Il 30 novembre 2001, due Bustine fa*, rimandavo a una raccolta di saggi sul metodo di Sherlock Holmes, pubblicata a cura mia e di Thomas A. Sebeok. Senza volere ricordavo un amico che di lì a tre settimane sarebbe scomparso. E infatti il 21 dicembre ci ha lasciato, a ottantun anni, Thomas Sebeok, che gli studiosi di linguistica e semiotica di tutto il mondo conoscevano molto bene. Chiunque si sia occupato di problemi della comunicazione, prima o poi ha avuto a che fare con Sebeok, con la rivista "Semiotica" che aveva fondato e dirigeva, con le varie collane internazionali che sapeva animare, con la sua abilità di talent scout, con quella insaziabile attenzione al lavoro altrui che lo portava a mettere in contatto linguisti, antropologi, biologi, etologi, per approfondire le trame della comunicazione a ogni livello.
Per sé aveva da tempo riservato il territorio della comunicazione animale, ovvero la zoosemiotica, e su questa strada era andato così avanti che negli ultimi tempi si occupava di comunicazione tra i batteri - e lo prendevamo anche un poco in giro per questa sua frenesia batterica, ma rispettavamo la curiosità che lo animava nello spostare sempre in avanti le frontiere dello studio semiotico.
Però quest'uomo, che talora si innamorava di certi problemi, è sempre stato il primo a invitarci ad affrontarli col dovuto scetticismo.
Credeva certamente che esistessero sistemi di comunicazione tra animali, ma l'ho sempre udito esprimere dubbi fortissimi sui rapporti comunicativi tra animali e uomini, sia a proposito di cavalli calcolatori che delle più celebri scimmie intelligenti degli ultimi decenni. E una volta questo suo prudentissimo scetticismo lo ha esercitato anche nei confronti dei sistemi di comunicazione umana, a cui si era pure dedicato dalla giovinezza. La storia è andata così.
Nel 1984 l'Office of Nuclear Waste Isolation gli aveva chiesto aiuto per rispondere a un quesito posto dalla U.S. Nuclear Regulatory Commission. Il governo americano aveva scelto alcune zone desertiche degli Stati Uniti per seppellirvi (a molte centinaia di metri di profondità) delle scorie nucleari. Il problema non era tanto di proteggere la zona da intrusioni di imprudenti, oggi; era come proteggerle in futuro, dato che sarebbero rimaste radioattive per diecimila anni. Gli enti nucleari si erano resi conto, pensando a quante cose sono successe negli ultimi diecimila anni, che nei prossimi diecimila la terra potrebbe subire rivolgimenti tali da essere abitata da popolazioni tornate a uno stato di barbarie, incapaci di leggere avvisi scritti oggi in inglese, come noi siamo oggi incapaci di leggere i geroglifici egizi. Oppure che nel frattempo potrebbe essere visitata da viaggiatori provenienti da altri pianeti. Come informare quei visitatori futuri che la zona è pericolosa?
Sebeok ha subito escluso ogni comunicazione verbale, i segnali elettrici perché richiederebbero energia costante, i messaggi olfattivi perché di breve durata, e qualsiasi forma di ideogramma riconoscibile solo in base a precise convenzioni. Anche se si crede che qualsiasi popolo possa comprendere alcuni pittogrammi fondamentali (figura umana, schizzi di animale, eccetera), Sebeok ha subito individuato una immagine dalla quale era impossibile decidere se gli individui rappresentati stessero lottando, danzando, cacciando o compiendo qualche altra attività. Quindi erano esclusi anche avvisi "figurativi".
Una soluzione sarebbe stata stabilire segmenti temporali di tre generazioni ciascuno (calcolando che in qualsiasi civiltà la lingua non cambia sensibilmente tra nonno e nipote) e fornire istruzioni perché allo scadere del periodo i messaggi venissero riformulati adattandoli alle convenzioni semiotiche del momento. Ma questa soluzione presupponeva proprio quella continuità sociale e territoriale che il quesito metteva in questione. Altra soluzione era di infittire nella zona messaggi di qualsiasi tipo, in ogni lingua e sistema semiotico, speculando sulla possibilità statistica che almeno uno dei sistemi potesse rimanere comprensibile ai visitatori futuri - così che quell'insieme di messaggi funzionasse come una sorta di nuova stele di Rosetta. Ma anche questo presumeva una continuità culturale, per esile che fosse.
Alla fine Sebeok ha preferito tornare all'antico. Ha consigliato di istituire una sorta di casta sacerdotale, formata da scienziati nucleari, antropologi, linguisti, psicologi, che si perpetui nei secoli per cooptazione e mantenga viva la conoscenza del pericolo, creando miti, leggende e superstizioni. Costoro col tempo forse continuerebbero a tramandare qualcosa di cui hanno perduto l'esatta nozione, ma anche in un consorzio umano tornato alla barbarie potrebbero far sopravvivere oscuri ma efficaci tabù.
Non credo che gli enti interessati abbiano dato ascolto a Sebeok.
Volevano qualcosa di più concreto. Ma lo scetticismo di Sebeok li aveva avvertiti che, in certe circostanze, non c'è nulla di più concreto del mito.
Umberto Eco
Ordinario di semiotica
Università di Bologna