A CICAP-FEST quest’anno il tema centrale saranno le fake-news, le bufale, l’inganno, insomma. Anche chi fa il mago, come te, si serve dell’inganno… con la differenza che il suo unico scopo è il divertimento del pubblico. Ma come si diventa “artisti dell’inganno”?
Il fatto è che l’inganno fa parte della natura umana. In certe persone lo riconosci come fosse una luce che brilla. Sono quelli che hanno un forte senso di sé, quasi un culto della propria personalità. Nasce sin da giovani, quando c’è un esempio in casa da imitare.
Anche nel tuo caso?
Certo, l’inganno mi scorre nelle vene! Pensa che ho scoperto in una scatola, qualche anno fa, un manifesto del mio bisnonno: faceva il clown al circo. Mi ricordo tutti gli aneddoti di mia nonna Giuditta, che morì giovane, a 59 anni. Mio nonno, poi, che non aveva mai conosciuto suo padre, cioè il mio bisnonno, faceva il tornitore, finché sentì il bisogno di mettersi in piazza e parlare con la gente e divenne così imbonitore. Una lunga tradizione, insomma...
Che cosa faceva l’imbonitore?
Riusciva a vendere di tutto. Per esempio, un disappannante per i vetri delle macchine, che altro non era che sapone tagliato a fette e incartato con l’alluminio. Lo passavi sopra il vetro e quello non si appannava, provaci. Era un mestiere fatto così.
Mio nonno era un personaggio popolare di una Milano estinta, che non c’è più. Un fenomeno. E anche mio padre fa lo stesso mestiere. Da piccolo, i miei mi portavano in piazza del Duomo a vedere nonno che parlava con tutta la gente intorno... Mi domandavo, avevo sei anni, che lavoro fosse quello di nonno.
Quando invece incontri la magia e capisci che può diventare la tua passione?
Grazie a una scatola, un regalo di mia nonna. Era il ’64 e lei mi regala questa scatola della Arco. Era tutta nera con un bollo sopra. C’erano un cilindro, le carte, le palline… E poi c’era la foto del mago. Guardando quella scatola rimasi come incantato.
Poi è andata persa, e negli anni l’ho ritrovata dai rigattieri, l’ho ricomprata. È sempre quella della Arco. Non quella di mia nonna, ma come quella voglio dire. «Prendila, portala via. Te la regalo», mi disse un venditore anni fa. Un’altra volta, molto più di recente, ne ho trovata un’altra. L’ho dovuta pagare cento euro.
Tuo padre ti ha aiutato?
Ho lavorato tanto con lui, ho rubato tutte le cose che stavano in quella piazza, ho capito tanto sulla psicologia delle persone... Nel frattempo mi esercitavo con i giochi di prestigio, i classici della magia: il sacchetto dell’uovo, gli anelli cinesi, il fazzoletto che cambia colore.. Avevo in mano, o in tasca, tre o quattro giochi che ogni tanto utilizzavo. «Signori, Raul Cremona!». Mi divertivo così. Un giorno arrivò il momento in cui dissi a mio padre: «Vabbè, io faccio il mago...». Dopo un po’, però, mi fece “la” domanda: «Ma quanto guadagni?» Gli dissi quello che riuscivo a portare a casa e allora lui mi rispose: «Be’, allora fallo!»
Nei tuoi spettacoli c’è ancora qualcosa che risale a quei tempi?
La mia tecnica è quella di fare le cose come le avrebbe fatte mio nonno imbonitore, cioè chiedendomi, cosa avrebbe detto lui in quella circostanza? Se Claudio Bisio mi viene di fianco e mi incalza, mi dà fastidio, io gli rispondo come avrebbe fatto mio nonno: “Allora, Ciccio t’è rott i ball”. Però non posso dirlo in milanese, lo devo dire in italiano, e come viene fuori in italiano? “Senta, ha mai provato a camminare sulle grondaie di un palazzo? Ecco ci provi, così ci fa felici”.
Quando ti accorgi che si può vivere di “inganni onesti”?
