Chiede il signor Vasco de Sabbata: "Perché si trova sempre tanta gente insospettabile disposta a perdere il proprio tempo e denaro dietro a offerte mirabolanti, palesemente ingannevoli, di rapido successo, facile acculturamento e quant'altro?". Rispondo con una piccola esperienza personale.
"Metto il computer in stop, aziono l'antifurto elettronico ed esco di casa. Di sotto, un cenno di saluto al portiere rumeno che sta chiacchierando con una giovane babysitter filippina strattonata da due ragazzini. La macchina è parcheggiata qui vicino, sì, ma dove esattamente?
Vado al centro della piazzetta, prendo il portachiavi, schiaccio il diodo a semiconduttori emettitore di infrarossi puntandolo in successione in direzione delle macchine che potrebbero essere la mia, finché delle amichevoli lucette rosse si fanno vive a farmi sapere che l'ho trovata.
Mi metto al volante e accendo la radio. Stanno annunciando un concerto in diretta trasmesso via satellite da qualche sala dall'altra parte del mondo. Ah, bello, non soffrirò nel traffico. Spengo il cellulare, tanto se qualcuno mi chiama ne sarò cortesemente informata. Sto per mettere in moto, ma noto un fastidioso foglietto di uno squillante arancione infilato sotto un tergicristallo. Scendo, lo estraggo, lo appallottolo, ma la trincea scavata in questi giorni per deporvi i tubi delle fibre ottiche mi impedisce di raggiungere il cassonetto. Rientro in macchina.
Con la coda dell'occhio vedo un braccio oltre il vetro alla mia sinistra. Non mi sono ancora mossa e c'è già il solito polacco o il nuovo indiano che vuole pulirmi il vetro? No, è un gruppetto di turisti giapponesi tutti sorriso e aggeggi elettronici ipertecnologici destinati a fargli vedere nei loro 30 mq a casa, tra 48 o 72 ore, tutto quello che non hanno avuto tempo di osservare durante la grande abbuffata del viaggio. Sventolano una mappa di Roma, si sono persi. Schiaccio il pulsante, il finestrino si abbassa. Rispondo sillabando lentamente in inglese alle loro domande. Arigato, arigato, si allontanano, ma avranno capito?
Rischiaccio il pulsante, il vetro risale. Le note di una chitarra elettrica strapazzata ad altissimo volume hanno misteriosamente soffocato la mia musica. Ma io quel concerto ce l'ho! Spengo la radio, inserisco il CD nel lettore. Ah. Si accendono ad una ad una sul marciapiede le lanterne rosse del ristorante cinese. Ma dove lo metto il foglietto che tengo ancora schiacciato tra palmo e anulare? Lo dispiego, lo distendo. Un po' spiegazzato, eccolo qua di seguito:
Ho un attimo di smarrimento, non so più bene dove sono. Medio Evo? Antico Egitto? Seicento pregalileiano? Mi riportano concretamente al presente data, numero di telefono e naturalmente indirizzo web. Vorrei tanto sapere quanto dovrà pagare chi vorrà iscriversi. Vorrei vederne la faccia. Metto in moto, mi fermo, lascio passare una vecchietta sorretta da badante peruviana. Spero di non essere nel futuro".
La realtà in cui viviamo qui e ora è talmente mutata dal punto di vista tecnologico e antropologico negli ultimi 40/50 anni, che la modesta cronaca fedele di un evento banale, quale è quello di uscire di casa e prendere la macchina, solo qualche decennio fa avrebbe potuto suonare come l'esordio di un inquietante racconto di fantascienza. Ma più veloce ancora è il nostro adattarci ai mutamenti, non nel senso di capirli, ma in quello di perdere la capacità di stupirci di fronte ad essi. Per mancanza di cultura, certo, in particolare scientifica, ma anche per pigrizia intellettuale.
Tutte le stupefacenti conquiste tecnologiche incuriosiscono appena, per poco, e in genere solo se sono merce acquistabile. Peggio, da una parte non si sa nulla dei processi, lenti e faticosi, che portano a tali conquiste, dall'altra, e forse proprio per questo, si dà tutto per scontato, si ritiene che la scienza possa compiere qualsiasi magia (o qualsiasi misfatto). "L'opinione pubblica - ha fatto osservare recentemente Umberto Eco - oggi è dominata dalla mentalità magica, sostenuta dalla tecnologia".
Discorso analogo per quanto riguarda la conoscenza dei diversi, che popolano sempre più numerosi le nostre strade, ci vivono accanto, portatori di credi, usi e valori differenti dai nostri. In particolare i cosiddetti extracomunitari: già il nome stesso che li ingloba tutti, annullando le differenze enormi che li contraddistinguono, rivela una scarsa propensione a conoscerli e a valutarli come individui. Il che priva innanzitutto noi di occasioni di crescita culturale e affettiva.
