Che cosa si nascondeva veramente nelle acque di questo lago lombardo oggi scomparso?
Benché al giorno d'oggi non ne esista più alcuna traccia, se non nella storia dei sedimenti geologici e nelle antiche toponimie, il territorio lombardo attualmente compreso tra la parte meridionale di Bergamo e il nord di Cremona era in passato il bacino di una vastissima area acquitrinosa formata dalle esondazioni dei fiumi Adda, Oglio, Serio, Lambro e Silero, conosciuta con il nome di lago (o mare) Gerundo. Le testimonianze storiche più antiche circa la sua esistenza sembrano risalire all'epoca romana, tramite alcuni accenni contenuti nelle opere di Plinio il Vecchio, ma le informazioni più significative sono datate al 1110 d.C. e provengono dal monaco Sabbio, che parla di torri dotate di anelli per l'ormeggio delle barche, le cui rovine sono sopravvissute sino ai nostri giorni.
Particolarmente interessanti da un punto di vista criptozoologico risultano essere le numerose testimonianze e aneddoti inerenti a misteriose creature che ne infestavano le acque, alle quali la tradizione popolare diede il nome di "draghi".
Generalmente descritti come grandi animali serpentiformi dall'alito pestifero, erano sicuramente considerati ben più di una leggenda dalle popolazioni che abitavano le coste del Gerundo, basti considerare che gli abitanti di Calvenzano eressero delle mura alte tre metri e lunghe quindici chilometri per proteggersi dalle sortite del mostro lacustre che si credeva vivesse in quella zona e che la contrada principale del paese, a ricordo della vicenda, era chiamata "via della biscia".
La credenza nella reale esistenza di simili creature è testimoniata anche da alcuni interessanti reperti ossei che fanno ancora mostra di sé in diverse chiese, un tempo stanziate lungo le propaggini dell'antico lago Gerundo, considerati per lungo tempo dalle popolazioni locali i resti appartenuti ai temibili draghi acquatici.
Dal soffitto dell'abside della chiesa di Almenno S.Salvatore pende una gigantesca costola animale della lunghezza di 260 cm, che secondo la tradizione sarebbe appartenuta a una creatura catturata nei pressi del fiume Brembo. A soli tre chilometri di distanza in linea d'aria, un altro reperto simile, della lunghezza di 180 centimetri, è conservato all'interno del Santuario Natività della Beata Vergine di Sombreno. Si narra che provenisse da un drago del Gerundo, ucciso da un giovane eroe. La costola attirò l'attenzione del naturalista Enrico Caffi, al quale è dedicato il Museo di Storia naturale di Bergamo, che la identificò come appartenente ad un mammuth. Infine nella parrocchia di Pizzighettone, presso la sacrestia della chiesa di S.Bassiano, è custodita una costola lunga 1,70 centimetri.
Gli abitanti di Lodi erano talmente spaventati e abituati alla presenza di un grande "serpente" acquatico al punto da affibbiargli persino il nome proprio di "Taranto" o "Tarantasio", anticipando così di molti secoli la popolazione scozzese di Inverness, che verso gli anni Trenta ribattezzò "Nessie" la più famosa delle creature lacustri leggendarie: il mostro di Loch Ness.
Si narra che agli inizi del 1300, a seguito delle opere di bonifica avviate nel XII secolo, a Lodi, presso l'Adda, fu rinvenuto lo scheletro di Tarantasio, successivamente custodito nella sua interezza all'interno della chiesa di S.Cristoforo. Col tempo però se ne persero le tracce, ma verso il 1800 il medico di Lodi Gemello Villa riuscì a riportarne alla luce e ad esaminarne una presunta costola. I suoi studi non lasciano intendere informazioni di particolare interesse, se non nel passaggio in cui si afferma che "la costola ha la pellucidità delle ossa fresche", lasciando così intuire che possa non trattarsi di reperto fossile.
Lo stemma dei Visconti
L'elemento più caratteristico dell'iconografia araldica dei Visconti, antichi signori di Milano, è senza dubbio il sinuoso "serpentone" ritratto nell'atto di ingoiare uno sventurato essere umano, ma le leggende circa la sua reale origine sono talmente diversificate e numerose che risalire a una sicura genesi storica è impresa praticamente impossibile.