Quando scopro che l’inganno migliore è quello di far sorridere la gente. All’inizio ero solamente un prestigiatore brillante. Salivo sul palcoscenico, prendevo il fazzolettino, facevo cambiare il colore... Poi cominciai a dire qualche battuta. L’idea di mettermi lì vestito elegante con gli anelli cinesi e fare un numero muto di tre minuti non faceva per me. Una volta, me lo ricorderò sempre, appoggio gli anelli, prendo il microfono e dico: «Ciao...!». Non sapevo che cosa dire, ma avevo capito subito che era meglio parlare.
La parola è una magia?
Assolutamente sì! Gli attori sono istrioni, sono loro i veri maghi. Sin da piccolo il mio mago preferito era Vittorio Gassman, perché riusciva a incantare tutti solo parlando. Ma come faceva, mi chiedevo?
Quando fai il mago in scena, che cosa ti sembra che colpisca di più lo spettatore?
Ci sono due nature dentro di me, una che tende a divertire, l’altra che vuole stupire, che un po’ contrasta con la prima. Spesso la gente si mette a ridere anche se non dico niente e diventa difficile creare magie. Allora per riuscirci devo inventarmi qualche alter ego. I personaggi che mi invento non sono una scelta artistica, sono una conseguenza della mia personalità. Quando sento l’esigenza di uscire dal guscio mi trasformo e divento Manipolini o Silvano, il Mago di Milano. È il desiderio di essere qualcos’altro da sé, io penso, che spinge anche il ciarlatano ad essere qualcosa di diverso. A essere quello che sogna di potere essere. È un ignorante in partenza, ma con un forte desiderio di emergere per meriti del tutto inventati.
Oggi non è più così facile riconoscere le truffe.
È vero, perché oggi l’inganno si maschera con la scienza, con la cultura. Il ciarlatano finge di essere uno scienziato, ma è solo un travestimento. La lezione di Cagliostro o di Rol è sempre attuale: il ciarlatano abile non è quello che ti prende in giro facilmente, ma quello che ti conferma ciò in cui vuoi credere tu.
E poi le apparenze contano molto: uno come Rol non aveva bisogno di sbarcare il lunario, ma magari cercava solo di essere ammirato. Quindi ti imbroglia? Certo che sì, ma prendiamo il caso di Fellini, che adorava Rol. Il fatto è che Fellini era un uomo liberato...
Che cosa intendi dire?
Ci sono due tipi di uomini, quello non liberato, il frustrato, che si lamenta sempre, che vorrebbe ma non può, che se fosse stato più ricco lui sì che... Ed è quello che non ce la farà mai. E poi c’è l’uomo liberato, quello che supera quest’idea e può fare tutto quello che vuole, indipendentemente dalla ricchezza che ha. E l’uomo liberato può credere a tutto, perché ormai è già arrivato. Per questo, Fellini dava ascolto a Rol: ci credeva? Chi lo sa, forse si divertiva solo a stare al gioco. Ma erano uguali, perché erano oltre i problemi della quotidianità. È quello che non ha capito, quello che si affida a certi personaggi credendo davvero di risolvere i suoi problemi che poi finisce male.
Tu hai da poco pubblicato un libro incentrato sulla figura del “grande” Zirmani, un immaginario istrione incantatore di popoli. Come è nata questa idea?
Dal fatto che i giochi di prestigio non devono essere considerati solo dei puzzle, altrimenti non c’è divertimento. Fai il gioco, chi ti guarda non capisce come hai fatto e finisce lì. Tu sei furbo, lui no.
Sai che bello. Invece, il vero prestigiatore è quello che sa creare un’atmosfera, che sa evocare qualcosa capace di incantarti. Zirmani nasce così, pescando dai vari Mesmer, Pinetti, Cagliostro e Rol, cioè dall’idea di creare un contesto intrigante e misterioso per quelli che poi sono classici giochi di prestigio.
Ci fai un esempio?
