Tutto è pronto per l'evocazione medianica. Silenzio, poi la frase di rito: «Se ci sei, batti un colpo!» Ma dall'aldilà, nessuna risposta. Cosa dovremmo dedurne? Che lo spirito evocato in realtà non esiste? Non potrebbe essere semplicemente un po' sordo?
Colto da questo dubbio, ho escluso di rivolgermi a una sede Amplifon® specializzata in casi medianici, optando piuttosto per il vecchio metodo della nonna: il "conetto di cera d'api" per la pulizia delle orecchie.
La posologia lo rendeva perfetto per le mie esigenze: «La pulizia dell'orecchio con i coni di cera d'api è un metodo conosciuto fin dai tempi antichi in tutto il mondo». La sapienza antica al servizio dell'igiene: non potevo chiedere di meglio. D'altronde, i pubblicitari sanno che si possono sfruttare due punti di forza opposti; lo stesso risultato a effetto sarebbe stato raggiunto da un jingle che recitasse: «La pulizia dell'orecchio con i coni di cera d'api è l'ultimo ritrovato della tecnica, qualcosa che al mondo non si era mai visto prima».
Antichissimo o mai visto prima, quello che conta è la fiducia in chi l'ha realizzato. Lo stesso che sul foglietto allegato al prodotto spiega in dettaglio i fondamenti scientifici del mezzo: «Il metodo sfrutta il calore e il fumo sprigionati dalla combustione delle pareti del cono. Il fumo ammorbidisce il cerume che si crea nella zona del timpano, mentre la combustione crea una aspirazione verso l'esterno per effetto delle mutevoli condizioni di depressione all'interno».
Non conoscendo la posizione nello spazio dello spirito, avrei potuto semplicemente appoggiare il conetto a un posacenere e dargli fuoco; pensai però che avrebbe aggiunto un tocco trash alla scena la presenza del mio teschietto di fiducia - il buon Roger, compagno di mille scherzi orrorifici infantili.
Introdotto il conetto nei pressi dell'orecchio di Roger, attesi che la combustione risucchiasse quanto lo spirito audioleso avesse rilasciato dalle sue cavità auricolari. Al termine dell'operazione, Roger non sembrava minimamente turbato, e cominciai a sospettare che l'intervento non fosse andato a buon fine.
Memore dei consigli della nonna, spensi il conetto ormai quasi completamente bruciato e ne estrassi il contenuto per verificare l'avvenuta aspirazione.
Come atteso, una poltiglia marroncina (e consistente con l'aspetto del cerume) sfidava qualsiasi scetticismo: era di fronte ai miei occhi. Un apporto medianico senza precedenti nella letteratura parapsicologica. O no?
Elio, leader dell'omonimo gruppo musicale Elio e le Storie Tese, elenca tra le abitudini che tutti hanno ma negano di avere quella di soffiarsi il naso e di controllare quanto si è prodotto[1]. È questa usanza a conferire una fallace conferma all'efficacia dei conetti di cera: io stesso fui sottoposto più volte a questa terapia dolce durante la mia infanzia, e ricordo distintamente la soddisfazione finale di esaminare la torcia ormai combusta per ritrovarvi l'osceno panetto di cerume - una soddisfazione direttamente proporzionale alla sua quantità e consistenza; la stessa provata dai pazienti sottoposti alle operazioni chirurgiche eseguite da abili guaritori filippini, che non mancavano mai di esibire - in tutta la loro cruenza - le interiora malate, ora estratte dal corpo del paziente.
In questo caso, la fiducia nel rimasuglio marroncino è mal riposta. È un esperimento che può fare chiunque, al solo prezzo di una confezione di due conetti di cera. Dapprima si sperimenti la procedura esattamente come descritto nel foglietto di istruzioni contenuto nella confezione: al termine si esamini il residuo all'interno del cono e lo si conservi. Si ripeta la stessa procedura con un cono tenuto tra le dita, con l'accortezza di chiuderne il fondo ripiegandone da un lato la punta: al termine di questa seconda procedura, si estragga il contenuto residuo.