Nel suo De Magnalibus Mediolani Bonvesin de la Riva riporta quanto segue: "Viene offerto dal comune di Milano a uno della nobilissima stirpe dei Visconti che ne sembri il più degno un vessillo con una biscia dipinta in azzurro che inghiotte un saraceno rosso: e questo vessillo si porta innanzi ad ogni altro: e il nostro esercito non si accampa mai se prima non vede sventolare da un'antenna l'insegna della biscia. Questo privilegio si dice concesso a quella famiglia in considerazione delle vittoriose imprese compiute in Oriente contro i saracini da un Ottone Visconti valorosissimo uomo".
Il cronista Galvano Fiamma, riferendosi sempre allo stesso episodio, lo ha tramandato ai posteri con maggiore dovizia di particolari, spiegando che durante l'assedio di Gerusalemme Ottone sconfisse in un duello il terribile nobile saraceno Voluce il quale, per sottolineare la sua presunta invincibilità, era solito combattere sotto il simbolo di un serpente che ingoiava un uomo.
Un'altra versione vuole che, dopo la morte di San Dionigi, un drago giunse nei dintorni di Milano trovando dimora in una grotta situata oltre le mura della città. Dopo diversi infruttuosi tentativi di uccisione da parte di disparati cavalieri, giunse a Milano Uberto Visconti che affrontò e sconfisse il mostro prima che quest'ultimo potesse ingoiare del tutto un fanciullo che aveva già cominciato a ghermire tra le sue fauci.
I più romantici saranno di certo disposti a collegare tra loro la leggenda di Uberto e quella dei draghi dell'antico Gerundo, ma a ben vedere pare proprio che lo stemma del serpente fosse simbolo della città di Milano molto prima dell'arrivo dei Visconti, tanto che, secondo alcuni, la sua origine risale all'epoca di Desiderio, ultimo re dei Longobardi, che successivamente tramandò lo stemma ai Visconti, suoi successori.
Possibili spiegazioni
Pur ammettendo che le leggende inerenti agli antichi mostri dello scomparso lago Gerundo potessero avere un fondo di realtà, ipotesi sulla quale ritorneremo in seguito, esistono molti buoni motivi per escludere categoricamente che le gigantesche costole conservate come relique possano realmente essere appartenute a questi ultimi. Anticamente i pellegrini erano infatti soliti portare in dono ai santuari i più esotici e singolari reperti. Non è affatto da escludere l'ipotesi che le ossa attualmente custodite nel bergamasco e nel cremonese potessero essere appartenute ad animali quali elefanti o cetacei, successivamente donate alle chiese in qualche modo legate alle leggende sui draghi. A tal proposito è interessante notare come la chiesa di S.Salvatore sia consacrata a S.Giorgio, il più famoso uccisore di draghi della tradizione cattolica.
Un'ipotesi ancora più plausibile può essere presa in considerazione se, affidandoci alle cronache sino a noi pervenute, le misteriose costole non sarebbero state portate da pellegrini e viaggiatori, ma effettivamente rinvenute in territori prossimi alle chiese e santuari che le espongono...
Nel 1995 il Corriere della Sera riportò questa notizia: "Cremona - Un'enorme vertebra di un animale preistorico è stata ritrovata nei fondali del fiume Adda nei pressi di Pizzighettone (Cremona). Il reperto ha un'altezza di 75 centimetri, una base di 39 e la sede circolare ha un diametro di 16 cm. Ritrovamenti di questo tipo non sono nuovi in una zona che millenni fa ospitava le paludi del lago Gerundo. A scoprire il reperto è stato Walter Valcaregni, un muratore di 47 anni che in passato ha già donato fossili al museo civico di Pizzighettone. Un paleontologo incaricato dal museo dovrà stabilire a quale animale la vertebra appartenesse e a quale epoca risalga".
