Quando, assieme a Joe Nickell, iniziammo la ricerca dell’Ogopogo, il famoso mostro del lago Okanagan nella British Columbia del Canada, io avevo un’idea di cosa dovessi cercare: una creatura lunga tra i dieci e i venti metri, con manto scuro e una caratteristica serie di gobbe. Sebbene andassi alla ricerca di un mostro, in un certo senso ne trovai tre. Ogopogo sembrava possedere numerose e distinte incarnazioni: come leggenda indiana, come elusiva specie biologica e come amabile mascotte locale.
Giacché la prova dell’esistenza di mostri lacustri si basa quasi esclusivamente su ambigui avvistamenti, fotografie sfocate e un mare di supposizioni, per fornire precedenti storici dell’esistenza di tali creature sono stati utilizzati i racconti degli Indiani nativi d’America. Alcuni mostri di lago, come Nessie del Loch Ness e Champ del lago Champlain, sono stati dipinti come creature misteriose ma fondamentalmente amichevoli, giocherellone e schive. Non l’Ogopogo, o per lo meno non le storie indiane su cui si suppone sia basata la sua esistenza, quelle del terribile N’ha-a-itk.[1] Il legame N’ha-a-itk/Ogopogo è strettamente unito nella storia e nel folklore ed è saldato ai miti indigeni più che per altri mostri lacustri. Pressoché tutti coloro che hanno scritto su questo tema mettono assieme le due figure e i più usano i termini in maniera intercambiabile. Per esempio, «il termine indiano per la bestia era Naitaka» scrive Peter Costello nel suo libro In Search of Lake Monsters. Loren Coleman e Jerome Clark, in Cryptozoology A to Z, affermano che «I mostri... sono conosciuti sia con il nome Ogopogo sia con il nome nativo Naitaka», mentre l’opera risolutiva su Ogopogo, In Search of Ogopogo di Arlene Gaal reca il sottotitolo: “La creatura sacra delle acque dell’Okanagan” e contiene un capitolo intitolato “Le leggende native sull’Ogopogo”.
N’ha-a-itk, variamente tradotto come “demone dell’acqua” o “mostro del lago” [2], avrebbe richiesto il pagamento di un tributo ai viaggiatori che volevano passare sani e salvi nei pressi della sua supposta dimora, l’Isola dei Serpenti (conosciuta anche come Monster Island), un minuscolo grumo roccioso del lago Okanagan. Il tributo non era semplicemente un pezzetto d’oro o di tabacco, bensì il sacrificio di un essere vivente. Centinaia d’anni fa, ogniqualvolta si avventuravano sul lago, gli Indiani portavano con sé polli o altri piccoli animali da gettare nell’acqua. Gli animali affogati sarebbero scomparsi nelle profondità del lago assicurando ai rispettivi proprietari una protezione per il viaggio. La riva rocciosa dell’isola si dice fosse disseminata dei macabri resti dei viaggiatori che non avevano compiuto il sacrificio.
Le tradizioni indiane parlano di Timbasket, capo di una tribù in transito, il quale pagò un prezzo orribile per aver sfidato N’ha-a-itk. Così ne narra la vicenda lo storico Frank Buckland: «Timbasket, il cinico Indiano... dichiarò di non credere all’esistenza del demone del lago. Gli fu riferito che gli Indiani della sponda occidentale avevano l’intenzione di sacrificare un cane vivo al dio delle acque al passaggio dello Squally Point, ma egli rimase insensibile. Conosceva troppe cose per lasciarsi influenzare da usanze superate... Timbasket scelse di passare provocatoriamente nei pressi della rocciosa punta di terra. All’improvviso, il demone del lago si levò dalla sua tana sferzando la superficie dell’acqua con la sua lunga coda. Timbasket, la sua famiglia e la sua canoa furono inghiottiti in un gran vortice di acque furiose» (citato in Moon 1977).
Questo era il modus operandi di N’ha-a-itk: con la sua possente coda percuoteva le acque del lago fino a creare una terribile tempesta che inghiottiva le sue vittime. Sembra che i coloni bianchi ascoltassero gli avvertimenti degli Indiani. Tuttavia c’erano uomini bianchi che talora se ne dimenticavano e dovevano essere richiamati alla memoria della collera che N’ha-a-itk poteva sfogare. Si narra che nel 1854 o 1855, un colono di nome John MacDougall avesse trascurato il sacrificio. Mentre attraversava il lago con un tiro di cavalli, una gran forza aveva inghiottito i suoi destrieri con un tremendo rumore di risucchio. MacDougall era rimasto terrorizzato, ma lo fu ancora di più quando si rese conto che la sua canoa, legata ai cavalli, stava per essere trascinata giù anch’essa nel tragico destino degli abissi del lago. Con un coltello riuscì a tagliare le corde, salvando la sua vita per un pelo.
Mary Moon, autrice di Ogopogo (1977), mette in guardia quei cacciatori di taglie: «Tutti quelli che hanno pensato di uccidere Ogopogo avrebbero dovuto prendere maggiormente in considerazione il destino dei Lambton... Nella prima metà del XV secolo, Sir John de Lambton uccise un wyrm, un drago sputafuoco. Per aver ucciso il mostro, la famiglia Lambton si attirò la maledizione di una strega: per nove generazioni non un Lambton sarebbe morto nel proprio letto. E così fu. Dicono che la maledizione abbia perseguitato i Lambton fino agli ultimi anni ‘70». In tal modo, nella storia dell’Ogopogo si inserisce anche la magia nera. Secondo la Moon, «gli Indiani... l’hanno sempre considerato un’entità superumana [soprannaturale]». Concordano con lei altri studiosi, tra cui W. Haden Blackman, il quale riporta come gli Indiani Sushwap e Okanakane «credessero fosse una maligna entità soprannaturale con una forza enorme e intenti malvagi».
La connessione paranormale di N’ha-a-itk con gli elementi è forse la più forte tra tutti i mostri di lago. Non solo N’ha-a-itk sembra avere un controllo soprannaturale delle acque, ma domina in ugual misura le forze dell’aria: «gli Indiani affermavano che nessuna barca poteva approdare poiché il mostro poteva far soffiare un impetuoso vento e impedire l’impresa... il mostro era qualcosa di più di un anfibio. In un certo modo era in comunicazione con i venti impetuosi...». Che razza di mostro è questo? La capacità di dominare le tempeste e creare gorghi? Le maledizioni di streghe? (Francamente, il non morire nel proprio letto non sembra un destino così terrificante.) Questi resoconti ci descrivono N’ha-a-itk come una leggendaria e incorporea forza della natura, non come una concreta creatura che mangia, respira e si riproduce nelle fredde acque del lago Okanagan.