Un confronto dei due campioni estratti rivelerà che non c'è alcuna differenza percepibile ad occhio nudo. Sorge il dubbio che il residuo non sia altro che la cera colata dall'interno del dispositivo e depositata al fondo del conetto. E se nel primo caso la cera fosse mista al cerume proveniente dall'orecchio?
Su Skeptical Inquirer[2] Philippe Kaushall e Justine Neville Kaushall raccontano di un terzo esperimento: un conetto appositamente modificato viene introdotto nell'altro orecchio della persona coinvolta nella prima fase dell'esperimento. La modifica consiste nell'introduzione di un tubetto di un diametro tale da poter essere fissato saldamente - nella sua parte inferiore - alle pareti del cono; tale tubetto non impedisce la supposta "suzione" da parte del dispositivo, ma evita che la cera che cola lungo le pareti interne possa depositarsi nella parte inferiore del cono.
Con questa accortezza, nessun residuo è più visibile dopo la combustione: ciò prova il fatto che la cera identificata durante i primi due esperimenti proveniva tutta dall'interno del cono e non dalla fonte per cui viene pubblicizzata - l'orecchio.
Già nel 1996 tre ricercatori avevano progettato un avveniristico "Ear Canal Model" all'interno del quale aveva eseguito misure "timpanometriche" per scoprire che durante l'uso dei conetti all'interno dell'orecchio non si creava alcuna alterazione di pressione[3]. Al contrario, tramite una serie di interviste a oltre cento otorini, era venuto alla luce il fatto che ben dodici individui si erano procurati danni all'orecchio per l'uso che avevano fatto del bizzarro dispositivo.
A fronte di cotanti studi, l'invito alla prudenza è d'obbligo: chi ha orecchie per intendere, intenda; chi non le ha. farebbe meglio a rivolgersi ad altri metodi!
Colto da questo dubbio, ho escluso di rivolgermi a una sede Amplifon® specializzata in casi medianici, optando piuttosto per il vecchio metodo della nonna: il "conetto di cera d'api" per la pulizia delle orecchie.
La posologia lo rendeva perfetto per le mie esigenze: «La pulizia dell'orecchio con i coni di cera d'api è un metodo conosciuto fin dai tempi antichi in tutto il mondo». La sapienza antica al servizio dell'igiene: non potevo chiedere di meglio. D'altronde, i pubblicitari sanno che si possono sfruttare due punti di forza opposti; lo stesso risultato a effetto sarebbe stato raggiunto da un jingle che recitasse: «La pulizia dell'orecchio con i coni di cera d'api è l'ultimo ritrovato della tecnica, qualcosa che al mondo non si era mai visto prima».
Antichissimo o mai visto prima, quello che conta è la fiducia in chi l'ha realizzato. Lo stesso che sul foglietto allegato al prodotto spiega in dettaglio i fondamenti scientifici del mezzo: «Il metodo sfrutta il calore e il fumo sprigionati dalla combustione delle pareti del cono. Il fumo ammorbidisce il cerume che si crea nella zona del timpano, mentre la combustione crea una aspirazione verso l'esterno per effetto delle mutevoli condizioni di depressione all'interno».
Non conoscendo la posizione nello spazio dello spirito, avrei potuto semplicemente appoggiare il conetto a un posacenere e dargli fuoco; pensai però che avrebbe aggiunto un tocco trash alla scena la presenza del mio teschietto di fiducia - il buon Roger, compagno di mille scherzi orrorifici infantili.
Introdotto il conetto nei pressi dell'orecchio di Roger, attesi che la combustione risucchiasse quanto lo spirito audioleso avesse rilasciato dalle sue cavità auricolari. Al termine dell'operazione, Roger non sembrava minimamente turbato, e cominciai a sospettare che l'intervento non fosse andato a buon fine.
