Cigni bianchi e cigni neri: dimostrare le affermazioni negative

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Se partecipate alle discussioni sul paranormale e sulle pseudoscienze, vi sarà capitato di sentir dire «non si può dimostrare un’affermazione negativa»: per esempio «non si può dimostrare che gli unicorni non esistono» oppure «non è possibile dimostrare che nessuno è mai stato rapito dagli alieni». Spesso la tesi «non si può dimostrare un’affermazione negativa» viene presentata, senza riferimenti precisi, come una regola fondamentale della logica o della filosofia della scienza. In realtà, come sempre capita in questa rubrica, le cose sono un po’ più complicate: un pizzico di verità c’è, ma la regola così formulata non è corretta e, di conseguenza, non si trova in alcun manuale, né di logica né di epistemologia.

In un articolo del 2005[1] Steven D. Hales, professore di filosofia alla Bloomsburg University, si è preso la briga di analizzare questa tesi e le sue implicazioni.

Quello che ha in mente di solito chi invoca questa regola è il problema dell’induzione: è logicamente impossibile dimostrare in modo assoluto proprietà universali a partire da un numero finito di osservazioni empiriche, non importa quante (v. anche la rubrica di De Conti in questo stesso numero). Per esempio, la generalizzazione «tutti i cigni sono bianchi» sembrava molto ragionevole agli europei fino a quando, nel 1697, l’olandese Willem de Vlamingh scoprì in Australia che esistevano anche i cigni neri. Allo stesso modo, il fatto che dalla fondazione della Society of Psychical Research nel 1882 a oggi non sia mai stato osservato un fenomeno paranormale in condizioni di controllo scientifico non dimostra in maniera assoluta che i fenomeni paranormali non esistano, perché domani potremmo scoprire un fenomeno paranormale autentico che smentirebbe questa generalizzazione. Tuttavia, questa assenza di risultati ci rende molto scettici sull’esistenza dei fenomeni paranormali, cioè ci fa pensare che la probabilità che esistano davvero sia estremamente bassa[2]. Possiamo chiamare questa conclusione “generalizzazione empirica” per distinguerla dall’induzione: l’induzione produrrebbe una certezza assoluta, la generalizzazione empirica no.

L’errore però è un altro: il problema dell’induzione non vale solo per le affermazioni negative, ma per qualsiasi generalizzazione, positiva o negativa, si cerchi di dimostrare a partire da osservazioni empiriche. «Tutti i cigni sono bianchi» è appunto un’affermazione positiva che è impossibile dimostrare induttivamente. Mentre le dimostrazioni della logica e della matematica pura possono arrivare alla certezza assoluta, nelle scienze empiriche si può raggiungere soltanto un grado di probabilità che può essere estremamente alto ma non totale (come per la teoria della gravitazione universale o per l’inesistenza dei fenomeni paranormali). In questo non c’è nessuna differenza tra le affermazioni positive e quelle negative.

Oltre al problema dell’induzione, l’altro principio al quale si fa riferimento con questa affermazione è l’onere della prova: è chi sostiene che esista la percezione extrasensoriale o che l’astrologia funzioni a dover fornire le prove, non chi è scettico. Fin qui tutto bene. Questo però non perché si tratti di affermazioni negative, ma per il problema dell’induzione sopra indicato.

Anche nel caso dell’onere della prova, si fa riferimento a un principio di fondo corretto, che però diventa sbagliato se viene formulato in modo impreciso. L’onere della prova non sta banalmente a chi fa un’affermazione positiva (per esempio, a chi dice «la percezione extrasensoriale esiste» o «tutti i cigni sono bianchi»), perché le affermazioni positive non hanno niente di qualitativamente diverso da quelle negative, tant’è che ogni affermazione positiva si può facilmente trasformare in una negativa: per esempio «tutti i cigni sono bianchi» può diventare «non esistono cigni di colore diverso dal bianco». L’onere della prova sta invece a chi fa un’affermazione che contraddice le conoscenze consolidate, per le quali esistono evidenze favorevoli che hanno permesso, nella terminologia che abbiamo usato sopra, la “generalizzazione empirica”. Nessuna teoria può raggiungere la certezza assoluta, ma le teorie che hanno accumulato una certa quantità di prove hanno una buona probabilità di essere vere: per smentirle è necessario fornire almeno altrettante prove contrarie. Il fatto che le affermazioni siano positive o negative non c’entra nulla. Non basta qualche piccola anomalia a smentire la teoria dell’evoluzione, che ha accumulato una quantità enorme di prove convergenti provenienti da varie discipline, ma servirebbero evidenze enormi, superiori a quelle già presenti a suo favore. È per questo che nessuno studioso serio prende in grande considerazione l’idea che la teoria dell’evoluzione sia completamente falsa: non per chiusura mentale o per attaccamento morboso alla teoria, ma perché si dà il giusto peso alle prove sperimentali.

Prima di arrivare alle conclusioni, facciamo una digressione pedante per quanto riguarda gli aspetti strettamente logici (chi non è particolarmente amante della logica formale o sta leggendo questa rubrica prima di colazione può saltare il prossimo paragrafo senza serie conseguenze). Non ha nessun senso sostenere che la frase «non si può dimostrare un’affermazione negativa» sia una regola della logica. Non solo una delle regole autentiche della logica classica, il principio di non contraddizione[3], è un’affermazione negativa ed è dimostrabile (e quindi smentisce la tesi che le affermazioni negative non siano dimostrabili), ma anche la stessa frase «non si può dimostrare un’affermazione negativa» è un’affermazione negativa, e quindi se fosse vera non sarebbe dimostrabile (o, se preferite, se venisse dimostrata non sarebbe vera). Inoltre, come visto sopra, qualsiasi affermazione positiva può essere trasformata in un’affermazione negativa: perciò, se fosse vero che non si può dimostrare un’affermazione negativa, allora non si potrebbe dimostrare nulla.

Come osserva Hales nel suo articolo, il mito che non si possano dimostrare le affermazioni negative è popolare prima di tutto presso coloro che rimangono attaccati alle loro convinzioni anche quando tutte le prove sperimentali sono contrarie. Ha avuto però un certo successo anche presso gli scettici, come una comoda (ma sbagliata) scorciatoia per evitare di spiegare che determinate conclusioni negative sono provate con un elevato grado di certezza e quindi, a molti effetti pratici, è come se fossero dimostrate assolutamente.

In conclusione, dobbiamo stare molto attenti a non ripetere slogan che sembrano accattivanti senza aver prima verificato che abbiano fondamento. Non c’è bisogno di appellarsi a inesistenti regole logiche nel discutere sui fenomeni paranormali o sulle pseudoscienze, quando l’esame delle prove sperimentali può fornire il massimo livello di ragionevole certezza che si può ottenere nella scienza.

Note

1) Steven D. Hales, “Thinking Tools: You Can Prove A Negative”, in Think, estate 2005, 109-112.
2) Questo concetto si può esprimere matematicamente attraverso il teorema di Bayes, del quale ho parlato nell’articolo “I rabdomanti, le corse dei cavalli e lo scetticismo”, in Query 3, autunno 2010, disponibile online qui: https://tinyurl.com/yaomx2ky
3) Ovvero il principio secondo cui una certa proposizione A e la sua negazione, cioè la proposizione non-A, non possono essere entrambe vere allo stesso tempo e nello stesso modo.
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