Occorre molta cautela nel considerare i racconti e le leggende dei nativi come resoconti veritieri di creature reali. Solo perché una data cultura ha un nome per (o storie su) una strana e misteriosa creatura - che sia Sasquatch o Ogopogo, un drago o un folletto - non significa necessariamente che quei nomi (quelle storie) si riferiscano alla realtà. Ciò mette in luce un problema che lo studioso del folklore Michel Meurger evidenzia nella sua innovativa opera Lake Monster Traditions. Meurger suggerisce che sostenere l’esistenza di creature sconosciute partendo dai racconti dei nativi è il «vecchio espediente di descrivere l’avvistatore come una sorta di “buon selvaggio”». Un metodo che definisce giustamente «la scientificazione del folklore».
Secondo alcune tradizioni, la storia di Ogopogo risale addirittura a prima di quella di N’ha-a-itk. Infatti, N’ha-a-itk fu in realtà un assassino chiamato Kel-Oni-Won. Racconta Dave Parker, un narratore delle tradizioni delle comunità degli Indiani del Canada, di come Kel-Oni-Won avesse ucciso un inerme vecchietto con una mazza. Gli dèi decisero allora che la punizione dell’assassino sarebbe stata quella di «trasformare Kel-Oni-Won in un mostro lacustre, una creatura inquieta che sarebbe stata per sempre sulla scena del crimine per soffrirne perenne rimorso. Lasciato in custodia della bella dea indiana del lago, il mostro sarebbe stato conosciuto dai membri delle tribù come N’ha-a-itk, il pentito che deve vivere nel lago in compagnia degli altri animali. Si dice che l’unica bestia che tollerasse la sua compagnia fosse il serpente a sonagli» (citato in Gaal 2001).
Il tema folclorico della punizione eterna per un delitto non perdonabile è comune in molti miti. Il successivo rituale del sacrificio (un avvertimento a ubbidire alle tradizioni e ai rituali degli anziani) trova corrispondenza in altre leggende di mostri lacustri. Ad esempio, i bambini che vivono attorno ai molti laghi infestati da mostri sono avvisati dai loro genitori che se non si comportano bene e obbediscono verranno gettati nel lago e divorati dal mostro. Lo strumento di controllo sociale dell’”uomo nero” è una funzione abituale, ma generalmente non riconosciuta nelle tradizioni dei mostri di lago. L’origine di N’ha-a-itk, e per estensione di Ogopogo, è presente nei racconti morali, non nelle descrizioni delle testimonianze oculari di creature reali.
Celeste Ganassin, sovrintendente alla didattica del Kelowna Museum della British Columbia, ha spiegato che per molti Indiani del Canada la distinzione tra realtà e mito nelle loro tradizioni non era particolarmente importante, poiché le storie avevano in sé un significato culturale specifico che rendeva in qualche modo arbitraria la verità oggettiva. I racconti degli Indiani d’America non sono la realtà empirica e letterale dell’uomo bianco. Allo stesso modo in cui si perde il significato di una leggenda metropolitana concentrandosi sul fatto se corrisponde o meno alla realtà (Ellis 2001), si perde l’importanza di N’ha-a-itk trattandolo semplicemente come Ogopogo o il suo predecessore. Le credenze e i racconti hanno avuto un’importante funzione, afferma Ganassin. Isolando i miti di N’ha-a-itk dal loro contesto culturale, li si priva del loro valore. «Molti scelgono quelle parti dei miti delle comunità indiane che si adattano alle loro necessità, per puntellare l’argomentazione che intendono sostenere. Prendono quello che vogliono e lo usano per avallare le loro idee» (Ganassin 2005). Quasi sempre sono degli scrittori bianchi, non indigeni, a insistere che N’ha-a-itk e Ogopogo sono la stessa cosa.
Non è difficile immaginare perché le popolazioni indigene tendono a creare e perpetuare leggende sul lago. L’area attorno all’Isola dei Serpenti a Sonagli può essere definita una landa gelida, desolata e misteriosa. Nei pressi c’è Squally Point, così nominato per le violente raffiche di vento (squall in inglese) che sorgono all’improvviso e mettono in pericolo chi si avventura in barca. Come nota Arlene Gaal riguardo a un promontorio roccioso di fronte alla città di Peachland, «quando da lassù si guarda in basso nell’acqua, non se ne vede il fondo. C’è acqua a perdita d’occhio. Ha un aspetto inquietante. Piccole onde si infrangono nelle grotte della costa rocciosa con un rumore come di risucchio. L’insieme di quello che vedi e senti dà i brividi». Vi sono molti “posti maledetti” in giro per il mondo, dove le leggende locali mettono all’erta i prudenti viaggiatori e dove si dice abbiano dimora dei mostri. Io ho scoperto un tale posto sulla costa dell’isola di Terranova: un’enorme, oscura e strana cavità nei pressi di una rupe rocciosa che aveva formato due bocche verso l’oceano. È chiamata “la segreta” e si dice sia il covo di mostri marini .
Secondo Ganassin, «non si possono studiare gli Indiani d’America senza imbattersi nella leggenda di una qualche sorta di entità di lago che le comunità rispettano o temono. È tipico che credano in un qualche spirito che abiti lì. Qualunque specchio d’acqua nelle culture degli Indiani d’America può generare racconti per spiegare fenomeni naturali quali tempeste, venti improvvisi, e così via - e spesso lo ha fatto». In effetti, i racconti su N’ha-a-itk sono virtualmente identici a quelli di molti altri laghi nordamericani, compresi l’Ontario e il Lago Superiore. Michel Meurger, per esempio, cita una testimonianza del 1864 di un detenuto indiano, Nicolas Perrot, il quale racconta che «[lo spirito del lago] sta nelle profondità, ha una lunga coda che produce venti impetuosi quando si muove per andare a bere, ma se scuote la coda con forza scatena tempeste violente». Come sull’Okanagan, gli Indiani facevano sacrifici di esseri viventi per placare lo spirito delle acque. (Per una discussione esauriente, cfr. il capitolo 3 di Lake Monster Traditions di Meurger.)
