superate certe perplessità vorrei portare il mio contributo al dialogo nella misura in cui ne sono capace. Mi chiedo: perché mai un ricercatore scettico dovrebbe essere meglio di un ricercatore senza aggettivi. Il pregiudizio scettico squalifica, secondo me, il CICAP di fronte alla gente la quale si chiede con quale luce mentale si esortino le persone a crescere, ad essere uomini, di fronte ad un nulla di cui per fortuna non vi è nessuna certezza. Di fronte ad "una niente così superiore" (parole di Einstein) che tutta l'intelligenza degli uomini... ecc., di fronte a questa mente senza neuroni né sinapsi, né altro supporto materiale, l'esistenza dello spirito tal quale appare evidente ed appare ancora più logica la sua sopravvivenza per dare un significato. teso ad un traguardo evolutivo che è sotto i nostri occhi, al libero arbitrio, alla coscienza di cui ci sentiamo inevitabilmente portatori. Siamo al confine tra fisica e filosofia, in quel campo in cui ci portano inevitabilmente le ipotesi sul paranormale. E poiché solo di ipotesi si tratta è inutile far finta di nulla e tanto vale affrontarle a suon di logica. La prima cosa che viene in niente è che senza la sopravvivenza cade veramente la morale, risultando razionalmente equivalenti sia il sacrificio altruistico che l'atteggiamento opposto. Il senso di responsabilità che sentiamo in noi, sarebbe allora un errore di quella famosa "mente superiore"? Oppure una nostra errata impressione da reprimere?
Non deve stupire che la gente ricerchi il bandolo di questa matassa arrangiandosi come può in base al proprio livello culturale ed è solo discendendo dal piedistallo anticlericale illuminista ed aprendo un dialogo a tutto campo con filosofi e teologi che si può fare della vera cultura. Forse il dubbio farò sempre parte del nostro destino di uomini. Dubbio come presupposto della libera scelta e di fronte alla nostra abissale ignoranza la posizione possibilista resta tutto sommato la più ragionevole. Che senso ha darsi delle arie di sapere tutto e chiudere la bocca a chi pensa di avere qualcosa da dire?
Ing. Tito Tamburini, Milano
ono molti e abbastanza profondi gli argomenti toccati nella sua lettera, ing. Tamburini. Il più direttamente indirizzato al CICAP è forse quello dello scetticismo, legato alla considerazione che "di fronte alla nostra abissale ignoranza la posizione possibilista resta tutto sommato la più ragionevole". Dobbiamo innanzi tutto chiarire che per "scetticismo" noi non intendiamo affatto nichilismo, indifferenza, pregiudizio. Intendiamo un salutare atteggiamento di cautela prima di omologare la realtà di certi conclamati fenomeni. Fenomeni in contrasto con le più consacrate leggi da natura, così come tre secoli di scienza ce le propongono. Soprattutto di fronte alle insidie statistiche di eventi rari ancorché esistenti, elusivamente testimoniati ma a tutt'oggi mai documentati, lo scetticismo sembra proprio doveroso. In un processo indiziario per omicidio lei inviterebbe la magistratura a bandire lo scetticismo davanti a strampalate lettere anonime e a volerle considerare di pari dignità con le prove più inoppugnabili? Un valido ricercatore può e deve essere scettico, purché sia intellettualmente onesto naturalmente. Ma lei m'insegna, ingegnere, che le sorti della scienza non sono più che tanto legate nemmeno all'onestà dei singoli ricercatori, perché i fenomeni devono essere ripetibili in ogni circostanza, naturalmente a parità di condizioni: e una smentita vale più di mille conferme. Veramente lei pensa che... tutto sia possibile? Questa è una affermazione che colpisce la scienza al cuore, perché il potere della scienza è proprio quello di "escludere": risolvere un qualsiasi problema non significa forse escludere tutte le possibili soluzioni, eccetto una? Per quanto riguarda le "arie", io penso che sarebbe quanto mai inopportuno dare la parola a una casalinga o a un notaio in un convegno sui Fondamenti della Meccanica Quantistica. A lei non pare?
Prof. Adalberto Piazzoli