E proprio come, nel campo della fisica, i fenomeni sotto il naso, pur mirabili e complessi, sono disdegnati a vantaggio di buchi neri, spazi interstellari e quant'altro si sottragga a possibilità di verifica e riflessione immediata, così, invece di guardare in faccia il nuovo vicino, di parlargli, si preferisce immaginare incontri "astrali" con improbabili extraterrestri, o cercare emozioni "solari" al posto di quelle, infinite, che la vecchia Terra può ancora regalarci. Stiamo perdendo la capacità di leggere l'ambiente in cui viviamo il quale, quanto più complesso diviene, tanto più insignificante ci appare. Non ci accorgiamo che è il distillato storico, la sintesi di esperienze e conoscenze infinite (se non "universali") che basterebbe avere la pazienza di osservare e interrogare. E anche quando percorriamo il mondo, lo facciamo da ciechi, alla ricerca di svago, senza attenderci di essere modificati dal viaggio, affidando a strumenti vicari dei nostri sensi il compito di catturare quella realtà che sappiamo guardare ormai solo attraverso filtri (meccanici ma anche ideologici). La rapidità con cui attraversiamo oceani e continenti anestetizza la nostra percezione delle differenze, e ci appaiono deludenti luoghi che non corrispondono ai cliché assimilati. E dove cercare, allora, l'emozione, se non in viaggi perlomeno astrali?
La pazienza che occorre per osservare, interrogare, tentare delle risposte fondate, è virtù di certo gratificante, ma assai poco praticata, perché ritenuta faticosa. Si preferiscono sintesi premasticate, della cui bontà garantiscono in genere riferimenti ad antiche culture possibilmente misteriose, sintesi cui preparano una scuola sempre meno stimolante, e la convinzione sempre più diffusa che la cultura sia un inutile bagaglio. E infine si organizzano corsi che offrono sintesi caso mai ci si dovesse stancare a pensare in proprio!
Se il foglietto arancione è un condensato modesto, ma reale, degli atteggiamenti appena descritti - è facile configurare da un lato chi in mala fede organizza il corso a scopo di lucro, dall'altra i semplici che cascano nella rete - temo che il paradigma, seppure a livelli diversi e più sofisticati, magari non sempre facilmente riconoscibili, si riproponga di frequenza.
Che fare? Rispolverare in fretta l'intelligenza e perché no? Anche la coscienza, e metterle subito subito al lavoro, ma non in una qualche auletta di via Cremona a Roma, quanto piuttosto in quel laboratorio sempre aperto, gratuito e a disposizione di tutti che è il nostro quotidiano vissuto.
Mariapiera Marenzana
Docente di lettere
Coautrice con Andrea Frova di Parola di Galileo (BUR, 1998)
"Metto il computer in stop, aziono l'antifurto elettronico ed esco di casa. Di sotto, un cenno di saluto al portiere rumeno che sta chiacchierando con una giovane babysitter filippina strattonata da due ragazzini. La macchina è parcheggiata qui vicino, sì, ma dove esattamente?
Vado al centro della piazzetta, prendo il portachiavi, schiaccio il diodo a semiconduttori emettitore di infrarossi puntandolo in successione in direzione delle macchine che potrebbero essere la mia, finché delle amichevoli lucette rosse si fanno vive a farmi sapere che l'ho trovata.
Mi metto al volante e accendo la radio. Stanno annunciando un concerto in diretta trasmesso via satellite da qualche sala dall'altra parte del mondo. Ah, bello, non soffrirò nel traffico. Spengo il cellulare, tanto se qualcuno mi chiama ne sarò cortesemente informata. Sto per mettere in moto, ma noto un fastidioso foglietto di uno squillante arancione infilato sotto un tergicristallo. Scendo, lo estraggo, lo appallottolo, ma la trincea scavata in questi giorni per deporvi i tubi delle fibre ottiche mi impedisce di raggiungere il cassonetto. Rientro in macchina.
Con la coda dell'occhio vedo un braccio oltre il vetro alla mia sinistra. Non mi sono ancora mossa e c'è già il solito polacco o il nuovo indiano che vuole pulirmi il vetro? No, è un gruppetto di turisti giapponesi tutti sorriso e aggeggi elettronici ipertecnologici destinati a fargli vedere nei loro 30 mq a casa, tra 48 o 72 ore, tutto quello che non hanno avuto tempo di osservare durante la grande abbuffata del viaggio. Sventolano una mappa di Roma, si sono persi. Schiaccio il pulsante, il finestrino si abbassa. Rispondo sillabando lentamente in inglese alle loro domande. Arigato, arigato, si allontanano, ma avranno capito?