Memore dei consigli della nonna, spensi il conetto ormai quasi completamente bruciato e ne estrassi il contenuto per verificare l'avvenuta aspirazione.
Come atteso, una poltiglia marroncina (e consistente con l'aspetto del cerume) sfidava qualsiasi scetticismo: era di fronte ai miei occhi. Un apporto medianico senza precedenti nella letteratura parapsicologica. O no?
Elio, leader dell'omonimo gruppo musicale Elio e le Storie Tese, elenca tra le abitudini che tutti hanno ma negano di avere quella di soffiarsi il naso e di controllare quanto si è prodotto[1]. È questa usanza a conferire una fallace conferma all'efficacia dei conetti di cera: io stesso fui sottoposto più volte a questa terapia dolce durante la mia infanzia, e ricordo distintamente la soddisfazione finale di esaminare la torcia ormai combusta per ritrovarvi l'osceno panetto di cerume - una soddisfazione direttamente proporzionale alla sua quantità e consistenza; la stessa provata dai pazienti sottoposti alle operazioni chirurgiche eseguite da abili guaritori filippini, che non mancavano mai di esibire - in tutta la loro cruenza - le interiora malate, ora estratte dal corpo del paziente.
In questo caso, la fiducia nel rimasuglio marroncino è mal riposta. È un esperimento che può fare chiunque, al solo prezzo di una confezione di due conetti di cera. Dapprima si sperimenti la procedura esattamente come descritto nel foglietto di istruzioni contenuto nella confezione: al termine si esamini il residuo all'interno del cono e lo si conservi. Si ripeta la stessa procedura con un cono tenuto tra le dita, con l'accortezza di chiuderne il fondo ripiegandone da un lato la punta: al termine di questa seconda procedura, si estragga il contenuto residuo.
Un confronto dei due campioni estratti rivelerà che non c'è alcuna differenza percepibile ad occhio nudo. Sorge il dubbio che il residuo non sia altro che la cera colata dall'interno del dispositivo e depositata al fondo del conetto. E se nel primo caso la cera fosse mista al cerume proveniente dall'orecchio?
Su Skeptical Inquirer[2] Philippe Kaushall e Justine Neville Kaushall raccontano di un terzo esperimento: un conetto appositamente modificato viene introdotto nell'altro orecchio della persona coinvolta nella prima fase dell'esperimento. La modifica consiste nell'introduzione di un tubetto di un diametro tale da poter essere fissato saldamente - nella sua parte inferiore - alle pareti del cono; tale tubetto non impedisce la supposta "suzione" da parte del dispositivo, ma evita che la cera che cola lungo le pareti interne possa depositarsi nella parte inferiore del cono.
Con questa accortezza, nessun residuo è più visibile dopo la combustione: ciò prova il fatto che la cera identificata durante i primi due esperimenti proveniva tutta dall'interno del cono e non dalla fonte per cui viene pubblicizzata - l'orecchio.
Già nel 1996 tre ricercatori avevano progettato un avveniristico "Ear Canal Model" all'interno del quale aveva eseguito misure "timpanometriche" per scoprire che durante l'uso dei conetti all'interno dell'orecchio non si creava alcuna alterazione di pressione[3]. Al contrario, tramite una serie di interviste a oltre cento otorini, era venuto alla luce il fatto che ben dodici individui si erano procurati danni all'orecchio per l'uso che avevano fatto del bizzarro dispositivo.
A fronte di cotanti studi, l'invito alla prudenza è d'obbligo: chi ha orecchie per intendere, intenda; chi non le ha. farebbe meglio a rivolgersi ad altri metodi!
1) Belisari S. (Elio), Abitudinario, tratta dall'album Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu, 1989
2) Kaushall P.P., Kaushall J.N., "On ear cones and candles", in Skeptical Inquirer 24 (5), 2000, pp. 12-13
3) Langman A.W., "Ear candles - efficacy and safety", in Laryngoscope, 106 (10), ottobre 1996, pp. 1226-1229