Se la storia di N’ha-a-itk è da considerarsi come una seria prova dell’esistenza dell’Ogopogo, resta da spiegare non solo tale collegamento, ma perché tutti gli altri laghi con tradizioni simili - e non solo in Canada ma in tutto il resto del mondo - possiedono anche loro dei mostri, che mai nessuno ha scovato. [3]
Sebbene molti scrittori disquisiscano sulla debolezza del legame tra N’ha-a-itk e Ogopogo, altri la riconoscono, ma mettono poi in evidenza come antiche incisioni rupestri indiane rappresentino il mostro di lago. Nel suo libro In Search of Lake Monsters, Peter Costello scrive «gli Indiani ci hanno lasciato dei primitivi disegni su pietra di quello che si pensa sia Naitaka». Un altro ricercatore, Roy Mackal, afferma che «ci sono almeno tre incisioni rupestri primitive attorno al lago, ora in un pessimo stato di conservazione, che possono essere riferite al mostro suddetto». Poi suggerisce che «la relazione è tenue e può essere dedotta solo dalla natura e dalla collocazione delle incisioni stesse». Tuttavia, le incisioni proposte come descrizioni dell’Ogopogo sono dubbie proprio per tali ragioni. Infatti, l’incisione più spesso citata non proviene affatto dall’Okanagan Valley, bensì dal lago Sproat, sull’isola di Vancouver (Kirk 2005, Coles 1991). Un altro studioso, Karl Shuker, suggerisce che l’incisione, databile attorno al 1700 a.C., possa essere la prova dell’esistenza dei mostri. In particolare c’è un disegno, scrive Shuker, che «è la descrizione incredibilmente accurata dei mostri d’acqua, allungati e con ondulazioni verticali, frequentemente avvistati nei laghi e nei mari canadesi - tanto da poterla considerare lo schizzo fatto da uno di questi testimoni oculari del ventesimo secolo». Peccato, però, che l’incisione cui si riferisce Shuker non sia stata trovata sulle rive del lago Okanagan, non nella British Columbia, neppure nella parte occidentale del Canada, bensì a più di 3000 chilometri di distanza, nei pressi di Peterborough, appena fuori Toronto. Rappresenterà anche un mostro, ma la sua ubicazione non suggerisce certo trattarsi dell’Ogopogo.
Il criterio di inclusione sembra così ampio che praticamente qualunque antica raffigurazione trovata non si sa dove nell’America del Nord - che agli occhi di qualcuno possa rassomigliare a una qualche creatura acquatica - può essere citata come prova. Anche gli Indiani del deserto (come gli Zuni e i Pueblo) hanno serpenti cornuti nella loro pittura e nei loro vasi. Michel Meurger scrive: «Gli Zuni del nuovo Messico hanno rappresentato Kolowisi, il dio serpente delle acque sotterranee e dei torrenti, come un rettile cornuto con pinne e fauci spalancate». Sembra quindi un tenue indizio quello della connessione tra arte preistorica e mostri moderni. «A livello di ricerca, non c’è nessuna prova che affermi chiaramente che le comunità indiane d’America abbiano mai riprodotto su incisioni rupestri le fattezze di N’ha-a-itk» chiarisce la Ganassin. «I disegni non ci sono pervenuti con le didascalie».
N’ha-a-itk è chiaramente un’entità soprannaturale. Uno studioso afferma che «Naitaka... era un po’ un dio, un po’ un demone». Nondimeno Ogopogo, il mostro del lago che, assieme ad altri, ho ricercato nel lago Champlain, probabilmente non è né un dio né un demone: è invece una realtà zoologica. Questa seconda incarnazione dell’Ogopogo è cruciale per gli investigatori, poiché sposta la creatura dal regno mitologico a quello zoologico.
Anche se il N’ha-a-itk degli Indiani dell’Okanagan Valley è scomparso da tempo, è stato rimpiazzato da una belva senz’altro meno spaventosa - e più biologica - il cui aspetto è fonte di teorie varie e dibattiti. Alcuni (ad esempio Jerome Clark) scrivono che le descrizioni dell’Ogopogo sono «sorprendentemente simili»; Roy Mackal, analizzando centinaia di rapporti, fu «colpito dalla ripetuta coerenza delle descrizioni, fin quasi alla noia». Continua Mackal: «la pelle è descritta di colore dal verde scuro al grigio-nero o dal marrone al nero o marrone scuro... [oppure] dal grigio al nero-blu o anche d’oro brunito. Il più delle volte la pelle è liscia e senza squame, anche se il corpo presenta delle placche, scaglie o simili, secondo quelli che l’hanno visto più da vicino... Gran parte del dorso è liscio, ma una parte è a dente di sega, a profilo irregolare o a zig zag. Attorno alla testa sono stati osservati radi peli o un ciuffo di setole e in alcuni casi è stata vista una specie di criniera alla base del collo».
Inoltre, la testa è stata descritta come quella di un serpente, di una pecora, di un cavallo o di un alligatore. O di un bulldog. Talora ha orecchi o corna, altre volte no. Un numero sorprendentemente alto di avvistamenti riferisce di un semplice “tronco” , che però si muove, come nelle seguenti descrizioni: «hanno visto quello che pensavano fosse un tronco, lungo circa due metri e a pelo d’acqua (...) ma vivo, che si spostava un po’ su e giù nell’acqua».
Tale Ogopogo è documentato non dai miti indiani, ma da fotografie, tracce sonar e testimoni oculari. Un film girato nel 1968 da un certo Arthur Folden è considerato tra le prove più evidenti e noi abbiamo esaminato e in parte ricreato il film durante le nostre ricerche.
Per i criptozoologi come John Kirk della British Columbia Scientific Cryptozoology Club, Ogopogo è il mostro più plausibile e meglio documentato tra tutti i mostri di lago, ancor più dell’abitante del Loch Ness. Nessie, nel corso degli ultimi tre quarti di secolo, si è trasformato in un buco nero che inghiotte centinaia di migliaia di dollari e innumerevoli ore di lavoro e ricerca che non hanno reso un bel niente in cambio. Secondo Kirk, «il fenomeno Ogopogo ha preceduto quello del mistero di Loch Ness. Negli anni ‘20 le apparizioni dell’Ogopogo erano comuni e l’animale era visto semplicemente come un altro esemplare della fauna locale, e non una creatura misteriosa. Era talmente reale per i residenti del lago Okanagan, che quando costruirono un traghetto per trasporto passeggeri da Kelowna a Westbank, c’è chi si interrogò sull’opportunità di dotare il traghetto di “dispositivi anti-mostro” per la sicurezza dei passeggeri e dell’equipaggio». Inoltre, «il catalogo di film e video su Ogopogo è più ricco e di qualità migliore di quanto ho potuto vedere a Loch Ness e penso che molti di questi video siano oltremodo convincenti del fatto che c’è una grande creatura sconosciuta che vive nel lago». Jerome Clark e Nancy Pear, nel loro Strange and Unexplained Happenings riconoscono che «nonostante il nome buffo, Ogopogo è uno dei più credibili mostri di lago» (Clark and Pear 1995, 440).
