Questo spazio è dedicato a tutte quelle Antenne che desiderano raccontare le loro esperienze di scettici "sul campo", il loro punto di vista nei confronti del paranormale, il percorso che li ha avvicinati agli ideali del CICAP e tutte le esperienze e i suggerimenti che desiderano condividere con i lettori di S&P e con le altre Antenne. Se siete già Antenne del CICAP e volete collaborare a questa rubrica scrivete all'indirizzo che segue: Claudio Cocheo - "Coordinamento Nazionale delle Antenne del CICAP" c/o CICAP - cp. 847, 35100 Padova; e-mail: [email protected].
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Claudio Cocheo
Non so voi, ma se fossimo in diecimila in uno stadio e io avessi in mano un bigliettino, con un numero compreso fra lo 0000 e il 9.999, e tirassero a sorte (estraendo per quattro volte una pallina da un sacchetto) la persona che lì per lì dovrà essere fucilata, io dico (scettico con tutti i diplomi e tutte le lauree in scetticismo locale, provinciale e planetario), che sarei molto meno preoccupato se avessi il 4444, o anche lo 0001, di quanto non lo sarebbe il mio vicino, che ha (poverino...) un numero più "normale", diciamo il 3.716.
Oppure, se qualcuno mi dicesse che nel mio ufficio, alla scrivania di fronte, è stata assunta una nuova giovane impiegata, che arriva domani e si chiama Pasqualina Rossi, non me la immaginerei bella e formosa quanto una nuova compagna di lavoro, ancora sconosciuta, ma dal nome, diciamo, di Ariadna Luisa Montenegro.
Io sono fatto così.
Oppure (ultimo esempio), quando gioco a Trivial e voglio che esca un uno, a volte mi sorprendo a lanciare sul tavolo il dado piano piano, come a non voler fargli del male, e invece se voglio un sei lo lancio in modo violento, convinto che sia così che si ottengono i numeri alti. (Ho detto "convinto"? Ho paura che non mi farete mai più scrivere su S&P...)
Ma è curioso che io agisca così, dal momento che credo (ma proprio credo!) nella pari opportunità statistica dei numeri di un sorteggio, nell'inesistente rapporto tra nome di battesimo e forma della faccia, bella o brutta, e nella famosa legge della Fisica che dice che "per avere un 6, le possibilità sono le stesse se lanci il dado pian pianino o se rompi il dado contro il vetro del tavolo".
Ecco perché ho intitolato questo articolo "Che strano è lo scettico", perché, almeno io, a volte mi sento strano.
Non guardo mai sotto il mio letto per assicurarmi che non ci sia un assassino, tranne quando ho appena visto un film dell'orrore. E solo dopo, quando mi sono assicurato che sotto il letto non c'è nessuno, e neanche dentro l'armadio, e tanto meno dietro la tenda della vasca da bagno, solo allora mi dico "ma che cosa sto facendo, sono un idiota!". Sí, ma osservate: l'ho detto solo dopo. Non prima, quando dovevo dimostrare lo scetticismo militante dicendo a me stesso, ancora impaurito sul letto, al buio, "Va bene, poco fa ho visto al cinema che un tale tagliava la gola alle persone mentre dormivano, ma questo non significa che proprio oggi ce ne sia uno con il coltello pronto sotto il mio letto". E mi sarei risposto (perché mi conosco): "Va bene, sarà anche vero, ma io guardo lo stesso, tanto, chi mi vede? Massimo Polidoro? Piero Angela?!"
Insomma, amici, io mi confesso. Agli Ufo non credo, alle voci dell'aldilà nemmeno, alla telepatia manco a parlarne, e a tante altre cose pure. Perché sono un razionalista. Perché credo solo nelle leggi della Fisica dei Movimenti Celesti. E nelle leggi della chimica del manuale che studiavo al liceo. Ma...
Ma da un po' di tempo ho scoperto un angolino (arcaico? paleolitico?) del mio cervello, che si oppone alla resa totale. Che mi fa ragionare come un cretino. Non sempre però, per fortuna, ma solo - badate bene - quando io, di persona, sono coinvolto nella faccenda. Per esempio, mi incavolo quando sento che un amico ci mette un sacco di tempo a scegliere il numero giusto del biglietto della lotteria (tanto, gli dico, la Fortuna è cieca!), e invece quel giorno allo stadio, prima della fucilazione, ero contento di avere il difficilissimo 4.444. Forse perché davanti al pericolo, in una situazione di grande paura, si ragiona tirando fuori dal cervello il sugo di tutti gli strati, non solo di quelli più esterni, della corteccia, (più moderni e razionali) ma anche di quelli interni, del cervelletto (più arcaici e bui). Perché la teoria non ti basta e senti di avere bisogno di un rinforzo, qualunque esso sia, anche irrazionale (rinforzo di cui, passato il pericolo, ti vergogni di aver avuto bisogno: "Che scemo... e io a guardare sotto il letto, pensa un po'...")
