Giuseppe Silvestri è il Rettore dell'Università di Palermo. Nato a Bolzano il 3 giugno 1941, si è laureato in chimica nel 1964 e da allora ha iniziato la sua collaborazione scientifica con la facoltà di Ingegneria di Palermo. In un proficuo incontro il Rettore Silvestri ci ha illustrato il suo punto di vista - derivato dalla quotidiana esperienza personale - sulla ricerca di base e lo stato delle università italiane.
Vorrei che ci aiutasse a chiarire un piccolo equivoco mediatico: la ricerca di base viene sovente presentata, dall'informazione generalista, come "alternativa" o "antitetica" rispetto alla ricerca applicata. Secondo lei, dove nasce questa contrapposizione?
La contrapposizione, del tutto artificiale, nasce da una pericolosa tendenza a proporre come "utile" il risultato scientifico immediatamente trasferibile ad ambiti applicativi, e come inutile quello la cui applicazione non è immediatamente visibile. La focalizzazione sul primo ambito, agevolata da politiche comunitarie che in passato (e in parte ancora adesso) vanno in cerca dei risultati immediatamente applicabili ha portato a parlare di "scienza applicata" come se fosse qualcosa di diverso rispetto alla seconda.
Il valore e il significato di un lavoro di ricerca che non abbia come fine applicazioni immediate, sono ben compresi dalla collettività e da chi questa collettività è deputato ad amministrare?
Alla luce di quello che dicevo prima, direi di no. Si tratta di un limite culturale grave di cui il nostro Paese in primo luogo, e l'Europa più in generale, rischiano di pagare le conseguenze a lungo termine. Purtroppo la notizia scientifica che potremmo definire di base, quella che resta per anni, e potrebbe restare per sempre, nell'ambito delle riviste specializzate, non premia sul piano dell'immagine, e non conferisce lustro ai finanziatori.
Giudica l'investimento in ricerca di base un punto di importanza strategica per un paese altamente industrializzato?
Sono fermamente convinto della necessità che la ricerca di base faccia parte della strategia della ricerca di ogni collettività che desidera mantenere alta la sua capacità di presa nell'ambito dello sviluppo tecnologico mondiale. La ricerca di base alimenta continuamente il sapere tecnologico, ben al di là dei ritorni immediati sul piano applicativo. Non dobbiamo dimenticare che l'approfondimento tecnologico riguarda qualcosa che fa già parte del nostro patrimonio di conoscenze e che può solo essere migliorata, mentre la ricerca sul nuovo può continuamente aprire nuovi orizzonti e fornire approcci completamente diversi anche alla soluzione di problemi noti.
Può farci esempi di paesi che negli ultimi 10-20 anni hanno fatto scelte forti su questo fronte, sia nella direzione di investire molto che di tagliare gli investimenti? Che risultati hanno colto?
Paesi come il Giappone e gli Stati Uniti, sia pure con approcci differenti, hanno mantenuta viva una importante tradizione di studi di base. L'Europa, e in ambito europeo l'Italia in particolare, non ha brillato per i suoi investimenti nella ricerca fondamentale.
Che ripercussioni stanno subendo le Università per la scarsità dei fondi loro destinati?
Il maggiore danno cui stiamo assistendo riguarda lo spostamento verso laboratori esteri, meglio attrezzati e con maggiori fondi a disposizione, dei migliori tra i nostri ricercatori. È un impoverimento che rischia di penalizzare per una generazione i nostri centri di ricerca, e di regalare all'estero tutti i nostri investimenti fatti su questi giovani.
Si stanno verificando anche danni permanenti o difficilmente recuperabili?
Nulla è irreversibile, quando si parla di risorse umane, purché si pongano in essere le misure necessarie a realizzare una inversione di tendenza. Se però sul futuro delle nostre Università dovesse gravare l'ipotesi, che sconsideratamente si sente talvolta, di selezionare poche università privilegiate nelle quali fare sia didattica che ricerca, e di declassare la maggioranza delle altre al rango di teaching universities, il danno alla capillare struttura attualmente esistente, e malgrado tutto vitale, di ricerca di base del Paese sarebbe irrimediabilmente distrutta.
Come si colloca l'Università di Palermo in questo quadro?
A Palermo, nella nostra Università, sono riscontrabili numerosi laboratori di ricerca sia applicata che di base. Inutile dire che le strutture di ricerca non ricevono dall'Ateneo finanziamenti adeguati alle loro necessità.
Se si riesce a mantenere un livello internazionale degli standard di ricerca, ciò è essenzialmente dovuto ai finanziamenti europei, tramite molti dei programmi che la Comunità europea lancia ogni anno. Purtroppo, come accennavo all'inizio, con maggiore attenzione alla ricerca applicata che a quella di base.
Si ringrazia il Prof. Gianfranco Lovison