Esiste un terzo Ogopogo: la mascotte della regione, l’eroe, il simpatico messaggero di buon umore e affetto. Sono distanti gli echi dei sacrifici, dei morti annegati e delle spiagge cosparse di ossa. Quello è N’ha-a-itk. Ogopogo si è modernizzato per il Canada del giorno d’oggi e viene proposto da un abile ufficio di pubbliche relazioni. Con il nomignolo Ogie, questo Ogopogo è talora presentato come un drago, completo di ali e squame e con un corpo allungato comprendente la caratteristica serie di gobbe. Innumerevoli articoli per turisti hanno le fattezze di Ogie, comprese T-shirt e tazze per la colazione, portachiavi e adesivi. Il centro di Kelowna esibisce una statua a grandezza reale (?) dell’Ogopogo sul frontelago e nelle librerie in città si possono trovare una mezza dozzina di libri sulla bestia. Il gonfalone della città di Kelowna, adottato nel 1955, mostra un cavallo marino che, come recita un opuscolo della città, «è il simbolo araldico più simile al nostro Ogopogo».
L’amabile Ogopogo occhieggia dagli scaffali degli stand per turisti, tra i globi con la neve e i castorini di peluche nell’uniforme della polizia canadese con le foglie d’acero ricamate. Questo Ogopogo è privo di orride squame o pelle viscida, si presenta invece con una soffice e piacevole fisionomia. Ogie è carino nel suo colore verde, spesso di aspetto infantile e sfoggia a volte lunghe ciglia e un sorriso disarmante.
Un testo per bambini del 1982 di Brock Tully è l’esempio tipico di questa nuova versione edulcorata della bestia. Nel libro With Hope We Can All Find Ogopogo, «una pallottola lanuginosa, paffuta e coccolosa, con un grande e contagioso sorriso» di nome Hope resta sconcertata dal mondo degli adulti, così complesso, alienato e disorientante. Per cercare sollievo vaga sulle sponde del lago Okanagan, dove all’improvviso «vide due occhi tra i più grandi e amichevoli che avesse mai visto e si sentì rasserenato. Fu ancora più tranquillizzato allorché il mostro si mise a parlare in maniera così gentile e dolce e diede a Hope il benvenuto nella sua insenatura». Hope e Ogopogo svilupparono una profonda amicizia: «Ogie era la più amabile, indulgente e paziente creatura vivente. Ogie era amore!». La storia termina con Hope che ritorna correndo a casa sua urlando: «Siamo tutti Ogopogo!». È questo Ogopogo - non il temibile e sanguinario N’ha-a-itk, non le scure indistinte immagini di video e fotografie amatoriali - a diventare la personificazione dell’amore. [4]
Ogopogo ha un significato diverso a seconda delle persone. Ovviamente ciò non confina automaticamente la creatura al mito: gli Indù attribuiscono alle vacche un valore che sfugge ai clienti dei McDonald’s, e ogni amante dei gatti ne proclamerà la superiorità rispetto agli altri animali. Ma le diverse versioni suggeriscono che per capire veramente Ogopogo occorre avere la mente aperta.
«Ogopogo si è ammorbidito col tempo» scrive Arlene Gaal nel suo libro «negli ultimi anni sguazza nelle acque con una vivacità da birbante, agita maliziosamente la coda, per poi tornare con uno sguardo furbetto tra la spuma da dove era venuto». Questo ammollimento ha avuto luogo improvvisamente negli anni ‘20. Nel 1924, il compositore Cumberland Clark scrisse una canzone che divenne molto popolare, dal titolo The Ogopogo: The Funny Fox-Trot. La canzone (che sosteneva la bizzarra nascita dell’Ogopogo dall’illecita relazione tra un insetto forbicina e una balena) battezzava la creatura con il nome Ogopogo. Poco dopo, gli avvistamenti della bestia crebbero in modo esponenziale.[5] Ma, nota Hayden Blackman, «i supposti attacchi di Ogopogo cessarono completamente e gli abitanti del lago cominciarono a vedere il mostro in una luce alquanto più amichevole. Quando alla paura si sostituirono la curiosità e l’eccitazione, i racconti degli incontri con il “demone del lago” divennero molto più allegri».
A meno che l’inquinamento del lago nel corso degli ultimi secoli abbia avuto un effetto sedativo sulla bestia, questo improvviso cambiamento del suo (e loro) umore è sorprendente. Nessun animale del mondo reale ha mostrato un tale voltafaccia nell’atteggiamento. Sembra quasi che la percezione pubblica di Ogopogo - indipendentemente dalle sue azioni - abbia influenzato i resoconti sul comportamento del mostro. Parte di questa trasformazione è certamente un tentativo di capitalizzare sul turismo: quale turista attraverserebbe in volo tutto il Canada o mezzo mondo per andare alla ricerca di un sanguinario leviatano che potrebbe domandare un tributo di sangue - magari l’amato cucciolo di casa?
Come per N’ha-a-itk, la vera questione non è che cosa Ogopogo significhi in senso assoluto o biologico, ma che cosa Ogopogo significhi per la cultura e l’età di cui è parte. Le comunità degli Indiani del Canada hanno N’ha-a-itk; i criptozoologi e i testimoni oculari hanno Ogopogo; i turisti e i bambini dell’Okanagan Valley hanno Ogie. N’ha-a-itk e Ogopogo sono fondamentalmente amorfi, mentre con Ogie abbiamo finalmente catturato la bestia, se non nella sua forma reale, almeno in quella culturale. La fama della creatura è iniziata con i racconti e le canzoni delle sue imprese. In seguito quei racconti si sono concretizzati in resoconti moderni di una bestia reale. Subito dopo, racconti e canzoni sulla creatura hanno avuto nuovamente grande diffusione. Se e fino a che la bestia non sarà catturata o identificata, Ogopogo sopravvivrà di certo: un po’ dio, un po’ demone e un po’ camaleonte.
Benjamin Radford Managing Editor della rivista The Skeptical Inquirer e co-autore con Joe Nickell di Lake Monster Mysteries.