Nel mio libro c’è un gioco che si chiama 33, è un classico di Martin Gardner, dove c’è un piccolo artificio matematico che ti permette di ritrovare una carta scelta a caso alla trentatreesima posizione del mazzo. La prima cosa che ho pensato è che 33 sono gli anni di Cristo, allora ho immaginato che secondo Zirmani un mazzo di carte può essere una metafora della verità religiosa. E allora ecco che ho iniziato a inventare una presentazione dove ogni simbolo ha un significato religioso: «L’asso è Dio, il due sono il Vecchio e il Nuovo Testamento, il tre la Trinità, quattro gli Evangelisti…» e così via. Quando arrivo alla trentatreesima carta, gli anni di Cristo, la volto e si vede che è quella pensata dallo spettatore. È ovvio che a quel punto l’incanto è più grande. Altrimenti, è solo un indovinello.
Vedremo Zirmani al CICAP-FEST?
Sicuramente qualche esperimento lo farà... e tu mi farai da spalla.
Volentieri. Per la serata speciale del sabato, invece, che cosa ci riserverai?
Lì, Raul Cremona prenderà una direzione più disincantata... adesso parlo in terza persona, andiamo bene. Disincantata verso la tecnologia moderna. Basta vedere quello che fa ai ragazzi di oggi. Sono più ingenui di noi. Io sono un baby boomer, sono nato nel mezzo del boom economico, avevo cose che i miei genitori non avevano: i soldatini, la pista, il cinturone da cow-boy... poche cose, al confronto di oggi, ma almeno ero sveglio. Oggi invece i ragazzi hanno tutto, ma sono ingenui. Ho visto la letterina di un bambino a Babbo Natale: «Caro Babbo Natale, manda tanti vestiti a tutte quelle donnine che non ne hanno e che vivono nel computer di papà»... Ecco, così racconterò quello che nonostante tutto mi piace ancora. Come quella scatola di giochi di prestigio della nonna.
Non te la sei mai dimenticata, vero?
Come dico sempre, il mago è un bambino di dieci anni che la notte di Natale ha ricevuto la scatola di giochi di prestigio. E cinquant’anni dopo, come nel mio caso, ci sta ancora giocando...
Il fatto è che l’inganno fa parte della natura umana. In certe persone lo riconosci come fosse una luce che brilla. Sono quelli che hanno un forte senso di sé, quasi un culto della propria personalità. Nasce sin da giovani, quando c’è un esempio in casa da imitare.
Anche nel tuo caso?
Certo, l’inganno mi scorre nelle vene! Pensa che ho scoperto in una scatola, qualche anno fa, un manifesto del mio bisnonno: faceva il clown al circo. Mi ricordo tutti gli aneddoti di mia nonna Giuditta, che morì giovane, a 59 anni. Mio nonno, poi, che non aveva mai conosciuto suo padre, cioè il mio bisnonno, faceva il tornitore, finché sentì il bisogno di mettersi in piazza e parlare con la gente e divenne così imbonitore. Una lunga tradizione, insomma...
Che cosa faceva l’imbonitore?
Riusciva a vendere di tutto. Per esempio, un disappannante per i vetri delle macchine, che altro non era che sapone tagliato a fette e incartato con l’alluminio. Lo passavi sopra il vetro e quello non si appannava, provaci. Era un mestiere fatto così.
Mio nonno era un personaggio popolare di una Milano estinta, che non c’è più. Un fenomeno. E anche mio padre fa lo stesso mestiere. Da piccolo, i miei mi portavano in piazza del Duomo a vedere nonno che parlava con tutta la gente intorno... Mi domandavo, avevo sei anni, che lavoro fosse quello di nonno.
Quando invece incontri la magia e capisci che può diventare la tua passione?
Grazie a una scatola, un regalo di mia nonna. Era il ’64 e lei mi regala questa scatola della Arco. Era tutta nera con un bollo sopra. C’erano un cilindro, le carte, le palline… E poi c’era la foto del mago. Guardando quella scatola rimasi come incantato.