Rischiaccio il pulsante, il vetro risale. Le note di una chitarra elettrica strapazzata ad altissimo volume hanno misteriosamente soffocato la mia musica. Ma io quel concerto ce l'ho! Spengo la radio, inserisco il CD nel lettore. Ah. Si accendono ad una ad una sul marciapiede le lanterne rosse del ristorante cinese. Ma dove lo metto il foglietto che tengo ancora schiacciato tra palmo e anulare? Lo dispiego, lo distendo. Un po' spiegazzato, eccolo qua di seguito:
Ho un attimo di smarrimento, non so più bene dove sono. Medio Evo? Antico Egitto? Seicento pregalileiano? Mi riportano concretamente al presente data, numero di telefono e naturalmente indirizzo web. Vorrei tanto sapere quanto dovrà pagare chi vorrà iscriversi. Vorrei vederne la faccia. Metto in moto, mi fermo, lascio passare una vecchietta sorretta da badante peruviana. Spero di non essere nel futuro".
La realtà in cui viviamo qui e ora è talmente mutata dal punto di vista tecnologico e antropologico negli ultimi 40/50 anni, che la modesta cronaca fedele di un evento banale, quale è quello di uscire di casa e prendere la macchina, solo qualche decennio fa avrebbe potuto suonare come l'esordio di un inquietante racconto di fantascienza. Ma più veloce ancora è il nostro adattarci ai mutamenti, non nel senso di capirli, ma in quello di perdere la capacità di stupirci di fronte ad essi. Per mancanza di cultura, certo, in particolare scientifica, ma anche per pigrizia intellettuale.
Tutte le stupefacenti conquiste tecnologiche incuriosiscono appena, per poco, e in genere solo se sono merce acquistabile. Peggio, da una parte non si sa nulla dei processi, lenti e faticosi, che portano a tali conquiste, dall'altra, e forse proprio per questo, si dà tutto per scontato, si ritiene che la scienza possa compiere qualsiasi magia (o qualsiasi misfatto). "L'opinione pubblica - ha fatto osservare recentemente Umberto Eco - oggi è dominata dalla mentalità magica, sostenuta dalla tecnologia".
Discorso analogo per quanto riguarda la conoscenza dei diversi, che popolano sempre più numerosi le nostre strade, ci vivono accanto, portatori di credi, usi e valori differenti dai nostri. In particolare i cosiddetti extracomunitari: già il nome stesso che li ingloba tutti, annullando le differenze enormi che li contraddistinguono, rivela una scarsa propensione a conoscerli e a valutarli come individui. Il che priva innanzitutto noi di occasioni di crescita culturale e affettiva.
E proprio come, nel campo della fisica, i fenomeni sotto il naso, pur mirabili e complessi, sono disdegnati a vantaggio di buchi neri, spazi interstellari e quant'altro si sottragga a possibilità di verifica e riflessione immediata, così, invece di guardare in faccia il nuovo vicino, di parlargli, si preferisce immaginare incontri "astrali" con improbabili extraterrestri, o cercare emozioni "solari" al posto di quelle, infinite, che la vecchia Terra può ancora regalarci. Stiamo perdendo la capacità di leggere l'ambiente in cui viviamo il quale, quanto più complesso diviene, tanto più insignificante ci appare. Non ci accorgiamo che è il distillato storico, la sintesi di esperienze e conoscenze infinite (se non "universali") che basterebbe avere la pazienza di osservare e interrogare. E anche quando percorriamo il mondo, lo facciamo da ciechi, alla ricerca di svago, senza attenderci di essere modificati dal viaggio, affidando a strumenti vicari dei nostri sensi il compito di catturare quella realtà che sappiamo guardare ormai solo attraverso filtri (meccanici ma anche ideologici). La rapidità con cui attraversiamo oceani e continenti anestetizza la nostra percezione delle differenze, e ci appaiono deludenti luoghi che non corrispondono ai cliché assimilati. E dove cercare, allora, l'emozione, se non in viaggi perlomeno astrali?
La pazienza che occorre per osservare, interrogare, tentare delle risposte fondate, è virtù di certo gratificante, ma assai poco praticata, perché ritenuta faticosa. Si preferiscono sintesi premasticate, della cui bontà garantiscono in genere riferimenti ad antiche culture possibilmente misteriose, sintesi cui preparano una scuola sempre meno stimolante, e la convinzione sempre più diffusa che la cultura sia un inutile bagaglio. E infine si organizzano corsi che offrono sintesi caso mai ci si dovesse stancare a pensare in proprio!
Se il foglietto arancione è un condensato modesto, ma reale, degli atteggiamenti appena descritti - è facile configurare da un lato chi in mala fede organizza il corso a scopo di lucro, dall'altra i semplici che cascano nella rete - temo che il paradigma, seppure a livelli diversi e più sofisticati, magari non sempre facilmente riconoscibili, si riproponga di frequenza.
Che fare? Rispolverare in fretta l'intelligenza e perché no? Anche la coscienza, e metterle subito subito al lavoro, ma non in una qualche auletta di via Cremona a Roma, quanto piuttosto in quel laboratorio sempre aperto, gratuito e a disposizione di tutti che è il nostro quotidiano vissuto.
Mariapiera Marenzana
Docente di lettere
Coautrice con Andrea Frova di Parola di Galileo (BUR, 1998)