Ho apprezzato l’aiuto che molti - come Noel Dockstader, Arlene Gaal, Celeste Ganassin, e John Kirk - mi hanno fornito in questa ricerca. Un grazie va anche al mio co-investigatore Joe Nickell, che è stato un’inestimabile fonte di ispirazione e competenza in tutti questi anni.
Tratto da The Skeptical Inquirer, vol. 30, n. 1, Jan/Feb 2006.
Traduzione a cura di Renato Verga
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La N’ha-a-itk dei miti indiani
Giacché la prova dell’esistenza di mostri lacustri si basa quasi esclusivamente su ambigui avvistamenti, fotografie sfocate e un mare di supposizioni, per fornire precedenti storici dell’esistenza di tali creature sono stati utilizzati i racconti degli Indiani nativi d’America. Alcuni mostri di lago, come Nessie del Loch Ness e Champ del lago Champlain, sono stati dipinti come creature misteriose ma fondamentalmente amichevoli, giocherellone e schive. Non l’Ogopogo, o per lo meno non le storie indiane su cui si suppone sia basata la sua esistenza, quelle del terribile N’ha-a-itk.[1] Il legame N’ha-a-itk/Ogopogo è strettamente unito nella storia e nel folklore ed è saldato ai miti indigeni più che per altri mostri lacustri. Pressoché tutti coloro che hanno scritto su questo tema mettono assieme le due figure e i più usano i termini in maniera intercambiabile. Per esempio, «il termine indiano per la bestia era Naitaka» scrive Peter Costello nel suo libro In Search of Lake Monsters. Loren Coleman e Jerome Clark, in Cryptozoology A to Z, affermano che «I mostri... sono conosciuti sia con il nome Ogopogo sia con il nome nativo Naitaka», mentre l’opera risolutiva su Ogopogo, In Search of Ogopogo di Arlene Gaal reca il sottotitolo: “La creatura sacra delle acque dell’Okanagan” e contiene un capitolo intitolato “Le leggende native sull’Ogopogo”.
N’ha-a-itk, variamente tradotto come “demone dell’acqua” o “mostro del lago” [2], avrebbe richiesto il pagamento di un tributo ai viaggiatori che volevano passare sani e salvi nei pressi della sua supposta dimora, l’Isola dei Serpenti (conosciuta anche come Monster Island), un minuscolo grumo roccioso del lago Okanagan. Il tributo non era semplicemente un pezzetto d’oro o di tabacco, bensì il sacrificio di un essere vivente. Centinaia d’anni fa, ogniqualvolta si avventuravano sul lago, gli Indiani portavano con sé polli o altri piccoli animali da gettare nell’acqua. Gli animali affogati sarebbero scomparsi nelle profondità del lago assicurando ai rispettivi proprietari una protezione per il viaggio. La riva rocciosa dell’isola si dice fosse disseminata dei macabri resti dei viaggiatori che non avevano compiuto il sacrificio.
Le tradizioni indiane parlano di Timbasket, capo di una tribù in transito, il quale pagò un prezzo orribile per aver sfidato N’ha-a-itk. Così ne narra la vicenda lo storico Frank Buckland: «Timbasket, il cinico Indiano... dichiarò di non credere all’esistenza del demone del lago. Gli fu riferito che gli Indiani della sponda occidentale avevano l’intenzione di sacrificare un cane vivo al dio delle acque al passaggio dello Squally Point, ma egli rimase insensibile. Conosceva troppe cose per lasciarsi influenzare da usanze superate... Timbasket scelse di passare provocatoriamente nei pressi della rocciosa punta di terra. All’improvviso, il demone del lago si levò dalla sua tana sferzando la superficie dell’acqua con la sua lunga coda. Timbasket, la sua famiglia e la sua canoa furono inghiottiti in un gran vortice di acque furiose» (citato in Moon 1977).
Questo era il modus operandi di N’ha-a-itk: con la sua possente coda percuoteva le acque del lago fino a creare una terribile tempesta che inghiottiva le sue vittime. Sembra che i coloni bianchi ascoltassero gli avvertimenti degli Indiani. Tuttavia c’erano uomini bianchi che talora se ne dimenticavano e dovevano essere richiamati alla memoria della collera che N’ha-a-itk poteva sfogare. Si narra che nel 1854 o 1855, un colono di nome John MacDougall avesse trascurato il sacrificio. Mentre attraversava il lago con un tiro di cavalli, una gran forza aveva inghiottito i suoi destrieri con un tremendo rumore di risucchio. MacDougall era rimasto terrorizzato, ma lo fu ancora di più quando si rese conto che la sua canoa, legata ai cavalli, stava per essere trascinata giù anch’essa nel tragico destino degli abissi del lago. Con un coltello riuscì a tagliare le corde, salvando la sua vita per un pelo.
Mary Moon, autrice di Ogopogo (1977), mette in guardia quei cacciatori di taglie: «Tutti quelli che hanno pensato di uccidere Ogopogo avrebbero dovuto prendere maggiormente in considerazione il destino dei Lambton... Nella prima metà del XV secolo, Sir John de Lambton uccise un wyrm, un drago sputafuoco. Per aver ucciso il mostro, la famiglia Lambton si attirò la maledizione di una strega: per nove generazioni non un Lambton sarebbe morto nel proprio letto. E così fu. Dicono che la maledizione abbia perseguitato i Lambton fino agli ultimi anni ‘70». In tal modo, nella storia dell’Ogopogo si inserisce anche la magia nera. Secondo la Moon, «gli Indiani... l’hanno sempre considerato un’entità superumana [soprannaturale]». Concordano con lei altri studiosi, tra cui W. Haden Blackman, il quale riporta come gli Indiani Sushwap e Okanakane «credessero fosse una maligna entità soprannaturale con una forza enorme e intenti malvagi».
Lago Okanagan: l'isola dei Serpenti (Monster Island), considerata la dimora del mostro Ogopogo. Foto di Benjamin Radforf.
Occorre molta cautela nel considerare i racconti e le leggende dei nativi come resoconti veritieri di creature reali. Solo perché una data cultura ha un nome per (o storie su) una strana e misteriosa creatura - che sia Sasquatch o Ogopogo, un drago o un folletto - non significa necessariamente che quei nomi (quelle storie) si riferiscano alla realtà. Ciò mette in luce un problema che lo studioso del folklore Michel Meurger evidenzia nella sua innovativa opera Lake Monster Traditions. Meurger suggerisce che sostenere l’esistenza di creature sconosciute partendo dai racconti dei nativi è il «vecchio espediente di descrivere l’avvistatore come una sorta di “buon selvaggio”». Un metodo che definisce giustamente «la scientificazione del folklore».