Poi è andata persa, e negli anni l’ho ritrovata dai rigattieri, l’ho ricomprata. È sempre quella della Arco. Non quella di mia nonna, ma come quella voglio dire. «Prendila, portala via. Te la regalo», mi disse un venditore anni fa. Un’altra volta, molto più di recente, ne ho trovata un’altra. L’ho dovuta pagare cento euro.
Raul Cremona insieme ad Alfredo Castelli durante una presentazione del suo libro Il Grande Zirmani ©Roberta Baria
Ho lavorato tanto con lui, ho rubato tutte le cose che stavano in quella piazza, ho capito tanto sulla psicologia delle persone... Nel frattempo mi esercitavo con i giochi di prestigio, i classici della magia: il sacchetto dell’uovo, gli anelli cinesi, il fazzoletto che cambia colore.. Avevo in mano, o in tasca, tre o quattro giochi che ogni tanto utilizzavo. «Signori, Raul Cremona!». Mi divertivo così. Un giorno arrivò il momento in cui dissi a mio padre: «Vabbè, io faccio il mago...». Dopo un po’, però, mi fece “la” domanda: «Ma quanto guadagni?» Gli dissi quello che riuscivo a portare a casa e allora lui mi rispose: «Be’, allora fallo!»
Nei tuoi spettacoli c’è ancora qualcosa che risale a quei tempi?
La mia tecnica è quella di fare le cose come le avrebbe fatte mio nonno imbonitore, cioè chiedendomi, cosa avrebbe detto lui in quella circostanza? Se Claudio Bisio mi viene di fianco e mi incalza, mi dà fastidio, io gli rispondo come avrebbe fatto mio nonno: “Allora, Ciccio t’è rott i ball”. Però non posso dirlo in milanese, lo devo dire in italiano, e come viene fuori in italiano? “Senta, ha mai provato a camminare sulle grondaie di un palazzo? Ecco ci provi, così ci fa felici”.
Quando ti accorgi che si può vivere di “inganni onesti”?
Quando scopro che l’inganno migliore è quello di far sorridere la gente. All’inizio ero solamente un prestigiatore brillante. Salivo sul palcoscenico, prendevo il fazzolettino, facevo cambiare il colore... Poi cominciai a dire qualche battuta. L’idea di mettermi lì vestito elegante con gli anelli cinesi e fare un numero muto di tre minuti non faceva per me. Una volta, me lo ricorderò sempre, appoggio gli anelli, prendo il microfono e dico: «Ciao...!». Non sapevo che cosa dire, ma avevo capito subito che era meglio parlare.
La parola è una magia?
Assolutamente sì! Gli attori sono istrioni, sono loro i veri maghi. Sin da piccolo il mio mago preferito era Vittorio Gassman, perché riusciva a incantare tutti solo parlando. Ma come faceva, mi chiedevo?
Quando fai il mago in scena, che cosa ti sembra che colpisca di più lo spettatore?
Ci sono due nature dentro di me, una che tende a divertire, l’altra che vuole stupire, che un po’ contrasta con la prima. Spesso la gente si mette a ridere anche se non dico niente e diventa difficile creare magie. Allora per riuscirci devo inventarmi qualche alter ego. I personaggi che mi invento non sono una scelta artistica, sono una conseguenza della mia personalità. Quando sento l’esigenza di uscire dal guscio mi trasformo e divento Manipolini o Silvano, il Mago di Milano. È il desiderio di essere qualcos’altro da sé, io penso, che spinge anche il ciarlatano ad essere qualcosa di diverso. A essere quello che sogna di potere essere. È un ignorante in partenza, ma con un forte desiderio di emergere per meriti del tutto inventati.
Oggi non è più così facile riconoscere le truffe.
È vero, perché oggi l’inganno si maschera con la scienza, con la cultura. Il ciarlatano finge di essere uno scienziato, ma è solo un travestimento. La lezione di Cagliostro o di Rol è sempre attuale: il ciarlatano abile non è quello che ti prende in giro facilmente, ma quello che ti conferma ciò in cui vuoi credere tu.
