Richard C. Lewontin, in Gene, organismo e ambiente, riflette sulla scienza con la consueta passione e competenza, critica alcuni luoghi comuni molto diffusi e mette in guardia contro il pericolo di confondere la metafora con la realtà. La scienza moderna si basa sulla metafora del mondo come macchina: questa, introdotta da Cartesio per comprendere il funzionamento degli organismi, è stata poi generalizzata, fino a diventare un modo per interpretare l'intero universo, ma c'è il rischio di non pensare più al mondo come se fosse una macchina, convincendosi che lo sia realmente.
La metafora dello sviluppo, centrale in biologia, nasce da un'interpretazione della natura del processo che è già implicita nel termine usato: "sviluppo" indica, infatti, l'attuazione di un programma che è già scritto nel codice genetico dell'organismo. Il pericolo di vedere solo questo lato del processo e cadere nel determinismo genetico è forte. Lewontin porta l'esempio di uno dei più eminenti biologi molecolari, Sydney Brenner, secondo il quale la sequenza completa del DNA di un organismo e un computer abbastanza potente sarebbero sufficienti per elaborare quell'organismo. Walter Gilbert, a sua volta, ha affermato che la conoscenza della sequenza completa del genoma umano equivale a sapere "che cosa significa essere umani". Lewontin critica questa visione unilaterale: "Esiste, e già da molto tempo, un'ampia serie di prove a dimostrazione del fatto che l'ontogenesi di un organismo è la conseguenza di un'interazione unica tra i geni di cui è portatore, la sequenza di ambienti esterni con cui entra in contatto nella sua vita e le interazioni molecolari casuali nell'interno delle singole cellule."
La diffusa convinzione che gli organismi siano perfettamente adattati all'ambiente in cui vivono è del tutto priva di una base oggettiva; lo stesso concetto di ambiente esterno, come qualcosa di dato, indipendente dagli organismi che lo abitano, deve essere radicalmente rivisto. Ha senso parlare dell'ambiente in rapporto a un organismo solo a partire dalla loro interazione; inoltre gli organismi, in quanto viventi, costruiscono attivamente il mondo che li circonda.
Anche concetti come il rapporto tra il tutto e le parti e tra cause ed effetti possono essere problematici quando si analizzano organismi e processi biologici. In biologia non sempre è facile individuare le parti che compongono un organismo: spesso sono individuate sulla base delle funzioni svolte, ma numerosi organi appartengono a diversi percorsi funzionali, che definiscono le stesse parti secondo topologie diverse. Ne consegue che in biologia non si può sfuggire al rapporto dialettico tra organismo e suoi componenti. Anche la separazione fra cause ed effetti può presentare difficoltà: a volte si confondono cause e agenti, soprattutto quando si affrontano problemi sociali. Un esempio è dato dalla mortalità nell'Europa del XIX secolo, quando le principali "cause" di morte erano le malattie infettive: difterite, vaiolo, tubercolosi, bronchite, polmonite e morbillo. La progressiva diminuzione di queste malattie durante l'Ottocento fu dovuta principalmente all'aumento dei salari reali, che comportò un miglioramento del livello di nutrizione e una diminuzione delle ore di lavoro; nutriti meglio e più riposati, i corpi divennero più reattivi agli attacchi delle infezioni e, anche se si ammalavano, riuscivano a sopravvivere. Le malattie infettive non erano state cause di morte, ma solo agenti.
Oggi il metodo scientifico è sottoposto ad attacchi intensi, con motivazioni ideologiche, politiche, religiose, culturali; la sua difesa richiede la riflessione sul significato e i limiti delle diverse discipline, oltre alla critica delle semplificazioni e delle generalizzazioni arbitrarie che alimentano una visione miracolistica della scienza.