Secondo alcune tradizioni, la storia di Ogopogo risale addirittura a prima di quella di N’ha-a-itk. Infatti, N’ha-a-itk fu in realtà un assassino chiamato Kel-Oni-Won. Racconta Dave Parker, un narratore delle tradizioni delle comunità degli Indiani del Canada, di come Kel-Oni-Won avesse ucciso un inerme vecchietto con una mazza. Gli dèi decisero allora che la punizione dell’assassino sarebbe stata quella di «trasformare Kel-Oni-Won in un mostro lacustre, una creatura inquieta che sarebbe stata per sempre sulla scena del crimine per soffrirne perenne rimorso. Lasciato in custodia della bella dea indiana del lago, il mostro sarebbe stato conosciuto dai membri delle tribù come N’ha-a-itk, il pentito che deve vivere nel lago in compagnia degli altri animali. Si dice che l’unica bestia che tollerasse la sua compagnia fosse il serpente a sonagli» (citato in Gaal 2001).
Il tema folclorico della punizione eterna per un delitto non perdonabile è comune in molti miti. Il successivo rituale del sacrificio (un avvertimento a ubbidire alle tradizioni e ai rituali degli anziani) trova corrispondenza in altre leggende di mostri lacustri. Ad esempio, i bambini che vivono attorno ai molti laghi infestati da mostri sono avvisati dai loro genitori che se non si comportano bene e obbediscono verranno gettati nel lago e divorati dal mostro. Lo strumento di controllo sociale dell’”uomo nero” è una funzione abituale, ma generalmente non riconosciuta nelle tradizioni dei mostri di lago. L’origine di N’ha-a-itk, e per estensione di Ogopogo, è presente nei racconti morali, non nelle descrizioni delle testimonianze oculari di creature reali.
La "segreta", tana di un serpente marino nella parte nordorientale di Terranova, vicino a Bonavista.
Non è difficile immaginare perché le popolazioni indigene tendono a creare e perpetuare leggende sul lago. L’area attorno all’Isola dei Serpenti a Sonagli può essere definita una landa gelida, desolata e misteriosa. Nei pressi c’è Squally Point, così nominato per le violente raffiche di vento (squall in inglese) che sorgono all’improvviso e mettono in pericolo chi si avventura in barca. Come nota Arlene Gaal riguardo a un promontorio roccioso di fronte alla città di Peachland, «quando da lassù si guarda in basso nell’acqua, non se ne vede il fondo. C’è acqua a perdita d’occhio. Ha un aspetto inquietante. Piccole onde si infrangono nelle grotte della costa rocciosa con un rumore come di risucchio. L’insieme di quello che vedi e senti dà i brividi». Vi sono molti “posti maledetti” in giro per il mondo, dove le leggende locali mettono all’erta i prudenti viaggiatori e dove si dice abbiano dimora dei mostri. Io ho scoperto un tale posto sulla costa dell’isola di Terranova: un’enorme, oscura e strana cavità nei pressi di una rupe rocciosa che aveva formato due bocche verso l’oceano. È chiamata “la segreta” e si dice sia il covo di mostri marini .
Secondo Ganassin, «non si possono studiare gli Indiani d’America senza imbattersi nella leggenda di una qualche sorta di entità di lago che le comunità rispettano o temono. È tipico che credano in un qualche spirito che abiti lì. Qualunque specchio d’acqua nelle culture degli Indiani d’America può generare racconti per spiegare fenomeni naturali quali tempeste, venti improvvisi, e così via - e spesso lo ha fatto». In effetti, i racconti su N’ha-a-itk sono virtualmente identici a quelli di molti altri laghi nordamericani, compresi l’Ontario e il Lago Superiore. Michel Meurger, per esempio, cita una testimonianza del 1864 di un detenuto indiano, Nicolas Perrot, il quale racconta che «[lo spirito del lago] sta nelle profondità, ha una lunga coda che produce venti impetuosi quando si muove per andare a bere, ma se scuote la coda con forza scatena tempeste violente». Come sull’Okanagan, gli Indiani facevano sacrifici di esseri viventi per placare lo spirito delle acque. (Per una discussione esauriente, cfr. il capitolo 3 di Lake Monster Traditions di Meurger.)
Se la storia di N’ha-a-itk è da considerarsi come una seria prova dell’esistenza dell’Ogopogo, resta da spiegare non solo tale collegamento, ma perché tutti gli altri laghi con tradizioni simili - e non solo in Canada ma in tutto il resto del mondo - possiedono anche loro dei mostri, che mai nessuno ha scovato. [3]
Sebbene molti scrittori disquisiscano sulla debolezza del legame tra N’ha-a-itk e Ogopogo, altri la riconoscono, ma mettono poi in evidenza come antiche incisioni rupestri indiane rappresentino il mostro di lago. Nel suo libro In Search of Lake Monsters, Peter Costello scrive «gli Indiani ci hanno lasciato dei primitivi disegni su pietra di quello che si pensa sia Naitaka». Un altro ricercatore, Roy Mackal, afferma che «ci sono almeno tre incisioni rupestri primitive attorno al lago, ora in un pessimo stato di conservazione, che possono essere riferite al mostro suddetto». Poi suggerisce che «la relazione è tenue e può essere dedotta solo dalla natura e dalla collocazione delle incisioni stesse». Tuttavia, le incisioni proposte come descrizioni dell’Ogopogo sono dubbie proprio per tali ragioni. Infatti, l’incisione più spesso citata non proviene affatto dall’Okanagan Valley, bensì dal lago Sproat, sull’isola di Vancouver (Kirk 2005, Coles 1991). Un altro studioso, Karl Shuker, suggerisce che l’incisione, databile attorno al 1700 a.C., possa essere la prova dell’esistenza dei mostri. In particolare c’è un disegno, scrive Shuker, che «è la descrizione incredibilmente accurata dei mostri d’acqua, allungati e con ondulazioni verticali, frequentemente avvistati nei laghi e nei mari canadesi - tanto da poterla considerare lo schizzo fatto da uno di questi testimoni oculari del ventesimo secolo». Peccato, però, che l’incisione cui si riferisce Shuker non sia stata trovata sulle rive del lago Okanagan, non nella British Columbia, neppure nella parte occidentale del Canada, bensì a più di 3000 chilometri di distanza, nei pressi di Peterborough, appena fuori Toronto. Rappresenterà anche un mostro, ma la sua ubicazione non suggerisce certo trattarsi dell’Ogopogo.
