, dai primi volumi divulgativi scritti da scienziati come Galileo Galilei alla nascita delle Accademie nazionali nel Seicento, dall'Encyclopédie di Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert ai primi quotidiani nel secolo dei lumi, viene mostrato come la comunicazione abbia sempre accompagnato e influenzato il modo di fare scienza.
Quale comunicazione? Quella, fondamentale, che avviene all'interno della comunità degli scienziati con conseguente circolazione, confronto e scontro di teorie, e quella, non meno significativa, rivolta ai cittadini. Nel volume viene presentata una sintesi delle ricerche che giungono dal campo della sociologia, della storia e della filosofia della scienza, in cui viene mostrato come il modo di intendere la comunicazione, l'immagine di come funzioni la scienza e la visione di come sia il pubblico abbiano creato dei particolari modelli per la divulgazione scientifica. Il cosiddetto modello del "deficit", nato nella seconda metà dell'Ottocento, è stato il modello di riferimento che ha prevalso fin quasi ai giorni nostri, e che ancora oggi viene adottato da molti comunicatori della scienza. Tra le ipotesi da cui si è sviluppato questo modello c'è un'immagine del pubblico visto come una massa omogenea di persone tutte caratterizzate da una lacuna culturale da riempire. Ma, come si legge sulle pagine del libro, questa visione del pubblico è destinata a cambiare radicalmente. Anche perché nel frattempo, in particolare dal secondo dopoguerra, la società e il modo di fare scienza sono pure loro cambiati radicalmente. Gli autori disegnano un quadro attuale dove appare una scienza non più legata a concetti come la curiosità o l'amore della conoscenza, ma piuttosto alle regole del marketing. La scienza è sempre più tecnoscienza, «gestita e finanziata in un regime dominante di globalizzazione e privatizzazione»; in un contesto in cui le università diventano sempre più luoghi che forniscono "prodotti", capita che i ricercatori scendano in piazza per far sentire la loro voce, per influenzare l'esito di un referendum o per chiedere maggiori fondi per la loro ricerca. E capita anche che i cittadini facciano nascere associazioni o gruppi di pressione in grado di influenzare o addirittura finanziare particolari ricerche scientifiche. Alla luce di un quadro del genere, estremamente complesso, viene poi affrontata la questione: chi può aiutare i decisori politici a prendere delle decisioni su temi scientifici, specialmente se controversi all'interno della stessa comunità scientifica? Viene a questo punto presentata la tendenza che sta prendendo piede negli ultimi anni, di impiegare «discussioni e conflitti che avvengono in comunità ampliate di pari, abitate da soggetti con obiettivi, linguaggi, visioni del mondo diversi». Nascono così le "conferenze di consenso" e il modello del deficit, che prevedeva un pubblico che il divulgatore scientifico doveva alfabetizzare, viene superato da un nuovo modello che considera un pubblico molto diversificato con cui interagire e dialogare.
Oggi la comunicazione è merce preziosa. Lo dimostrano il numero sempre maggiore di uffici stampa di cui si dotano i centri di ricerca o le cifre astronomiche spese dalle imprese multinazionali per pubblicizzare i loro prodotti. Inoltre, la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali sulla scienza funziona solo se funziona la comunicazione. Il comunicatore della scienza oggi non deve, quindi, solo sapere semplificare un concetto scientifico, ma deve svolgere un ruolo ben più delicato e complesso. Come si comunica la scienza? rappresenta un utile strumento per iniziare a definire tale ruolo.
Quale comunicazione? Quella, fondamentale, che avviene all'interno della comunità degli scienziati con conseguente circolazione, confronto e scontro di teorie, e quella, non meno significativa, rivolta ai cittadini. Nel volume viene presentata una sintesi delle ricerche che giungono dal campo della sociologia, della storia e della filosofia della scienza, in cui viene mostrato come il modo di intendere la comunicazione, l'immagine di come funzioni la scienza e la visione di come sia il pubblico abbiano creato dei particolari modelli per la divulgazione scientifica. Il cosiddetto modello del "deficit", nato nella seconda metà dell'Ottocento, è stato il modello di riferimento che ha prevalso fin quasi ai giorni nostri, e che ancora oggi viene adottato da molti comunicatori della scienza. Tra le ipotesi da cui si è sviluppato questo modello c'è un'immagine del pubblico visto come una massa omogenea di persone tutte caratterizzate da una lacuna culturale da riempire. Ma, come si legge sulle pagine del libro, questa visione del pubblico è destinata a cambiare radicalmente. Anche perché nel frattempo, in particolare dal secondo dopoguerra, la società e il modo di fare scienza sono pure loro cambiati radicalmente. Gli autori disegnano un quadro attuale dove appare una scienza non più legata a concetti come la curiosità o l'amore della conoscenza, ma piuttosto alle regole del marketing. La scienza è sempre più tecnoscienza, «gestita e finanziata in un regime dominante di globalizzazione e privatizzazione»; in un contesto in cui le università diventano sempre più luoghi che forniscono "prodotti", capita che i ricercatori scendano in piazza per far sentire la loro voce, per influenzare l'esito di un referendum o per chiedere maggiori fondi per la loro ricerca. E capita anche che i cittadini facciano nascere associazioni o gruppi di pressione in grado di influenzare o addirittura finanziare particolari ricerche scientifiche. Alla luce di un quadro del genere, estremamente complesso, viene poi affrontata la questione: chi può aiutare i decisori politici a prendere delle decisioni su temi scientifici, specialmente se controversi all'interno della stessa comunità scientifica? Viene a questo punto presentata la tendenza che sta prendendo piede negli ultimi anni, di impiegare «discussioni e conflitti che avvengono in comunità ampliate di pari, abitate da soggetti con obiettivi, linguaggi, visioni del mondo diversi». Nascono così le "conferenze di consenso" e il modello del deficit, che prevedeva un pubblico che il divulgatore scientifico doveva alfabetizzare, viene superato da un nuovo modello che considera un pubblico molto diversificato con cui interagire e dialogare.
Oggi la comunicazione è merce preziosa. Lo dimostrano il numero sempre maggiore di uffici stampa di cui si dotano i centri di ricerca o le cifre astronomiche spese dalle imprese multinazionali per pubblicizzare i loro prodotti. Inoltre, la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali sulla scienza funziona solo se funziona la comunicazione. Il comunicatore della scienza oggi non deve, quindi, solo sapere semplificare un concetto scientifico, ma deve svolgere un ruolo ben più delicato e complesso. Come si comunica la scienza? rappresenta un utile strumento per iniziare a definire tale ruolo.