Insomma, è solo una teoria, non prendetevela con me... Ma dove volevo arrivare?
Volevo arrivare alle ragioni dello scetticismo. Perché alcune persone sono scettiche e altre no? Io mi chiedo se sia una questione di gusto (Inter versus Milan), o di capacità (hamburger e birra piccola versus caviale e spumante), o di estetica (difficilissima e pesantina lezione universitaria sulla legge della gravitazione versus film americano con un attore bellissimo, con i denti bianchissimi, che muove gli oggetti schioccando due dita)?
Spesso mi chiedo perché spieghi a un tuo amico Capricorno, che il giorno in cui è nato, il sole era piazzato, invece, sul Sagittario, diversamente da quanto spiegano gli astrologi, e glielo ragioni, e glielo dimostri con carta e penna, addirittura con il cannocchiale, e lui si sorprende, e alla fine sembra convintissimo e ti dà ragione... finché tre mesi dopo lo senti che parla con un'amica e le fa "Io sono Capricorno, e tu?"
Sono cose che ti fanno pensare, e seriamente, sulla natura umana.
Prima ipotesi (un po' affrettata): c'è gente che se ne frega della Verità quando è scomoda, e preferisce di gran lunga, la comodità della tradizione. Sono persone che quando sentono, in una seduta spiritica, una voce dall'aldilà, non si chiedono se sia vera o finta perché è più bello pensare di avere partecipato a un fatto straordinario che scoprire che uno dei presenti ha premuto il tasto di un registratore nascosto. Non si ama la verità quanto l'emozione.
Noi no. Noi scettici amiamo la verità, perché in essa vediamo la bellezza e solo questa ci procura l'emozione. È una bellezza fatta da cose esatte, sistematiche, misurabili, aspettabili. Un fantasma, o un E.T. dal dito lungo, o la crescita miracolosa di un piede, ci renderebbero felicissimi, ma prima - quanto siamo noiosi! - dobbiamo misurarlo, registrarlo, fotografarlo, pesarlo (probabilmente abbiamo avuto un infanzia chissaccome...! A me, da piccolo, piaceva fare la lista delle macchine che passavano sotto casa mia, trentacinque bianche, dodici rosse, dieci nere... oppure, ventitre Renault, dodici Seat, una Volkswagen...)
Ecco che cos'è che accomuna gli scettici? Ora lo so: che siamo in avanti rispetto agli altri perché abbiamo sviluppato di più la zona razionale del cervello. Perché per diventare scettici bisogna prima sapere certe cose: se non le sai resterai per sempre nel mondo delle fiabe infantili. E queste cose si chiamano: numeri, dati, grammi, e toccare con le dita. Io da bambino ero già odioso, perché, quando i miei amichetti discutevano sul numero delle macchine in circolazione, io sapevo già la percentuale esatta! Ma, come potevo fare a imporre la mia opinione? Era molto più scientifica e qualificata della loro! Dicevo di aver fatto i calcoli e giustamente non mi credevano (logico, a undici anni...!). Per me la bellezza era la conoscenza del numero esatto, per loro invece era l'opinione del più forte del gruppo, o del più coraggioso, o del più bello.
Amici scettici, dapprima avevo pensato di dedicare questo articolo a una riflessione: "Che cosa porta un uomo adulto - laureato, ministro, insegnante, o foniatra - a credere ai morti che parlano? E perché noi, scettici incalliti, non ci crediamo?" Ma poi ho pensato che era una riflessione inutile. Perché è molto più facile - e pratico - fare un'inchiesta mettendo a confronto l'infanzia e l'adolescenza dei due gruppi, o il loro tipo di intelligenza o, che ne so, le loro aspirazioni nella vita... e studiare seriamente i risultati.
Sono sicuro che, nel nostro gruppo di irrecuperabili amanti della Legge del Buon Senso, i ricercatori troverebbero una formazione infantile a base di giocattoli aperti ("era per sapere come funzionava, mamma..."), di tre ore con gli occhi fissi sul monotono brulicare di un formicaio ("e che ve ne importa di che cosa guardo...?") e di tante letture di eroi fantastici che ci arricchivano la fantasia ma che non ci distruggevano il cervello di Sapiens-Sapiens.
Ma bambini che adesso, trent'anni dopo, continuano a guardare sotto il letto quando hanno paura, e che sperano nel 4.444.
Solo perché non siamo perfetti.
Victor Maña
Laureato in lettere (filologia romanza) è insegnante presso la Scuola Ufficiale di Lingue di Malaga e Antenna del CICAP per la città di Malaga, in Spagna.