Il criterio di inclusione sembra così ampio che praticamente qualunque antica raffigurazione trovata non si sa dove nell’America del Nord - che agli occhi di qualcuno possa rassomigliare a una qualche creatura acquatica - può essere citata come prova. Anche gli Indiani del deserto (come gli Zuni e i Pueblo) hanno serpenti cornuti nella loro pittura e nei loro vasi. Michel Meurger scrive: «Gli Zuni del nuovo Messico hanno rappresentato Kolowisi, il dio serpente delle acque sotterranee e dei torrenti, come un rettile cornuto con pinne e fauci spalancate». Sembra quindi un tenue indizio quello della connessione tra arte preistorica e mostri moderni. «A livello di ricerca, non c’è nessuna prova che affermi chiaramente che le comunità indiane d’America abbiano mai riprodotto su incisioni rupestri le fattezze di N’ha-a-itk» chiarisce la Ganassin. «I disegni non ci sono pervenuti con le didascalie».
Entra in scena Ogopogo
N’ha-a-itk è chiaramente un’entità soprannaturale. Uno studioso afferma che «Naitaka... era un po’ un dio, un po’ un demone». Nondimeno Ogopogo, il mostro del lago che, assieme ad altri, ho ricercato nel lago Champlain, probabilmente non è né un dio né un demone: è invece una realtà zoologica. Questa seconda incarnazione dell’Ogopogo è cruciale per gli investigatori, poiché sposta la creatura dal regno mitologico a quello zoologico.
Anche se il N’ha-a-itk degli Indiani dell’Okanagan Valley è scomparso da tempo, è stato rimpiazzato da una belva senz’altro meno spaventosa - e più biologica - il cui aspetto è fonte di teorie varie e dibattiti. Alcuni (ad esempio Jerome Clark) scrivono che le descrizioni dell’Ogopogo sono «sorprendentemente simili»; Roy Mackal, analizzando centinaia di rapporti, fu «colpito dalla ripetuta coerenza delle descrizioni, fin quasi alla noia». Continua Mackal: «la pelle è descritta di colore dal verde scuro al grigio-nero o dal marrone al nero o marrone scuro... [oppure] dal grigio al nero-blu o anche d’oro brunito. Il più delle volte la pelle è liscia e senza squame, anche se il corpo presenta delle placche, scaglie o simili, secondo quelli che l’hanno visto più da vicino... Gran parte del dorso è liscio, ma una parte è a dente di sega, a profilo irregolare o a zig zag. Attorno alla testa sono stati osservati radi peli o un ciuffo di setole e in alcuni casi è stata vista una specie di criniera alla base del collo».
Questa incisione indiana si ritiene rappresenti l'Ogopogo del lago Okanagan, anche se in realtà si trova sull'isola di Vancouver, distante dall'Okanagan Valley.
Tale Ogopogo è documentato non dai miti indiani, ma da fotografie, tracce sonar e testimoni oculari. Un film girato nel 1968 da un certo Arthur Folden è considerato tra le prove più evidenti e noi abbiamo esaminato e in parte ricreato il film durante le nostre ricerche.
Per i criptozoologi come John Kirk della British Columbia Scientific Cryptozoology Club, Ogopogo è il mostro più plausibile e meglio documentato tra tutti i mostri di lago, ancor più dell’abitante del Loch Ness. Nessie, nel corso degli ultimi tre quarti di secolo, si è trasformato in un buco nero che inghiotte centinaia di migliaia di dollari e innumerevoli ore di lavoro e ricerca che non hanno reso un bel niente in cambio. Secondo Kirk, «il fenomeno Ogopogo ha preceduto quello del mistero di Loch Ness. Negli anni ‘20 le apparizioni dell’Ogopogo erano comuni e l’animale era visto semplicemente come un altro esemplare della fauna locale, e non una creatura misteriosa. Era talmente reale per i residenti del lago Okanagan, che quando costruirono un traghetto per trasporto passeggeri da Kelowna a Westbank, c’è chi si interrogò sull’opportunità di dotare il traghetto di “dispositivi anti-mostro” per la sicurezza dei passeggeri e dell’equipaggio». Inoltre, «il catalogo di film e video su Ogopogo è più ricco e di qualità migliore di quanto ho potuto vedere a Loch Ness e penso che molti di questi video siano oltremodo convincenti del fatto che c’è una grande creatura sconosciuta che vive nel lago». Jerome Clark e Nancy Pear, nel loro Strange and Unexplained Happenings riconoscono che «nonostante il nome buffo, Ogopogo è uno dei più credibili mostri di lago» (Clark and Pear 1995, 440).
Viene a galla Ogie
Esiste un terzo Ogopogo: la mascotte della regione, l’eroe, il simpatico messaggero di buon umore e affetto. Sono distanti gli echi dei sacrifici, dei morti annegati e delle spiagge cosparse di ossa. Quello è N’ha-a-itk. Ogopogo si è modernizzato per il Canada del giorno d’oggi e viene proposto da un abile ufficio di pubbliche relazioni. Con il nomignolo Ogie, questo Ogopogo è talora presentato come un drago, completo di ali e squame e con un corpo allungato comprendente la caratteristica serie di gobbe. Innumerevoli articoli per turisti hanno le fattezze di Ogie, comprese T-shirt e tazze per la colazione, portachiavi e adesivi. Il centro di Kelowna esibisce una statua a grandezza reale (?) dell’Ogopogo sul frontelago e nelle librerie in città si possono trovare una mezza dozzina di libri sulla bestia. Il gonfalone della città di Kelowna, adottato nel 1955, mostra un cavallo marino che, come recita un opuscolo della città, «è il simbolo araldico più simile al nostro Ogopogo».
L’amabile Ogopogo occhieggia dagli scaffali degli stand per turisti, tra i globi con la neve e i castorini di peluche nell’uniforme della polizia canadese con le foglie d’acero ricamate. Questo Ogopogo è privo di orride squame o pelle viscida, si presenta invece con una soffice e piacevole fisionomia. Ogie è carino nel suo colore verde, spesso di aspetto infantile e sfoggia a volte lunghe ciglia e un sorriso disarmante.