E poi le apparenze contano molto: uno come Rol non aveva bisogno di sbarcare il lunario, ma magari cercava solo di essere ammirato. Quindi ti imbroglia? Certo che sì, ma prendiamo il caso di Fellini, che adorava Rol. Il fatto è che Fellini era un uomo liberato...
Che cosa intendi dire?
Ci sono due tipi di uomini, quello non liberato, il frustrato, che si lamenta sempre, che vorrebbe ma non può, che se fosse stato più ricco lui sì che... Ed è quello che non ce la farà mai. E poi c’è l’uomo liberato, quello che supera quest’idea e può fare tutto quello che vuole, indipendentemente dalla ricchezza che ha. E l’uomo liberato può credere a tutto, perché ormai è già arrivato. Per questo, Fellini dava ascolto a Rol: ci credeva? Chi lo sa, forse si divertiva solo a stare al gioco. Ma erano uguali, perché erano oltre i problemi della quotidianità. È quello che non ha capito, quello che si affida a certi personaggi credendo davvero di risolvere i suoi problemi che poi finisce male.
Tu hai da poco pubblicato un libro incentrato sulla figura del “grande” Zirmani, un immaginario istrione incantatore di popoli. Come è nata questa idea?
Dal fatto che i giochi di prestigio non devono essere considerati solo dei puzzle, altrimenti non c’è divertimento. Fai il gioco, chi ti guarda non capisce come hai fatto e finisce lì. Tu sei furbo, lui no.
Sai che bello. Invece, il vero prestigiatore è quello che sa creare un’atmosfera, che sa evocare qualcosa capace di incantarti. Zirmani nasce così, pescando dai vari Mesmer, Pinetti, Cagliostro e Rol, cioè dall’idea di creare un contesto intrigante e misterioso per quelli che poi sono classici giochi di prestigio.
Raul Cremona insieme a Massimo Polidoro durante una presentazione del suo libro Il Grande Zirmani” ©Roberta Baria
Nel mio libro c’è un gioco che si chiama 33, è un classico di Martin Gardner, dove c’è un piccolo artificio matematico che ti permette di ritrovare una carta scelta a caso alla trentatreesima posizione del mazzo. La prima cosa che ho pensato è che 33 sono gli anni di Cristo, allora ho immaginato che secondo Zirmani un mazzo di carte può essere una metafora della verità religiosa. E allora ecco che ho iniziato a inventare una presentazione dove ogni simbolo ha un significato religioso: «L’asso è Dio, il due sono il Vecchio e il Nuovo Testamento, il tre la Trinità, quattro gli Evangelisti…» e così via. Quando arrivo alla trentatreesima carta, gli anni di Cristo, la volto e si vede che è quella pensata dallo spettatore. È ovvio che a quel punto l’incanto è più grande. Altrimenti, è solo un indovinello.
Vedremo Zirmani al CICAP-FEST?
Sicuramente qualche esperimento lo farà... e tu mi farai da spalla.
Volentieri. Per la serata speciale del sabato, invece, che cosa ci riserverai?
Lì, Raul Cremona prenderà una direzione più disincantata... adesso parlo in terza persona, andiamo bene. Disincantata verso la tecnologia moderna. Basta vedere quello che fa ai ragazzi di oggi. Sono più ingenui di noi. Io sono un baby boomer, sono nato nel mezzo del boom economico, avevo cose che i miei genitori non avevano: i soldatini, la pista, il cinturone da cow-boy... poche cose, al confronto di oggi, ma almeno ero sveglio. Oggi invece i ragazzi hanno tutto, ma sono ingenui. Ho visto la letterina di un bambino a Babbo Natale: «Caro Babbo Natale, manda tanti vestiti a tutte quelle donnine che non ne hanno e che vivono nel computer di papà»... Ecco, così racconterò quello che nonostante tutto mi piace ancora. Come quella scatola di giochi di prestigio della nonna.
Non te la sei mai dimenticata, vero?
Come dico sempre, il mago è un bambino di dieci anni che la notte di Natale ha ricevuto la scatola di giochi di prestigio. E cinquant’anni dopo, come nel mio caso, ci sta ancora giocando...