Non molto tempo fa è stata completata la "mappatura" del DNA umano e in proposito si è sentito ripetere insistentemente da specialisti e dalla stampa che si sarebbe trattato di un "evento storico". Naturalmente, ha poco senso discutere sull'importanza di qualche evento, quando le conseguenze di esso si vedono solo dopo, spesso dopo molto tempo.
Basti dire che in questo caso si trattava di un lavoro già in stato avanzato e che la "mappatura" di importanti tratti del DNA, o almeno di quelli per cui si aveva ragione di ritenere che fossero importanti, era già acquisita. Caso mai qualche titolo di "storicità", se proprio si vuole scomodare la storia, vantano le acquisizioni delle tecniche che permettono di "mappare" singoli tratti di DNA. Oggi sento i miei amici e colleghi che si occupano di queste cose dire: faccio un PCR (la sigla si riferisce alle iniziali di "Polymer Chains Reaction" ed è un metodo che consente di fabbricare copie di tratti di acido nucleico), con lo stesso tono di voce con cui un meccanico direbbe: "sostituisco un dado". Trattasi infatti di tecniche ormai standardizzate, anche se particolarmente raffinate.
Si tratta poi di mettere in ordine i pezzi "mappati", un gigantesco e difficile puzzle, ove però l'aiuto del calcolatore è essenziale. Né qui vale la pena discutere sulla superiorità del metodo "pubblico" su quello "privato". Resta il fatto che la massa di lavoro dedicata a questi problemi, la notevole mole di danari investiti e lo stesso nascere di nuove imprese ha finora deluso. Le realizzazioni che pure ci sono state, non hanno approdato finora a molte concrete possibilità di sviluppo. La crisi borsistica di tali imprese ha certo risentito di tutto ciò, anche se altre cause si sono certamente aggiunte (tra esse il terrorismo gratuito profuso nei confronti di alcune applicazioni agricole). C'è da augurarsi che il trionfalismo cui si ricorre ancor oggi non abbia alle spalle solo il bisogno di mantenere alti i finanziamenti e di rivalutare le "nuove" imprese che, già dagli annunci del completato "mappaggio", hanno ottenuto qualche vantaggio e che, se vanno bene, possono finanziare generosamente la ricerca.
Alla base di tutto ciò, naturalmente, stanno questioni ben più serie. Val la pena ricordarne qualcuna agli amici del CICAP, anche se non si tratta di fantasmi, oroscopi o simili cose. Una sta nella visione quasi "atomistica" di un organismo umano: questo gene fa questo e questo. Non passa giorno che non si dica che qualcuno ha scoperto il gene della tal cosa. Ho il sospetto che una maggior prudenza sarebbe opportuna. Questa sorta di "riduzionismo" ostentato dimentica sia che in casi noti lo stesso gene in diverse situazioni può far cose diverse, sia che il sistema genetico è un sistema complesso in cui le interazioni tra diversi tratti di DNA sono importanti e spesso non ancora note. Inoltre bisognerebbe mettere in conto il fatto che negli organismi complessi vi sono importanti vincoli sistemici di cui in gran parte sappiamo troppo poco, se non nulla. Né si vuol ricordare che la sicurezza con cui talora si fa intendere che tutte le caratteristiche umane siano "determinate" dai geni è gratuita, tutta da motivare e da dimostrare.
Comunque un panorama globale di quanto complicati appaiano i comportamenti e le funzioni del DNA sulla base delle ricerche più recenti, può vedersi nei dati risultanti da un recente convegno organizzato in proposito dalla New York Academy of Sciences e recentemente pubblicati in volume (L.H.Caporale (Ed.): "Molecular Strategies in Biological Evolution". Vol. 870 of the Anna1s of the New York Academy of Sciences. New York 1999, pp. XIV+434).
Un'altra questione su cui si discute è quella del numero dei geni. Chi scrive, qualche anno fa, in base a considerazioni di ordine teorico, aveva stimato che i geni umani fossero tra 30 e 35 mila. Né dopo di allora ha avuto motivo di cambiare opinione. Il mio amico Boncinelli aveva pensato a circa 60.000, ma c'era chi era arrivato fino a circa 100.000 e oltre. Oggi, con sorpresa (!), si parla ai circa 32-38 mila. Ci sono naturalmente dei problemi. Ma anche qui non mi stupirei se certe posizioni dogmatiche tendessero a drammatizzare il problema. Tradizionalmente si pensava che valesse il principio: "un gene, una proteina". Ma non è detto che debba esser così. Ci sono casi, mi vengono in mente i processi immunitari, in cui una stessa codificazione genetica può dar luogo a diverse proteine attraverso il taglio di determinati e diversi segmenti codificanti, in cui chiaramente il principio non vale. Ma possono esserci altri meccanismi. L'odierna attualità può suggerire una eventualità.
Prusiner, scoprendo i prioni, mise in evidenza l'esistenza di proteine con caratteristiche molto strane: trasportare e trasferire "informazioni" sulla struttura spaziale delle proteine stesse. Ma poca attenzione poteva esser dedicata ad essi, visto che il "dogma centrale" della genetica affermava che l'informazione non poteva venire che dal DNA. Si pensi che anche i lieviti hanno i loro prioni. Si veda il lavoro di due ricercatori dell'Università di Chicago (Nature, settembre 2000). Secondo questi una proteina nella sua struttura spaziale normale fa certe cose, ma nella conformazione che potremmo definire prionica ne fa altre. In questo caso i due assetti spaziali della proteina sono
entrambi positivi, a differenza del caso in cui l'assetto spaziale diverso di una proteina (prione) dà esiti letali nella mucca (mucca pazza). In entrambi i casi però la proteina che ha assunto la struttura spaziale prionica fa da stampo alle altre molecole proteiche simili e le trasforma in prioni.
Insomma, sembrerebbe che anche le proteine, sotto certe condizioni possano trasferire informazione. Non a caso la Lindquist, coautrice del lavoro sui lieviti sopra citato, scrive: "Bisogna espandere la nostra comprensione dell'eredità. Questa chiama in causa molto di più di una certa sequenza di DNA". Abbandoniamo i dogmi e chiediamoci: è generalizzabile questo meccanismo di trasmissione dell'informazione spaziale tramite proteine? E se la risposta fosse positiva: è possibile che si diano molte conformazioni proteiche "prioniche" dotate di precise funzioni biologiche e che non siano letali? Questo implica naturalmente un allargamento delle prospettive della ricerca. Ma questo è un fatto positivo e, in ogni caso, sembra inevitabile.
Renzo Morchio
Professore di biofisica
Università di Genova