Un testo per bambini del 1982 di Brock Tully è l’esempio tipico di questa nuova versione edulcorata della bestia. Nel libro With Hope We Can All Find Ogopogo, «una pallottola lanuginosa, paffuta e coccolosa, con un grande e contagioso sorriso» di nome Hope resta sconcertata dal mondo degli adulti, così complesso, alienato e disorientante. Per cercare sollievo vaga sulle sponde del lago Okanagan, dove all’improvviso «vide due occhi tra i più grandi e amichevoli che avesse mai visto e si sentì rasserenato. Fu ancora più tranquillizzato allorché il mostro si mise a parlare in maniera così gentile e dolce e diede a Hope il benvenuto nella sua insenatura». Hope e Ogopogo svilupparono una profonda amicizia: «Ogie era la più amabile, indulgente e paziente creatura vivente. Ogie era amore!». La storia termina con Hope che ritorna correndo a casa sua urlando: «Siamo tutti Ogopogo!». È questo Ogopogo - non il temibile e sanguinario N’ha-a-itk, non le scure indistinte immagini di video e fotografie amatoriali - a diventare la personificazione dell’amore. [4]
Gli Ogopogo riconciliati
Ogopogo ha un significato diverso a seconda delle persone. Ovviamente ciò non confina automaticamente la creatura al mito: gli Indù attribuiscono alle vacche un valore che sfugge ai clienti dei McDonald’s, e ogni amante dei gatti ne proclamerà la superiorità rispetto agli altri animali. Ma le diverse versioni suggeriscono che per capire veramente Ogopogo occorre avere la mente aperta.
«Ogopogo si è ammorbidito col tempo» scrive Arlene Gaal nel suo libro «negli ultimi anni sguazza nelle acque con una vivacità da birbante, agita maliziosamente la coda, per poi tornare con uno sguardo furbetto tra la spuma da dove era venuto». Questo ammollimento ha avuto luogo improvvisamente negli anni ‘20. Nel 1924, il compositore Cumberland Clark scrisse una canzone che divenne molto popolare, dal titolo The Ogopogo: The Funny Fox-Trot. La canzone (che sosteneva la bizzarra nascita dell’Ogopogo dall’illecita relazione tra un insetto forbicina e una balena) battezzava la creatura con il nome Ogopogo. Poco dopo, gli avvistamenti della bestia crebbero in modo esponenziale.[5] Ma, nota Hayden Blackman, «i supposti attacchi di Ogopogo cessarono completamente e gli abitanti del lago cominciarono a vedere il mostro in una luce alquanto più amichevole. Quando alla paura si sostituirono la curiosità e l’eccitazione, i racconti degli incontri con il “demone del lago” divennero molto più allegri».
A meno che l’inquinamento del lago nel corso degli ultimi secoli abbia avuto un effetto sedativo sulla bestia, questo improvviso cambiamento del suo (e loro) umore è sorprendente. Nessun animale del mondo reale ha mostrato un tale voltafaccia nell’atteggiamento. Sembra quasi che la percezione pubblica di Ogopogo - indipendentemente dalle sue azioni - abbia influenzato i resoconti sul comportamento del mostro. Parte di questa trasformazione è certamente un tentativo di capitalizzare sul turismo: quale turista attraverserebbe in volo tutto il Canada o mezzo mondo per andare alla ricerca di un sanguinario leviatano che potrebbe domandare un tributo di sangue - magari l’amato cucciolo di casa?
Come per N’ha-a-itk, la vera questione non è che cosa Ogopogo significhi in senso assoluto o biologico, ma che cosa Ogopogo significhi per la cultura e l’età di cui è parte. Le comunità degli Indiani del Canada hanno N’ha-a-itk; i criptozoologi e i testimoni oculari hanno Ogopogo; i turisti e i bambini dell’Okanagan Valley hanno Ogie. N’ha-a-itk e Ogopogo sono fondamentalmente amorfi, mentre con Ogie abbiamo finalmente catturato la bestia, se non nella sua forma reale, almeno in quella culturale. La fama della creatura è iniziata con i racconti e le canzoni delle sue imprese. In seguito quei racconti si sono concretizzati in resoconti moderni di una bestia reale. Subito dopo, racconti e canzoni sulla creatura hanno avuto nuovamente grande diffusione. Se e fino a che la bestia non sarà catturata o identificata, Ogopogo sopravvivrà di certo: un po’ dio, un po’ demone e un po’ camaleonte.
Benjamin Radford Managing Editor della rivista The Skeptical Inquirer e co-autore con Joe Nickell di Lake Monster Mysteries.
Ho apprezzato l’aiuto che molti - come Noel Dockstader, Arlene Gaal, Celeste Ganassin, e John Kirk - mi hanno fornito in questa ricerca. Un grazie va anche al mio co-investigatore Joe Nickell, che è stato un’inestimabile fonte di ispirazione e competenza in tutti questi anni.
Tratto da The Skeptical Inquirer, vol. 30, n. 1, Jan/Feb 2006.
Traduzione a cura di Renato Verga
Note
1) }Anche se è molto comune la grafia Naitaka, ho scelto di utilizzare la più esatta N’ha-a-itk per tutto l’articolo tranne che nelle citazioni.
2) Mentre molti studiosi preferiscono evidenziare le traduzioni di N’ha-a-itk che più convengono ai loro argomenti (come “mostro del lago” e “serpente nel lago”), altre interpretazioni della parola indiana possono essere altrettanto accurate ma meno riducibili al reclutamento come mitologico mostro lacustre. Mary Moon fornisce altri esempi quali: “creatura sacra dell’acqua”, “dio dell’acqua” e “demone del lago”.
3) Per un esempio parallelo di storie indigene riguardo a Bigfoot, si veda la discussione dell’antropologo Wayne Suttles nel libro di Dave Daegling Bigfoot Exposed.
4) Infatti, ci sono più libri per l’infanzia su Ogopogo che su qualunque altro mostro di lago. Tra gli altri titoli: Ogopogo: The Misunderstood Lake Monster, di Don Levers (in cui la bestia salva eroicamente dall’annegamento diversi autobus che trasportano scolari), e The Legend of L’il Ogie di Garfield Fromm.
5) È da notare che l’aumento di avvistamenti di Ogopogo era fortemente correlato alla pubblicità e non ad altri avvistamenti. A meno che le creature frequentassero le sale da ballo, è improbabile che sapessero che la loro fama aumentava presso il vasto pubblico così da decidere di mostrarsi più spesso. La spiegazione più logica dell’aumento del numero degli avvistamenti sta nel fatto che sempre più gente veniva a conoscenza della creatura, si aspettava di vederla, e interpretava gli ambigui fenomeni del lago come apparizioni di Ogopogo anche in assenza del mostro. Un caso simile si ebbe nel 1981 sul lago Champlain a seguito della pubblicità della foto di Sandra Mansi di Champ.
Bibliografia
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- Ganassin, C. (2005), Intervista dell’autore, 4 febbraio.
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