In effetti ritrovamenti di ossa appartenenti a mammuth e a rinoceronti dell'era glaciale non sono infrequenti in quelle zone. Simili reperti vengono scavati a monte dalle correnti e poi trascinati sino a valle, spiegando così i misteriosi ritrovamenti tutt'ora esposti in alcune chiese.
Per quanto ne sappiamo però, tutte le costole che rientrano all'interno di una documentazione storica più o meno attendibile, sono posteriori alla bonifica delle zone ed al prosciugamento del Gerundo: questi reperti avrebbero così contribuito ad alimentare la leggenda di Tarantasio e dei suoi simili, ma non è altrettanto certo che siano anche state la causa della loro origine, per risalire alla quale si rende forse necessario affrontare una particolare caratteristica dei draghi milanesi: il loro alito pestilenziale...
Nel Medioevo non era infrequente attribuire morti improvvise o inspiegabili alla minacciosa presenza di misteriosi rettili e il caso del basilisco è un esempio lampante di ciò. Molto spesso questa mitologica creatura, che secondo la tradizione nasce da un uovo di gallo covato da un rospo, prendeva dimora in pozzi le cui acque avrebbero avvelenato tutti coloro i quali vi avessero attinto. Secondo la leggenda, nel IV secolo San Siro liberò la città di Genova da un basilisco che si era insidiato in un pozzo, mentre a Vienna sarebbe esistita una lapide le cui iscrizioni indicavano che nell'anno 1202 un pozzo infestato da un basilisco fu sotterrato dopo che numerose persone erano morte per essersi lì abbeverate. Nel suo volume Dall'unicorno al mostro di Loch Ness il criptozoologo "ante litteram" Willy Ley spiega che in passato la presenza di falde acquifere sature di idrogeno solforato a causa del loro odore di uova marce hanno potuto contribuire alla leggenda delle esalazioni pestifere del basilisco.
Se ora consideriamo che in passato gli acquitrini del Gerundo erano un ambiente ideale per favorire il diffondersi della malaria, gli abitanti del tempo avrebbero potuto attribuirne la causa a grandi serpenti pestiferi, cioè a basilichi a misura di lago.
Considerando però che i meccanismi che stanno dietro alla nascita di ogni leggenda sono sempre più complessi e vari di quanto una spiegazione univoca e semplicistica possa talvolta fare pensare, è giunto il momento di affrontare come precedentemente accennato, una possibile spiegazione zoologica che possa avere contribuito, se pure in piccolissima parte attraverso sporadici e fugaci avvistamenti, alle tradizioni popolari sui mostri del lago.
Stando al criptozoologo Maurizio Mosca che ha affrontato il problema sulle pagine del suo libro Mostri lacustri edito da Mursia, i possibili candidati possono essere due:
- - storioni presenti nel fiume Po, che in passato raggiungevano dimensioni molto più ragguardevoli di quelle alle quali siamo abituati ai nostri giorni e che, benché innocui per l'uomo, possiedono caratteristiche anatomiche talmente peculiari e diverse da quelle degli altri pesci europei da conferire loro un aspetto minaccioso e vagamente "rettiliforme";
- - coccodrilli importati che secondo alcune leggende si erano adattati a vivere nel fiume Serio, come testimonierebbe l'affascinante reperto custodito nella chiesa di Ponte Nossa: un coccodrillo impagliato lungo tre metri, di cui parla un documento conservato presso la Curia di Bergamo, risalente al 1594. Ma, mentre sappiamo che questi rettili vivevano in alcuni fiumi della Sicilia sino al 1600 dopo che furono importati dagli arabi, individui di una popolazione presumibilmente esigua difficilmente avrebbero potuto sopravvivere a lungo nel Nord Italia.
Lorenzo Rossi
Gruppo Criptozoologia Italia, www.criptozoo.com
Si ringrazia Francesco Brusoni
Bibliografia
- Le terre del Gerundo (1994), Centro Studi della Geradadda.
- Aldrovandi U. (1640), Historiae serpentum et draconum.
- Cordier U. (1986), Guida ai draghi e ai mostri d'Italia.
- Izzi M. (1989), Il dizionario illustrato dei mostri.
- Mosca M. (2000), Mostri dei laghi.